In Venezuela sembra siano in corso prove tecniche di “guerra civile”, per favorire l’aumento della repressione da parte del governo Maduro, il successore di Ugo Chávez (1954-2013). L’unica cosa positiva di questa escalation è che, finalmente, i media hanno cominciato a parlarne, ricordando che il Paese vive in una estrema povertà che colpisce soprattutto bambini e famiglie povere e numerose.
Il Venezuela è stato il Paese-guida, in America Latina, del tentativo di imporre nel continente il “socialismo del XXI secolo”, che ha avuto in Chávez l’esponente di punta, colui che ha collegato il suo potere con quello di Fidel Castro (1926-2016) a Cuba, tracciando così un fil rouge che ha attraversato la storia dell’America Latina, unendo l’isola icona del comunismo internazionale con un socialismo populista e nazionalista, che piace a sinistra come a una certa “destra”, anche se oggi comincia a mostrare la sua demagogia profonda e quindi il suo fallimento.
Al potere dal 1999 fino alla morte, tranne la breve parentesi del colpo di Stato fallito nel 2002, Chávez ha goduto del periodo felice dell’economia latinoamericana protrattosi nel XXI secolo fino al 2014, grazie alla massiccia esportazione di materie prime (in Venezuela il petrolio) e all’enorme domanda proveniente dalla Cina. Ma, in coincidenza con la sua morte e con la sostituzione alla guida del Paese con Nicolàs Maduro, finisce questo periodo favorevole e inizia il tempo della recessione. Esplodono così quelle nazioni che avevano già portato la spesa pubblica a livelli insostenibili, come il Venezuela e l’Argentina, e tutto il popolo, ancora drammaticamente segnato da enormi disuguaglianze sociali, paga un prezzo altissimo, che oggi arriva a livelli per noi incomprensibili (cfr. Loris Zanatta, Storia dell’America latina contemporanea, Laterza, 2017, pp. 252 ss).
Chi vive all’interno del Paese ricorda che il livello di rottura fra il governo e la popolazione è arrivato a un punto di non ritorno. Ecco perché parlo di prove tecniche di guerra civile, perché questa potrebbe essere l’unica soluzione da parte del governo per non cedere il potere, che perderebbe senz’altro se permettesse al popolo di andare a votare, come tutta l’opposizione politica chiede e come ha richiesto pochi giorni fa anche il Segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, in una lettera a sei ex presidenti latinoamericani del 22 giugno scorso (terredamerica.com). Al governo infatti rimane (per ora) soltanto la fedeltà dell’esercito. Fino a quando? Questa è la domanda che molti venezuelani si pongono, convinti che la popolazione non possa resistere ancora per troppe settimane, stremata dalla fame e dalla mancanza di medicinali. Il consenso che il governo di Chávez aveva ottenuto negli anni del potere, anche sfruttando le mancanze dei precedenti governi, quando era riuscito a portare cibo e medici (cubani) presso gli strati popolari più poveri, nei barrios di Caracas e delle principali città, sembra essere completamente esaurito. Ecco perché il governo non permette le elezioni e cerca di esautorare il Parlamento con una proposta di riforma costituzionale che assomiglia a un colpo di Stato.
Della situazione drammatica del Venezuela e del suo popolo sofferente parlerà venerdì prossimo a Rimini l’arcivescovo di Mérida, il cardinale Baltasar Porras Cardoso, che sarà presentato da don Aldo Fonti, sacerdote fidei donum in Venezuela per 30 anni. Un’opportunità per conoscere, pregare e aiutare un popolo che sta ancora sperimentando, in pieno terzo millennio, le conseguenze funeste del socialismo di Stato.