Card. Robert Sarah, Cristianità n. 382 (2016)
Allocuzione di S. Em. il cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, letta il 5-7-2016 in occasione del convegno su Sacra Liturgia 2016, tenuto a Londra, presso l’Imperial College, dal 5 all’8-7-2016. Le note e le inserzioni fra parentesi quadre sono redazionali.
Saluti
Eccellenze, reverendi padri e sacerdoti, cari fratelli e sorelle in Cristo,
desidero anzitutto esprimere i miei sinceri ringraziamenti a Sua Eminenza il cardinale Vincent Nichols per la sua accoglienza presso l’arcidiocesi di Westminster e per le sue amabili parole di saluto. Allo stesso modo desidero ringraziare Sua Eccellenza mons. Dominique Rey, vescovo di Fréjus-Toulon, per il suo invito a essere presente con voi in occasione di questa terza conferenza internazionale Sacra liturgia e a pronunciare questa sera il discorso inaugurale.
Eccellenza, mi congratulo con lei per questa iniziativa internazionale volta a promuovere lo studio dell’importanza della formazione e della celebrazione liturgiche nella vita e nella missione della Chiesa.
Sono molto felice di essere con voi tutti oggi. Ringrazio ciascuno di voi per la vostra presenza, che manifesta la grande considerazione che avete per quella che Joseph Ratzinger — quando era ancora cardinale — aveva definito «la questione della liturgia» oggi, al principio del secolo XXI. È un grande segno di speranza per la Chiesa.
Introduzione
Nel suo insegnamento del 18 febbraio 2014 al simposio che celebrava il cinquantesimo anniversario della Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II, Papa Francesco faceva osservare che celebrare i cinquant’anni trascorsi dalla promulgazione della Costituzione dovrebbe «[spingerci] a rilanciare l’impegno per accogliere e attuare in maniera sempre più piena tale insegnamento».
Il Santo Padre ha così proseguito: «È necessario unire una rinnovata volontà di andare avanti nel cammino indicato dai Padri conciliari, perché rimane ancora molto da fare per una corretta e completa assimilazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia da parte dei battezzati e delle comunità ecclesiali. Mi riferisco in particolare all’impegno per una solida e organica iniziazione e formazione liturgica, tanto dei fedeli laici quanto del clero e delle persone consacrate».
Il Santo Padre ha ragione. Abbiamo ancora molto da fare per realizzare la visione dei Padri del Concilio Vaticano II per la vita liturgica della Chiesa. Abbiamo davvero ancora molto da fare se oggi, dopo più di cinquant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II, desideriamo arrivare a «una corretta e completa assimilazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia».
In questo intervento desidero presentarvi alcune considerazioni sul modo in cui la Chiesa occidentale potrebbe avanzare verso un’attuazione più fedele di Sacrosanctum Concilium. In vista di ciò mi propongo di formulare alcune domande: «qual era l’intenzione dei Padri del Concilio Vaticano II quando prendevano in considerazione la riforma liturgica?». Poi vorrei esaminare come le loro intenzioni sono state messe in pratica dopo il Concilio. Infine desidero proporvi alcuni suggerimenti per la vita liturgica della Chiesa oggi, cosicché la nostra pratica liturgica possa riflettere in modo più fedele le intenzioni dei Padri del Concilio.
A. Che cos’è la sacra liturgia?
Prima di ogni altra considerazione occorre affrontare una domanda preliminare: «che cos’è la sacra liturgia?». In effetti, se non comprendiamo la natura propria della liturgia cattolica — ciò che la distingue dai riti delle altre comunità cristiane e delle altre religioni —, non possiamo sperare di comprendere la Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II, né di avanzare con fedeltà verso la sua più perfetta applicazione.
Nel motu proprio del 22 novembre 1903 Tra le sollecitudini, Papa san Pio X [1903-1914] insegnava che «i sacrosanti misteri» e la «preghiera pubblica e solenne della Chiesa» — cioè la sacra liturgia — sono la «prima ed indispensabile fonte» per acquisire «il vero spirito cristiano». Di conseguenza san Pio X richiamava tutti a una partecipazione reale e fruttuosa ai riti liturgici della Chiesa. Com’è noto, questo insegnamento e questa esortazione sono stati ripresi nell’articolo 14 di Sacrosanctum Concilium.
Venticinque anni più tardi, Papa Pio XI [1922-1939] si era chiaramente pronunciato sullo stesso tema nella bolla del 20 dicembre 1928 Divini cultus, insegnando che «la Liturgia, in effetti, è cosa sacra. Per mezzo di essa, infatti, veniamo elevati e uniti a Dio, testimoniamo la nostra fede e ci uniamo a Lui nello strettissimo dovere di riconoscenza per i benefìci e gli aiuti di cui sempre abbisogniamo».
Il venerabile Pio XII [1939-1958] consacrò alla sacra liturgia la lettera enciclica Mediator Dei del 20 novembre 1947. In essa egli insegnava che:
«La sacra Liturgia è […] il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre, come Capo della Chiesa, ed è il culto che la società dei fedeli rende al suo Capo e, per mezzo di Lui, all’Eterno Padre: è, per dirla in breve, il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra».
Il Papa sottolineò che «l’essenza e la ragione d’essere della sacra Liturgia» riguarda «l’unione delle nostre anime con Cristo e la loro santificazione per mezzo del Divin Redentore, perché sia onorato Cristo, e per Lui ed in Lui la Santissima Trinità».
Il Concilio Vaticano II insegna che, attraverso la liturgia, «[…] si attua l’opera della nostra redenzione» (n. 2) e che «la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (n. 7).
Dopo queste affermazioni Sacrosanctum Concilium insegna che «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore» (n. 10).
Sarebbe possibile continuare questa esposizione di magistero sulla natura della sacra liturgia, completandola con gli interventi dei Papi post-conciliari e con il Catechismo della Chiesa Cattolica. Tuttavia, per adesso, atteniamoci al Concilio Vaticano II. A mio avviso l’insegnamento della Chiesa è molto chiaro: la liturgia cattolica è il luogo privilegiato e precipuo dell’azione salvifica di Dio nel mondo, oggi. Ciò avviene attraverso una partecipazione reale in virtù della quale riceviamo la grazia e la forza che ci sono necessarie per perseverare e per crescere nella vita cristiana. La liturgia è un luogo d’istituzione divina, dove noi compiamo l’offerta del sacrificio dovuto a Dio, che è l’unico vero sacrificio. Essa è il luogo dove prendiamo coscienza del nostro bisogno profondo di adorare Dio, l’Onnipotente. La liturgia cattolica è una realtà sacra: una cosa santa per la sua stessa natura. La liturgia cattolica non è un’assemblea umana ordinaria.
Desidero sottolineare, qui, un aspetto molto importante: Dio, non l’uomo, è al centro della liturgia cattolica. Noi veniamo per adorarlo. Nella liturgia non si tratta di voi o di me. Non è il luogo dove celebriamo la nostra identità e le nostre realizzazioni o dove esaltiamo e promuoviamo la nostra cultura e i valori delle nostre comunità religiose locali. La liturgia riguarda e appartiene — anzitutto e in primo luogo — a Dio e celebra ciò che egli ha fatto per noi. L’Onnipotente, nella sua divina Provvidenza, ha fondato una Chiesa e ha istituito la sacra liturgia. Attraverso quest’ultima ci è possibile rendere un culto autentico a Dio, in conformità con la Nuova Alleanza stabilita da Cristo. Così facendo, e comprendendo le esigenze dei riti sacri che si sono sviluppati nella tradizione della Chiesa, noi troviamo la nostra vera identità e il senso della nostra esistenza come figli e figlie di Dio.
