di Marco Invernizzi
C’è un atteggiamento suggerito nell’omelia, pronunciata lunedì 9 marzo, della prima Messa di Papa Francesco dedicata ai malati di coronavirus e agli operatori sanitari che li curano, un atteggiamento che aiuta a riflettere su come reagire a quanto sta accadendo.
«A te, Signore, conviene la giustizia, a noi la vergogna» ha detto il Pontefice, commentando il profeta Daniele (cfr. Dn 9, 4-10). Il che significa che «la vergogna per i nostri peccati è una grazia» e che «dobbiamo chiederla: Signore, che io mi vergogni».
In una prospettiva cristiana, purtroppo poco praticata e diffusa, l’esame della propria coscienza dovrebbe essere quotidiano. Questo esame di coscienza, spiega il Papa, non dovrebbe essere un mero elenco dei propri peccati in attesa del perdono di Dio, perché così i nostri peccati rimarrebbero nella testa, senza scendere nel cuore della persona e provocare la vergogna. Quest’ultima è una Grazia proprio per questo, perché costringe a guardarsi dentro, a “sentire”, non solo a vedere, la nostra miseria, quindi a provare la vergogna che ci porta al pentimento autentico.
Un discorso analogo può essere fatto oggi, nella situazione sempre più drammatica in cui si è costretti a vivere, non soltanto per ciascuno di noi, ma come popolo che sta subendo una grande prova.
Se ciascuna persona oggi, meno occupata e avendo a disposizione più silenzio, può, come diceva sant’Agostino (354-430), approfittarne per rientrare in sé stessa e per guardare alla propria vita, altrettanto può fare una nazione.
Dovrebbero farlo i maiores del popolo, quelli chiamati a governarlo, ma probabilmente non avranno né il tempo e neppure il retroterra per poterlo fare.
Allora facciamolo noi, i minores, quelli che non possono decidere, ma possono ricordare. E così svolgiamo all’indietro il film della nostra storia nazionale, riflettendo sulle tante leggi contro la famiglia e conto la vita degli ultimi anni, sulla crisi demografica a cui tanti italiani hanno contribuito a partire dagli anni 1970 del secolo scorso, all’odio che è stato diffuso sulle verità più elementari delle relazioni umane, alle omissioni di cui tutti siamo responsabili per non avere dedicato il nostro tempo al bene comune.
Se siamo cattolici, l’esame di coscienza diventa più impegnativo e riguarda anche qui i maiores e noi minores. I primi riflettano sulle proprie responsabilità in tutte le circostanze in cui non hanno annunciato con franchezza la Verità che salva, preferendo il silenzio per non entrare in conflitto con il mondo, e poi se hanno chiesto, e chiedono soprattutto adesso, il coraggio per non farsi vincere dalla paura. A noi minores conviene riflettere se abbiamo offerto tutti i nostri talenti, pochi o tanti che siano, oppure se “abbiamo preferito il divano” come dice spesso il Santo Padre. Lo scopo, in questo caso, non è tanto un’analisi storica, che miri a individuare gli errori commessi e a seguire invece la strada giusta, ma lo scopo è fare emergere il male compiuto, per denunciarlo e invertire la rotta. Un Paese, come una famiglia, non è semplicemente la somma dei suoi abitanti, ma è un corpo solidale che ha una identità propria. Per questo esistono i “peccati delle nazioni” così come gli atti virtuosi, come ha spiegato splendidamente san Giovanni Paolo II (1920-2005) nell’esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia del 1984. Ma per conoscere i «peccati sociali» commessi (che scandalizzano tutto il popolo e ne impediscono una vita virtuosa) bisogna esaminare la storia e sentirsi in qualche modo responsabili, così da provare appunto una certa forma di vergogna. Allora quel popolo sarà pronto per intraprendere un’ascesi sociale, una autentica conversione verso il bene comune.
La storia d’Italia è piena di santità, e non soltanto di tradimenti e di offese al bene comune. Nell’esame di coscienza dobbiamo osservare e distinguere, e soprattutto invocare l’aiuto dei tanti santi che hanno accompagnato la storia italiana. Il fondatore di Alleanza Cattolica, Giovanni Cantoni (1938-2020), era solito ricordare come tanta santità ci ha accompagnato e protetto per secoli, facendoci superare le prove più difficili.
Anche oggi impariamo a rivolgerci a questi santi. Questa mattina, in una chiesa milanese, dopo aver pregato le lodi e distribuito la Comunione, il parroco ha recitato una preghiera a san Rocco (1295-1327), il pellegrino e taumaturgo francese morto a Voghera dopo avere predicato in tanti paesi d’Italia, protettore dalla peste, che per secoli è stato invocato dai nostri vecchi. Preghiamolo anche oggi, perché se l’epidemia del coronavirus è forte, Dio è più forte e ci aiuterà a superare la prova.
Preghiera a san Rocco
Glorioso san Rocco,
per la tua generosità,
nel metterti al servizio degli appestati
e per le tue continue preghiere,
hai visto cessare la pestilenza
e guarire i contagiati
delle città di Francia e d’Italia
che tu hai percorse.
Per la tua intercessione
ottieni dal Signore di essere liberati
e guariti da una epidemia così devastante.
Ottieni anche per tutti noi la Grazia
di essere resi immuni
dal contagio spirituale dell’anima,
che è il peccato,
per potere un giorno
essere partecipi con Te
della gloria eterna
del Regno dei cieli.
Amen
Mercoledì, 10 marzo 2020