Da Avvenire del 13/05/2021
Chi l’ha detto che gli oggetti non parlano? A guardarla oltre il vetro della teca, la maglietta intima che san Giovanni Paolo II indossava al momento dell’attentato in piazza San Pietro, il 13 maggio 1981, ne racconta di cose. La macchia scura con il sangue rappreso in corrispondenza dell’addome segnala il punto esatto in cui il Pontefice fu colpito da Alì Agcà. Quella di mercurio cromo, più chiara in basso sulla destra, narra delle prime cure che furono prestate al Papa una volta giunto al Gemelli. E i tagli al tessuto, ben visibili, testimoniano della concitazione di quei momenti drammatici, quando l’équipe medica dovette intervenire su un paziente che – come avrebbe testimoniato gli stesso in seguito – era più di là che di qua.
C’è di fatto tutta la sequenza di quell’indimenticabile pomeriggio nella maglietta che ora è custodita come una reliquia nella chiesa dell’Istituto delle Figlie della Carità di San Vincenzo, a due passi dalla Pineta Sacchetti. E c’è, intrecciata con l’attentato, anche la devozione di quanti si recano a pregare san Giovanni Paolo II in questa chiesa (come pure nella parrocchia di Maria Regina dall’altra parte di Roma, dove, come ricorda il parroco, padre Francesco Sciarelli, è custodito lo scapolare della Madonna del Carmine dal quale il Papa non si separò mai: lo tenne anche durante l’intervento). La maglietta è qui dal 2000, quando a donarla alle suore fu Anna Stanghellini, una delle infermiere che il giorno dell’attentato erano in sala operatoria, durante il difficile intervento guidato da Francesco Crucitti. Anna si accorse che l’indumento era stato gettato in una cesta e la raccolse, custodendola in casa sua. Quando poi, morti i genitori e rimasta sola, si ritirò a vivere dalle suore, decise di donarla a loro, quattro anni prima di morire nel 2004. Nella Chiesa alcune religiose stanno sistemando l’altare per la Messa di oggi alle 16.30 (più o meno lo stesso orario dell’attentato), che verrà presieduta dal cardinale Angelo Comastri, arciprete emerito della Basilica Vaticana. La superiora, suor Maria Rosaria Matranga, racconta: «Per noi ospitare questa reliquia è un sentire forte e viva la presenza di san Giovanni Paolo II, è motivo per meditare costantemente sul perdono, proprio seguendo l’esempio del Papa che perdonò subito il suo attentatore, e per accogliere le intenzioni di preghiera dei fedeli».
È accaduto anche durante il Covid. Anche se per telefono, date le misure sanitarie. «Molti ci hanno chiesto di pregare papa Wojtyla per la salvezza dei loro cari colpiti dal virus, per la propria salute o per ritrovare il lavoro perduto », dice suor Matranga. «Ma prima della pandemia abbiamo raccolto le intenzioni di diverse donne che non riuscivano ad avere figli. Una di queste, quando finalmente concepì, venne sconsigliata dal portare avanti la gestazione per motivi di salute. Non solo riuscì a dare a luce un bel bambino, ma lo chiamò Giovanni Paolo».