Marco Invernizzi, Cristianità n. 384 (2017)
Alleanza Cattolica fra Sessantotto e «morte» della cristianità
Relazione, rivista e annotata, del reggente nazionale al Capitolo generale di Alleanza Cattolica svoltosi a Roma l’11 e il 12 febbraio 2017.
È disponibile la terza edizione del Direttorio di Alleanza Cattolica, prima ristampa della seconda edizione, apparsa nel 2011. Era il 1977 quando venne distribuita a Modena, in un Capitolo nazionale, la prima edizione. Alleanza Cattolica esisteva ormai dagli anni Sessanta del secolo scorso e la sua rivista ufficiale, Cristianità, aveva cominciato le pubblicazioni nel 1973: eppure, nonostante la giovane età, l’associazione — e la sua rivista — aveva già prodotto alcuni effetti importanti nella vita pubblica italiana.
È questa un’occasione quindi per ripercorrere brevemente la storia dell’associazione.
Una presenza di contro-rivoluzionari
La prima conseguenza della sua nascita era la presenza in Italia di una realtà organizzata che si ispirava alla scuola cattolica contro-rivoluzionaria. Dopo anni di contatti a livello europeo e internazionale con il mondo cosiddetto del cattolicesimo tradizionale, Alleanza Cattolica nasceva con una propria struttura originale che le permetteva di radicarsi in buona parte del territorio nazionale attraverso la presenza di piccoli gruppi, chiamati «croci», che si riunivano regolarmente e che cercavano di avere la massima omogeneità culturale possibile al fine di operare più efficacemente dentro gli ambienti dove l’associazione era nata.
Bisogna forse risalire ai circoli delle Amicizie Cristiane, vissute tra la fine del secolo XVIII e i primi decenni di quello successivo, e, più di recente, ai gruppi che diedero vita alla rivista Fede e Ragione, che uscì in Toscana dal 1919 al 1929 (1), per trovare una presenza organizzata in qualche modo riconducibile alla scuola contro-rivoluzionaria, presenza che comunque cessò di esistere in forma strutturata in Italia dopo il Concordato del 1929 (2).
Il legame con il movimento cattolico e il mondo conservatore
Alleanza Cattolica non intendeva essere una realtà distaccata dal resto del movimento cattolico, ma voleva portare dentro di esso un contributo originale, che a quel tempo non esisteva. Giovanni Cantoni, il fondatore, fu sempre molto attento a non staccare mai la sua creatura dal mondo di riferimento, che era il mondo cattolico, nelle sue diverse articolazioni, e dal mondo conservatore, italiano e internazionale, in politica, ancorché senza opzioni ed esclusivismi partitici. In questo senso, il primo numero di Cristianità riprese nel suo titolo di prima pagina, non a caso, l’antico motto della prima azione cattolica, quella nata nel dramma del Risorgimento, e precisamente nel 1867, cioè le tre parole: «preghiera, azione, sacrificio» (3).
Il richiamo al Risorgimento non è casuale, perché il primo libro in qualche modo riconducibile alle attività editoriali di Alleanza Cattolica riguarda proprio il Risorgimento, e in particolare i contenuti inaccettabili che promossero quella unificazione nazionale, che sempre rimarrà un tema centrale nella riflessione dell’associazione (4).
L’Italia moderna
Se il Risorgimento era il punto di partenza della riflessione sull’Italia moderna — per la quale rimane fondamentale l’analisi svolta da Giovanni Cantoni del 1972 (5) —, l’anticomunismo era invece il principale «coagulo» culturale e politico dal quale partiva l’azione di apostolato di Alleanza Cattolica, attraverso un itinerario che avrebbe dovuto portare alla fine le persone ad aderire all’associazione e a presenziare costantemente alle riunioni delle croci, ma che cominciava attraverso la partecipazione a seminari di formazione anticomunista, perché allora questo era il problema maggiormente sentito e che suscitava le più grandi reazioni nella gente.
Un anticomunismo, dunque, «pensato», ricco di spessore culturale, che la destra politica del tempo comprese poco e che la Democrazia Cristiana avversò profondamente, peraltro ricambiata.
