Ricorre quest’anno il 30esimo anniversario della Lettera Enciclica Centesimus Annus di S.S. Giovanni Paolo II, pubblicata nel 1991 per commemorare il centenario della celebre Enciclica Rerum Novarum di S.S. Leone XIII. Con l’implosione dell’Unione Sovietica a partire dall’abbattimento, il 9 novembre 1989, del Muro di Berlino — simbolo iconico del fallimento storico del «socialismo reale» —, il Santo Padre riflette su quale modello politico, sociale ed economico sia più in linea con una corretta antropologia. Un’economia libera, in una società aperta ai valori dello spirito con al centro la persona e la famiglia fondata sul matrimonio, all’interno di una cornice giuridica definita da uno Stato rispettoso del principio di sussidiarietà: questa è la sua risposta.
di Maurizio Milano
A cento anni dalla Rerum Novarum, Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005) intende commemorare «l’Enciclica leoniana ed insieme le Encicliche e gli altri scritti dei […] predecessori, che hanno contribuito a renderla presente e operante nel tempo, costituendo quella che sarebbe stata chiamata “dottrina sociale”, “insegnamento sociale”, o anche “Magistero sociale” della Chiesa», ricordando anche le sue due Encicliche sociali precedenti, «laLaborem exercens sul lavoro umano e la Sollicitudo rei socialis sugli attuali problemi dello sviluppo degli uomini e dei popoli» (n.2).«Così facendo, sarà confermato non solo il permanente valore di tale insegnamento, ma si manifesterà anche il vero senso della Tradizione della Chiesa, la quale, sempre viva e vitale, costruisce sopra il fondamento posto dai nostri padri nella fede e, segnatamente, sopra quel che gli Apostoli trasmisero alla Chiesa in nome di Gesù Cristo, il fondamento “che nessuno può sostituire”» (n.3). Papa Wojtyla ricorda un punto centrale dell’insegnamento di Leone XIII, e cioè «il legame costitutivo della libertà umana con la verità, tale che una libertà che rifiuti di vincolarsi alla verità scadrebbe in arbitrio e finirebbe col sottomettere se stessa alle passioni più vili e con l’autodistruggersi. Da cosa derivano, infatti, tutti i mali a cui la Rerum novarum vuole reagire se non da una libertà che, nel campo dell’attività economica e sociale, si distacca dalla verità dell’uomo?» (n.4). Da tale errore nasceva la divisione della società, col «conflitto tra il capitale e il lavoro, o — come lo chiamava l’Enciclica — la questione operaia», a cui Papa Pecci rispose con una «severa condanna della lotta di classe» riaffermando il diritto di proprietà privata, anche dei mezzi di produzione, proclamando nel contempo «le condizioni fondamentali della giustizia nella congiuntura economica e sociale di allora», a tutela della dignità del lavoro e del lavoratore(n.5).
Giovanni Paolo II afferma che «la “nuova evangelizzazione”, di cui il mondo moderno ha urgente necessità e su cui ho più volte insistito, deve annoverare tra le sue componenti essenziali l’annuncio della dottrina sociale della Chiesa, idonea tuttora, come ai tempi di Leone XIII, ad indicare la retta via per rispondere alle grandi sfide dell’età contemporanea, mentre cresce il discredito delle ideologie. Come allora, bisogna ripetere che non c’è vera soluzione della “questione sociale” fuori del Vangelo e che, d’altra parte, le “cose nuove” possono trovare in esso il loro spazio di verità e la dovuta impostazione morale» (n.5). La prospettiva che «fa da trama […in] tutta la dottrina sociale della Chiesa è la corretta concezione della persona umana e del suo valore unico, in quanto “l’uomo … in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa”» (n.11).