È essenziale che noi comprendiamo questa specificità del culto cattolico, dal momento che negli ultimi decenni abbiamo visto numerose celebrazioni liturgiche nel corso delle quali le persone e le realizzazioni umane sono state troppo preminenti, quasi escludendo Dio. Il cardinale Ratzinger ha scritto che, «se la liturgia appare innanzitutto come laboratorio del nostro agire, si dimentica l’essenziale: Dio. Nella liturgia, infatti, non si tratta di noi, ma di Dio. La dimenticanza di Dio è il pericolo più incalzante del nostro tempo».
Dobbiamo essere molto chiari sulla natura del culto cattolico se vogliamo leggere correttamente e mettere in pratica fedelmente la Costituzione sulla sacra liturgia del Concilio Vaticano II. I Padri conciliari erano stati impregnati dall’insegnamento magisteriale dei Papi del secolo XX che abbiamo ricordato. San Giovanni XXIII [1958-1963] non convocò un Concilio ecumenico per erodere questo insegnamento, che egli stesso difendeva. I Padri del Concilio non si recarono a Roma nell’ottobre 1962 con l’intenzione di creare una liturgia antropocentrica. Piuttosto, il Papa e i Padri del Concilio cercarono delle strade attraverso le quali i fedeli di Cristo potessero attingere in modo sempre più profondo alla «prima e indispensabile fonte» (n. 14), così da acquisire «il genuino spirito cristiano» (ibidem) necessario alla loro stessa salvezza e a quella degli uomini del nostro tempo.
B. Qual era l’intenzione dei Padri del Concilio Vaticano II?
Dobbiamo esaminare nel dettaglio le intenzioni dei Padri conciliari, soprattutto se la nostra volontà oggi è quella di essere più fedeli a esse. Che cosa si proponevano di fare i Padri del Concilio con la Costituzione sulla Sacra Liturgia?
Cominciamo con il primo articolo di Sacrosanctum Concilium:
«Il sacro Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti; di favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo; di rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa» (n. 1).
Ricordiamoci che quando fu aperto il Concilio, la riforma liturgica aveva già impegnato la riflessione del decennio precedente, perciò i Padri avevano familiarità con il tema. Riguardo tale questione costoro non avevano prospettive puramente teoriche, scollegate dal contesto. Essi speravano di proseguire il lavoro già iniziato e di studiare gli altiora principia, quei princìpi fondamentali e sommamente importanti per la riforma liturgica che erano stati evocati da san Giovanni XXIII nel motu proprio del 25 luglio 1960 Rubricarum instructum.
Così il primo articolo della Costituzione fissa quattro criteri per intraprendere una riforma liturgica. Il primo criterio consiste nel «[…] far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli». È questa, in ogni tempo, la preoccupazione costante dei pastori della Chiesa.
Il secondo criterio — «[…] meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti» — c’invita a fermarci e a meditare un istante, prendendo in considerazione, in particolare, lo spirito del tempo degli anni 1960. In verità, se lo leggiamo nello spirito dell’ermeneutica della continuità, che è certamente conforme alle intenzioni dei Padri del Concilio, questo criterio rivela che il Concilio ha desiderato uno sviluppo liturgico laddove era possibile, così da infondere un vigore sempre crescente della vita cristiana. I Padri conciliari non hanno voluto cambiare le cose unicamente per semplice desiderio di cambiamento!
Anche il terzo criterio — «[…] favorire ciò che può contribuire all’unione di tutti i credenti in Cristo» — c’induce a fare una pausa di riflessione, così da non pensare che i Padri avessero desiderato strumentalizzare la sacra liturgia e farne uno strumento per promuovere l’ecumenismo: farne cioè, in una parola, un semplice mezzo in vista di un fine. Può essere questo il caso? Certo, dopo il Concilio, alcuni lo hanno tentato. Tuttavia i Padri stessi sapevano che questo non era possibile. L’unità nel culto e davanti all’altare del sacrificio è il fine desiderato degli sforzi ecumenici. La liturgia non è un mezzo per promuovere la buona volontà o la cooperazione nell’attività apostolica. Qui i Padri del Concilio affermano che una riforma liturgica può fare parte di uno slancio che aiuta le persone a realizzare l’unità nella Chiesa cattolica: unità senza la quale non è possibile una piena comunione all’altare.
La medesima motivazione si legge nel quarto criterio indicato per la riforma liturgica: «[…] rinvigorire ciò che giova a chiamare tutti nel seno della Chiesa». Qui, pertanto, andiamo al di là dei nostri fratelli separati in Cristo e consideriamo l’umanità intera. La missione della Chiesa si rivolge a ogni uomo! I Padri del Concilio credevano a questo e si auguravano che una partecipazione più fruttuosa alla liturgia potesse facilitare un rinnovamento dell’attività missionaria della Chiesa.
Permettetemi di proporre un esempio. Per molti anni, prima del Concilio, tanto nei Paesi di missione quanto nei Paesi più sviluppati, si è lungamente discusso sull’opportunità di un uso più ampio delle lingue volgari nella liturgia, soprattutto per le letture della Sacra Scrittura, come pure per questo o per quell’altro elemento della prima parte della Messa — quella che chiamiamo ormai «liturgia della parola» — e per i canti liturgici. La Santa Sede aveva già largamente accordato il permesso per l’uso della lingua volgare nell’amministrazione dei sacramenti. Questo, dunque, era il contesto all’interno del quale i Padri del Concilio parlavano dei possibili effetti positivi che la riforma liturgica avrebbe portato per l’ecumenismo e la missione. È vero che la lingua vernacolare ha un effetto positivo nella liturgia. I Padri cercavano proprio questo, e non di autorizzare una protestantizzazione della sacra liturgia o farne l’oggetto di una cattiva inculturazione.
Io sono africano. Permettetemi di dirlo in modo chiaro: la liturgia non è il luogo per promuovere la mia cultura. Piuttosto, essa è il luogo dove la mia cultura è battezzata, cioè dove la mia cultura si eleva all’altezza del divino. Attraverso la liturgia della Chiesa — che i missionari hanno portato ovunque nel mondo — Dio ci parla, ci cambia e ci permette di prendere parte alla sua vita divina. Quando qualcuno diventa cristiano, quando qualcuno ritorna alla piena comunione della Chiesa cattolica, egli riceve qualcosa in più, qualcosa che lo cambia. Certo, le culture e i nuovi cristiani portano delle ricchezze nella Chiesa: a tale proposito, la liturgia degli ordinariati per gli anglicani ormai in piena comunione con la Chiesa cattolica è un bell’esempio. Costoro, tuttavia, portano ricchezze nell’umiltà e la Chiesa nella sua saggezza materna le usa come ella giudica opportuno.
