Nonostante i rallentamenti degli ultimi mesi, la crescita economica cinese sembra inarrestabile. Il gigante asiatico, tuttavia, si trova di fronte a sfide epocali, e potrebbe cadere nella “trappola” del debito, a breve, e in quella demografica, nei lustri a venire. Il crescente autoritarismo di Xi Jinping rischia poi di chiudere i residui spazi di libertà economica, azzoppando la crescita economica e sociale del Paese. E anche la geopolitica non sembra aiutare.
di Maurizio Milano
Nonostante le previsioni di crescita per il 2022 siano ancora più che soddisfacenti (+5,5%), la dinamica del Prodotto Interno Lordo è in rallentamento, sui minimi da 30 anni, per non parlare della grave crisi debitoria che da fine agosto 2021 sta attraversando il Gruppo Evergrande, il secondo maggiore colosso immobiliare del Paese. L’ascesa del dragone cinese, tuttavia, prosegue ancora ininterrotta, sia sul fronte economico sia su quello militare e geo-politico. Ricorda l’avanzata tumultuosa del Giappone negli anni ’80, seguita poi da una crisi profonda da cui il Paese non è ancora uscito completamente. Le similitudini sono tante: anche se nessuno può fare previsioni attendibili su quanto potrà avvenire in Cina nei prossimi diecianni, quello che è certo è che la semplice estrapolazione delle tendenze marcatamente rialziste degli ultimi lustri sarebbe deltutto fuorviante. Negli anni a venire, infatti, molti nodi verranno inevitabilmente al pettine, a cominciare dalla crisi del debito, dall’involuzione demografica e dal probabile rallentamento della crescita economica, che potrebbe creare tensioni a livello socialee politico. A tal proposito, una delle frasi che si sente dire più spesso è la seguente: «la Cina rischia di diventare vecchia prima di essere diventata ricca». La gestione di una possibile crisi finanziaria, o comunque di una forte contrazione economica, rappresenterebbe sicuramente una grande sfida per il Partito Comunista Cinese (PCC), non affrontabile solamente con la semplice repressione o con la propaganda. Non si può quindi escludere una futura implosione del regime, come accaduto nell’Unione Sovietica – anch’essa imprevedibile fino a pochi anni prima del 1989 – anche se non si tratta certamente di uno scenario probabile nei prossimi dieci anni. Quello che si può dire con certezza, tuttavia, è che il nodo del debito e della demografia saranno sicuramente centrali per decidere le sorti della Cina comunista, come anche quelle dei Paesi “liberi”: così è successo in Giappone e così sta accadendo da svariati anni anche nei Paesi sviluppati occidentali, paradossalmente ancora preoccupati da un inesistente “eccesso demografico”.
Nel modello di sviluppo sociale ed economico cinese si riscontrano diverse criticità degne di nota, come ben messo in evidenza dall’economista inglese George Magnus, profondo conoscitore della Cina, che ha avuto occasione di frequentare abitualmente dal 1993 come capo-economista prima della S.G. Warburg e più tardi dell’UBS per quasi vent’anni, e poi come consulente economico per un altro decennio. Nel titolo del suo ultimo libro “RED FLAGS: Why Xi’s China is in jeopardy”,“BANDIERE ROSSE: Perché la Cina di Xi è in pericolo”, Magnus gioca sul significato ambivalente in lingua inglese del termine «bandiere rosse», alludendo sia al comunismo sia a un secondo senso che si può rendere con l’espressione “campanelli d’allarme”». Tra i problemi da gestire, l’autore segnala la gestione del forte inquinamento nelle città più sviluppate, la scarsità d’acqua pulita specialmente nel nord del Paese che pone problemi per l’agricoltura, l’inefficienza delle imprese pubbliche gestite con criteri politici, gli squilibri tra aree rurali, dove vivono ancora oltre 600 milioni di cinesi, e le metropoli. Un’altra criticità evidenziata sono le forti diseguaglianze, giacché l’1% della popolazione detiene un terzo della ricchezza del Paese, mentre l’1% della ricchezza è distribuita tra il 25% più povero. Squilibri che, insieme all’invecchiamento della popolazione, costringeranno il PCC a rafforzare la rete di protezione sociale: ciò assorbirà non poche risorse negli anni a venire, che dovranno essere inevitabilmente distolte da altri utilizzi. Secondo Magnus, il paradigma di crescita degli anni passati, centrato su investimenti in immobili e in infrastrutture, alimentati da debito e abbondante mano d’opera giovane a bassissimo costo, senza particolari attenzioni all’inquinamento e alle diseguaglianze sociali, sembra quindi non più replicabile negli anni a venire.
