Da “Avvenire” del 24 gennaio 2017. Foto da Telemundo
Donald Trump comincia la sua prima settimana alla Casa Bianca mantenendo alcune promesse fatte ai suoi elettori. Di prima mattina, il neopresidente ha firmato una serie di ordini esecutivi che in pochi minuti hanno bloccato l’erogazione di fondi federali alle Ong che praticano aborti o forniscono informazioni al riguardo. Poi ha ritirato unilateralmente gli Usa dall’accordo commerciale con l’Asia Trans-Pacific Partnership ( Tpp) e congelato le assunzioni del governo federale, «fatta eccezione per i militari». Con una telefonata all’omologo egiziano Abdel Fattah al-Sisi, Trump ha anche confermato assistenza economia e militare statunitense per diversi miliardi di dollari, che l’Amministrazione Obama aveva parzialmente congelato dopo il golpe al Cairo del luglio 2013.
La misura sull’aborto reintegra un provvedimento noto come “Mexico City policy” che, da quando fu introdotto da Ronald Reagan nel 1984, èstato più volte revocato dai presidenti democratici. Barack Obama aveva infatti cancellato il bando, che impedisce ogni finanziamento di Washington alle organizzazioni non governative, americane o internazionali, che praticano o discutono l’interruzione di gravidanza fuori dagli Usa, in qualsiasi parte del mondo. La decisione è arrivata all’indomani del 44esimo anniversario della legalizzazione dell’aborto negli Stati Uniti e rappresenta il primo segnale forte del nuovo capo della Casa Bianca ai gruppi di difesa della vita che è dalla loro parte con i fatti e non solo a parole.
Con un altro colpo di penna, Trump ha anche cancellato anni di negoziati da parte dell’Amministrazione Obama che avevano portato alla formulazione del Tpp, al quale hanno aderito altri 11 Paesi in America e in Asia. «Ne abbiamo parlato per molto tempo – ha detto Trump dallo Studio ovale – è una grande cosa per i lavoratori americani ». Il Tpp doveva ancora essere approvato dal Congresso, dove, ironicamente, gode di più sostenitori fra i repubblicani che fra i democratici.
«Sono contento che sia morto – ha commentato il senatore Bernie Sanders, che ha sfidato Hillary Clinton perla nomination democratica –. Se Trump fa sul serio per politiche che aiutino i lavoratori americani, sarei felice di lavorare con lui». Il senatore John McCain, candidato conservatore alla Casa Bianca nel 2008, lo ha invece definito «un errore serio che avrà conseguenze durature perché permetterà alla Cina di riscrivere le regole economiche a spese dei lavoratoriamericani e manderà un segnale preoccupante di disimpegno americanonella regione».L’attenzione è ora concentrata sul Nafta (il North American Trade Agreement) con Canada e Messico, un accordo varato 22 anni fa che il nuovo presidente intende, come ha annunciato il nuovo sito della Casa Bianca immediatamente dopo il suo insediamento, rinegoziare o abbandonare. Incontri con il presidente messicano Enrique Peña Nieto e con il premier canadese Justin Trudeau sono in via di definizione, ha confermato il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer, aggiungendo che sono già state «intraprese azioni», e «accesa un miccia» in vista della «notifica ai Paesi partner».
La telefonata al presidente egiziano è stata l’altra iniziativa di Trump, che domenica aveva chiamato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, affrontando fra le altre la questione dello spostamento dell’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme che, a detta di un portavoce, «non è ancora stata decisa».Rivolgendosi brevemente ai giornalisti, infine, il miliardario newyorkese ieri ha liquidato come «totalmente priva di valore» l’azione legale di un gruppo di costituzionalisti Usa, che lo accusano di violare la clausola costituzionale che vieta ai funzionari pubblici di accettare benefici da governi stranieri.
Nel ricorso, presentato ieri al tribunale federale di Manhattan, si afferma che i contratti che Trump ha con governi stranieri che hanno affittato spazi nei suoi grattacieli o hanno partecipato a suoi investimenti immobiliari sono in contrasto con quanto richiesto dalla Costituzione. L’istanza chiede anche la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi del presidente, che finora Trump si è rifiutato di diffondere. Ieri infine Trump si è dimesso dalla gestione diretta delle sue aziende, affidandola ai due figli maschi ma mantenendone la proprietà.