Mi sembra anche opportuno precisare bene cosa s’intende per inculturazione. Se davvero comprendiamo il significato della parola «conoscenza» come penetrazione del Mistero di Gesù Cristo, allora possediamo la chiave dell’inculturazione, la quale non è una ricerca o una rivendicazione per legittimare un’africanizzazione o una latino-americanizzazione o un’asiaticizzazione del cristianesimo al posto della sua occidentalizzazione. L’inculturazione non è la canonizzazione di una cultura locale, né una instaurazione di questa cultura, con il rischio di assolutizzarla. L’inculturazione è una irruzione e una epifania del Signore nella più profonda intimità del nostro essere. L’irruzione del Signore in una vita provoca nell’uomo una destabilizzazione, uno strazio, in vista di un percorso che segue punti di riferimento nuovi, i quali creano una cultura nuova che porta la Buona Novella per l’uomo e la sua dignità di figlio di Dio. Quando il Vangelo entra in una vita, la destabilizza, la trasforma: le dona un orientamento nuovo, nuovi riferimenti morali ed etici. Il Vangelo volge il cuore dell’uomo verso Dio e verso il prossimo per amarli e servirli in modo assoluto e senza calcolo. Quando Gesù entra in una vita, Egli la trasfigura, la divinizza attraverso la luce sfolgorante del Suo Volto, esattamente com’è accaduto a san Paolo sulla strada di Damasco (cfr. At. 9, 5-6).
Come il Verbo di Dio con l’Incarnazione si è fatto simile agli uomini in tutto, tranne che nel peccato (cfr. Eb. 4, 15), così il Vangelo assume tutti i valori umani e culturali, ma rifiuta di prendere corpo nelle strutture di peccato. Ciò significa che più abbonda il peccato individuale e collettivo in una comunità umana o ecclesiale, meno c’è posto per l’inculturazione. Al contrario, più una comunità cristiana risplende di santità e irradia i valori evangelici, più in essa aumentano le possibilità di un’inculturazione del messaggio cristiano. Pertanto l’inculturazione della fede è una sfida che dipende dalla santità. Essa permette di verificare il grado di santità e il livello di penetrazione del Vangelo e della fede in Gesù Cristo all’interno di una comunità cristiana. L’inculturazione, dunque, non è folklore religioso. Nella sua essenza, l’inculturazione non si realizza con l’uso nella liturgia e nei sacramenti delle lingue locali, degli strumenti e della musica latino-americana, di danze africane o di riti e simboli africani o asiatici. L’inculturazione è Dio che scende ed entra nella vita, nei comportamenti morali, nelle culture e nei costumi degli uomini per liberarli dal peccato e introdurli alla Vita Trinitaria. Certo, la fede ha bisogno di una cultura per essere comunicata. È per questo che san Giovanni Paolo II [1978-2005] ha affermato che una fede che non diventa cultura è una fede che muore. «L’inculturazione nel suo retto processo dev’essere guidata da due princìpi: “La compatibilità col Vangelo e la comunione con la chiesa universale”».
Mi sono soffermato sul primo articolo della Costituzione sulla Sacra Liturgia perché è molto importante che leggiamo davvero Sacrosanctum Concilium nel suo contesto, come un documento che doveva promuovere uno sviluppo legittimo — tale era l’uso più ampio delle lingue volgari — in continuità con la natura, l’insegnamento e la missione della Chiesa nel mondo moderno. Non dobbiamo leggere in questo documento cose che in esso non si trovano. I Padri non avevano l’intenzione di fare la rivoluzione, ma di promuovere un’evoluzione, una riforma moderata.
Le intenzioni dei Padri del Concilio sono espresse chiaramente in altri passaggi-chiave. L’articolo 14 è uno dei più importanti di tutta la Costituzione:
«È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato” (1 Pt 2, 9; cfr. 2, 4-5), ha diritto e dovere in forza del battesimo. A tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia. Essa infatti è la prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d’anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di ottenerla attraverso un’adeguata formazione. Ma poiché non si può sperare di ottenere questo risultato, se gli stessi pastori d’anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri, è assolutamente necessario dare il primo posto alla formazione liturgica del clero».
In questo brano ascoltiamo la voce dei Papi così come essa si esprimeva prima del Concilio, in vista di una partecipazione reale e fruttuosa alla liturgia. Per ottenere quest’ultima, tuttavia, si è rivelato necessario e urgente porre l’accento su un insegnamento liturgico e una formazione liturgica che siano approfonditi. A questo riguardo i Padri danno prova di un realismo che forse è stato perduto negli anni successivi. Ascoltiamo ancora le parole del Concilio e pesiamo la loro importanza: «non si può sperare di ottenere questo risultato [la partecipazione attiva] se gli stessi pastori d’anime non saranno impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia e se non ne diventeranno maestri» (ibidem).
All’inizio dell’articolo 21 l’intenzione dei Padri del Concilio si manifesta con grande chiarezza. «Perché il popolo cristiano ottenga più sicuramente le grazie abbondanti che la sacra liturgia racchiude, la santa madre Chiesa desidera fare un’accurata riforma generale della liturgia». «Ut populus christianus in sacra Liturgia abundantiam gratiarum securius assequatur»: chi conosce il latino sa che il vocabolo ut indica uno scopo chiaro, verso cui ci si dirige quasi immediatamente. Qual era l’intenzione dei Padri del Concilio? Che il popolo cristiano ottenesse con maggiore sicurezza le grazie abbondanti che vengono dalla liturgia. Come si proponevano di raggiungere questo obiettivo? Intraprendendo con zelo una restaurazione generale della liturgia stessa: «ipsius Liturgiae generalem instaurationem sedulo curare cupit». Potete notare bene come i Padri parlino di una «restaurazione», non di una «rivoluzione»!
Una delle espressioni più chiare e più belle che rivelano le intenzioni dei Padri del Concilio si trova all’inizio del secondo capitolo della Costituzione, dove si affronta il mistero della Santissima Eucarestia. Si può allora leggere l’articolo 48: «Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti».
Fratelli e sorelle, ecco qual era l’intenzione dei Padri del Concilio. Certo, essi discussero e votarono sui modi specifici con cui realizzare i loro scopi. Ma dobbiamo essere chiari: le riforme dei riti proposte nella Costituzione — quali il ripristino della preghiera dei fedeli nella Messa (n. 53), l’estensione della facoltà della concelebrazione (n. 57), la semplificazione richiesta negli articoli 34 e 50 — sono tutte subordinate alle intenzioni fondamentali dei Padri conciliari che ho appena messo in luce. Si tratta di mezzi orientati verso un fine ed è il fine che occorre realizzare.
Se vogliamo avanzare verso un’autentica attuazione di Sacrosanctum Concilium, questi sono gli obiettivi e i fini che dobbiamo tenere a mente prima di tutto e sopra ogni altra cosa. È possibile che certe riforme dei riti e certe regole liturgiche, se studiate con uno sguardo nuovo e con il beneficio dell’esperienza di questi ultimi cinque decenni, si mostrino sotto una luce diversa. Se oggi, per «[…] far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli» e per «[…] chiamare tutti nel seno della Chiesa», alcune riforme devono essere riconsiderate, chiediamo allora al Signore di donarci l’amore, l’umiltà e la saggezza di farlo.
C. Che cosa è successo dopo la promulgazione di Sacrosanctum Concilium?
Rilevo la necessità di confrontare ancora la Costituzione sulla Sacra Liturgia con la riforma che ha fatto seguito alla sua promulgazione, perché non penso che possiamo onestamente leggere oggi anche solo il primo articolo di Sacrosanctum Concilium ed essere soddisfatti di ciò che è stato fatto.