Lo sviluppo economico sarà poi frenato anche dal continuo accentramento decisionale nelle mani del PCC, e in particolare del leader supremo, Xi Jinping (1953-), dal 2012 segretario generale del partito e chairman della Commissione Militare Centrale e dal 2013 Presidente della Repubblica Popolare Cinese. Dopo lustri di rialzi del Prodotto Interno Lordo (PIL) a tassi annui dell’8-10%, il tasso medio di crescita che secondo Magnus si può ragionevolmente prevedere per la Cina negli annia venire è solamente del 3-4%, cioè la metà di quanto suggeriscono le statistiche ufficiali, la cui trasparenza e affidabilità rimane peraltro assai modesta. Inoltre, secondo Magnus, la Cina si trova a fronteggiare quattro importanti “trappole economiche”: «nei prossimi pochi anni, la trappola del debito e, connessa a essa, la trappola del Renminbi; e, nel medio periodo, la trappola demografica o dell’invecchiamento, e la trappola del reddito-medio. Ciascuna di esse rappresenterebbe già da sola una sfida significativa. La Cina deve affrontarle più o meno simultaneamente. Per di più, il problema del debito in Cina è il più pressante, ma la Cina sta anche invecchiando più velocemente di ogni altro paese sulla terra». Passiamo in rassegna brevemente queste quattro “trappole”.
1. La Trappola del Debito.
La Cina ha seguito finora un paradigma di crescita basato su investimenti a debito, spesso improduttivi, decisi dalle autorità locali per raggiungere obiettivi assegnati dal centro: ciò ha falsificato l’effettiva crescita economica del Paese, con accumulo di debiti e cattivi investimenti, in particolare nel settore immobiliare e delle infrastrutture. La mole di crediti deteriorati delle grandi banche e del sistema bancario-ombra, con un’economia in rallentamento dopo un ventennio di espansione creditizia ininterrotta, mette ora a rischio la tenuta del sistema finanziario: secondo stime di Goldman Sachs, infatti, il peso del debito totale in Cina (tra governo centrale, amministrazioni locali, imprese di Stato, sistema finanziario e privati) è balzato ben oltre il 300% del PIL, con una crescita esponenziale negli ultimi lustri. Per evitare i rischi di una crisi finanziaria, la Cina sarà quindi costretta a ridurre la levafinanziaria, e di conseguenza il Paese dovrà necessariamente fare i conti con una crescita economica marcatamente in calo negli anni a venire. Non potendo più spingere sugli investimenti a debito, diventerà quindi prioritario sviluppare un mercato interno, puntando maggiormente sui consumi: con la mancanza di un’ampia classe media e il tracollo demografico ciò non si prospetta un’impresa facile.
2. La Trappola del Renminbi.
L’instabilità finanziaria porterebbe alla fuga di capitali, col rischio di un forte deprezzamento della divisa cinese, il«renminbi» («la valuta del popolo», di cui l’unità di base si chiama «yuan»). Il governo attribuisce grande importanza alla stabilità monetaria, con la speranza che lo yuan acquisisca sempre più lo status di divisa di riserva, sfidando in futuro la supremazia del dollaro Usa. L’utilizzo dello yuan nei pagamenti globali è però ancora modesto, al di sotto del 2%, mentre il suo peso complessivo nelle riserve delle Banche centrali mondiali si aggira solamente sull’1%, e ciò costituisce un freno oggettivo alle smisurate ambizioni geo-politiche della Cina. Solo alla condizione di aumentare la domanda interna e accettare disavanzi commerciali, eliminando le restrizioni ai flussi di capitale in uscita e consentendo un tasso di cambio determinato liberamente sui mercati valutari internazionali, il renminbi potrebbe aspirare a divenire un giorno una divisa davvero “mondiale”, come il dollaro Usa, l’euro e lo yen giapponese. La riduzione della leva finanziaria e del debito saranno necessarie per evitare una crisi finanziaria e un maxi-deprezzamento del cambio, e ciò porrà inevitabilmente un freno alla crescita economica futura.
