Come il grande biografo degli artisti del Rinascimento, pittore egli stesso, commemorò la battaglia di Lepanto nella Sala Regia del Vaticano.
di Michele Brambilla
In tempi nei quali si è verificato un nuovo assalto iconoclasta ai monumenti ritenuti espressione del “suprematismo bianco”, il calendario ha riportato sulle nostre rive la festa della Madonna del Rosario (7 ottobre), anniversario esatto della battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), durante la quale una flotta cattolica, messa insieme da Papa san Pio V (1566-72), sbaragliò la controparte ottomana, interrompendo bruscamente l’espansione turca nel Mediterraneo.
Il successore di Pio V, Gregorio XIII (1572-85), commissionò immediatamente al pittore Giorgio Vasari (1511-74), meglio noto come biografo dei «grandi» del Rinascimento italiano, un ciclo di affreschi destinati alla Sala Regia del Palazzo apostolico del Vaticano, nella quale avvengono ancora oggi le udienze più solenni. Il ciclo doveva commemorare tutte le vittorie più recenti della Chiesa: la battaglia di Lepanto era certamente una di queste e l’affresco che la raffigura occupa certamente una posizione di rilievo.
La composizione di Vasari è un concentrato di elementi simbolici che fanno a pugni con il politically correct. È infatti impossibile distogliere lo sguardo dalla personificazione della Fede cattolica, che viene incoronata da un angelo mentre sorregge il calice eucaristico e si siede, trionfante, sulla schiena di un musulmano sconfitto. La Fede contempla una scena celeste che è la riproduzione della battaglia cosmica avvenuta all’inizio dei tempi, «aggiornata» al 7 ottobre 1571: sulla sinistra si scorge un Paradiso armato, con Gesù che scaglia saette come Giove olimpio e, accanto a lui, un altrettanto bellicoso san Pietro (lo si riconosce dalle chiavi, lunghe e argentee), che usa finalmente a fin di bene la spada che estrasse nel Getsemani (Gv 18,10-11); sulla destra, un altro squarcio tra le nuvole permette di scorgere una torma di angeli ribelli che fugge atterrita. Molto evidente il debito nei confronti della pittura di Michelangelo Buonarroti (1475-1564) nella resa della muscolatura sia dei turchi prigionieri che dei demoni in fuga: del resto, la Sala Regia è l’anticamera della Cappella Sistina.
La parte centrale dell’opera di Vasari è dedicata alla riproduzione realistica della battaglia di Lepanto così come avvenne. Le galee si dispongono confusamente nello spazio, quasi si confondono nel punto in cui la lotta è più aspra e marinai di entrambi i fronti cadono in acqua. La tensione è palpabile: i due ammiragli, Marcantonio Colonna (1535-84) e Mehmet Shoraq (Mehmet Sulik Pasha, 1525-71), si guardano negli occhi dalle rispettive barricate. Colonna, appoggiato ad una lancia, è anche un po’ Temistocle (530/520-459 a.C.), il generale ateniese che nel 480 a.C. sbaragliò a Salamina la flotta persiana. Shoraq, con il suo vistoso abito giallo e un bastone del comando che sembra nascondere un frustino, ricorda l’imperatore achemenide Serse (519-465 a.C.), il quale, come amava ripetere lo storico greco Erodoto di Alicarnasso (484-430 a.C.), governava un esercito di schiavi. Vasari allude in questo modo all’auto-definizione che il fedele islamico dà di se stesso: muslim, ovvero «sottomesso». Da una parte, ancora una volta, stanno coloro che vogliono sottomettere il mondo ad un giogo servile, dall’altra coloro che vogliono rimanere liberi, i quali possiedono una ragione in più rispetto agli antichi Greci: un Dio che ci chiama figli nel Figlio.
Sabato, 10 ottobre 2020