Fratelli, dove sono i fedeli di cui parlavano i Padri conciliari? Molti fedeli del passato ieri sono oggi «infedeli». Non vanno più del tutto a Messa. Per riprendere le parole di san Giovanni Paolo II: «“L’aver dimenticato Dio ha portato ad abbandonare l’uomo”, per cui “non c’è da stupirsi se in questo contesto si è aperto un vastissimo spazio per il libero sviluppo del nichilismo in campo filosofico, del relativismo in campo gnoseologico e morale, del pragmatismo e finanche dell’edonismo cinico nella configurazione della vita quotidiana”. La cultura europea dà l’impressione di una “apostasia silenziosa” da parte dell’uomo sazio che vive come se Dio non esistesse». Cos’è avvenuto dell’unità che il Concilio sperava di realizzare? Non l’abbiamo ancora conseguita. Abbiamo fatto dei progressi concreti nell’appello lanciato all’umanità intera perché entrasse a fare parte della grande famiglia della Chiesa? Penso di no. Eppure, abbiamo fatto molto nel campo della liturgia.
Nei miei quarantasette anni di vita sacerdotale, e dopo oltre trentasei anni di ministero episcopale, posso attestare che molte comunità cattoliche e molti singoli fedeli vivono e pregano con fervore e gioia la liturgia tale com’è stata riformata dopo il Concilio, traendo da essa molti dei benefici — se non tutti — che i Padri conciliari avevano in mente. È un frutto magnifico del Concilio. Tuttavia, per esperienza personale — e ora nella mia veste di Prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti —, sono pure a conoscenza del fatto che attualmente esistono molte alterazioni della liturgia in numerosi luoghi della Chiesa. Molte situazioni potrebbero essere migliorate, così che gli obiettivi del Concilio potrebbero essere conseguiti. Prima di riflettere sui possibili miglioramenti, esaminiamo che cos’è successo dopo la promulgazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia.
Nel secolo XVI, il Papa Pio IV [1559-1565] aveva affidato la riforma liturgica voluta dal Concilio di Trento [1545-1563] a una commissione speciale che preparò la nuova edizione dei libri liturgici, infine promulgati dal Papa san Pio V [1566-1572]. Si tratta di una procedura perfettamente normale, ed è quella cui il beato Papa Paolo VI [1963-1978] decise di ricorrere, istituendo nel 1964 il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia. I tratti essenziali del lavoro svolto da tale commissione ci sono noti perché il suo segretario — mons. Annibale Bugnini [C.M. (1912-1982)] — li riporta nel suo libro di memorie.
Il lavoro di questa commissione per l’attuazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia è stato senza alcun dubbio soggetto a influenze, a ideologie e a nuove proposte che non si trovavano affatto nel testo di Sacrosanctum Concilium. Per esempio, è vero che il Concilio non aveva proposto l’introduzione di nuove preghiere eucaristiche, ma che quest’idea emerse e fu adottata e che, dunque, le nuove preghiere eucaristiche furono promulgate con l’autorità del Papa. È ugualmente vero — come mons. Bugnini dice chiaramente — che alcune preghiere e certi riti furono costruiti o rivisti in accordo allo spirito del tempo e, in particolare, a partire dalle sensibilità ecumeniche. Che si sia andati troppo lontano o meno oppure che ciò che è stato fatto abbia veramente favorito il raggiungimento degli obiettivi della Costituzione sulla Sacra Liturgia; o se — al contrario — questo abbia costituito un grave intralcio, sono tutti problemi che dobbiamo studiare. Mi rallegro che al giorno d’oggi gli studiosi vadano al cuore di questi temi. Tuttavia, è importante ricordare che il beato Papa Paolo VI giudicò idonee le riforme proposte dalla commissione e le promulgò. Con la sua autorità apostolica, le ha rese normative, assicurando loro legittimità e validità.
Comunque, mentre il lavoro ufficiale di riforma seguiva il suo corso, apparvero delle cattive e significative interpretazioni della liturgia, che misero radici in diversi luoghi del mondo. Tali abusi riguardanti la sacra liturgia aumentarono a causa di un’errata comprensione del Concilio. Ciò diede luogo a delle celebrazioni liturgiche soggettive, le quali erano maggiormente incentrate sulle aspirazioni delle singole comunità, piuttosto che sul culto sacrificale dovuto a Dio onnipotente. Il mio predecessore a capo della Congregazione, il cardinale Francis Arinze, chiamò questo tipo di celebrazioni le «Messe-fai-da-te». San Giovanni Paolo II ha finanche ritenuto necessario esprimere con le seguenti parole il suo disappunto e la sua tristezza, nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia, del 17 aprile 2003: «A questo impegno di annuncio da parte del Magistero ha fatto riscontro una crescita interiore della comunità cristiana. Non c’è dubbio che la riforma liturgica del Concilio abbia portato grandi vantaggi per una più consapevole, attiva e fruttuosa partecipazione dei fedeli al santo Sacrificio dell’altare. In tanti luoghi, poi, l’adorazione del santissimo Sacramento trova ampio spazio quotidiano e diventa sorgente inesauribile di santità. La devota partecipazione dei fedeli alla processione eucaristica nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo è una grazia del Signore che ogni anno riempie di gioia chi vi partecipa. Altri segni positivi di fede e di amore eucaristici si potrebbero menzionare.
«Purtroppo, accanto a queste luci, non mancano delle ombre. Infatti vi sono luoghi dove si registra un pressoché completo abbandono del culto di adorazione eucaristica. Si aggiungono, nell’uno o nell’altro contesto ecclesiale, abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento. Emerge talvolta una comprensione assai riduttiva del Mistero eucaristico. Spogliato del suo valore sacrificale, viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un incontro conviviale fraterno. Inoltre, la necessità del sacerdozio ministeriale, che poggia sulla successione apostolica, rimane talvolta oscurata e la sacramentalità dell’Eucaristia viene ridotta alla sola efficacia dell’annuncio. Di qui anche, qua e là, iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono a prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la sua fede. Come non manifestare, per tutto questo, profondo dolore? L’Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni.
«Confido che questa mia Lettera enciclica possa contribuire efficacemente a che vengano dissipate le ombre di dottrine e pratiche non accettabili, affinché l’Eucaristia continui a risplendere in tutto il fulgore del suo mistero».
Quanto più vi erano delle pratiche abusive, così c’erano delle reazioni ostili alle riforme ufficialmente promulgate dall’autorità pontificia. Alcuni ritennero che le riforme erano andate troppo lontano e troppo in fretta, altri le giudicarono sospette sul piano dottrinale. Si ricorda la controversia esplosa nel 1969 in seguito alla lettera inviata al beato Paolo VI dai cardinali Alfredo Ottaviani [1890-1979] e Antonio Bacci [1885-1971]. Essi esprimevano in tale documento delle serie inquietudini, e il Papa giudicò opportuno apportare alcune precisazioni dottrinali. Si tratta di problemi che devono essere studiati con cautela.
Ma c’era inoltre una realtà pastorale: che avessero delle buone ragioni o meno, alcune persone ritenevano di non potere o di non volere partecipare ai riti riformati. Costoro rimanevano all’esterno, oppure partecipavano solo alla liturgia non riformata, là dove riuscivano a trovarla, anche quando tali celebrazioni non erano autorizzate. Così, la liturgia divenne un segno di divisione all’interno della Chiesa cattolica, invece di essere il luogo dell’unità della medesima. Il Concilio non aveva voluto che la liturgia ci dividesse gli uni dagli altri! San Giovanni Paolo II operò per sanare questa divisione, con l’aiuto del cardinale Joseph Ratzinger, il quale — divenuto Papa Benedetto XVI [2005-2013] — cercò di facilitare la necessaria riconciliazione in seno alla Chiesa. Con il motu proprio del 7 luglio 2007 Summorum Pontificum, egli ha dichiarato che gli individui o i gruppi che desiderano attingere dalla forma antica del rito romano alle ricchezze ivi contenute, lo possono fare liberamente. Grazie alla Divina Provvidenza, è oggi possibile celebrare la nostra unità cattolica, al contempo rispettandoci e persino rallegrandoci della legittima diversità delle pratiche rituali.