Il Santo Padre scrive che «gli avvenimenti degli ultimi mesi dell’anno 1989 e dei primi del 1990» dimostrano come papa Leone XIII fu buon profeta, poiché «previde le conseguenze negative sotto tutti gli aspetti, politico, sociale ed economico, di un ordinamento della società quale proponeva il “socialismo”, che allora era allo stadio di filosofia sociale e […] non si presentava ancora […] sotto la forma di uno Stato forte e potente con tutte le risorse a disposizione». Egli seppe capire che quello proposto dai socialisti era un «rimedio [che] si sarebbe così rivelato peggiore del male […]. Individuando la natura del socialismo del suo tempo nella soppressione della proprietà privata, Leone XIII arrivava al nodo della questione”» (n.12). A ciò Giovanni Paolo II aggiunge che «l’errore fondamentale del socialismo è di carattere antropologico. Esso, infatti, considera il singolo uomo come un semplice elemento ed una molecola dell’organismo sociale, di modo che il bene dell’individuo viene del tutto subordinato al funzionamento del meccanismo economico-sociale, mentre ritiene, d’altro canto, che quel medesimo bene possa essere realizzato prescindendo dalla sua autonoma scelta, dalla sua unica ed esclusiva assunzione di responsabilità davanti al bene o al male. L’uomo così è ridotto ad una serie di relazioni sociali, e scompare il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l’ordine sociale. Da questa errata concezione della persona discendono la distorsione del diritto che definisce la sfera di esercizio della libertà, nonché l’opposizione alla proprietà privata. L’uomo, infatti, privo di qualcosa che possa “dir suo” e della possibilità di guadagnarsi da vivere con la sua iniziativa, viene a dipendere dalla macchina sociale e da coloro che la controllano: il che gli rende molto più difficile riconoscere la sua dignità di persona ed inceppa il cammino per la costituzione di un’autentica comunità umana […] La socialità dell’uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno — sempre dentro il bene comune — la loro propria autonomia. È quello che ho chiamato la “soggettività” della società che, insieme alla soggettività dell’individuo, è stata annullata dal “socialismo reale”» (n.13). Una visione distorta la cui «prima causa è l’ateismo […] strettamente connesso col razionalismo illuministico, che concepisce la realtà umana e sociale in modo meccanicistico […e] induce a riorganizzare l’ordine sociale prescindendo dalla dignità e responsabilità della persona» (n.13). In continuità con l’insegnamento di Leone XIII, Papa Wojtyla riafferma il compito dello Stato «di determinare la cornice giuridica, al cui interno si svolgono i rapporti economici, e di salvaguardare in tal modo le condizioni prime di un’economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell’altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù», nella logica del «principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell’attività economica» e «secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all’autonomia delle parti, che decidono le condizioni di lavoro, ed assicurando in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato» (n.15).
Ricordando gli avvenimenti dell’89, Giovanni Paolo II afferma che la fine incruenta della «dittatura comunista» è nata dalla preghiera e da una «illimitata fiducia in Dio, Signore della storia, che ha nelle sue mani il cuore degli uomini. È unendo la propria sofferenza per la verità e per la libertà a quella di Cristo sulla Croce che l’uomo può compiere il miracolo della pace ed è in grado di scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava». Il Papa ricorda che «non solo non è lecito disattendere dal punto di vista etico la natura dell’uomo che è fatto per la libertà, ma ciò non è neppure possibile in pratica. Dove la società si organizza riducendo arbitrariamente o, addirittura, sopprimendo la sfera in cui la libertà legittimamente si esercita, il risultato è che la vita sociale progressivamente si disorganizza e decade». Richiamando alla necessaria consapevolezza della «ferita del peccato originale», il Santo Padre sottolineache «l’ordine sociale sarà tanto più solido, quanto più terrà conto di questo fatto e non opporrà l’interesse personale a quello della società nel suo insieme, ma cercherà piuttosto i modi della loro fruttuosa coordinazione. Difatti, dove l’interesse individuale è violentemente soppresso, esso è sostituito da un pesante sistema di controllo burocratico, che inaridisce le fonti dell’iniziativa e della creatività. Quando gli uomini ritengono di possedere il segreto di un’organizzazione sociale perfetta che renda impossibile il male, ritengono anche di poter usare tutti i mezzi, anche la violenza o la menzogna, per realizzarla.La politica diventa allora una “religione secolare”, che si illude di costruire il paradiso in questo mondo» (n.25).
