di Michele Brambilla
C’è un solo desiderio che caratterizza l’uomo dal primo istante di vita all’ultimo respiro: amare ed essere amato. Il primo modello di amore che l’uomo incontra è quello dei genitori, che condiziona anche la visione che si ha di Dio, come osserva Papa Francesco all’inizio dell’udienza generale del 20 febbraio: «Il primo passo di ogni preghiera cristiana», infatti, «è l’ingresso in un mistero, quello della paternità di Dio. Non si può pregare come i pappagalli. O tu entri nel mistero, nella consapevolezza che Dio è tuo Padre, o non preghi. Se io voglio pregare Dio mio Padre incomincio il mistero. Per capire in che misura Dio ci è padre, noi pensiamo alle figure dei nostri genitori, ma dobbiamo sempre in qualche misura “raffinarle”, purificarle». Tanta parte dell’ateismo contemporaneo è dovuto alle difficoltà con la figura paterna, che, non essendo più così significativa o stimolante, non diviene neppure un “portale” di accesso al mistero della paternità di Dio.
Il Papa constata che «nessuno di noi ha avuto genitori perfetti» sulla Terra. «Tutti abbiamo difetti, tutti. Le nostre relazioni di amore le viviamo sempre sotto il segno dei nostri limiti e anche del nostro egoismo, perciò sono spesso inquinate da desideri di possesso o di manipolazione dell’altro. Per questo a volte le dichiarazioni di amore si tramutano in sentimenti di rabbia e di ostilità» nei confronti dell’altro. «Ecco perché», consiglia il Santo Padre, «quando parliamo di Dio come “padre”, mentre pensiamo all’immagine dei nostri genitori, specialmente se ci hanno voluto bene, nello stesso tempo dobbiamo andare oltre. Perché l’amore di Dio è quello del Padre “che è nei cieli”, secondo l’espressione che ci invita ad usare Gesù: è l’amore totale che noi in questa vita assaporiamo solo in maniera imperfetta». La sete d’amore dell’uomo si estingue solo quando incontra la fonte dell’amore vero, quel Dio Padre di tutti che ha mandato il Figlio a cercare le pecore smarrite.
La mitologia classica, infatti, non ha offerto paradigmi particolarmente edificanti. «Il dio greco dell’amore, nella mitologia, è quello più tragico in assoluto: non si capisce se sia un essere angelico oppure un demone. La mitologia dice che è figlio di Poros e di Penía, cioè della scaltrezza e della povertà, destinato a portare in sé stesso un po’ della fisionomia di questi genitori. Di qui possiamo pensare alla natura ambivalente dell’amore umano: capace di fiorire e di vivere prepotente in un’ora del giorno, e subito dopo appassire e morire». Non abbiamo affatto bisogno di dèi che non riescono a uscire dai medesimi “tunnel” dell’amore umano. Dietro certe velleità o illusioni neopagane si nasconde l’ansia di trovare una giustificazione teologica ai propri vizi, dietro cui si celano i motori di quella che la scuola controrivoluzionaria cattolica chiama “Rivoluzione”: orgoglio e sensualità.
«Però», rassicura il Pontefice, «esiste un altro amore, quello del Padre “che è nei cieli”». L’unica soluzione al desiderio d’amore dell’uomo è davvero proprio Lui, come diceva sant’Agostino di Ippona (354-430): «[…] ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Le Confessioni, 1,1.5). Francesco puntualizza che «L’espressione “nei cieli” non vuole esprimere una lontananza, ma una diversità radicale di amore, un’altra dimensione di amore, un amore instancabile, un amore che sempre rimarrà, anzi, che sempre è alla portata di mano. Basta dire “Padre nostro che sei nei Cieli”, e quell’amore viene» e fa germogliare, di nuovo, il nostro cuore. Gesù non è asceso al Cielo per abbandonare la Terra, bensì per ricomprendere tutto l’esistente nel mistero dell’Emmanuele che siede alla destra del Padre, nella gloria dei Cieli, con la nostra povera carne.
Giovedì, 21 febbraio 2019