Desidero infine osservare che nel mezzo del lavoro della riforma e di traduzione che ha avuto luogo dopo il Concilio — e sappiamo che una parte di questo lavoro è stata fatta troppo in fretta, spingendoci oggi a rivedere le traduzioni per renderle più fedeli al testo originale latino —, non è stata forse rivolta sufficiente attenzione alle intenzioni fondamentali dei Padri conciliari, affinché la partecipazione liturgica che desideravano fosse realizzata: cioè che i sacerdoti fossero «[…] impregnati, loro per primi, dello spirito e della forza della liturgia [diventandone] maestri» (n. 14). Sappiamo che un edificio costruito su fragili fondamenta è soggetto a danni, se non addirittura in pericolo di crollo.
Forse abbiamo costruito una liturgia nuova e moderna in volgare, ma se non l’abbiamo fatto su basi solide — se i seminaristi e il clero non sono «impregnati […] dello spirito e della forza della liturgia», come il Concilio pretendeva —, allora il popolo loro affidato non potrà mai essere formato. Occorre prestare attenzione alle parole dei Padri conciliari: sarebbe «futile» sperare in un rinnovamento liturgico senza una formazione liturgica approfondita. Senza una formazione essenziale, il clero potrebbe addirittura alterare la fede dei fedeli nel mistero eucaristico.
Non vorrei essere considerato eccessivamente pessimista. Lo dico nuovamente: ci sono molti laici, sacerdoti e religiosi per i quali la liturgia scaturita dalla riforma post-conciliare è fonte di uno straordinario zelo apostolico e spirituale. Per questo ringrazio il Signore Dio onnipotente. Eppure, partendo dalla breve analisi che ho posto alla vostra attenzione, sarete d’accordo con me — penso — nel riconoscere che possiamo fare meglio. La sacra liturgia deve veramente diventare il culmine e la fonte della vita e della missione della Chiesa oggi, nel secolo XXI, come i Padri conciliari hanno ardentemente desiderato.
In ogni caso, è questo ciò che Papa Francesco ci chiede di fare: «Al rendimento di grazie a Dio per quanto è stato possibile compiere, è necessario unire una rinnovata volontà di andare avanti nel cammino indicato dai Padri conciliari, perché rimane ancora molto da fare per una corretta e completa assimilazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia da parte dei battezzati e delle comunità ecclesiali. Mi riferisco in particolare all’impegno per una solida e organica iniziazione e formazione liturgica, tanto dei fedeli laici quanto del clero e delle persone consacrate».
D. Come dobbiamo procedere nel contesto attuale verso un’autentica attuazione di Sacrosanctum Concilium?
Alla luce degli auspici fondamentali dei Padri del Concilio e delle varie situazioni che abbiamo visto affiorare dopo il Concilio, vorrei presentare alcune considerazioni pratiche quanto al modo di mettere in opera più fedelmente Sacrosanctum Concilium nel contesto attuale. Sebbene io mi trovi alla guida della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, lo faccio in tutta umiltà, come sacerdote e come vescovo, nella speranza che esse susciteranno studi e riflessioni mature, come pure buone pratiche liturgiche, ovunque nella Chiesa.
Non vi sorprenderete se raccomando che possiamo anzitutto esaminare la qualità e la profondità della nostra formazione liturgica, ossia la maniera con cui abbiamo aiutato il clero, i religiosi e i laici a impregnarsi dello spirito e della forza della liturgia. Troppo spesso, supponiamo che i candidati al sacerdozio o al diaconato ne «sappiano» alquanto in materia liturgica. Tuttavia, il Concilio non ha insistito sulle conoscenze accademiche, sebbene — naturalmente — la Costituzione sulla Sacra Liturgia sottolinei l’importanza degli studi liturgici (cfr. nn. 15-17). La formazione liturgica è anzitutto ed essenzialmente una immersione nella liturgia, nel mistero profondo di Dio, nostro Padre beneamato. Si tratta di vivere la liturgia in tutta la sua ricchezza, d’inebriarsene bevendo a una fonte che non estingue mai la nostra sete per le sue delizie, le sue leggi e la sua bellezza, il suo silenzio contemplativo, la sua esultazione e adorazione, il suo potere di legarci intimamente a Colui che è all’opera nei e per i sacri riti della Chiesa.
Ecco perché coloro che sono in «formazione» per il ministero pastorale dovrebbero vivere la liturgia quanto più pienamente possibile nei seminari e nelle case di formazione. I candidati al diaconato permanente dovrebbero essere immersi in una intensa vita di preghiera liturgica per un tempo prolungato. Aggiungo che la celebrazione piena e ricca della forma antica del rito romano, l’usus antiquior, dovrebbe costituire una parte importante della formazione liturgica del clero. Senza di ciò, come iniziare a comprendere e a celebrare i riti riformati nell’ermeneutica della continuità, se non si è mai fatta l’esperienza della bellezza della tradizione liturgica che conobbero gli stessi Padri del Concilio e che ha forgiato così tanti santi durante i secoli? Una saggia apertura al mistero della Chiesa e alla sua ricca tradizione plurisecolare, e una umile docilità a ciò che lo Spirito Santo dice oggi alle Chiese, sono un vero segno che noi apparteniamo a Gesù Cristo: «Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”» (Mt 13,52).
Se realizziamo ciò, se i nostri nuovi sacerdoti e diaconi hanno veramente sete della liturgia, essi saranno in grado di formare quanti sono loro affidati, e questo anche se le circostanze e le possibilità della loro missione ecclesiale sono più modeste di quelle di un seminario o in una cattedrale. Conosco molti sacerdoti che in tali circostanze formano i loro fedeli nello spirito e nella forza della liturgia e le cui parrocchie sono degli esempi di grande bellezza liturgica. Dovremo ricordare che la nobile semplicità non è un minimalismo riduttore o uno stile negletto o volgare. Papa Francesco lo ricorda nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium: «La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi».
Secondariamente, ritengo si debba essere chiari a proposito della partecipazione alla liturgia, la participatio actuosa come l’ha chiamata il Concilio. Ciò ha generato molta confusione nel corso degli ultimi decenni. L’articolo 48 della Costituzione sulla Sacra Liturgia dice che «la Chiesa si preoccupa […] che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente». Per il Concilio, la partecipazione è anzitutto interiore, ottenuta «[…] comprendendolo bene [il mistero dell’Eucaristia] nei suoi riti e nelle sue preghiere». La vita interiore, la vita sprofondata in Dio e intimamente abitata da Dio, è la condizione indispensabile a una partecipazione fruttuosa e feconda ai santi misteri, che celebriamo nella liturgia. La celebrazione eucaristica dev’essere essenzialmente vissuta dall’interno. È all’interno di noi che Dio desidera incontrarci. I Padri conciliari volevano che i fedeli cantassero, che rispondessero al sacerdote, che assicurassero i servizi liturgici che competono loro. Ma i Padri insistevano ugualmente affinché i fedeli «[…] partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente» (n. 48).
