Di Julija Zajceva da La Nuova Europa del 04/01/2021
L’autore del volume sulla storia della Chiesa russa nel XX secolo (Una Chiesa perseguitata. Una Chiesa in cattività) uscito qualche settimana fa a San Pietroburgo – padre Georgij Mitrofanov, uno degli storici più noti oggi in Russia – l’ha definito un «libro sofferto», addirittura un «bilancio di vita», la sintesi del lavoro di ricerca e dell’attività di insegnamento che nel tempo l’ha portato a trasformare radicalmente la sua visione personale della storia. Un’attività di ricerca e di insegnamento che continua da oltre 30 anni, e che, inizialmente, ha potuto avvalersi di pochissime fonti – la tesi dottorale scritta dal suo docente, Innokentij Pavlov, sotto la guida dell’attuale patriarca, allora arcivescovo di Vyborg; alcuni testi di autori ecclesiastici del dissenso e pubblicati dal tamizdat1; e infine alcuni materiali provenienti dalla Chiesa ortodossa all’estero. In epoca sovietica non esisteva, infatti, nessuna possibilità di accedere agli archivi.
Con il passar del tempo, nominato membro della Commissione sinodale per le canonizzazioni dei santi e ottenuta la possibilità di lavorare negli archivi, padre Georgij ha avuto modo di vedere da vicino la tragedia delle persecuzioni contro la Chiesa, ma anche il dramma della divisione sviluppatasi in seno alla Chiesa stessa, in seguito allo scontro fra la posizione di acquiescenza al regime totalitario scelta dal metropolita Sergij Stragorodskij e quelle dei suoi oppositori, i metropoliti Kirill Smirnov, Agafangel Preobraženskij e Petr Poljanskij, designati via via come propri vicari dal patriarca Tichon, che pagarono a prezzo della libertà e della vita la propria fedeltà all’ordinamento canonico della Chiesa.
«Man mano che attraverso i materiali d’archivio prendevo visione delle motivazioni sostenute da questi martiri e confessori della fede – ha detto padre Georgij, presentando pubblicamente qualche settimana fa il volume in una parrocchia di Pietroburgo – scoprivo la grande ingiustizia consumatasi nella nostra Chiesa nel 1927. Proprio quell’anno ha segnato una svolta nella storia dell’ortodossia russa». Nel 1927, infatti, il metropolita Sergij Stragorodskij firmò una Dichiarazione di lealtà nei confronti del regime sovietico che – sottolinea Mitrofanov – implicava anche optare per un governo ecclesiastico individuale e rinunciare definitivamente ai principi proclamati dal Concilio locale del 1917-1918. Un altro documento fondamentale di quel tempo, la Lettera stilata collegialmente dai vescovi reclusi nel lager delle Solovki nel 1926, mostra con evidenza – prosegue Mitrofanov – che
il metropolita Sergij permise la «capitolazione» della Chiesa davanti al regime bolscevico, «commise non un errore, ma un crimine», decidendo che la Chiesa andava «fatta sopravvivere a ogni costo». Infatti, dopo il 1927 «la sua non fu più una vita, ma una sopravvivenza».
Il 1927 è anche lo spartiacque del volume, che raccoglie il frutto dei corsi di lezioni tenuti dall’autore all’Accademia Teologica di Pietroburgo: la prima parte si intitola «Una Chiesa perseguitata» e tratta il periodo 1917-1927. Alcuni sono rimasti sconcertati davanti alla scansione cronologica scelta da Mitrofanov, dal momento che le persecuzioni si susseguirono durante tutto il corso della storia sovietica e raggiunsero il culmine alla fine degli anni ’30, epoca del «grande terrore».
Nella presentazione, tuttavia, padre Georgij ha tenuto a specificare che, metodologicamente, è importante chiarire che fino al 1927 «si trattò di persecuzioni che avevano un destinatario concreto», dal momento che «la Chiesa, pur cercando di trovare un compromesso con il potere, tentava anche di restare se stessa». Non a caso, proprio in questo periodo si assiste all’«inizio di una rinascita ecclesiale nello spirito del Concilio locale del 1917-1918. Proprio in questi anni, per la prima volta nella storia della Chiesa ortodossa russa il principio della conciliarità fu realmente posto alla base dello sviluppo di tutti gli aspetti della vita ecclesiale, e si vedono emergere in primo piano figure di esponenti della gerarchia disposte a operare sulla base di tale principio.
In questi anni l’esperienza del Concilio lasciò la sua impronta su parte dell’episcopato, e si osserva in alcuni la tendenza a rinunciare alla secolare tradizione di servilismo nei confronti dello Stato che aveva paralizzato la vita della Chiesa fin dall’epoca di Bisanzio».
