Da Il Foglio del 16/04/2020. Foto da articolo
Per sei giorni, dal 14 al 20 gennaio, le autorità cinesi, pur riconoscendo di essere di fronte a una minaccia importante come quella di una “epidemia simile alla Sars” a Wuhan, non hanno preso contromisure adeguate. E solo il 20 gennaio il presidente Xi Jin-ping ha allertato la popolazione della minaccia ed è stata ufficializzata la notizia della trasmissione del virus da uomo a uomo. E’ il risultato di un’indagine dell’Associated press pubblicata ieri e basata su alcuni documenti riservati e sull’analisi delle pubblicazioni cinesi. Il ritardo nella risposta adeguata all’epidemia, scrive l’Ap, è un errore che hanno fatto molti paesi dopo che il nuovo coronavirus ha varcato i confini cinesi, però l’indagine inizia a far luce su una fase cruciale della pandemia, e cioè il luogo della sua origine, e sulle possibili responsabilità politiche. Durante quei sei giorni probabilmente il governo centrale di Pechino e le autorità locali percepiscono il pericolo sociale di un allarme alla popolazione – le epidemie nei paesi asiatici sono un trauma doloroso, e specialmente in Cina tutte le emergenze che riguardano la salute pubblica. Ma alla luce dei fatti quel ritardo può essere considerato una delle cause – forse la più importante – della pandemia. Il 31 dicembre l’Oms viene avvertita dalla Cina di un possibile focolaio di un virus che somiglia a quello della Sars a Wuhan. I primi pazienti con polmoniti anomale risalgono a metà dicembre (come testimoniato dalle pubblicazioni di vari media cinesi) e il 7 gennaio viene coinvolto direttamente nella risposta anche il presidente Xi Jinping. Eppure fino al 17 gennaio, secondo i bollettini visionati da Ap, centinaia di pazienti che arrivano negli ospedali di Wuhan con sindromi respiratorie non vengono segnalati al database del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Pechino.
Giulia Pompili