Il Pontefice conferma il «carattere naturale del diritto di proprietà privata», generalmente acquistata col lavoro umano e «come un prolungamento della libertà umana»a tutela della «autonomia personale e familiare», ricordandone nel contempo l’ineliminabile «funzione sociale» in modo che giovi al bene anche degli altri uomini, secondo il principio della «originaria destinazione comune di beni creati», donati da Dio a tutto il genere umano«per il sostentamento della vita umana» (nn.30-31). Il Santo Padre evidenzia che lo sviluppo della tecnica rende sempre più rilevante — al di là delle risorse naturali —il ruolo del lavoro e «delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità» e quindi di importanti virtù quali «la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell’assumere i ragionevoli rischi, l’affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell’esecuzione di decisioni difficili e dolorose» (n.32).
Con riferimento all’economia, il Papa riconosce «il libero mercato», come «lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Ciò, tuttavia, vale solo per quei bisogni che sono “solvibili”, che dispongono di un potere d’acquisto, e per quelle risorse che sono “vendibili”, in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato. È stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano […;] esiste un qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell’umanità» (n.34). Contro «il sistema socialista, che di fatto risulta essere un capitalismo di stato», il Santo Padre propone una «società del lavoro libero, dell’impresa e della partecipazione. Essa non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società». Ricorda poi che «la Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento dell’azienda: quando un’azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati ed i corrispettivi bisogni umani debitamente soddisfatti. Tuttavia, il profitto non è l’unico indice delle condizioni dell’azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità. Oltre ad essere moralmente inammissibile, ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi anche per l’efficienza economica dell’azienda. Scopo dell’impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società. Il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell’impresa» (n.35).
Richiamando l’uomo al dovere di rispettare l’ambiente naturale, dono di Dio, il Papa sottolinea la ancor più grave necessità di «salvaguardare le condizioni morali di un’autentica “ecologia umana”», visto che l’uomo «è condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall’educazione ricevuta e dall’ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza» (nn.37-38).
Ricordando che «l’esperienza storica dei Paesi socialisti ha tristemente dimostrato che il collettivismo non sopprime l’alienazione, ma piuttosto l’accresce, aggiungendovi la penuria delle cose necessarie e l’inefficienza economica», Giovanni Paolo II sottolinea che «l’alienazione con la perdita del senso autentico dell’esistenza è un fatto reale anche nelle società occidentali. Essa si verifica nel consumo, quando l’uomo è implicato in una rete di false e superficiali soddisfazioni, anziché essere aiutato a fare l’autentica e concreta esperienza della sua personalità. Essa si verifica anche nel lavoro, quando è organizzato in modo tale da “massimizzare” soltanto i suoi frutti e proventi e non ci si preoccupa che il lavoratore, mediante il proprio lavoro, si realizzi di più o di meno come uomo», con una «inversione tra i mezzi e i fini» (nr.41).
Il Papa polacco, che conobbe il socialismo reale di persona, si pone quindi la domanda centrale della sua lettera: «Si può forse dire che, dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo, e che verso di esso vadano indirizzati gli sforzi dei Paesi che cercano di ricostruire la loro economia e la loro società? È forse questo il modello che bisogna proporre ai Paesi del Terzo Mondo, che cercano la via del vero progresso economico e civile?La risposta è ovviamente complessa. Se con “capitalismo” si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di “economia d’impresa”, o di “economia di mercato”, o semplicemente di “economia libera”. Ma se con “capitalismo” si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa» (nr.42).
Da un punto di vista operativo, rifiutando ogni approccio ideologico «la Chiesa non ha modelli da proporre. I modelli reali e veramente efficaci possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro. A tale impegno la Chiesa offre, come indispensabile orientamento ideale, la propria dottrina sociale, che — come si è detto — riconosce la positività del mercato e dell’impresa, ma indica, nello stesso tempo, la necessità che questi siano orientati verso il bene comune» (nr.43).