Molti giovani si raccolsero così attorno all’aquila dal cuore crociato, simbolo dell’associazione, attratti da un cristianesimo militante e sincero, ancorché ancora in lotta interiore contro i virus che provenivano dalle ideologie, che colpivano tutti, indistintamente, a destra e a sinistra, ma anche al centro dello schieramento politico.
Quei giovani poi si convertirono veramente, abbandonando progressivamente le loro origini ideologiche, qualunque esse fossero, per approdare alla Chiesa cattolica e al suo insegnamento, attirati in modo particolare dalla «bianca signora», che da Fatima, ma non soltanto da Fatima, li affascinava profondamente, come la Dama da seguire e da servire, per ricambiare con un grande amore la sua premurosa protezione, che non mancò mai (6).
La scoperta della fede
Molti giovani scoprirono o riscoprirono grazie ad Alleanza Cattolica la straordinaria gioia di appartenere a Cristo, di riceverne la grazia attraverso i sacramenti della Confessione e dell’Eucarestia, che molti di essi avevano abbandonato dopo l’infanzia.
Qui, però, dentro il corpo della Madre riscoperta, trovarono la divisione. Sì, la Chiesa era allora divisa e si era divisa intorno a un tentativo di riformarla per renderla più capace di convertire il mondo moderno. Il tentativo era stato il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), e le divisioni fra una maggioranza e una minoranza dei prelati che partecipavano ai lavori erano cominciate già all’interno dell’assise conciliare, ma la lotta si svolse soprattutto negli anni successivi, durante il cosiddetto post-Concilio.
Furono anni difficili, come quelli attuali peraltro, resi specialmente tali dalla difficoltà relativa all’interpretazione dei documenti conciliari, che tutti citavano enfaticamente o criticamente, ma che pochissimi avevano letto integralmente. Quei giovani che avevano aderito ad Alleanza Cattolica superarono nel tempo, con fatica e con sofferenza, quella stagione, grazie alla prudenza di Giovanni Cantoni, all’esperienza diretta vissuta da don Pietro Cantoni presso il seminario della Fraternità San Pio X a Ecône, in Svizzera, e a una decisione, che ricordo ancora con grande consolazione, anche perché è legata alla presenza di un caro amico scomparso, Enzo Peserico (1959-2008) (7): quella, presa finalmente nei primi anni 1980 da un gruppo di militanti, di leggere direttamente i documenti del Concilio superando le letture ideologiche tradizionaliste e progressiste, recandosi, in una umida estate, presso la parrocchia che don Cantoni reggeva in provincia di Massa-Carrara per «sudare insieme» leggendo la Lumen gentium, la Gaudium et spes, la Dignitatis humanae e così via.
La rottura con un certo mondo tradizionalista
Nel clima di egemonia progressista e dopo la rottura con la Fraternità San Pio X cominciarono così altri anni difficili, di grande solitudine, perché la decisione di rescindere ogni legame con la Fraternità guidata da mons. Marcel Lefebvre (1905-1991) tolse ad Alleanza Cattolica il supporto di un mondo piccolo ma reale e non valse a conquistarle il consenso del mondo cattolico ufficiale, che continuò a guardarla con sospetto e con distacco, con poche eccezioni, anche se significative. Quei giovani, che nel frattempo erano diventati adulti, impararono che cosa significa essere disprezzati da destra e da sinistra, con eguale e metodica intensità.
Ma, nel contempo e per diametrum, crebbe invece in loro un amore speciale alla Chiesa, al Santo Padre e al suo magistero. La mia è una testimonianza personale, che vale per quello che vale e che certamente non riguarda tutti gli altri militanti: certamente però quegli anni per me furono decisivi per quanto riguarda il rapporto con quel «prete speciale», come Giovanni Cantoni lo chiama, cioè il Pontefice. Un «prete speciale» da amare e da seguire nel suo magistero, a volte da accogliere e da accettare con e nonostante la sua cultura, con le debolezze che ogni uomo, anche un Papa, possiede in misura maggiore o minore.
