Di Marco Respinti da Libero del 23/12/2023
Portava la talare, divisa del buon prete: distintiva, riconoscibile, segno. In realtà era ancora
seminarista, ma un tempo la si consentiva anche ai giovani solo in odore di ordinazione. Rolando, secondo dei tre figli di casa Rivi, era della frazione San Valentino di Castellarano, borgo del reggiano sulla sponda sinistra del Secchia. L’occupazione tedesca lo aveva sloggiato dal seminario di Marola. Fu allora che la sua “uniforme” divenne un bersaglio. La guerra era agli sgoccioli e i fascisti avevano perso. Gli Alleati avevano risalito la Penisola ricacciando i nazisti e le formazioni partigiane si davano da fare per poi accreditarsi come gli unici protagonisti di Resistenza e Liberazione. Spesso affondando le mani nel sangue innocente. LE SEVIZIE Il 10 aprile 1945 era iniziata da un giorno la battaglia di Bologna, con i soldati polacchi non comunisti del generale Władysław Anders che per 12 giorni si coprirono di gloria ottenendo poi soltanto l’ingratitudine dei governi italiano e britannico, e una riabilitazione tardiva in patria dopo il crollo del Muro di Berlino. Forse Rolando nemmeno sapeva di quello scatenarsi di tempeste d’acciaio a circa una settantina di chilometri a est di casa sua. Né ebbe il tempo di impararlo. Fu preso e non rientrò. Alla famiglia rimase un biglietto: «Non cercatelo, è venuto un momento con noi partigiani». Sembra il postiglione del Pinocchio cinematografico della Walt Disney del 1940, il cui volto carezzoso trasalisce in grugno diabolico spiegando del Paese dei balocchi al Gatto e alla Volpe in una fumosa locanda del porto avvolta dalla nebbia. Furono tre giorni di sevizie, umiliazioni e torture, chiusi da una pistolettata diritta al cuore e una seconda alla tempia sinistra in un bosco attorno a Monchio, circa 30 chilometri a sud. Gli assassini stessi indirizzarono al corpicino i due padri di Rolando, papà Roberto e don Alberto, il parroco. Era il giorno 14 del mese, 14 come gli annidi Rolando. Sì, la storia del ragazzino ammazzato come nemmeno una bestia per rancore malriposto, violenza gratuita, odio verso la fede, persino accanimento contro un’intera civiltà si è fatta strada nei decenni. Il giornalista Andrea Zambrano vi ha dedicato nel 2014 il libro Rolando Maria Rivi. Il martire bambino, appena riedito dalla milanese Ares con prefazione del presidente della Camera, Lorenzo Fontana. Ma l’omaggio più bello è quello che gli tributa adesso ReNoir Comics, la casa editrice che nel cuore di Milano ha prodotto, dal 2006, ben 300 volumi e persino una perlina curiosa come la collana «Don Camillo a fumetti», da Giovanni Guareschi. Il volume cartonato di 96 pagine, Rolando. Storia di un martirio, rievoca quel delitto efferato attraverso le immagini in bianco e nero di Alessandro Mainardi e Giampiero Casertano, con prefazione di Massimo Camisasca, vescovo emerito di Reggio Emilia-Guastalla, e postfazione di Zambrano. GIOVANI Per diversi motivi è davvero questa la resa più bella di quella storia. Perché il tratto di Casertano, nero come la talare di Rolando a staccare netto sul bianco della sua innocenza, mette al riparo da parole che rischiano di essere troppe. Perché la sceneggiatura dritta e diretta di Mainardi non toglie e non aggiunge, non ce n’è bisogno, non occorre strafare. Perché la graphic novel priva di colore scarnifica opportunamente una vicenda decolorata e scolorita come i campi verdi che il fumo della mitraglia ingrigisce sui campi insanguinati delle assurde guerre umane. Perché la realtà supera sempre l’immaginazione, e il fumetto è il suo mezzo espressivo perfetto a cavallo fra due mondi, ma pure l’immaginazione, ben condotta dalle briglie del senso, sa qui penetrare la realtà, trasportando il lettore accanto al piccolo Rolando a consolarlo con la nostra vicinanza di amici e non solo di spettatori. Infine perché un fumetto lo si dà ai più giovani, senza censure pusillanimi e senza lasciarli soli, educando all’orrore e a come domarne i morsi con quel coraggio che, se la paura non fosse cosa seria, sarebbe inutile.