di Mario Vitali
La Cappella delle Scrovegni a Padova è considerata una delle opere più belle dell’arte universale.
L’edificio è stato fatto costruire dalla ricca famiglia degli Scrovegni nel 1300 e affrescato interamente dal grande pittore e architetto Giotto di Bondone (1266-1377), a propria volta allievo del maestro Cimabue (Cenni di Pepo 1240 ca.-1302).
La storia della Cappella e della famiglia che la fece edificare è assai complessa, ma, al di là, delle vicende umane, resta unica per bellezza.
Enrico degli Scrovegni (+1336) affidò a Giotto la realizzazioni degli affreschi in riparazione del peccato di usura praticato dal padre, Rinaldo di Ugolino (+1288-90), che Dante Alighieri (1265-1321) nella Divina commedia destinò aal VII° cerchio dell’inferno (canto XVII). La cappella è dedicata alla Madonna della Carità.
Il meraviglioso ciclo di affreschi fu realizzato dal 1303 al 1305, e costituisce un testo visivo dei più importanti racconti della storia della salvezza che includono scene tratte delle Sacre Scritture, e che si concludono con il Giudizio Universale e il destino delle anime e dei corpi risorti dopo la morte.
Il ciclo pittorico, incentrato sul tema della salvezza, che sembra richiamare la spiritualità agostiniana, ha inizio dall’Arco Trionfale dove Dio decide la riconciliazione con l’umanità riparando il peccato di Adamo tramite il sacrificio di suo Figlio fatto uomo. Prosegue con le storie di Gioacchino ed Anna, gli episodi della vita di Maria, con le scene dell’Annunciazione e della Visitazione, cui seguono racconti della vita di Gesù. L’ultimo riquadro della Storia Sacra è la Pentecoste. Il coronamento del ciclo è il grandioso Giudizio Universale.
Al di sotto di tutti gli affreschi si trovano le figure monocromatiche che rappresentano le virtù, le quattro cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza, e le tre teologali: Fede, Speranza e Carità; di fronte a ciascuna di esse i vizi che contraddicono le virtù: Stoltezza, Ingiustizia, Incostanza, Ira, Infedeltà, Disperazione e Invidia.
Queste figure sono poste da Giotto in stretta relazione con il Giudizio Universale, secondo un percorso che conduce all’inferno o al paradiso.
Osservando l’insieme della rappresentazione sacra si ha quindi l’impressione che la Salvezza offertaci da Dio tramite il sacrificio di Cristo richieda la partecipazione libera degli uomini a voler essere salvati tramite lo sforzo nel perseguire il bene (virtù) e combattere il male (vizi). Giotto ha disposto le figure indicando un percorso di salvezza, nel quale si possono curare i vizi tramite le virtù.
La contemplazione dell’opera di Giotto non lascia scampo a facili soluzioni che ci pongano in una situazione di rilassamento di fronte alla scelta tra il bene e il male
Il momento storico che stiamo vivendo è caratterizzato da una volontà di attuare un progetto di contro-educazione che tende a dissolvere il senso del bene e ad affermare come legittima la pratica del male, provocando l’allontanamento dell’uomo da Dio.
Purtroppo il termine virtù nel linguaggio comune, e spesso anche quello della predicazione, sembra dimenticato e la scomparsa di un termine dal linguaggio denota molto spesso la scomparsa del concetto che il termine vuole indicare.
La visione di Giotto trova una conferma nel Catechismo della Chiesa Cattolica che, al n° 1803, recita “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri » (Fil 4,8). La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Essa consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete: “Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simili a Dio” (San Gregorio di Nissa, De beatitudinibus, oratio 1: Gregorii Nysseni opera, ed. W. Jaeger, v. 72 (Leiden 1992) p. 82 (PG 44, 1200).”
La Chiesa Cattolica mantiene quindi la fermezza sul proposito che tutti gli uomini devono cercare con impegno di conseguire il bene, non si limita a parlare di coltivare un desiderio o aspirazione generici, essa afferma che ogni uomo deve porsi nella disposizione abituale e ferma a conseguire il bene concretamente nella vita di ogni giorno. Queste affermazioni forti non contraddicono l’atteggiamento misericordioso che Dio ha nei confronti della debolezza umana, del resto ben presente nel ciclo di Giotto, ma al contrario alimenta la speranza che nonostante le nostre fragilità noi non siamo lasciati soli.
Sabato, primo febbraio 2020