Nel frattempo il mondo andava avanti e anche la Rivoluzione — il processo di apostasia delle nazioni occidentali dalla legge di Cristo, contro cui l’associazione era schierata — era arrivata a un bivio, a una condizione che fu all’origine di una nuova parte, la quarta, del saggio del pensatore e uomo d’azione brasiliano Corrêa de Oliveira, scritto vent’anni dopo il testo originario, che nel 1977 giungeva così alla sua terza edizione italiana (8). Nel nuovo capitolo, infatti, il leader cattolico poneva una precisa domanda: la Rivoluzione tenterà di portare il comunismo alla conquista del mondo, magari attraverso una guerra nucleare, oppure sceglierà una quarta fase, attiva in interiore homine, iniziata con la rivoluzione culturale del 1968, il cosiddetto «Sessantotto», come poi effettivamente avvenne?
Le «resistenze dimenticate»
Si era ormai negli anni 1980 e Alleanza Cattolica cominciò a dedicare una particolare attenzione alle cosiddette «resistenze dimenticate» (9) che avevano come teatro i Paesi comunisti, costituendo un’associazione apposita, la sezione italiana della Conferenza Internazionale delle Resistenze nei Paesi Occupati, la CIRPO, fondata in Francia dall’amico, giornalista francese, Pierre Faillant de Villemarest (1922-2008) (10), che aveva avuto l’intuizione di mettere in contatto e di dare voce a questi uomini e a queste donne che erano stati abbandonati dai potenti dell’Occidente, almeno fino all’elezione nel 1981 del presidente statunitense Ronald Wilson Reagan (1911-2004). E, fra queste resistenze, permettetemi di ricordarne una di segno diverso, che per certi versi anticipò un nuovo problema, quello islamico, e per altri segnò invece il tramonto di una bella esperienza politica, tanto lodata da san Giovanni Paolo II (1978-2005), il Libano, Svizzera del Medio Oriente, oasi di pace e di libertà, che a partire dal 1975 venne «castigata», forse anche per le sue colpe, da una guerra civile interminabile e feroce, che costò la morte di un’intera classe dirigente di cristiani, soprattutto maroniti, la confessione originaria della nazione che prendeva il nome dal monaco san Marone (?-410 ca.).
L’Ottantanove
Ma il 1989 era imminente. Venne preceduto e in qualche modo favorito dall’esperienza polacca (11), dove si verificò, in seguito al viaggio pastorale di san Giovanni Paolo II nel giugno del 1979, la nascita di un’opposizione popolare che prese il nome di «Solidarność», la parola più utilizzata dal Pontefice nel corso del suo viaggio. La protesta degli operai polacchi mostrò a tutto il mondo la fragilità del regime comunista, nonostante la sua reazione violenta con il colpo di Stato promosso nel 1981 dal generale Wojciech Jaruzelski (1923-2014), che comportò l’arresto di migliaia di dirigenti di Solidarność e la clandestinità dei pochi che riuscirono a sfuggire alla repressione del regime. Tuttavia la resistenza popolare si astenne dal compiere atti di violenza, adottando la linea pacifica di san Giovanni Paolo II, che voleva custodire e coltivare l’identità cristiana del popolo, proteggendolo dalla violenza dello Stato comunista, ma anche evitare una rivolta che lo avrebbe fatto ripiombare nella tragedia dell’insurrezione di Varsavia del 1944 contro i nazionalsocialisti. La Chiesa e la società polacche si mobilitarono così per sostenere i militanti di Solidarność internati e le loro famiglie, mostrando la frattura enorme che divideva il Paese «reale» da quello «legale» e il sostanziale fallimento dell’esperienza comunista, ridotta a un apparato di potere, magari efficiente, ma privo del consenso popolare e in particolare di quello della classe operaia, in nome della quale esercitava il potere.
La lotta interna alla Polonia, le «resistenze dimenticate», l’URSS di Michail Sergeevič Gorbačëv, con il suo disperato tentativo di avviare una metamorfosi del socialismo reale, per salvare il salvabile e ricominciare, furono oggetto di convegni, di conferenze e di analisi su Cristianità e di tanti altri interventi, prima e dopo la rimozione del Muro di Berlino. Accompagnammo così, con attenzione e con apprensione, e anche con un poco di legittimo sospetto, il cambiamento più importante e significativo dell’epoca moderna, il passaggio dall’epoca delle ideologie a quella della «dittatura del relativismo» (12) o, per usare un altro linguaggio, dalla terza alla quarta fase del processo rivoluzionario.
