Messaggio Urbi et Orbi nel solco della Fratelli tutti. Il Papa ricorda anche la tragedia del Libano e del Nagorno-Karabakh armeno
di Michele Brambilla
Papa Francesco sceglie di leggere il messaggio Urbi et Orbi di questo particolare 25 dicembre nella Sala delle Udienze del Palazzo apostolico, davanti ad un gruppo di fedeli accuratamente selezionato. Il cuore del discorso del Santo Padre è, però, lo stesso di sempre: «vorrei far giungere a tutti il messaggio che la Chiesa annuncia in questa festa, con le parole del profeta Isaia: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,5)» che ci rende tutti fratelli.
Il filo conduttore diventa, quindi, l’enciclica Fratelli tutti recentemente promulgata. Nel messaggio natalizio il Papa ripete: «grazie a questo Bambino, tutti possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”, “Papà”. Gesù è l’Unigenito; nessun’altro conosce il Padre, se non Lui. Ma Lui è venuto nel mondo proprio per rivelarci il volto del Padre. E così, grazie a questo Bambino, tutti possiamo chiamarci ed essere realmente fratelli: di ogni continente, di qualsiasi lingua e cultura, con le nostre identità e diversità, eppure tutti fratelli e sorelle». Con l’Incarnazione del Verbo vengono a decadere tutte le distinzioni tra gli esseri umani e si fonda una fraternità non astratta. «Il Bambino di Betlemme ci aiuti allora ad essere disponibili, generosi e solidali, specialmente verso le persone più fragili, i malati e quanti in questo tempo si sono trovati senza lavoro o sono in gravi difficoltà per le conseguenze economiche della pandemia, come pure le donne che in questi mesi di confinamento hanno subito violenze domestiche». E «di fronte a una sfida», quella del contrasto al Covid-19, «che non conosce confini, non si possono erigere barriere. Siamo tutti sulla stessa barca. Ogni persona è mio fratello. In ciascuno vedo riflesso il volto di Dio e in quanti soffrono scorgo il Signore che chiede il mio aiuto». Il Papa plaude alla conquista del vaccino, ma chiede che non diventino preda di un affarismo senza scrupoli: «oggi, in questo tempo di oscurità e incertezze per la pandemia, appaiono diverse luci di speranza, come le scoperte dei vaccini. Ma perché queste luci possano illuminare e portare speranza al mondo intero, devono stare a disposizione di tutti. Non possiamo lasciare che i nazionalismi chiusi ci impediscano di vivere come la vera famiglia umana che siamo. Non possiamo neanche lasciare che il virus dell’individualismo radicale vinca noi e ci renda indifferenti alla sofferenza di altri fratelli e sorelle», un peso per l’economia e la società secondo la “cultura dello scarto” dominante. Come affermato nell’omelia della Messa nella Notte santa, Gesù è nato povero perché nessuna categoria umana si senta più scartata.
Il Pontefice si dilunga molto sulla Siria, che non conosce pace da quasi 10 anni. Altri nomi ricorrenti nelle cronache di questi anni sono lo Yemen, l’Iraq, la Terra Santa, il Mediterraneo orientale, il Burkina Faso, il Mali e il Niger, nel continente americano il Venezuela, a cui si aggiungono i disordini in Cile, dalle venature spesso anticattoliche. Riguardo all’Iraq, il Papa rievoca il dramma degli yazidi, minoranza religiosa particolarmente colpita dalla violenza dell’ISIS negli anni del suo apogeo. Menziona anche il caso, ormai dimenticato, dei Rohingya della Birmania.
Francesco non manca di intervenire sulle guerre che più hanno contrassegnato il 2020: cita la crisi del Tigray in Etiopia, ma prega soprattutto che «il Figlio dell’Altissimo sostenga l’impegno della comunità internazionale e dei Paesi coinvolti a proseguire il cessate-il-fuoco nel Nagorno-Karabakh, come pure nelle regioni orientali dell’Ucraina». Dopo l’esplosione nel porto di Beirut dello scorso agosto, «la stella che ha illuminato la notte di Natale sia guida e incoraggiamento per il popolo libanese, affinché, nelle difficoltà che sta affrontando, col sostegno della Comunità internazionale non perda la speranza. Il Principe della Pace aiuti i responsabili del Paese a mettere da parte gli interessi particolari e ad impegnarsi con serietà, onestà e trasparenza perché il Libano possa percorrere un cammino di riforme e proseguire nella sua vocazione di libertà e di convivenza pacifica».
A tutti il Papa ripete: «“un bambino è nato per noi” (Is 9,5). È venuto a salvarci! Egli ci annuncia che il dolore e il male non sono l’ultima parola. Rassegnarsi alle violenze e alle ingiustizie vorrebbe dire rifiutare la gioia e la speranza del Natale. In questo giorno di festa rivolgo un pensiero particolare a quanti non si lasciano sopraffare dalle circostanze avverse, ma si adoperano per portare speranza, conforto e aiuto, soccorrendo chi soffre e accompagnando chi è solo». La pandemia impedisce di realizzare le tavolate infinite che contraddistinguono il classico Natale italiano, ma «per tutti il Natale sia l’occasione di riscoprire la famiglia come culla di vita e di fede; luogo di amore accogliente, di dialogo, di perdono, di solidarietà fraterna e di gioia condivisa, sorgente di pace per tutta l’umanità».
Sabato, 26 dicembre 2020