Se comprendiamo la priorità d’interiorizzare la nostra partecipazione liturgica, eviteremo il rumoroso e pericoloso attivismo liturgico che s’incontra troppo spesso negli ultimi decenni. Non andiamo alla Messa per dare spettacolo, ma per unirci all’azione di Cristo attraverso un’interiorizzazione dei riti, preghiere, segni e simboli che fanno parte dei riti esteriori. Noi sacerdoti, potremmo ricordarcene più spesso degli altri, visto che la nostra vocazione è il servizio liturgico! Noi dobbiamo altresì formare gli altri, in particolare i bambini e i giovani, all’autentico significato della partecipazione, al modo di pregare la liturgia.
In terzo luogo, ho evocato il fatto che alcune riforme introdotte dopo il Concilio hanno potuto essere elaborate conformemente allo spirito del tempo. Da allora, un numero crescente di studi critici condotti da figli della Chiesa pongono il problema di sapere se ciò che è stato fatto attuava realmente i fini della Costituzione sulla Sacra Liturgia o se, in realtà, queste riforme hanno mancato l’obiettivo. Questo dibattito prende talora forma sotto il nome di «riforma della riforma», e so che don Thomas Kocik ha presentato uno studio erudito sull’argomento in occasione del convegno Sacra Liturgia svoltosi a New York l’anno scorso.
Io non ritengo che si possa squalificare la possibilità o l’opportunità di una riforma ufficiale della riforma liturgica. I suoi promotori avanzano delle considerazioni giudiziose nel loro tentativo di essere fedeli all’auspicio del Concilio espresso al n. 23 della Costituzione sulla Sacra Liturgia, in cui si propone di «[…] conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via ad un legittimo progresso». Occorrerà sempre iniziare con un accurato studio teologico, storico, pastorale, affinché «[…] non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti» (ibidem).
Onde supportare quanto detto, desidero aggiungere che quando sono stato ricevuto in udienza dal Santo Padre lo scorso aprile, Papa Francesco mi ha chiesto di studiare la questione di una riforma della riforma e il modo in cui le due forme del rito romano potrebbero arricchirsi reciprocamente. Sarà un lavoro lungo e delicato e vi chiedo la pazienza e l’assistenza delle vostre preghiere. Se vogliamo mettere in opera più fedelmente Sacrosanctum Concilium, se vogliamo realizzare ciò che il Concilio auspicava, è un problema che dev’essere studiato con attenzione ed esaminato con la chiarezza e la prudenza richieste, nella preghiera e nella sottomissione a Dio.
Noi, sacerdoti e vescovi, abbiamo una grande responsabilità. Quanto il nostro esempio virtuoso produce buone pratiche liturgiche, così pure la nostra negligenza, la nostra consuetudine o i nostri cattivi modi di fare, feriscono la Chiesa e la sua liturgia!
Noi sacerdoti dobbiamo essere prima di tutto dei ministri del culto. I fedeli sanno distinguere un prete che celebra con fede da un altro che celebra di fretta, compulsando l’orologio, manifestando forse con questo che vuole tornare alle sue attività pastorali, ad altri impegni, o magari ad andare a guardare la televisione quanto prima! Fratelli miei nel sacerdozio, nulla è più importante che celebrare i santi misteri. Facciamo attenzione alla tentazione di celebrare con indolenza o tiepidezza, perché si tratta di una tentazione del diavolo.
Dobbiamo ricordarci che non siamo i maestri della liturgia, ma i suoi umili ministri, soggetti a una disciplina e a delle leggi. Siamo responsabili della formazione di coloro i quali ci assistono nel servizio liturgico, sia per quanto riguarda lo spirito e la forza della liturgia, sia per quanto attiene alle sue leggi. Ho visto talora dei sacerdoti spostarsi e mettersi a lato per lasciare a dei ministri straordinari il compito di distribuire la santa comunione. Ciò non è accettabile, perché si tratta sia di una negazione del ministero sacerdotale, sia di una clericalizzazione dei laici. Quando questo avviene, è il segno che la formazione è stata particolarmente mediocre (cfr. Mt. 14,18-21) e ciò dev’essere corretto. «Prese i cinque pani e i due pesci […] e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro […]. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini» (Mc. 6,41-44).
Ho anche visto dei preti, dei vescovi, parati per celebrare la santa Messa, estrarre i loro telefoni o macchine fotografiche e servirsene nel corso della santa liturgia. Questo è rivelatore di ciò che essi credono di assumere come missione quando rivestono i paramenti liturgici, che ci ricoprono e ci trasformano in alter Christus e, ancora più profondamente, in ipse Christus, ovvero nel Cristo medesimo. È un sacrilegio. Nessun vescovo, prete o diacono, abbigliato per il servizio liturgico o presente nel santuario, dovrebbe scattare delle fotografie, anche in occasione di Messe con un grande concorso di concelebranti. Il fatto è che, tristemente, ciò accade spesso nel corso di queste Messe o, ancora, che dei sacerdoti parlino fra loro o che altri si siedano con noncuranza. A mio avviso, è urgente riflettere e porsi la domanda sull’appropriatezza di queste immense concelebrazioni, soprattutto se dei sacerdoti tengono dei comportamenti così scandalosi e indegni del mistero celebrato, o se la dimensione enorme di tali concelebrazioni conduce a un rischio di profanazione della Santa Eucarestia.
Ugualmente, è uno scandalo e una profanazione da parte dei fedeli laici scattare fotografie in occasione della celebrazione della Santa Eucaristia. Costoro devono partecipare con la preghiera e non trascorrendo il tempo a scattare fotografie!
Voglio lanciare un appello a tutti i sacerdoti. Forse avete letto il mio articolo su L’Osservatore Romano di un anno fa o la mia intervista al giornale Famille Chrétienne nel mese di maggio di quest’anno. In ciascuna di tali occasioni ho detto che è di primaria importanza tornare il più presto possibile a un orientamento comune dei sacerdoti e dei fedeli, rivolti insieme nella medesima direzione — verso Est, o perlomeno verso l’abside —, verso il Signore che viene, in tutte le parti del rito in cui ci si rivolge al Signore. Tale pratica è permessa dalle regole liturgiche attuali. Ciò è perfettamente legittimo nel nuovo rito. In effetti, penso che una tappa cruciale è di fare in modo che il Signore sia al centro delle celebrazioni.
Pertanto, cari fratelli nel sacerdozio, vi chiedo umilmente e fraternamente di mettere in opera questa pratica ovunque sia possibile, con la prudenza e la pedagogia necessarie, ma anche con la certezza, in quanto preti, che è una buona cosa per la Chiesa e per i fedeli. La vostra valutazione pastorale determinerà come e quando ciò sarà possibile, ma perché eventualmente non cominciare la prima domenica di Avvento di quest’anno, quando noi attendiamo il «Signore [che] viene senza tardare» (cfr. l’introito del mercoledì della prima settimana di Avvento)? Cari fratelli nel sacerdozio, prestiamo orecchio alle lamentazioni di Dio proclamate dal profeta Geremia: «A me rivolgono le spalle, non la faccia» (Ger. 2,27). Rivolgiamoci di nuovo verso il Signore! Dal giorno del suo battesimo, il cristiano non conosce che una direzione: l’Oriente. Ci ricorda sant’Ambrogio [339/340-397]: «Tu sei dunque entrato per guardare il tuo avversario, al quale hai deciso di rinunciare faccia a faccia, e ora ti volgi verso l’Oriente [ad Orientem]; poiché colui che rinuncia al diavolo si volge verso il Cristo, lo guarda dritto negli occhi».