Così, mentre cercavamo di capire e di spiegare che cosa succedeva nei Paesi al di là della ex Cortina di Ferro, cominciavamo anche a occuparci di nuovi temi, che emergevano in seguito alla fine della «guerra civile europea» fra le diverse ideologie: la questione bioetica innanzitutto, nei suoi diversi aspetti di «rivoluzione antropologica» che, come una nuova forma di gnosticismo, contestava radicalmente il progetto d’amore di Dio espresso nella creazione, rifiutandolo fino al punto di mettere in discussione la stessa identità originaria sessuata della persona, come avverrà con l’ideologia del gender.
Certamente si trattava di una rivoluzione culturale, in interiore homine, ma non soltanto. La fine della Guerra Fredda (1946-1989) aveva favorito il risveglio di civiltà e di culture, oltre che di religioni, che non erano mai scomparse, ma che adesso, venuta meno la dominante geopolitica della divisione fra Est e Ovest, assumevano un ruolo sempre più importante nello scacchiere internazionale (13).
Bisognava occuparsene perché la storia non era finita, come era stato creduto (14), ma certamente si era complicata. Non era finita la storia, infatti, e non si era nemmeno placato l’odio che aveva ispirato e guidato per circa centocinquant’anni il tentativo dei partiti comunisti, dalla pubblicazione nel 1848 del Manifesto del partito comunista di Karl Marx (1818-1883) e di Friedrich Engels (1820-1895), di conquistare il potere con la lotta di classe. A quest’ultima subentrava l’odio prodotto dal nazionalismo, un odio contro il «diverso» che segnava le terribili guerre balcaniche (1991-1995) combattute fra serbi, sloveni, croati, albanesi e fra cattolici, ortodossi e islamici, ma anche le lotte tribali in Africa, in particolare quella del Ruanda che portò alla morte quasi un milione di persone in soli cento giorni, nel 1994.
In tutto questo profondo mutamento geopolitico si inseriva il risveglio dell’islam, a partire dalla rivoluzione avvenuta in Iran del 1979, che riguardava il mondo sciita, ma che avrebbe in qualche modo contagiato anche il mondo sunnita, sebbene dando vita a un percorso diverso di accesso al fondamentalismo, e in certi casi al terrorismo (15).
Il terrorismo islamico
L’11 settembre 2001, con l’attacco alle Torri Gemelle di New York, i movimenti terroristici islamici lanciavano il massimo attacco mai sperimentato fino ad allora, colpendo al suo interno l’odiato nemico occidentale e innestando, per reazione, una serie di guerre in Iraq e in Afghanistan, dalle quali sostanzialmente non siamo ancora usciti.
Giovanni Cantoni commentava così l’operazione «Libertà Duratura» lanciata dal presidente degli Stati Uniti d’America George Walker Bush per combattere il terrorismo, nella prospettiva del «meglio amerikano che dimmi», nel senso che valutava positivamente la reazione statunitense, pur senza farsi troppe illusioni. Infatti, «il secolo XX si è chiuso con la fine della malattia, l’utopia socialcomunista, e, né poteva essere diversamente posto il carattere letale del morbo, con la contestuale morte del malato, il mondo occidentale e cristiano» (16). Cantoni spiegava che la cristianità, come società che faceva riferimento a una cultura e a un costume cristiani, non esisteva più e bisognava prenderne atto, affermando un concetto che avrebbe ripreso continuamente nei mesi e negli anni successivi, perché con il 1989 non era imploso solo il mondo comunista, ma lo stesso mondo moderno, peraltro senza che ci fossero dei veri vincitori.
Ebbene, dopo questa scomparsa e implosione, rimanevano il mondo contemporaneo e i suoi abitanti, attaccati «dai germi di putrefazione del mondo defunto» e da un nemico esterno, appunto il fondamentalismo islamico, nel caso specifico la sua traduzione terroristica, che approfittava della debolezza dell’Occidente.
E che cosa bisogna fare, si chiedeva il fondatore di Alleanza Cattolica all’inizio del 2002, sempre riflettendo sul Martedì Nero che nel 2001 aveva sconvolto il mondo occidentale e scoperto l’esistenza di mondi altri e diversi, profondamente ostili e determinati: bisognava semplicemente riprendere la via abbandonata da dove avevamo cominciato a sbagliare strada, sosteneva Cantoni riprendendo le parole dello storico svizzero Gonzague de Reynold (1880-1970), che lo stesso Cantoni aveva avuto il merito di proporre al pubblico italiano sostanzialmente per la prima volta (17).
