Tradizionale attributo dell’iconografia di Sant’Antonio Abate, il maiale è un protagonista bistrattato eppure imprescindibile del paesaggio, della tavola e dell’arte in Occidente.
di Stefano Chiappalone
A ridosso della festa di Sant’Antonio Abate (251-346) confesso che, più ancora della ieratica figura dell’asceta egiziano, mi attrae il maiale tradizionalmente a lui associato nell’iconografia (per ragioni varie, dai suini allevati dai monaci al grasso usato per guarire l’herpes zoster, meglio noto come “fuoco di Sant’Antonio”). Del resto, la civiltà occidentale non si fonda solo sui massimi sistemi, ma anche su questo bistrattato eppure imprescindibile protagonista. Sarà anche, almeno sul piano soggettivo, che non riuscirei a magnificare castelli e cattedrali e poi nutrirmi di muschi e licheni. Proibito dall’Antico Testamento e dal Corano, e dunque impensabile nelle civiltà ebraica e islamica, è invece ben presente nel paesaggio, nella tavola e nell’arte dell’Occidente. O almeno lo è stato, prima che prendessero il sopravvento la drastica riduzione del settore primario (tutti dottori e pochi allevatori), le diete “ospedaliere” e gli allarmi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sul consumo di carni suine. Senza contare che, spesso, gli unici suini visti dai millennial sono i cinghiali erranti tra i rifiuti dell’Urbe postmoderna.
Tuttavia, la via pulchritudinis è abbastanza spaziosa da farci passare un maiale, a partire da quello affrescato da Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) nel Palazzo Pubblico di Siena. Se potessi liberamente staccare un brandello di affresco e portarmelo in casa, sceglierei proprio quel particolare degli Effetti del Buon Governo in cui un uomo conduce in città uno splendido esemplare di cinta senese: è la più antica testimonianza iconografica di questa razza contraddistinta dal manto nero con la tipica fascia più chiara (una sorta di cinta, appunto) all’altezza delle spalle. Sono poi innumerevoli, nei Tacuina sanitatis e non solo, le scene quotidiane raffiguranti il ciclo di vita (e di morte) del maiale, dal pascolo alla macellazione. Naturalmente è quasi onnipresente nelle raffigurazioni del santo anacoreta. Compare discreto sullo sfondo della Visitazione di Piero di Cosimo (1461-1522), dove all’incontro tra la Vergine e la cugina Elisabetta presenziano i Santi Nicola (270-343) e Antonio. Presenza imperturbabile, così come il santo, quasi indifferente allo sparuto e bizzarro attacco dei demoni dipinti dall’olandese Hieronymus Bosch (pseudonimo di Jeroen Anthoniszoon van Aken, 1453-1516) nelle Tentazioni del Prado (da non confondere con l’omonimo trittico di Lisbona, dello stesso autore). Un altro celebre olandese, di poco posteriore e dall’inventiva brulicante quanto quella di Bosch, immagina un maialetto scorrazzare con un coltello infilato sul dorso… e un pezzettino mancante già mangiato da qualcuno, forse dai tre protagonisti in primo piano, che giacciono obnubilati dal cibo e dal vino: siamo nel Paese di Cuccagna di Pieter Bruegel il Vecchio (1525-1569).
La carrellata potrebbe continuare, tuttavia mi fermo qui, conscio dello sconcerto del lettore, avvezzo a udire ben altri ed elevati discorsi, magari cantando «Costruiremo ancora cattedrali» (opere imponenti, per la cui faticosa edificazione sono stati necessari genio, sacrificio e… proteine). «Unicuique suum», dunque, a ciascuno il suo, ma anche, giocando con le parole: «unicuique suem» (nel senso di suino).
Sabato, 22 gennaio 2022