L’autore ha intitolato la seconda parte del volume «Una Chiesa in cattività» (1927-1958), sottolineando che il metropolita Sergij «propose un metodo per salvaguardare la vita ecclesiale in epoca di persecuzioni che significava una cosa sola: la rinuncia alla possibilità di restare Chiesa, pur di sopravvivere a ogni costo; e per questo venne respinto da una parte considerevole della gerarchia ecclesiastica». In tal modo – conclude Mitrofanov – dal 1927 la Chiesa si trovò in una condizione di «cattività in cui era stata ridotta con la partecipazione di parte dell’episcopato capeggiato dal metropolita Sergij».
«Il tentativo di salvaguardare, in mezzo a repressioni antireligiose mai viste nella storia russa, la struttura amministrativa ecclesiastica anche a costo di estromettere dalla vita ecclesiale tutti gli esponenti del clero che dissentivano dalla politica del metropolita Sergij, e la disponibilità ad accettare qualsiasi compromesso con i rappresentanti del potere ateo – si legge nell’introduzione a questa seconda parte del volume – costituiscono in realtà la vittoria di un movimento scismatico non dichiarato, proprio all’interno dei vertici del governo ecclesiastico».
Leggendo queste pagine si constata dolorosamente come le persecuzioni antireligiose che negli anni ’30 portarono di fatto all’annientamento dei «non commemoranti», e cioè di coloro che rifiutavano di riconoscere in Sergij la legittima autorità ecclesiale, non fossero solo opera degli organi repressivi statali, ma ricevessero consenso e incitamento anche dalle delibere dell’autorità ecclesiastica ufficiale.
La battaglia che da tempo padre Georgij Mitrofanov sta combattendo, sia come docente che come autore, è dettata dalla consapevolezza che queste lezioni della storia continuano a restare lettera morta, e il metropolita Sergij «continua a essere considerato l’uomo che ha salvato la Chiesa».
Basta fare un bilancio della vita ecclesiale negli ultimi decenni, dice Mitrofanov, per vedere che «la mancata reale rinascita della nostra Chiesa è determinata dal fatto che in essa continuano a dominare i principi stabiliti dal metropolita Sergij. Questi principi identificano l’obiettivo principale della gerarchia ecclesiastica nel saper instaurare con il potere relazioni in grado di far sì che lo Stato sostenga l’organizzazione ecclesiastica. Per raggiungere tale obiettivo la Chiesa è disposta a rendere molti servigi e a scendere a molti compromessi. In parole povere, si tratta di un’alleanza fra Chiesa e Stato a qualunque condizione proposta dallo Stato. Certo, è necessario stabilire delle relazioni con il potere, ma in nessun caso lo si può fare a scapito della vita interna della Chiesa. Nel nostro paese, quello che il metropolita Sergij ha fatto per costrizione, per i suoi continuatori è diventato norma nell’amministrare e costruire la Chiesa».
Di conseguenza, la scelta del 1927, secondo Mitrofanov, «non è una questione puramente storica, ma un problema attuale, vivo». E a questo proposito ha citato l’attuale situazione in Bielorussia, dove rappresentanti del clero cattolico e ortodosso sono colpiti dalle repressioni del regime Lukašenko, portando come esempi il mondo cattolico e la diocesi ortodossa di Grodno: «I sacerdoti di questa diocesi si sono sentiti sostenuti dal loro ordinario, l’arcivescovo Artemij, ex alunno della nostra Accademia Teologica. Così pure i sacerdoti cattolici si sono sentiti più sicuri, conoscendo la posizione del loro primate – a cui purtroppo è stato impedito di rientrare nel paese, – sentendo che la loro fermezza nel reagire all’ingiustizia era benedetta e appoggiata dall’autorità ecclesiastica. Nel nostro paese invece, in molti casi i sacerdoti devono assumersi tutto il peso e il rischio di vivere senza menzogna, senza nessuna certezza di come potranno reagire al loro comportamento i loro stessi superiori…».
Sebbene il volume abbia avuto recensioni positive di due autorevoli storici, uno laico e uno ecclesiastico, e l’approvazione ufficiale del rettore dell’Accademia Teologica, non ha ricevuto l’imprimatur del Consiglio editoriale del Patriarcato, che apre le porte alla distribuzione nei circuiti propriamente ecclesiali, proprio per il suo «inammissibile atteggiamento di critica nei confronti della posizione dei vertici della gerarchia ecclesiastica».
Dal canto suo, padre Georgij ha espresso la speranza che, «proprio per la sua franchezza il libro ci induca a pensare e a capire ciò che la Chiesa sta vivendo ora».
«Il mio è il tentativo di un sacerdote che insegna storia di restare un insegnante onesto. È il tentativo di un cristiano di restare cristiano, né più né meno. La cosa fondamentale è che, se siamo cristiani, la Chiesa per noi non può essere un relitto storico, ma un organismo vivo, che ci obbliga ad agire secondo coscienza e senza mentire…».
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