La prima cosa da fare, sostiene lo studioso svizzero, consiste nell’«accettare il nostro tempo, perché non abbiamo il potere di non esservi e perché la Provvidenza ci ha posto qui per compiervi la sua opera» (18). Non ci si deve comportare come tanti innamorati del tempo passato, cantori di una cristianità che non c’è più, che inveiscono contro il proprio tempo invece di tentare di cambiarlo: «la nostra missione non consiste assolutamente nel difendere quanto è già morto», né «nel rifugiarci in una spiritualità assoluta e chiusa, al di sopra della mischia, lanciando l’anatema sul secolo, sui suoi errori e sulle sue lordure» (19).
Non ci si può permettere di vivere accanto al cadavere rimpiangendo quando il defunto era giovane e forte, né si può pensare di restituirgli la vita: bisogna seppellirlo con onore e ricostruire, cioè educare i futuri uomini che ancora nascono perché siano il lievito del mondo futuro: «Il mondo nuovo si fa senza di noi, si fa forse contro di noi, come si è fatto l’impero romano, come si sono fatte le nazioni barbariche: impariamo tuttavia a entrarvi, anche nonostante esso, come il lievito nella pasta, secondo il consiglio del Vangelo» (20).
Che fare dunque?
Che fare per Alleanza Cattolica, anzitutto, per quella piccola ma vera ed esistente realtà di persone che avevano attraversato un mondo durante la sua agonia e ora si affacciavano guardando l’alba di qualcosa di nuovo che sarebbe certamente nato sulle ceneri della modernità?
Il mondo occidentale, infatti, dominato dal relativismo che contrassegna il tramonto dell’epoca moderna e segna il trionfo della Quarta Rivoluzione, potrebbe continuare a esistere nel brodo della disperazione e della insignificanza, ma potrebbe invece imboccare la strada della nuova evangelizzazione e trovare finalmente un periodo di pace e di prosperità, sulla scia della promessa di Fatima, dove la Madonna cento anni fa ha pronosticato il trionfo del regno del suo Cuore Immacolato.
Bisogna comprendere bene il mondo «post-moderno» nel quale viviamo dopo il 1989. Non è più il tempo delle ideologie moderne, delle grandi narrazioni teoriche che promettevano un «uomo nuovo» attraverso la purificazione rivoluzionaria, ma è il tempo del relativismo e dell’insignificanza, del «pensiero debole» e della «post-verità», nel quale le persone sono molto più condizionate dalle sensazioni che dai princìpi, dalle immagini piuttosto che dai contenuti. Più di prima bisogna tenerne conto, come aveva intuito lo stesso de Reynold addirittura prima della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), perché «i fenomeni ai quali assistiamo oggi sono estremamente complessi. Sono fenomeni umani, molto più affettivi che intellettuali, molto più condizionati dai fatti che dalle teorie. Le teorie sono colte attraverso i fatti, trascinate dai sentimenti; le vediamo modificarsi tutti i giorni sotto i nostri occhi» (21).
Ciò significa avere sempre presente che l’obiettivo più importante è aiutare le persone a capire e ad abbandonarsi alla Verità e che la condanna dell’errore è funzionale a questo scopo. Anche questo lo storico svizzero aveva intuito: «Condanniamo dunque le teorie, gli errori con tutte le nostre forze; ma, nei confronti di quanti le applicano o le subiscono, nei confronti degli uomini viventi e dei popoli sofferenti pratichiamo la carità nella sua forma la più elevata e la più difficile: la sua forma intellettuale. Cerchiamo di capire prima di condannare. Negli errori peggiori vi è talora una particella di verità necessaria, che si nasconde: cerchiamo di liberare questa particella; non dimentichiamo che la nostra dottrina cattolica, se è di ferro, attira sempre come una calamita» (22).
