Di Marina Terragni da Il Foglio del 29/06/2024
Roma. In commissione Affari sociali della Camera si parla di bloccanti della pubertà per i minori con disforia di genere facendo costante riferimento al parere delle “12 società scientifiche”. L’on. 5 Stelle Gilda Sportiello, per esempio, ne fa la sua stella polare. A ogni esperto che esprima posizioni critiche oppone con fermezza le “12 società”. Le 12 società – fra cui la Società italiana di endocrinologia (Sie) e la Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (Sinpia) – sono quelle che, all’indomani dell’apertura di un’indagine sul servizio per minori con disforia dell’ospedale Careggi di Firenze – indagine che, per la cronaca, si è chiusa con la constatazione di “elementi di criticità molto significativi” – hanno emesso una dura nota in difesa della triptorelina, definita “bloccante transitorio e reversibile della pubertà” e “farmaco salvavita” in grado di ridurre del 70 per cento i tentativi di suicidio.
Era il 31 gennaio. Nel frattempo è successo il finimondo: la pubblicazione (a marzo) della chat interna Wpath, massima associazione mondiale per la salute transgender, chat in cui si ammette che l’idea di consenso da parte di un minore non ha senso, che molti tra i bambini trattati soffrono di gravi comorbidità psichiatriche, che il trattamento con bloccanti è mera sperimentazione.
La mazzata definitiva un mese dopo dalla Cass Review, monumentale inchiesta indipendente britannica, 400 pagine per dire che la terapia affermativa per bambine e bambini non conformi al genere è stata un clamoroso fallimento del sistema, vera e propria sperimentazione in vivo; che mancano prove che i blocker aumentino il benessere e riducano il rischio suicidio; che gli effetti del farmaco sono in gran parte irreversibili, da allora infatti il servizio sanitario inglese non li somministra più. E le nostre 12 società? A oggi neanche un plissé. Ferme sulle proprie posizioni. Perfino alla Camera – il che è grave, trattandosi della salute di bambine e bambini – il loro parere non smette di essere proposto come inappellabile e definitivo.
I genitori resistenti associati in GenerAzioneD hanno più volte interpellato le 12 società. Con l’aiuto di esperti hanno ricalcolato scientificamente e sottoposto a peer-review la diminuzione del rischio-suicidio grazie alla triptorelina, arrivando alla conclusione che quella riduzione del 70 per cento non sta in piedi.
Ma dalle 12 società nessun segnale. GenerAzioneD ci riprova con almeno una delle società, la Sinpia, proponendo il recente parere della Società europea di psichiatria del bambino e dell’adolescente (Escap) a cui Sinpia è affiliata. Escap invita all’estrema prudenza nell’approccio. Quantifica l’aumento del numero dei minori inviati ai servizi specializzati – “un incremento da 6 a 19 volte tra il 2011 e il 2017”, numeri levitati esponenzialmente negli anni successivi – e sottolinea la diversità della nuova coorte di adolescenti disforici (per il 75 per cento femmine) rispetto alla platea su cui è stato formulato il protocollo affermativo olandese (quasi solo maschi).
Ribadisce che la disforia di genere si manifesta spesso in concomitanza a gravi comorbidità psicologiche: “Le condizioni più comuni riportate prima dell’insorgenza dei sintomi della disforia di genere comprendevano disturbi del neurosviluppo (in particolare l’autismo), gravi forme di depressione e ansia, suicidalità, nonché l’esperienza di traumi (compresi gli abusi sessuali)”.
Riporta un dato ormai consolidato a livello mondiale, ovvero che i bambini trattati con i blocker passano quasi sempre agli ormoni cross-sex proseguendo nel percorso di transizione, mentre in più dei due terzi dei casi di bambine – i non trattati l’incongruenza si risolve spontaneamente. Manifesta preoccupazione per la natura potenzialmente irreversibile del trattamento, che non può quindi essere ritenuto una “pausa”: “I risultati hanno messo in dubbio la presunta natura limitata nel tempo degli interventi di supporto alla pubertà e hanno sollevato preoccupazioni sulla possibile natura irreversibile del processo decisionale nella prescrizione dei bloccanti della pubertà”. Il documento sottolinea anche i rischi per la salute “in particolare quando i trattamenti vengono iniziati nei minori”.
Tra i princìpi irrinunciabili elencati da Escap, la necessità di una valutazione diagnostica completa della disforia evitando di affidarsi alla sola autovalutazione di bambini e adolescenti (vale la pena di rimenzionare la dichiarazione pro autodiagnosi di Jiska Ristori, Careggi: “Noi non dobbiamo fare diagnosi. Questa è una parola che non vogliamo più usare, appunto perché è la persona che sa qual è la propria identità di genere”).
Ripercorrendo la letteratura scientifica e le revisioni indipendenti nel Regno Unito, in Svezia, in Finlandia e più recentemente in Germania, Escap afferma che le prove a supporto dei trattamenti di affermazione di genere sono molto limitate e che mancano studi significativi sulle conseguenze a lungo termine. Si tratta quindi, come già in molti paesi, di far tesoro degli errori del passato in base al principio “primum-nil-nocere”, riservando l’uso di triptorelina solo a protocolli sperimentali, prestando attenzione al fenomeno dei detransitioner, istituendo follow-up a lungo termine. E così via.
In tutto l’occidente suona da un bel po’ la stessa musica. Qualche giorno fa la Società svizzera di psichiatria e psicoterapia infantile e dell’adolescenza (Sgkjpp), affiliata a Escap, ha sottoscritto integralmente le nuove raccomandazioni. Ma la consorella italiana Sinpia sembra ferma sui punti espressi dalle 12 società, sulla “natura assolutamente transitoria e largamente reversibile del trattamento”, sulle linee guida Wpath, sulla supposta riduzione del 70 per cento dei tentativi di suicidio: perché?
“Come associazione di genitori con figli disforici riteniamo importante che Sinpia assuma una chiara presa di posizione”, scrivono le famiglie di GenerAzioneD.
C’è di mezzo la vita delle loro ragazze e dei loro ragazzi, in effetti. Si può dar loro torto?