I santi martiri Gervasio e Protasio nella liturgia ambrosiana
di Michele Brambilla
Il 19 giugno ricorre la festa dei SS. Gervasio e Protasio (nomi trascrivibili anche senza la “i” eufonica, e così infatti li troviamo nei libri liturgici) martiri, compatroni dell’arcidiocesi ambrosiana. Non si sa molto della loro biografia, ma le reliquie ebbero la fortuna di essere scoperte da sant’Ambrogio nel 386, proprio mentre il grande vescovo era impegnato nella difesa dei cattolici contro l’arroganza degli eretici ariani, spalleggiati dalla corte imperiale, residente proprio a Milano. I corpi dei martiri furono trasportati in processione per tutta la città, compiendo miracoli al loro passaggio. E’ quanto narra l’inno assegnato, dalla liturgia ambrosiana, ai primi vesperi della solennità, Grates tibi, Iesu, novas, in cui si rende grazie al Signore per il ritrovamento di nuovi difensori soprannaturali della fede.
I vesperi ambrosiani delle festività comprendono, di norma, il lucernario, durante il quale, come ogni sera, si accendono le luci della chiesa e si incensano gli altari; il responsorio in coro, con parti distinte assegnate al celebrante e al coro; un’unica antifona, recitata la quale seguono un Salmo specifico, sempre il Salmo 133 (Ecco benedite il Signore) e il Salmo 116 (Lodate il Signore popoli tutti), conclusi da un’unica Dossologia (Gloria Patri). Il 133 chiama a raccolta tutti i servi del Signore, mentre il 116 invita tutti i popoli a lodare il Dio d’Israele per i prodigi operati. Nel caso dei primi vesperi, il Salmo specifico è il 91, che inneggia alla protezione che il Signore garantisce alla Chiesa, mentre nei secondi è il 27, nel quale si chiede al Giudice di non travolgere il giusto con l’empio.
L’antifona della processione al battistero dei primi vesperi riporta le testuali parole di Ambrogio: «Ambrogio disse: A te grazie, Signore Gesù: quando la Chiesa avverte più grande il bisogno di aiuto, tu risvegli lo spirito dei martiri. Sappiamo tutti quali difensori io cerchi: quelli che ancora sanno proteggere e più non possono essere assaliti» perché già vincitori con Cristo risorto. Viene così enunciata l’ottica con la quale bisogna vedere sia il martirio che il ritrovamento di Gervasio e Protasio: gloria del passato e monito per il presente. Il cattolico dovrebbe mantenere intatto l’ardore del martire anche quando non chiamato specificamente a versare il suo sangue. L’espressione ambrosiana «tales ambio defensores» è diventato il motto dell’arcidiocesi di Milano, il cui stemma mostra proprio sant’Ambrogio con accanto Gervasio e Protasio, vestiti con l’armatura romana classica.
Ne nasce un’idea di militanza cristiana ribadito dalla prima orazione delle Lodi: «O Dio, che in questa festiva celebrazione ci poni ad esempio la coraggiosa testimonianza dei martiri Protaso e Gervaso, concedi al tuo popolo, che crede in te fermamente, di combattere sempre con animo forte la buona battaglia della fede». Sempre le Lodi dei due compatroni, al Benedictus, acclamano: «Sulle tue mura, Gerusalemme, ho posto sentinelle: non cesseranno mai di lodare il nome del Signore». Le Lodi dei Santi comprendono sempre, in forma festiva, il brano cantato di Sap 10,15-21;11,1-4, nel quale si celebra l’uomo redento come “casa” (nel senso greco di oikos, quindi anche “famiglia”) abitata da Dio.
I toni della celebrazione eucaristica sono i medesimi. Nella forma più solenne, celebrata nella basilica di S. Ambrogio, dove i compatroni sono sepolti assieme al patrono principale della diocesi, la Messa è aperta dall’ingresso solenne del clero e dal canto dei 12 Kyrie eleison ai piedi dell’altare, come la Domenica delle Palme. Il parallelismo è evidente: Cristo Re, nella persona del celebrante, entra di nuovo nella Gerusalemme terrena, rappresentata dall’assemblea riunita, perché, come i martiri, si trasformi nella Gerusalemme celeste. Subito dopo, secondo la tradizione popolare lombarda, si può incendiare il globo o pallone, una sfera di bambagia appesa nel presbiterio che, incendiandosi, simboleggia il martire che brucia d’amore per Gesù.
«A questa schiera», recita il prefazio, «volesti aggregare i fratelli Protaso e Gervaso che, elevando il tuo santo vessillo e rivestendosi delle armi dello spirito, si sciolsero da ogni impaccio di cura terrena e liberi si arruolarono nella milizia di Cristo. La Chiesa, madre feconda di nobili figli, si allieta del loro trionfo e dell’onore che il nostro vescovo Ambrogio tributò alle spoglie ritrovate di questi tuoi servi, pegno di spirituale vittoria e di gloria eterna». Si noti la ripetizione del vocabolario militare, dall’arruolamento alla cerimonia del trionfo. Tutto concorre, insomma, affinché i credenti alzino senza paura il vessillo di Cristo «nella giovinezza della vita rinnovata» (orazione dopo la Comunione), ovvero nella lotta senza quartiere al peccato per conservare il candore della veste battesimale. La nobiltà non viene dal lignaggio, né si trasmette col sangue, ma significa corrispondere ad una chiamata di Grazia, infusa in noi dal Battesimo e fortificata dai Sacramenti.
Sabato, 18 giugno 2022