3. La Trappola Demografica.
Nell’era di Deng Xiaoping (al potere dal 1978 al 1992), con il programma di «Riforme e Apertura», da un lato il Paese si apriva a crescenti spazi di libertà economica con la creazione delle «Zone Economiche Speciali», per attirare investimenti stranieri e stimolare l’iniziativa privata; dall’altro, tuttavia, si adottò la famigerata «politica del figlio unico», subordinando all’autorizzazione dello Stato una delle scelte più intime delle famiglie, la procreazione: un figlio solo per famiglia e col previo permesso delle autorità locali, sotto pena di pesanti sanzioni economiche ma anche di aborti e sterilizzazioni forzate, fino ad arrivare all’incarcerazione. Un vero e proprio orrore, responsabile dello sconvolgimento della vita delle famiglie e di alcune centinaia di milioni di morti – in particolare di bambine per via degli aborti selettivi, portando così a un crescente squilibro tra i sessi – oltre che di non-concepiti o di bambini mai registrati, in specie nelle campagne, e quindi veri e propri “fantasmi” senza diritti sanitari o di educazione; tale incubo è stato in parte alleviato nel 2015, quando il governo ha permesso alle coppie di avere un secondo figlio.
Il mancato ricambio generazionale ha ultimamente iniziato a inquietare gli stessi ambienti economici: in uno studio pubblicato il 14 aprile 2021, la People Bank of China (la Banca centrale cinese) – in considerazione della diminuzione della popolazione in età da lavoro del 6,79% rispetto al 2010 e dei crescenti squilibri della struttura demografica, con sempre meno contribuenti e sempre più pensionati mantenuti dallo Stato – si èspinta infatti a raccomandare al governo il completo abbandono della politica di controllo delle nascite, paventando altrimenti il rischio di una perdita del «vantaggio economico nei confronti degli Stati Uniti». Il tasso di crescita della popolazione è sceso al livello più basso dal lontano 1955: procedendo di questo passo, molto presto il numero di nuovi nati non compenserà più quello dei morti e allora anche per la Cina inizierà quell’inverno demografico che affligge da molti lustri il mondo “libero”.
Oltre ai drammatici “costi umani”, i danni delle scellerate politiche demografiche del PCC sono profondi anche sul semplice piano materiale ed economico. La mancata ricostruzione del “capitale umano”, infatti, presenta delle interessanti analogie con il consumo e il conseguente mancato rinnovamento del “capitale fisico” per l’assenza di investimenti: a fronte di un beneficio nell’immediato – perché si può consumare subito quanto invece occorrerebbe mettere da parte per gli investimenti –, si creano le condizioni per un inevitabile sottosviluppo futuro. La crescita economica della Cina dei decenni passati ha beneficiato di un imponente “dividendo demografico” che si è però esaurito e, anzi, ha invertito velocemente polarità, e ciò produrrà verosimilmente tensioni inflazionistiche. Mentre un tempo c’era abbondanza di manodopera giovanile, ora invece iniziano a esserci sempre più pensionati: secondo le attuali proiezioni, un terzo della popolazione cinese del 2050 sarà costituita da ultra-60enni. A causa delle sciagurate politiche del figlio unico dei decenni passati, la piramide demografica cinese è destinata a seguire,con ancora maggiore velocità, le stesse sorti di quelle degli altri Paesi segnati dall’inverno demografico – per citare solo alcuni casi eclatanti: Giappone, Russia, Germania, Grecia e Italia –, trasformandosi in una sorta di “fungo”, con un cappello sempre più grosso (gli anziani) e un gambo sempre più esile (i giovani). Sul piano economico, il Paese rischia un collasso della produttività, non compensabile pienamente con automazione, robotica e formazione professionale: i crescenti costi sanitari, pensionistici e assistenziali andranno infatti a gravare su una popolazione in età lavorativa in costante contrazione, frenando così la crescita di salari e stipendi in termini reali, e quindi lo sviluppo economico – e di conseguenza anche militare – del Paese. Una crescita che voglia fondarsi sulla “leva” della denatalità diviene alla fine insostenibile anche sul piano squisitamente economico: il fatto che motivazioni di ordine materiale siano coerenti con tematiche di principio e morali conferma la «naturalità dell’ordine» di quella «comunità di destino» imprescindibile che è la famiglia. Tout se tient.
