“Alcuni uomini, non so se benedetti o maledetti, scorgono nella bellezza il suo valore originario. Parlo del paradiso. Perché questo era il paradiso. Ma noi abbiamo peccato, e così è arrivata la morte, il tempo. Non lo sanno questi uomini, ma la nostalgia che sentono di fronte alla bellezza è nostalgia di quel prima, del paradiso. Di Dio” (Daniele Mencarelli, Tutto chiede salvezza)
di Luca Finatti
[…]
Siamo noi, guardaci,
in questa immobile battaglia
senza terra o corpo da combattere
davanti a un nemico fatto d’aria
che si mangia il tuo respiro
troppo piccolo per sparargli
infame divoratore di nonni
mai più tornati dall’ospedale
senza dargli nemmeno un addio.
Così poetava pregando Daniele Mencarelli, in un testo pubblicato il 22 marzo dello scorso anno sul quotidiano Avvenire, cercando nello sguardo di Dio una risposta ai bollettini della pandemia quotidiana.
Nato a Roma nel 1974, Mencarelli inizia a pubblicare poesie nel 1997 sulla rivista dell’amico poeta Davide Rondoni clanDestino; nel 2018 esce il suo primo romanzo, La casa degli sguardi; nel 2019 un’ampia antologia del suo percorso lirico, Tempo circolare (poesie 2019-1997);infine nel 2020 s’impone all’attenzione del pubblico e della critica con il secondo romanzo, Tutto chiede salvezza, premio Strega giovani e finalista del premio Strega 2020.
La scrittura poetica e quella narrativa si riversano una nell’altra, tanto che entrambi i romanzi nascono da esperienze autobiografiche, prima cristallizzate in poesie e poi diluite in un racconto che nulla perde in intensità, ma tutto guadagna in testimonianza, attraverso uno stile essenziale, mai pateticamente compiaciuto, capace di delineare un ritratto crudo e veritiero di certe periferie esistenziali contemporanee, anche grazie ai dialoghi in dialetto romanesco.
Mencarelli, infatti, nel suo primo romanzo, immerge il lettore nelle vicende drammatiche della sua dipendenza dall’alcolismo, poi, nell’opera più recente, scandaglia il disagio mentale di un gruppo di persone ricoverate insieme a lui nel reparto psichiatrico di un ospedale romano.
“Con le sostanze ho iniziato a diciassette anni, all’epoca era il gioco di un ragazzo in mezzo ad altri ragazzi […] funzionavano il fumo e le pasticche, l’ecstasy, i rave in giro, le discoteche […] Promisi di uscirne, sinceramente, sperimentai la catena della dipendenza, quando sentii di avercela fatta alzai il bicchiere per un brindisi. I festeggiamenti per la nuova schiavitù” 1.
A 24 anni Daniele, devastato dall’alcol, riesce a ottenere dall’amico poeta Davide un lavoro in una cooperativa di pulizie presso l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, la “casa degli sguardi” che lo farà rinascere: “Il paradosso della Provvidenza che agì all’epoca fu quella di mandare un ragazzo che soccombeva di fronte alle sue fragilità, di mandarlo nel posto più duro che mi sia mai capitato di vedere […]. Però lì ho scoperto che non esiste dolore più grande di quello che impartiamo noi a noi stessi”, come confessa Mencarelli alla giornalista Monica Mondo in una bella intervista.
Costruito come un romanzo di formazione, La casa degli sguardi si svolge nel 1999, alternando episodi di schietta amicizia con i colleghi a scene strazianti con i genitori, che mai abbandonano il figlio, nonostante l’impotenza di fronte al suo progressivo disfacimento.
Il durissimo lavoro costringe però Daniele a scrollarsi dallo sguardo impietoso su sé stesso e a immergersi finalmente nella realtà, fatta di pulizia sfiancante, ma soprattutto di “orrore”, come scriverà più volte, di fronte alla sofferenza dei bambini: “Come sempre finisco col maledirmi, per come sono, per come vorrei essere. Perché la sofferenza degli altri deve interessarmi a questo modo? Perché non riesco a proteggermi?”2.
Nel corso del racconto però il protagonista impara a guardare il dolore cercando delle risposte agli interrogativi che la malattia e la morte dei bambini inevitabilmente suscitano:
[…]
Uscimmo all’aria aperta
come riemersi dall’abisso,
di noi il più anziano mi si girò contro:
“tu che tanto speri e tanto credi
spiegami una possibile giustizia
di quell’agonia morte futura”.
Non risposi ma una voce
si alzò alta dalle viscere:
“per questo credo di più ancora” 3.
La svolta decisiva avviene quando, durante il lavoro, improvvisamente Daniele scorge un bimbo di tre anni, del quale non riesce a sostenere lo sguardo: “a parte gli occhi il suo viso non esiste. Al posto del naso, la bocca, ci sono buchi di carne rossa. Schiaccio gli occhi sul marmo del pavimento, gli sfilo a fianco senza più guardarli […] Basta. Con quest’ospedale, con tutti i bambini malati, sciancati, informi, morti. Basta”4.
Subito dopo però, mentre sta per fuggire, la sua attenzione è attirata da una suora che scherza con lo stesso bambino, lo fa ridere, lo accarezza, lo bacia.