Vorrei altresì molto umilmente e fraternamente lanciare un appello ai miei fratelli nell’episcopato: conducete in questo modo verso il Signore i vostri sacerdoti e i vostri fedeli, particolarmente in occasione delle grandi celebrazioni della vostra diocesi e nella vostra cattedrale. Formate i vostri seminaristi a questa realtà: non siamo chiamati al sacerdozio per essere, noi stessi, al centro del culto, ma per condurre i fedeli a Cristo come dei fedeli compagni uniti in una medesima adorazione. Incoraggiate questa semplice, ma profonda, riforma nelle vostre diocesi, nelle vostre cattedrali, nelle vostre parrocchie e nei vostri seminari.
In quanto vescovi, abbiamo una grande responsabilità, e un giorno ne dovremo rendere conto al Signore. Non possediamo nulla! Niente ci appartiene! Come insegna san Paolo, noi non siamo altro che «servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1Cor. 4,1-2). Dobbiamo assicurarci che la liturgia sia veramente rispettata nelle nostre diocesi e che i nostri sacerdoti e diaconi non solo osservino le regole liturgiche, ma che ugualmente conoscano lo spirito e la forza della liturgia da cui esse derivano. Sono stato fortemente incoraggiato leggendo il testo Il vescovo, governatore, promotore e guardiano della vita liturgica nella diocesi, presentato a Roma, nel 2013, in occasione della conferenza Sacra Liturgia, da Mons. Alexandre Sample, arcivescovo di Portland, nell’Oregon, negli Stati Uniti d’America. Invito fraternamente i vescovi a studiare con attenzione queste riflessioni.
Tutti i ministri della liturgia dovrebbero periodicamente fare un esame di coscienza. Per questo, raccomando la seconda parte dell’esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis di Benedetto XVI, del 22 febbraio 2007, «Eucaristia, mistero da celebrare». Sono quasi dieci anni che questa esortazione apostolica è stata pubblicata, come risultato collegiale del Sinodo dei vescovi del 2005. Quali progressi abbiamo fatto da allora? In quale direzione occorre avanzare? Dobbiamo farci queste domande in coscienza, ciascuno in maniera conforme alla sua responsabilità. Dopo di che, occorre ancora fare ciò che possiamo e che dobbiamo per realizzare la visione sottolineata da Papa Benedetto XVI.
Allo stadio attuale, mi sembra utile richiamare ciò che ho già detto altrove: Papa Francesco mi ha chiesto di continuare la straordinaria opera liturgica intrapresa da Benedetto XVI. Non è che, poiché abbiamo un nuovo Papa, la visione del suo predecessore è invalidata. Al contrario, il Santo Padre Francesco ha un immenso rispetto per la visione liturgica e le misure messe in atto dal Papa emerito Benedetto XVI, nella scrupolosa fedeltà alle intenzioni e agli obiettivi dei Padri conciliari.
Prima di concludere, consentitemi di menzionare altri modi, più modesti, di contribuire alla più fedele attuazione di Sacrosanctum Concilium. Il primo è che dobbiamo cantare la liturgia, ovvero cantare i testi liturgici, rispettare le tradizioni liturgiche della Chiesa e apprezzare il vasto tesoro — che è il nostro — della musica sacra, in particolare la musica propria del rito romano, cioè il canto gregoriano. Dobbiamo cantare la musica sacra propria della liturgia, e non una semplice musica religiosa, o ancora peggio, dei canti profani.
Dobbiamo trovare un buon equilibrio fra le lingue volgari e l’uso del latino nella liturgia. Il Concilio non ha mai avuto l’intenzione d’insinuare che il rito romano fosse esclusivamente celebrato in lingua volgare. Aveva l’intenzione di accrescerne l’utilizzo, in particolare per le letture. Oggi dovrebbe essere possibile, in particolare con i mezzi di stampa moderni, facilitare la comprensione da parte di tutti quando nella liturgia eucaristica è usato il latino. Il latino è inoltre particolarmente appropriato per gl’incontri internazionali, quando la lingua volgare non è compresa da tutti. Evidentemente, quando è adottata la lingua volgare, essa dev’essere accompagnata da una traduzione fedele dell’originale latino, come Papa Francesco me lo ha recentemente riaffermato.
Dobbiamo assicurare che l’adorazione sia al cuore delle nostre celebrazioni liturgiche. Il cuore della liturgia è l’adorazione di Dio. Troppo spesso non ci muoviamo dalla celebrazione verso l’adorazione. Ora, se non lo facciamo, ho timore che non partecipiamo sempre pienamente e interiormente alla liturgia. Due disposizioni fisiche sono utili, addirittura indispensabili. La prima è il silenzio. Se non sono mai in silenzio, se la liturgia non mi dà lo spazio per pregare in silenzio e contemplare, come posso adorare Cristo? Come posso incontrarlo nel mio cuore e nella mia anima? Il silenzio è molto importante, e non soltanto prima o dopo la liturgia. Esso è il fondamento di ogni vita spirituale profonda.
Parimenti si dica dell’inginocchiamento durante la consacrazione (a meno di essere malati): è essenziale. In Occidente è un atto fisico d’adorazione che ci umilia davanti al nostro Dio e Signore. È in sé un atto di preghiera. Là dove l’inginocchiamento e la genuflessione sono scomparsi nella liturgia, devono essere ristabiliti, in particolare per la ricezione di nostro Signore nella santa comunione. Cari sacerdoti, ogni volta che è possibile, con la prudenza pastorale di cui ho parlato in precedenza, formate i vostri fedeli a questo bell’atto di adorazione e d’amore, Inginocchiamoci per adorare e amare nuovamente il Signore nell’Eucaristia!
«L’uomo non è pienamente uomo che mettendosi in ginocchio davanti a Dio per adorarlo, per contemplare la sua santità accecante e lasciarsi rimodellare a sua immagine e somiglianza».
Trattandosi della ricezione della Santa Comunione in ginocchio, desidero ricordare la lettera del 2002 della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, che afferma chiaramente che «qualsiasi rifiuto della Santa Comunione a un fedele sulla base del suo modo di presentarsi è una grave violazione di uno dei più fondamentali diritti del fedele cristiano».
Vigilare sull’abbigliamento conveniente di tutti i ministri della liturgia nel santuario, compresi i lettori, è altresì importante, se vogliamo che costoro siano considerati autentici ministri. Questi servizi devono essere svolti con la buona educazione dovuta alla sacra liturgia e gli stessi ministri devono mostrare la conveniente riverenza per Dio e per i misteri che servono.
Ecco espressi alcuni suggerimenti: sono certo che se ne potrebbero fare molti altri. Ve li offro come altrettanti modi possibili di procedere per «un movimento verso la liturgia e verso una sua corretta celebrazione, esteriore ed interiore». Ciò che era certamente l’auspicio espresso dal cardinale Ratzinger all’inizio della sua grande opera Introduzione allo spirito della liturgia. V’incoraggio a fare tutto ciò che è nelle vostre possibilità per realizzare questo fine, che è in perfetto accordo con quello della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II.
Conclusione
Ho iniziato questo intervento con un richiamo dell’insegnamento dei papi del secolo XX sulla sacra liturgia. Il primo di essi, san Pio X, aveva quale divisa personale «Instaurare omnia in Christo». Suggerisco che riprendiamo queste parole e ne facciamo il nostro principio, mentre lavoriamo per un’attuazione più fedele di Sacrosanctum Concilium. Se, quando andiamo a Messa, penetriamo nel pensiero di Cristo, se indossiamo Cristo come un’alba battesimale o le vesti proprie al nostro ministero liturgico, non ci possiamo ingannare.