Finalmente l’ha capito anche il PCC: per invertire tendenza, dal 31 maggio 2021 il governo cinese ha infatti deciso di permettere alle coppie di mettere al mondo un terzo figlio, spingendo addirittura i funzionari del partito a dare il buon esempio procreando per il bene del Paese. Al di là dell’apertura, rimane ovviamente inaccettabile che sia lo Stato, e quindi il partito, ad avere il diritto di decidere arbitrariamente e insindacabilmente in tema di natalità, e non le famiglie: la vita umana è tuttora ridotta a “massa”, manipolabile a piacimento dal potere per meglio raggiungere i propri mutevoli fini. Dopo avere imposto il figlio unico per decenni con la violenza, tuttavia, è probabile che questa mentalità sia stata introiettata dalla società cinese e che le famiglie non riprenderanno a fare figli solo perché ora il Governo lo permette, o lo chiede: è infatti più facile reprimere la natalità che non promuoverla.
Mentre in occidente continuiamo a preoccuparci della “sostenibilità” ambientale e della presunta “bomba demografica”, l’inversione ad “U” del PCC è comunque davvero degna di nota: il calo demografico è visto dal partito come un ostacolo alla propria strategia egemonica sul fronte economico e geo-politico. Che i figli contino, anche sul piano squisitamente materiale, è un pensiero condiviso, in splendida solitudine tra i magnati della terra, anche dal CEO di Tesla, Elon Musk, che nel dicembre 2021 ebbe a dichiarare al Wall Street Journal’s CEO Council Summit: «Uno dei rischi più grandi per la civiltà è il basso tasso demografico e il suo rapido declino. Sono in tantissimi, comprese le persone intelligenti, che pensano che siamo in troppi nel mondo e che la crescita della popolazione stia andando fuori controllo. È esattamente l’opposto. Per favore guardate i dati. Se le persone non faranno più figli, la civiltà sarà destinata a collassare. Prestate attenzione alle mie parole». Aquanto pare, abbiamo quindi da imparare sia dal PCC sia da Elon Musk: d’altronde, alla scuola di San Tommaso d’Aquino (1225-1274), «Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est» (S. Th., I-II, q.109, a.1, ad 1).
4. La Trappola del Reddito Medio.
Nonostante la forte crescita economica degli ultimi 40 anni, in Cina non esiste ancora un’ampia «classe media», consolidata e stabile. Servirebbero ancora molti anni di crescita marcata della produttività e del sistema economico per arrivare a tale obiettivo, uno scenario però poco probabile dato l’effetto congiunto delle «trappole» del debito, del renminbi e della demografia, sopradescritte. Il Paese è sfuggito alla povertà estrema del suo passato ma rischia ora di restare invischiato, per un’intera generazione, in una situazione di «reddito medio», del tutto inadeguato per garantire la pace sociale all’interno e per consolidare il ruolo di superpotenza globale che ambirebbe ricoprire.
Conclusioni.
La mancanza di una libertà reale nel Paese, sempre più limitata dalla svolta autoritaria della presidenza di Xi Jinping, rappresenta un’ipoteca pesante sul futuro. La Cina è nelle condizioni di consolidare il proprio ruolo di protagonista sulla frontiera tecnologica, di rimanere fortemente innovativa e di crescere indefinitamente continuando a conculcare i diritti umani, a partire dalla libertà? Per di più, dovendo affrontare le quattro insidiose “trappole” sopradescritte? Per tacere delle recenti tensioni legate all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i cui impatti a livello globale non sono ancora chiari ma se il conflitto si trascinasse nel tempo potrebbero essere pesanti e duraturi: sia a livello di ulteriori rialzi dei prezzi delle materie prime sia per le conseguenze negative sul commercio internazionale oltre che per una probabile generalizzata revisione al rialzo dei budget militari, a scapito quindi di altri capitoli di spesa. Il “capitalismo rosso”, insomma, potrebbe avere esaurito la sua spinta propulsiva, ed essere entrato, come minimo, in una lunga fase di “consolidamento”, senza escludere un declino che potrebbe estendersi per un’intera generazione, proprio come è accaduto in Giappone.
Mercoledì, 16 marzo 2022