Perché ciò avvenga ci vogliono uomini, preparati e dedicati. La questione allora si pone a ogni uomo e, dunque, a ciascuno di noi, perché cessa dall’essere una domanda retorica per diventare un quesito molto concreto. E personale. Ci vogliono persone, come per qualsiasi cosa, di ogni età e di ogni condizione, così come per costruire qualunque cosa e, in particolare, per fare la Contro-Rivoluzione nel secolo XXI. Persone preparate, ma non soltanto: persone che guardino avanti, che desiderino la conversione a Cristo delle anime e la costruzione di un mondo migliore; ancora una volta ricorro a de Reynold: «[…] questo tempo è ancora un tempo di guerra. La fortezza cattolica è la sola a resistere. Non ponetela davanti a voi, come una protezione; ponetela dietro a voi come un appoggio; entrate nelle trincee del mondo nuovo e portatevi avanti. Perché questo mondo nuovo non va assolutamente atteso, ma fatto, non va assolutamente subito, ma portato, non va assolutamente rinnegato, ma conquistato» (23).
Costruire ambienti
Ma occorre iniziare anche una riflessione su una delle caratteristiche più significative del nostro tempo.
Conclusa l’esperienza della cristianità nelle istituzioni e nella cultura mainstream e ufficiale, per decenni e forse per secoli sono sopravvissute molte famiglie cattoliche, raccolte attorno alle parrocchie e organizzate, in Italia soprattutto, in quella straordinaria rete sociale di corpi intermedi sorta dopo l’Unità, fatta di banche, casse rurali, società operaie e di mutuo soccorso, scuole e università (24). Per molti anni si chiamò il «Paese reale» contrapposto a quello «legale», che permise la trasmissione della fede attraverso canali sicuri: la famiglia e la parrocchia, protette e favorite da un contesto sociale che resistette alle tendenze laicistiche proprie di alcune componenti «di sinistra» del regime fascista e riprese vigore dopo la Seconda Guerra Mondiale, seppure con i problemi del difficile rapporto con la Democrazia Cristiana e con lo Stato, dopo la trasformazione della prima in partito-Stato negli anni 1950 e, soprattutto, in seguito alle trasformazioni del costume prodotte dal consumismo che preparò la rivoluzione culturale del 1968 (25).
Fino ad allora era esistito un tessuto sociale composto di famiglie e di parrocchie, numerose e attive, che educavano persone vere, alle quali non era necessario insegnare il catechismo perché già lo conoscevano, né la buona educazione perché la vivevano in famiglia. Esistevano partiti politici che impartivano una educazione politica falsa e discutibile, ma dalla quale si poteva avviare un discorso sul bene comune, che è il fine proprio della politica.
Dopo il Sessantotto le persone sono diventate perlopiù individui, emotivamente concentrati solo su loro stessi, bisognosi di tutto.
La Provvidenza allora ha fatto nascere i movimenti ecclesiali degli anni successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II, che hanno sopperito in questi cinquant’anni alla crisi della famiglia e della parrocchia e continuano a farlo favorendo quell’apostolato degli ambienti che ha frenato, anche se non arrestato, il processo di secolarizzazione rivoluzionario. Ecco perché è tanto importante prestare attenzione a queste realtà ecclesiali, grandi e piccole, organizzate e informali, come, per esempio, i tantissimi gruppi di preghiera, ma non solo a essi. Un dialogo difficile, perché si tratta di trasmettere una riflessione culturale e anche politica, che spesso viene istintivamente rifiutata. Ma un dialogo necessario perché senza gli ambienti dove potere sperimentare la vita di fede difficilmente avvengono le conversioni e certamente, quando pure avvenissero, non potrebbero durare se non miracolosamente.
Ne accennava Cantoni scrivendo nel 2000 sulle apparizioni di Fatima, quando si riferiva alla «costruzione di ambienti favorevoli alla conversione» (26).