È sfortunatamente vero che nella vita liturgica della Chiesa, come affermava san Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia, «accanto a queste luci, non mancano delle ombre». È nostro dovere affrontare la causa di questi problemi. Ma è una fonte di grande speranza e di gioia che oggi, mentre il secolo XXI segue il suo corso, molti fedeli cattolici sono convinti dell’importanza della liturgia nella vita della Chiesa e si dedicano essi stessi a un apostolato liturgico, ciò che può essere generalmente chiamato un nuovo movimento liturgico.
Fratelli, vi ringrazio per il vostro impegno in favore della sacra liturgia. V’incoraggio e vi benedico nei vostri sforzi, considerevoli o modesti, per «un movimento verso la liturgia e verso una sua corretta celebrazione, esteriore ed interiore». Perseverate in questo apostolato: la Chiesa e il mondo ne hanno bisogno!
Vi chiedo di pregare per me e per il ministero che mi è affidato.
Vi ringrazio. Dio vi benedica.
Note:
(1) Francesco, Messaggio ai partecipanti al Simposio «Sacrosanctum Concilium. Gratitudine e impegno per un grande movimento ecclesiale», del 18-2-2014, nel sito web <http://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2014/documents/papa-francesco_20140218_messaggio-simposio-sacrosanctum-concilium.html>. Tutti i siti web citati nelle note al testo sono stati consultati il 30-11-2016.
(2) San Pio X, Motu proprio «Tra le sollecitudini» sulla musica sacra, del 22-11-1903, nel sito web <http://w2.vatican.va/content/pius-x/it/motu_proprio/documents/hf_p-x_motu-proprio_19031122_sollecitudini.html>.
(3) Pio XI, Bolla «Divini cultus», del 20-12-1928, nel sito web <http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/bulls/documents/hf_p-xi_bulls_19281220_divini-cultus.html>.
(4) Pio XII, Lettera enciclica «Mediator Dei» sulla sacra liturgia, del 20-11-1947, n. 20, nel sito web <http://w2.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_20111947_mediator-dei.html>.
(5) Ibid., n. 171.
(6) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione sulla sacra liturgia «Sacrosantum Concilium», del 4-12-1963, nel sito web <http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html>. Da questo punto in avanti, i numeri dei paragrafi fra parentesi tonde s’intendono riferiti a questo documento.
(7) Joseph Ratzinger, Die organische Entwicklung der Liturgie, in 30Tage in Kirche und Welt, dicembre 2004, pp. 46-49 [p. 49], trad. it. in Opera Omnia, vol. 11, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, pp. 788-794 [p. 793].
(8) Cfr. Giovanni XXIII, Litterae apostolicae motu proprio datae «Rubricarum instructum» novum rubricarum Breviarii et Missalis Romani corpus approbatur, del 25-7-1960; in Acta Apostolicae Sedis, vol. LII, 1960, pp. 593-595; nel sito web <http://w2.vatican.va/content/john-xxiii/la/motu_proprio/documents/hf_j-xxiii_motu-proprio_19600725_rubricarum-instructum.html>.
(9) San Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Redemptoris missio» circa la permanente validità del mandato missionario, del 7-12-1990, n. 54; nel sito web <http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_07121990_redemptoris-missio.html>.
(10) Idem, Esortazione apostolica post-sinodale «Ecclesia in Europa» su Gesù Cristo, vivente nella sua Chiesa, sorgente di speranza per l’Europa, del 28-6-2003, n. 9; nel sito web <http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_20030628_ecclesia-in-europa.html>.
(11) Cfr. Annibale Bugnini, La riforma liturgica [1948-1975], n. ed. riveduta e arricchita di note e di supplementi per una lettura analitica, CLV. Centro Liturgico Vincenziano-Edizioni Liturgiche, Roma 1997.
(12) San Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Ecclesia de Eucharistia» sull’Eucarestia nel suo rapporto con la Chiesa, del 17-4-2003, n. 10; nel sito web <http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_20030417_eccl-de-euch.html>.
(13) Cardd. Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, Lettera di presentazione a Paolo VI, in Iidem, Breve esame critico del «Novus ordo Missae», in Cristianità, anno IV, n. 19-20, Piacenza settembre-dicembre 1976, pp. 7-12.
(14) Benedetto XVI, Lettera apostolica motu proprio data «Summorum Pontificum», del 7-7-2007, nel sito web <http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20070707_summorum-pontificum.html>.
(15) Francesco, Messaggio ai partecipanti al simposio «Sacrosanctum Concilium». Gratitudine e impegno per un grande movimento ecclesiale», cit.
(16) Francesco, Esortazione apostolica «Evangelii gaudium» sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, del 24-11-2013, n. 24.
(17) Cfr. Thomas Kocik, The Reform of the Reform, intervento tenuto il 2-6-2015 al convegno Sacra Liturgia, culmen et fons vitae e missionis Ecclesiae, New York, 1/4-6-2015, in Alcuin Reid (a cura di), Liturgy in the Twentieth-First Century. Contemporary issues and Perspectives, Bloomsbury, London-Oxford-New York-New Dehli-Sydney 2016, pp. 19-50.
(18) Cfr. il mio articolo Silenziosa azione del cuore, in L’Osservatore Romano. Giornale Quotidiano Politico Religioso, Città del Vaticano 12-6-2015.
(19) Cardinal Sarah: comment remettre Dieu au cœur de la liturgie, intervista di Aymeric Pourbaix, in Famille Chrétienne, n. 2002, 23-5-2016; nel sito web <http://www.famillechretienne.fr/vie-chretienne/liturgie/cardinal-sarah-comment-remettre-dieu-au-caeur-de-la-liturgie-194987>.
(20) Cfr. «Il Signore viene, / non tarderà: / svelerà i segreti delle tenebre, / si farà conoscere a tutti i popoli».
(21) Cit. in Manlio Sodi, S.D.B., Alessandro Toniolo (a cura di), Descendit Christus, descendit et Spiritus: l’iniziazione alla vita cristiana in Ambrogio da Milano. Spiegazione del Credo, i Sacramenti, i Misteri, Explanatio Symboli, De Sacramentis, De Mysteriis, presentazione di Cesare Alzati, Lateran University Press, Città del Vaticano Roma 2016.
(22) In La Sacra Liturgia: Fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, Edizioni Cantagalli, Siena 2016.
(23) Cfr. Benedetto XVI, Esortazione apostolica «Sacramentum caritatis» sull’Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, del 22-9-2007.
(24) Cfr. il mio messaggio al convegno Sacra Liturgia, culmen et fons vitae e missionis Ecclesiae, New York, 1/4-6-2015, in A. Reid (a cura di), Liturgy in the Twentieth-First Century. Contemporary issues and Perspectives, cit., pp. XV-XVII (p. XVI).
(25) Cfr. il mio En route vers Ninive, Editions Médiaspaul, Kinshasa (Congo) 2011, p. 196.
(26) Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti, Lettera del 1° luglio 2002, in Notitiae. Commentarii ad nuntia de re liturgica edenda, n. 436, Roma novembre-dicembre 2002, p. 583.
(27) Cfr. J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, trad. it., Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2001, p. 6.
(28) San Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Ecclesia de Eucharistia» sull’Eucarestia nel suo rapporto con la Chiesa, cit., n. 10.