Di Andrea Gagliarducci da Acistampa del 19/02/2024
Venivano quasi tutti da Minya, in Egitto, i 21 copti (di cui 15 egiziani) che il 15 febbraio 2015 furono portati sulle spiagge di Libia e decapitati a motivo della loro fede. Martiri per la Chiesa copta di Egitto, e martiri anche per la Chiesa cattolica, perché Papa Francesco ha deciso di inserire i loro nomi nel Martirologio Romano e di celebrarne la memoria nel giorno del martirio. In questo modo, si dava forma concreta alla sfida che fu lanciata dallo stesso Papa Francesco: “Se il nemico ci unisce nella morte, chi siamo noi per dividerci nella vita?”
Le parole di Papa Francesco sono rimarcate dal Cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nell’omelia della celebrazione ecumenica che si è tenuta nella Basilica di San Pietro, nella Cappella del Coro, nella prima occasione della memoria dei martiri di Egitto. Dopo, è stato proiettato nella Filmoteca Vaticana “I 21. La potenza della fede”, un documentario sulla vita dei martiri girato proprio nel villaggio da dove provenivano i martiri, che aveva il patrocinio del Patriarcato copto. Un film che mostra le famiglie di questi martiri della quotidianità, cresciuti in un ambiente dove il morire per difendere la propria fede è una possibilità. Sono i santi di ogni giorno, di cui parla Papa Francesco. Basti pensare che il programma Hungary Helps per i cristiani perseguitati fu inaugurato proprio con un sostegno alle famiglie di questi martiri. Fu chiesto loro di cosa avevano bisogno, chiesero delle mucche, che servivano per il loro sostentamento. Il governo ungherese accontentò le famiglie.
L’ecumenismo dei martiri, dunque. Il Cardinale Koch centra tutta la sua omelia sul tema, intitolata appunto “Il Martirio cristiano: un sommo atto d’amore”. Il capo del dicastero ecumenico vaticano ricorda che Gesù “non chiama i suoi discepoli servi, ma li chiama amici”, un dono prezioso, perché poi è lo stesso Gesù che dice che non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici.
Gesù Cristo stesso – dice il Cardinale – “non ha risposto con la violenza e con la vendetta alla violenza subita, ma ha trasformato la violenza in amore per noi uomini. L’unica vendetta che Gesù conosce è la croce, ovvero il rifiuto categorico della violenza e l’amore fino alla fine”.
E in nessun luogo l’amore di Cristo si “manifesta così concretamente e così profondamente”, tanto che il Cardinale Koch arriva ad affermare che “la croce è la conseguenza più radicale del suo amore per noi esseri umani”.
La croce, tuttavia, “mostra chiaramente che l’amore non può esistere senza l’investimento della propria vita in favori degli altri”, e in fondo Gesù “non ha offerto nulla se non se stesso”, e per questo “è diventato il nuovo Tempio e ha introdotto nel mondo una nuova forma di culto, realizzandola sulla croce tramite il dono della sua vita per noi”.
Il cardinale Koch, dunque, mette in luce che “la Passione di Gesù è il primo martirio e,allo stesso tempo, è il modello esemplare del martirio dei cristiani che vivono nella sua sequela e donano la propria vita per amore di lui”.
Il martire cristiano, tuttavia, “non cerca il martirio, ma se il martirio giunge in maniera inevitabile lo prende su di sé, come conseguenza della lealtà della fede”, e per questo – spiega Koch – il fatto di essere uccisi “non costituisce in sé il martirio secondo la tradizione della Chiesa Cattolica”, perché non è la morte a fare del cristiano un martire, ma “piuttosto il suo intento e quindi la disposizione interiore”, ricordando che, prendendo come esempio Gesù Cristo, il segno distintivo del martire cristiano è “l’amore”.
Il Cardinale Koch sottolinea che “i martiri copti ortodossi, che sono stati uccisi crudelmente in Libia il 15 febbraio 2015 e che oggi ricordiamo con gratitudine per la loro testimonianza di fede, hanno testimoniato ciò con il sacrificio della loro vita”.
Aggiunge il Cardinale: “Il martirio è un aspetto essenziale del cristianesimo. Questa convinzione si è rivelata vera ripetutamente nel corso della storia della Chiesa. Ciò si riconferma anche nel mondo odierno, dove si contano addirittura più martiri rispetto al tempo delle persecuzioni dei cristiani nei primi secoli. L’ottanta per cento di tutti coloro che oggi sono perseguitati a causa della loro fede sono cristiani. Attualmente, la fede cristiana è la religione più perseguitata. La cristianità è diventata ancora una volta una Chiesa martire, in misura incomparabile”.
C’è, dunque, un ecumenismo dei martiri, che Giovanni Paolo II mise in luce nel Giubileo dell’Anno 2000 di fronte al Colosseo di Roma con una celebrazione ecumenica per commemorare i martiri del XX secolo e per ascoltare le loro testimonianze di fede, celebrazione che “ha mostrato chiaramente che oggi tutte le Chiese e Comunità ecclesiali cristiane hanno i loro martiri”.