Accanto al tentativo di operare dentro gli ambienti che si sono costituiti dopo il 1968, che sono movimenti ecclesiali e gruppi di preghiera, ma non esclusivamente, vi sono anche le reazioni spontanee alla Quarta Rivoluzione: un esempio ne è il Comitato Difendiamo i Nostri Figli (27), che ha promosso i due raduni di massa dei Family Day del 20 giugno 2015 e del 30 gennaio 2016. Accanto a questo tentativo che continua vi è anche la possibilità di dar vita ad ambienti dove la proposta della Contro-Rivoluzione può diventare comprensibile. Dipende dalle circostanze e dalle diverse situazioni, dalla sensibilità e dalle capacità di chi propone la strada della ricostruzione di una cristianità, dalle diverse attitudini, dalla capacità di trasmettere entusiasmo: in sostanza dipende dal cuore dei militanti contro-rivoluzionari e dal discernimento per valutare, caso per caso, alla luce della dottrina e del metodo contro-rivoluzionari, che cosa sia meglio fare. L’unica cosa che non va bene è assistere rassegnati alla scomparsa di un mondo, giudicando impossibile ogni nuova evangelizzazione e quindi pensando che la Contro-Rivoluzione sia una bella idea ma irrealizzabile: se si prendono sul serio le parole della Madonna a Fatima, allora si capisce che quell’«infine il mio Cuore immacolato trionferà» interroga il cuore di ciascun cattolico e chiede, anche a ognuno di noi, d’impegnarsi seriamente per realizzare quanto promesso.
Propongo queste righe dedicate agli ambienti come tema di riflessione a chi fa parte di Alleanza Cattolica e a chi ci legge. È un punto sul quale Alleanza Cattolica sta lavorando già da anni, ma non dappertutto e non sempre, perché comunque senza un ambiente favorevole non soltanto la fede non può crescere in via ordinaria, ma senz’altro la Contro-Rivoluzione non può neppure essere proposta. E questo non deve accadere.
Oggi ci troviamo alla fine di un periodo che ci ha riservato parecchie tribolazioni, a cominciare dalla malattia del nostro fondatore. Potremmo piangerci addosso accampando tante giustificazioni, ma non sarebbe giusto, né cristiano. Preferiamo ringraziare la Madonna che ci sta accompagnando in questo tempo di mutamento con la sua dolcezza, lasciandoci ancora per un poco la presenza e i consigli di chi ha iniziato la nostra storia. Tutto ciò avviene mentre nel mondo circostante esplodono la confusione e la divisione, la superficialità e l’arroganza, l’astio e lo zelo amaro. Chiediamo alla Madre del Buon Consiglio, che sempre ci ha guidato nella nostra storia in frangenti altrettanto complicati, aiutandoci a rimanere fedeli a Pietro e al nostro carisma, di continuare a farlo affinché ciascuno di noi possa raggiungere il traguardo più importante, quello della santità, e chiediamo anche che la nostra patria e il mondo intero possano vedere presto quella santità sociale che è il vero frutto della dottrina sociale della Chiesa, quel Regno di Maria per il cui avvento non dobbiamo mai smettere di pregare e di operare.
Note:
(1) Cfr. il mio Paolo de Töth (1881-1965), in IDIS, Voci per un «Dizionario del pensiero forte», a cura di Giovanni Cantoni, presentazione di Gennaro Malgieri, Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1997, pp. 239-244; cfr. anche la voce omonima nel sito web <http://alleanzacattolica.org/paolo-de-toth-1881-1965>. Tutti i siti web citati nelle note al testo sono stati consultati il 30-4-2017.
(2) Cfr. Renato Cirelli, La Questione romana. Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 2000.
(3) Cfr. Cristianità, anno I, n. 0, luglio-agosto 1973, p. 1.
(4) Cfr. Luigi Taparelli d’Azeglio S.J. (1793-1862), La libertà tirannia, a cura di G. Cantoni e Carlo Emanuele Manfredi, Edizioni di Restaurazione Spirituale, Piacenza 1960. Sul Risorgimento cfr. in particolare Francesco Pappalardo e Oscar Sanguinetti (a cura di), 1861-2011. A centocinquant’anni dall’unità d’Italia quale identità?, Cantagalli, Siena 2011, e F. Pappalardo, L’unità d’Italia e il Risorgimento, D’Ettoris Editori, Crotone 2010.
(5) Cfr. G. Cantoni, L’Italia fra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione Rivoluzione. Saggio introduttivo a Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione vent’anni dopo in prima edizione mondiale, con Lettere di encomio di mons. Romolo Carboni (1911-1999), Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1977, pp. 7-50.
(6) Sul contributo fornito da Alleanza Cattolica alla diffusione del messaggio di Fatima cfr. i numeri speciali di Cristianità intitolati Fatima, la Chiesa e la Contro-Rivoluzione dei secoli XX e XXI (anno XXVIII, n. 301-302, settembre-dicembre 2000) e Fatima 1917-2000 e oltre (anno XXX, n. 313, settembre-ottobre 2002).
