La storia vera di una breccia nel muro di gomma degli aborti made in USA
di Cristina Cappellini
Uno dei temi che ha contraddistinto la campagna elettorale americana e che ha connotato, per motivi opposti, le figure dei due candidati, Donald Trump e Joe Biden, è stato il tema dell’aborto. Pro life il primo, pro choise (per usare il linguaggio americano) il secondo, hanno entrambi radicalizzato lo scontro tra due opposte visioni del mondo: quella di Trump che, con la sua presenza alla discussa “Marcia per la vita”, ha accolto le istanze dei movimenti anti abortisti, trasformandole in atti concreti, e quella di Joe Biden, il (sedicente) cattolico che sarebbe disposto a sostenere il (presunto) diritto ad abortire persino negli ultimi mesi di gravidanza, come già accade purtroppo in alcuni Stati.
L’atto più significativo compiuto da Donald Trump nella battaglia anti abortista è stato di certo il blocco dei finanziamenti federali al colosso “Planned Parenthood”, le mega cliniche dove l’aborto a mo’ di catena di montaggio è la quotidianità e la salute della donna un mero specchietto per le allodole.
C’è un bel film sull’argomento e lo si può trovare sul sito della Dominus Production, la casa di distribuzione che ha già portato in Italia pellicole significative come “Cristiada” (la bellissima e struggente storia della resistenza dei cattolici messicani alla persecuzione messa in atto dal governo dittatoriale e anticlericale alla fine degli anni Venti del secolo scorso), “God’s not dead” (con il sequel “God’s not dead 2”), “Il missionario”, “Una canzone per mio padre” e molte altre.
Ebbene, da qualche settimana è possibile (al costo di un biglietto del cinema) prenotare la visione in anteprima del film “Unplanned”, in lingua originale con sottotitoli in italiano.
La storia narrata nel film è vera e anche se il nome di Abby Johnson in Italia e in Europa è poco conosciuto, negli Stati Uniti la donna è ormai diventata un simbolo della battaglia a difesa della vita.
Abby Johnson, che ha raccolto in un libro (da cui è stato tratto il film) la sua straordinaria inversione di marcia nel percorso della vita, è la donna che da dirigente di una delle più importanti cliniche “Planned Parenthood” del Texas è diventata colei che ha denunciato come, con il passare del tempo, la “Planned Parenthood” stessa si fosse trasformata da organismo a tutela della salute delle donne in un colosso economico, ove l’aumento esponenziale del profitto era direttamente proporzionale al numero di aborti effettuati.
Il film è importante e attuale, pertanto ne consiglio la visione, soprattutto agli adolescenti e alle adolescenti, anche perché oltre al messaggio di denuncia del sistema affaristico gravitante intorno alle cliniche del circuito “Planned Parenthood”, mostra due aspetti degni di nota: in primis cosa significhi realmente abortire. E in una società in cui il messaggio che passa attraverso i media e la politica è quello che vorrebbe assimilare una pillola abortiva a una caramella per la tosse o a un digestivo, mostrare il pericolo e gli effetti concreti di tale procedura è importante. È un film che fa riflettere, di fronte a scene nude e crude, su quanto l’essere umano riesca spesso a dare così poco peso alla vita, alla vita nascente.
Inoltre il film offre una grande testimonianza di conversione, se pensiamo che Abby Johnson era una manager di spicco della società. Infarcita di demagogia sui diritti della donna e convinta che la promozione delle pratiche abortive fosse un bene per quelle donne che, con problemi familiari o socio-economici a carico, si presentavano a chiedere soluzioni facili alla sua clinica, fece una brillante quanto rapida carriera senza porsi troppe domande, certa di essere dalla parte giusta della barricata. In questo caso (e in molte scene del film ciò viene evidenziato) la barricata è proprio un cancello, quello che circonda la clinica e la separa dal mondo esterno. Dall’altra parte della cancellata, infatti, stanno gli esponenti del mondo pro life, ma anche parenti delle donne che si presentano per abortire, che stazionano instancabilmente per convincere quelle stesse donne a desistere in nome del valore della vita umana (straziante la scena di una nonna che implora la figlia di far nascere la sua nipotina).
Nel gruppo pro life si distingue in particolare una coppia di giovani che di fatto saranno il “grillo parlante” con cui a poco a poco la coscienza di Abby entrerà in contatto e si misurerà. Così, quando accadrà l’evento che sconvolgerà per sempre la sua vita, la donna troverà subito un rifugio dove colmare la sua disperazione.
Ma c’è un altro personaggio degno di nota, non tanto per la sua interpretazione, quanto per il senso che la sua figura è capace di dare all’amore e alla speranza. Mi riferisco al marito di Abby, che a mio parere rappresenta una figura straordinaria per la sua costanza nello stare accanto, sempre e comunque, alla persona amata, anche se quella stessa persona gli procura una forte sofferenza per via dell’approccio diametralmente opposto che i due hanno proprio sul tema dell’aborto e del lavoro di lei.
Il tema della famiglia, infatti, non è secondario nello scorrere della pellicola, anzi. È molto bello rivedere in Abby una sorta di “figliol prodigo”, a perenne dimostrazione che la libertà dell’uomo – il libero arbitrio – può sempre trovare un punto di rottura e che la conversione può essere sempre dietro l’angolo, anche quando sembra impossibile!
Sabato, 19 dicembre 2020