Dalla “Nuova Bussola Quotidiana” del 24 dicembre 2016. Autore Andrea Morigi
Invece di andare a Molenbeek, il quartiere di Bruxelles divenuto famoso per essere stato una fucina di pericolosi jihadisti, Anis Amri aveva puntato su Sesto San Giovanni, a due fermate di metropolitana da Milano.
Poche ore dopo aver compiuto una strage a Berlino, il terrorista islamico tunisino era stato ripreso dalle telecamere di sorveglianza davanti a una moschea della capitale tedesca. Poi era riuscito a sfuggire al blitz delle forze speciali intervenute poco tempestivamente per catturarlo dopo che la sua presenza era stata segnalata. La Germania era ormai impraticabile, meglio passare in Francia e da lì in Italia. Conosceva bene la penisola, dopo averci trascorso quattro anni di galera. Proprio dietro le sbarre si era radicalizzato ed era entrato nel giro dell’Isis. Se proprio nel centro islamico berlinese non gli avevano fornito l’indirizzo preciso di qualche covo, era andato a cercare gli ex compagni di carcere, quelli di cui si fidava di più, che avrebbero potuto ospitarlo fino a quando si fossero calmate le acque.
Del resto, dall’hinterland milanese è partita per la Siria, insieme al marito albanese Aldo Kobuzi, anche Maria Giulia Sergio, detta Fatima dopo la sua conversione all’islam più radicale. La coppia, che risiedeva a Inzago, è appena stata condannata per terrorismo internazionale. Nella vicina Brianza, molti altri sono diventati foreign fighter, per una o l’altra delle fazioni armate dei ribelli siriani, grazie a una rete di reclutatori balcanica che si estende dalla Bosnia e dal Kosovo fino in Albania.
Nell’ex Jugoslavia era andato a morire in combattimento, già nel 1995, anche Anwar Shaaban, il fondatore del centro islamico di Viale Jenner a Milano, divenuto così la sede centrale di Al Qaeda in Europa con l’avvicendamento di varie generazioni e bande di terroristi.
Dunque le strutture religiose islamiche lombarde e soprattutto milanesi sono attraversate da oltre vent’anni da un movimento che promuove la jihad all’estero e prolifera negli ambienti vicini alle moschee. Lo ammette perfino il presidente della Coreis Comunità religiosa islamica italiana, dichiarando di non poter escludere “che ci sia stata qualche minoranza di follia omicida, di jihadisti che abbiano pensato di abusare della religione per andare poi a combattere e che possono essere il terreno fertile per cercare di dare rifugio ad altri criminali”.
Quella stessa rete di complicità e di sostegno logistico ritiene però di rappresentare l’unico, autentico islam. E conta più seguaci pronti a morire sulla via di Allah di quanti credano che l’islam sia una religione di pace. Ecco perché sono le cronache giudiziarie e gli scontri a fuoco a segnare a fondo la storia dell’islam italiano.
Foto milano.corriere.it