(7) Su Enzo Peserico cfr. Susanna Manzin, «Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo & Rivoluzione», in Cristianità, anno XXXVI, n. 346, marzo-aprile 2008, pp. 9-11; di lui, cfr. l’opera postuma Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, Sugarco, Milano 2008.
(8) Cfr. la quinta edizione italiana: P. Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., presentazione e cura di G. Cantoni, Sugarco, Milano 2009; la parte aggiunta nel 1977 si trova alle pp. 149-188.
(9) Cfr. il mio «Le Resistenze dimenticate». Per rompere la congiura del silenzio sulle opposizioni attive contro il socialcomunismo» una CIRPO anche in Italia, in Cristianità, anno XII, n. 116, dicembre 1984, pp. 3-5.
(10) Cfr. Pierre Faillant de Villemarest (1922-2008) [In memoriam], in Cristianità, anno XXXVI, n. 346, marzo-aprile 2008, pp. 14-15.
(11) Cfr. G. Cantoni, Dalla Polonia: due casi di indebita ingerenza, in Cristianità, anno XII, n. 106, febbraio 1984, pp. 15-16, e gli articoli di Pierre de Villemarest pubblicati nel corso del 1989; cfr. anche la ricostruzione storica della situazione polacca in Massimiliano Signifredi, Giovanni Paolo II e la fine del comunismo. La transizione in Polonia (1978-1989), Guerini e Associati, Milano 2013.
(12) Cfr. Card. Joseph Ratzinger, Omelia durante la «Missa pro eligendo Romano Pontifice», Basilica di San Pietro, Roma, 18 aprile 2005 (nel sito web <http://www.vatican.va/gpII/documents/homily-pro-eligendo-pontifice_20050418_it.html>; cfr. anche G. Cantoni, Metamorfosi del socialcomunismo: dal relativismo totalitario al relativismo democratico, in Cristianità, anno XXV, n. 261-262, gennaio-febbraio 1997, pp. 15-21.
(13) Cfr. Samuel Philips Huntington (1927-2008), Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it., Garzanti, Milano 2000.
(14) Cfr. Francis Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, trad. it., Rizzoli, Milano 1992.
(15) Cfr. Bernard Lewis, La crisi dell’islam. Le radici dell’odio verso l’Occidente, trad. it., Mondadori, Milano 2004; Piero Gheddo, La sfida dell’islam all’occidente, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2007; Renzo Guolo, Il fondamentalismo islamico, Laterza, Bari 2002; e Silvia Scaranari, Jihād. Significato e attualità, Edizioni Paoline-Centro Federico Peirone, Cinisello Balsamo (Milano)-Torino 2016.
(16) G. Cantoni, A proposito di Libertà Duratura, in Cristianità, anno XXIX, n. 308, novembre-dicembre 2001, pp. 3-4 (p. 3).
(17) Cfr. Idem, Dopo il Martedì Nero, un passo verso il «reincanto» del mondo, in Cristianità, anno XXX, n. 309, gennaio-febbraio 2002, pp. 3-4 (p. 3).
(18) Gonzague de Reynold, La Casa Europa. Costruzione, unità, dramma e necessità, presentazione e cura di G. Cantoni, trad. it., D’Ettoris, Crotone 2015, p. 172.
(19) Ibidem.
(20) Ibidem.
(21) Ibid., p. 173.
(22) Ibidem.
(23) Ibid., p. 174.
(24) Cfr. il mio I cattolici contro l’unità d’Italia? L’Opera dei Congressi (1874-1904). Con i profili biografici dei principali protagonisti, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2002.
(25) Cfr. F. Pappalardo, L’analisi del laicismo in una lettera pastorale dei vescovi italiani del 1960, in Dal «centrismo» al Sessantotto, a cura mia e di Paolo Martinucci, Ares, Milano 2007, pp. 341-358.
(26) G. Cantoni, Fatima e la Contro-Rivoluzione del secolo XXI, in Cristianità, anno XXVII, n. 301-302, settembre-dicembre 2000, pp. 3-14 (p. 14).
(27) Cfr. Massimo Gandolfini con Stefano Lorenzetto, L’Italia del Family Day. Dialogo sulla deriva etica con il leader del comitato Difendiamo i nostri figli, Marsilio, Venezia 2016.