“Non serve capire, comprendere. Serve accogliere l’umano con tutta la forza che ci è concessa. Arrivare alla bellezza che non conosce disfacimento, nucleo primo e inviolabile. Fronteggiare l’orrore per sfondarlo. Ecco il primato d’amore che ho visto negli occhi di quella suora. Una vetta, un’altezza destinata a pochi. Solo a chi non arretra mai di fronte alla realtà, senza mai chiudere gli occhi, con un coraggio sterminato nel sangue, più forte di qualsiasi paura, egoismo”5.
Da questo momento Daniele smette con l’alcol, ritrova l’ispirazione e scrive, su richiesta del presidente dell’ospedale, una raccolta di 28 poesie intitolata Bambino Gesù, Ospedale Pediatrico (Tipografie Vaticane, Roma 2001), testo oggi introvabile, ma inserito nell’antologia Tempo circolare.
Nel secondo romanzo Mencarelli prosegue nello scavo esistenziale, alla ricerca dell’origine del suo e nostro male.
Ricoverato il 14 giugno 1994 a vent’anni per un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) a causa di uno scoppio d’ira incontrollata che stava per causare la morte del padre, lo scrittore racconta i sette giorni vissuti in un reparto psichiatrico, scanditi in sette capitoli, quasi come atti di un dramma teatrale, dove tutto accade, compresso nello spazio e nel tempo, per esplodere in un finale che prima sfiora la tragedia, ma poi si apre alla speranza.
Qual è dunque l’origine del disagio di Daniele?
“Una parola per dire quello che voglio veramente, questa cosa che mi porto dalla nascita, prima della nascita, che mi segue come un’ombra, stesa sempre al mio fianco.
Salvezza.
Questa parola non la dico a nessuno oltre me. Ma la parola eccola, e con lei il suo significato più grande della morte. Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza, ma come? A chi dirlo?”6.
Il protagonista non ha avuto un’educazione religiosa, la scoperta di Dio non è stato un “dato ambientale”, come gli dice lo psichiatra indifferente, bensì l’intuizione poetica che c’è una sorgente, una fonte luminosa della bellezza a cui l’artista ha saputo attingere, nonostante l’abiezione vissuta fino al consumarsi di ogni energia vitale, e tale consapevolezza Daniele l’acquisisce proprio grazie ai malati mentali che incontra nel reparto in cui viene curato.
In particolare, è un maestro elementare, Mario, a indicargli nuovi poeti da leggere, a infondergli fiducia e rispetto per sé stesso, per il suo essere persona prima che malato, a dare un’anima alla sua ricerca poetica: “Io credo che gli artisti, come certi matti, abbiano dentro di sé il seme di un ricordo lontanissimo, qualcosa avvenuto prima di tutte le storie.
È la bellezza la scintilla di tutto. […] Alcuni uomini, non so se benedetti o maledetti, scorgono nella bellezza il suo valore originario. Parlo del paradiso. Perché questo era il paradiso. Ma noi abbiamo peccato, e così è arrivata la morte, il tempo. Non lo sanno questi uomini, ma la nostalgia che sentono di fronte alla bellezza è nostalgia di quel prima, del paradiso. Di Dio”7.
Ecco, leggere Mencarelli significa osservare direttamente in interiore homine gli effetti della desertificazione compiuta dalle ideologie del Novecento, compensata illusoriamente dal dilagare di varie forme di dipendenza e trasgressione.
Allo stesso tempo, in questo viaggio intimo e universale, scopriamo che l’anima in frantumi può essere ricomposta, che la lacerazione dell’identità personale non sfocia inevitabilmente in una scrittura nichilista o vittimistica, nella quale sfogare i propri sensi di colpa e solleticare facilmente quelli del lettore, come ci ha abituato tanta letteratura contemporanea, bensì che la Via Pulchritudinis può davvero essere un’esperienza di verità e che la bellezza di Dio nell’uomo sta nello sguardo che riconosce, con rigore estetico e carità, il nostro troppo spesso inconfessato bisogno di salvezza.
Daniele Mencarelli oggi è sposato, ha due figli – ai quali ha dedicato un libro di poesie (Figlio, Nottetempo, Milano 2013) – e gira l’Italia per dialogare con il suo pubblico di lettori, spesso giovani.
Nel 2013 ha composto una Via Crucis in forma poetica, rappresentata da Radio vaticana il Venerdì Santo. Il testo è appena stato ripubblicato in una nuova edizione e può essere un buon viatico per l’incipiente Quaresima.
IX stazione
Gesù cade per la terza volta
[…]
Croce compagna del mio viaggio
aiutami a drizzare questo corpo,
ma prima per l’ultima volta
la mia terra fammi baciare,
qui da mia madre e più alto padre
appresi ogni strumento d’amore.
Ora sì possiamo andare 8.
1 Daniele Mencarelli, La casa degli sguardi, Mondadori, Milano 2018, pp. 26-27.
2 Ibid.,p. 35.
3 D. Mencarelli, Tempo circolare (poesie 2019-1997), peQuod, Ancona 2019, p. 179.
4 D. Mencarelli, La casa degli sguardi, cit., pp. 183-184.
5 Ibid., p. 188.
6 D. Mencarelli, Tutto chiede salvezza, Mondadori, Milano 2020, p. 22.
7 Ibid., p. 142-143.
8 D. Mencarelli, La croce e la via, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2021, p. 97.
Sabato, 13 febbraio 2021