Con riferimento all’organizzazione dello Stato, il Pontefice ribadisce il principio già evidenziato nella Rerum Novarum del bilanciamento dei tre poteri — legislativo, esecutivo e giudiziario — affinché ciascuno si mantenga «nel suo giusto limite. È, questo, il principio dello “Stato di diritto”, nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini», condannando quindi il totalitarismo, che «nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini». Ribadisce la «trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l’individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di annientarla» (nr.44).«Lo Stato totalitario, inoltre, tende ad assorbire in se stesso la Nazione, la società, la famiglia, le comunità religiose e le stesse persone. Difendendo la propria libertà, la Chiesa difende la persona, che deve obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (cf At 5,29), la famiglia, le diverse organizzazioni sociali e le Nazioni, realtà tutte che godono di una propria sfera di autonomia e di sovranità» (nr.45). «La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato.Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana». Contro ogni pretesa agnostica e relativistica, il Santo Padre ricorda che «se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (nr.46).
Con riferimento al «ruolo dello Stato nel settore dell’economia», ricorda che «l’attività economica, in particolare quella dell’economia di mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico. Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti. Il principale compito dello Stato, pertanto, è quello di garantire questa sicurezza, di modo che chi lavora e produce possa godere i frutti del proprio lavoro e, quindi, si senta stimolato a compierlo con efficienza e onestà […;] in questo campo la prima responsabilità non è dello Stato, bensì dei singoli e dei diversi gruppi e associazioni in cui si articola la società. Non potrebbe lo Stato assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini senza irreggimentare l’intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli. Pur riconoscendo allo Stato«compiti di armonizzazione e di guida dello sviluppo […insieme a] funzioni di supplenza in situazioni eccezionali, quando settori sociali o sistemi di imprese, troppo deboli o in via di formazione, sono inadeguati al loro compito», ricorda che tali interventi «devono essere, per quanto possibile, limitati nel tempo, per non sottrarre stabilmente a detti settori e sistemi di imprese le competenze che sono loro proprie e per non dilatare eccessivamente l’ambito dell’intervento statale in modo pregiudizievole per la libertà sia economica che civile.Si è assistito negli ultimi anni ad un vasto ampliamento di tale sfera di intervento, che ha portato a costituire, in qualche modo, uno Stato di tipo nuovo: lo “Stato del benessere”. Questi sviluppi si sono avuti in alcuni Stati per rispondere in modo più adeguato a molte necessità e bisogni […]. Non sono, però, mancati eccessi ed abusi che hanno provocato, specialmente negli anni più recenti, dure critiche allo Stato del benessere, qualificato come “Stato assistenziale”. Disfunzioni e difetti nello Stato assistenziale derivano da un’inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune»: così afferma Giovanni Paolo II, riproponendo l’insegnamento di Papa Pio XI nella Quadragesimo anno (nr.184-186). E prosegue: «Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese. Sembra, infatti, che conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso.Si aggiunga che spesso un certo tipo di bisogni richiede una risposta che non sia solo materiale, ma che ne sappia cogliere la domanda umana più profonda» (n.48).
In conclusione, il Santo Padre riafferma il valore perenne e universale della «dottrina sociale»della Chiesa, come «strumento di evangelizzazione», un corpus dottrinale che analizza la vita sociale, economica, politica e culturale dell’uomo all’interno della rivelazione di Dio e del «mistero di salvezza in Cristo»(n.54). «Pertanto, l’antropologia cristiana è in realtà un capitolo della teologia e, per la stessa ragione, la dottrina sociale della Chiesa, preoccupandosi dell’uomo, interessandosi a lui e al suo modo di comportarsi nel mondo, “appartiene … al campo della teologia e, specialmente, della teologia morale”» (n.55), sottolinea il Pontefice citando la Sollicitudo rei socialis (n.41). Una dottrina che possiede necessariamente anche una «dimensione pratica e, in un certo senso, sperimentale», in quanto deve essere incarnata nella realtà concreta delle varie situazioni del mondo, con la collaborazione — citando la nota espressione utilizzata da san Giovanni XXIII nella lettera enciclica Pacem in terris — di «tutti gli uomini di buona volontà» (n.59).
Riflessioni preziose, di cui fare tesoro nei tempi molto difficili che stiamo attraversando, caratterizzati da grande confusione, lacerazioni sociali, spinte accentratrici e tentazioni autoritarie: senza aggravare il male agendo sconsideratamente ma neppure cedendo vilmente ad esso, sempre orientando la nostra preghiera, la nostra azione e il nostro sacrificio nella prospettiva della «costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio».
Lunedì, 13 dicembre 2021