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Una folla invisibile

26 Ottobre 2024 - Autore: Stefano Chiappalone

Maestà di Simone Martini, Siena palazzo pubblico 1315-1321

Siamo circondati: non da presenze minacciose bensì dall’intera corte celeste. Che in alcuni dipinti si può quasi udire…

di Stefano Chiappalone

Dove c’è un re o una regina c’è un trono. E dove c’è un trono, va da sé, c’è una corte. Vale per i regni terreni e a maggior ragione per il regno di Dio. Del resto è ben difficile trovare figure isolate nell’arte medievale che nelle cose di lassù scorge un’intera societas. Ma troviamo un vero e proprio sacro assembramento – solenne e ordinatissimo – attorno ad alcune Maestà dipinte fra Duecento e Trecento. La Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna è circondata “soltanto” da sei angeli, ma occhio agli innumerevoli profeti e santi che fanno capolino dai tondi che corrono tutt’intorno alla cornice. Lo stesso autore però dipinge un’intera corte nel pannello centrale della Maestà del Duomo di Siena (ora al Museo dell’Opera Metropolitana). Attorno al trono con la Vergine e il Bambino, si dispongono i quattro santi patroni della città: Ansano, Savino (in abiti vescovili), Crescenzio e Vittore. Dietro di loro sui due lati i santi Pietro e Paolo accompagnati dai due Giovanni, il Battista e l’Evangelista. Accanto a Pietro, sulla destra il corteo si chiude con Agnese. Accanto a Paolo, sulla sinistra, c’è Caterina d’Alessandria. E tutt’intorno a loro c’è una schiera di angeli che paiono quasi arrampicarsi sul trono.

Sempre a Siena, la Maestà più celebre è forse quella di Simone Martini, nel Palazzo Pubblico: la disposizione dei personaggi è simile a quella di Duccio ma qui i personaggi sono più numerosi e sono Pietro e Paolo a “indietreggiare” chiudendo rispettivamente la destra e la sinistra del corteo che si dispiega al di sotto di un baldacchino. Al trono architettonico e “massiccio” di Duccio subentra nel dipinto di Simone un tabernacolo finemente cesellato, quasi un’opera di oreficeria. E nell’uno e nell’altro il senso è chiaro e ci riconduce all’Apocalisse: «Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve l’arca dell’alleanza» (Ap 11,19), come peraltro viene invocata nelle litanie Colei che siede in trono e l’alleanza che ha in grembo è il Figlio di Dio fatto carne, fatto bambino, agnello sacrificale per la redenzione degli uomini. I santi che li circondano da un lato e dall’altro sono solo una minima rappresentanza di quella «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello…» (Ap 7,9).

A questo punto lo spettatore deve compiere un ulteriore salto, dopo quello dall’arte all’Apocalisse, e attivare il sesto senso per poter percepire il passaggio dalle cose visibili a quelle invisibili: quella “sacra folla” è tutt’intorno a sé. Egli stesso non sta semplicemente davanti a una splendida opera d’arte, ma davanti al trono e all’Agnello, circondato da migliaia di aureole, da un’intera societas di volti benevoli che lo chiama a far parte di quella corte. Si sofferma ora sull’uno ora sull’altro, invocandoli ma soprattutto ascoltando il leggiadro fruscio delle ali angeliche e le lodi tributate all’Agnello dai celesti cortigiani, il «canto nuovo» e le «miriadi di miriadi e migliaia di migliaia» che «dicevano a gran voce: “L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione”» (Ap 5,9-12).

Canti e voci di cui quaggiù possiamo udire un’eco attutita dalla condizione terrena, ma che si può intuire di fronte a tutti quei volti dipinti fino ad accorgerci che… siamo circondati! Non da presenze minacciose ma dall’intera corte celeste, misteriosamente e perennemente immersi in quel sacro brusio, come nell’aforisma di Nicolás Gómez Dávila: «La fede popola la mia solitudine con il suo sordo mormorio di vita invisibile».

Sabato, 26 ottobre 2024

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