L’Incarnazione e l’Eucaristia ci ricordano aspetti ineludibili della vita, particolarmente invisi alla mentalità contemporanea
di Michele Brambilla
«Il Vangelo della Liturgia odierna (Gv 6,60-69)», evidenzia Papa Francesco all’Angelus del 22 agosto, «ci mostra la reazione della folla e dei discepoli al discorso di Gesù dopo il miracolo dei pani. Gesù ha invitato a interpretare quel segno e a credere in Lui, che è il vero pane disceso dal cielo, il pane della vita; e ha rivelato che il pane che Lui darà è la sua carne e il suo sangue. Queste parole suonano dure e incomprensibili alle orecchie della gente, tanto che, da quel momento – dice il Vangelo –, molti suoi discepoli tornano indietro», si allontanano dal rabbi di Nazareth. Gesù chiede agli Apostoli se sono anche loro intenzionati ad abbandonarlo, ma san Pietro risponde, a nome dei Dodici: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo conosciuto e creduto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69).
«Soffermiamoci brevemente sull’atteggiamento di chi si ritira e decide di non seguire più Gesù. Da cosa nasce», si chiede il Santo Padre, «questa incredulità? Qual è il motivo di questo rifiuto?». La risposta è il mistero stesso dell’Incarnazione, il fatto che Dio si renda così vicino da essere tastabile, debole come un bambino e, successivamente, un condannato a morte. Per entrare in comunione con Lui bisogna andare allo stesso passo, «perché la salvezza è venuta da Lui, nella sua incarnazione. Questo significa che non bisogna inseguire Dio in sogni e immagini di grandezza e di potenza, ma bisogna riconoscerlo nell’umanità di Gesù e, di conseguenza, in quella dei fratelli e delle sorelle che incontriamo sulla strada della vita. Dio si è fatto carne. E quando noi diciamo questo, nel Credo, il giorno del Natale, il giorno dell’Annunciazione, ci inginocchiamo per adorare questo mistero dell’incarnazione. Dio si è fatto carne e sangue: si è abbassato fino a diventare uomo come noi, si è umiliato fino a caricarsi delle nostre sofferenze e del nostro peccato, e ci chiede di cercarlo, perciò, non fuori dalla vita e dalla storia, ma nella relazione con Cristo e con i fratelli».
Un Dio che si fa carne e sangue scandalizza pure ai giorni nostri: «anche oggi la rivelazione di Dio nell’umanità di Gesù può suscitare scandalo e non è facile da accettare. È quello che san Paolo chiama la “stoltezza” del Vangelo di fronte a chi cerca i miracoli o la sapienza mondana (cfr 1 Cor 1,18-25). E questa “scandalosità” è ben rappresentata dal sacramento dell’Eucaristia: che senso può avere, agli occhi del mondo, inginocchiarsi davanti a un pezzo di pane? Perché mai nutrirsi assiduamente di questo pane? Il mondo si scandalizza» perché vede un Dio troppo umile, ma soprattutto troppo vicino per essere ignorato quando insegna cose scomode, ad esempio quando ci ricorda che la vita non è una festa perpetua: «di fronte al gesto prodigioso di Gesù che con cinque pani e due pesci sfama migliaia di persone, tutti lo acclamano e vogliono portarlo in trionfo, farlo re. Ma quando Lui stesso spiega che quel gesto è segno del suo sacrificio, cioè del dono della sua vita, della sua carne e del suo sangue, e che chi vuole seguirlo deve assimilare Lui, la sua umanità donata per Dio e per gli altri, allora non piace, questo Gesù ci mette in crisi». L’idea che il dolore sia inevitabile e che esista la dimensione del sacrificio è, infatti, quanto di più ripugnante possa esistere per la mentalità contemporanea.
Per il Papa questo “disagio” non è un problema, «anzi, preoccupiamoci se» Gesù «non ci mette in crisi, perché forse abbiamo annacquato il suo messaggio» salvifico, «e chiediamo la grazia di lasciarci provocare e convertire dalle sue “parole di vita eterna”».
Lunedì, 23 agosto 2021