di Marco Invernizzi, Cristianità n. 387 (2017)
Pubblichiamo la relazione di apertura della Scuola Estiva organizzata da Alleanza Cattolica in Lunigiana dal 31-7 al 6-8-2017 e dal titolo Comunismo. Il secolo delle idee assassine.
1917, Pietrogrado, l’odierna San Pietroburgo. Con la Rivoluzione d’Ottobre — iniziata in realtà il 7 novembre — il partito bolscevico conquista il potere in Russia e cerca di estenderlo su tutto il territorio dell’impero zarista. Incontra però una forte resistenza, che nel corso del 1918 darà vita a una guerra civile, la più importante e cruenta del secolo XX, comunemente presentata come fra Rossi e Bianchi (1).
Questa guerra verrà combattuta su un territorio immenso e avrà enormi conseguenze, innanzitutto per il numero di morti, circa tre milioni, che diventano undici se si tengono in conto le carestie conseguenti: essa cambiò la vita di oltre mezzo miliardo di persone, ridisegnando la geografia politica dell’Europa, dell’Estremo Oriente e dell’Asia Centrale.
Poco studiata e poco raccontata nella nostra lingua, segna la prima conquista politica di un Paese da parte di un movimento comunista che segnerà la storia del Novecento.
Una prima constatazione: il comunismo non è un’idea gentile che viene proposta ai popoli, ma una rivoluzione, cioè il tentativo di scardinare radicalmente, non di riformare, la società esistente e di creare un «uomo nuovo», completamente altro rispetto al precedente. E di fare ciò con la violenza.
Naturalmente questo atteggiamento genera resistenza e reazione in molti, che capiscono di potersi confrontare solo con l’uso della forza. L’anticomunismo è quindi un atteggiamento normale, dovuto a una necessità di sopravvivenza.
Il comunismo non nasce nel 1917 e neppure sul «treno piombato» (2) che riporta in Russia i dirigenti del partito bolscevico guidati da Vladimir Il’ič Ul’janov «Lenin» (1870-1924), che erano in esilio a Zurigo e in altre città occidentali. Il socialismo nasce molto prima, come spiega il celebre matematico russo, poi dissidente, Igor Rostislavovič Šafarevič (1923-2017) (3), trova un ruolo nella Rivoluzione francese, dove annuncia che il futuro sarà comunista attraverso la Congiura degli Uguali di François-Noël «Gracchus» Babeuf (1760-1797) (4), e dove si forma il primo rivoluzionario di professione italiano, Filippo Buonarroti (1761-1837) (5); ma con Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895) passa «dall’utopia alla scienza» e diventa un programma politico con il Manifesto del partito comunista del 1848. Siamo ancora lontani dal 1917, ma i comunisti si distinguono dagli altri socialisti proprio perché cercano la Rivoluzione non attraverso un mutamento graduale della società, ma con un’azione di conquista che dia tutto il potere ai comunisti. Ciò non avverrà nei Paesi del capitalismo avanzato, ma in un enorme Paese ancora prevalentemente contadino, la Russia, grazie a una serie fortuita di avvenimenti, appunto nel 1917. I bolscevichi di Lenin non annienteranno una classe, la borghesia, come avevano immaginato, semplicemente perché quasi non esisteva in Russia, ma potranno applicare quella gestione del potere che Lenin aveva imparato dai giacobini del 1789 e che prevedeva «tutto il potere ai soviet», cioè l’abolizione formale della democrazia rappresentativa, sebbene quest’ultima in Russia avesse pochi mesi di vita, essendo stata instaurata dalla «rivoluzione borghese» di Aleksandr Fëdorovič Kerenski (1881-1970), nel febbraio 1917.
L’anticomunismo diventa così una necessità e, in un certo senso, una vocazione. È un atteggiamento che non si limita a negare un male, ma si fa carico di un’urgenza sociale. Certo, anch’io ho conosciuto tanti anticomunisti discutibili, per dire il meno, sia dal punto di vista delle motivazioni personali, sia dal punto di vista ideologico. Ma non è questo l’anticomunista che vorrei spiegare.
Il nazionalsocialismo tedesco e il fascismo italiano, fenomeni che ancora comunemente si associano di preferenza all’anticomunismo, sono concorrenti del comunismo perché perseguono anch’essi — con gradi diversi di malizia ideologica — una rivoluzione che vuol modificare quella stessa società che i comunisti vorrebbero abbattere. Tanto è vero che comunisti sovietici e nazionalsocialisti tedeschi si alleeranno per due anni, dal 1939 al 1941, con il cosiddetto Patto Molotov-Ribbentrop, dai nomi dei rispettivi ministri degli Esteri Vjaceslav Michajlovic Skrjabin «Molotov» (1890-1986) e Joachim von Ribbentrop (1893-1946).
L’anticomunista che vorrei disegnare è colui che reagisce a un’ingiustizia, che non riesce a sopportarla. Quando nelle scuole e nelle università italiane, dopo il 1968, tornò di moda il comunismo nella versione maoista e si scatenò quasi immediatamente la violenza intrinseca all’ideologia rossa, con l’esclusione degli anticomunisti da ogni agibilità politica e la minaccia della loro incolumità fisica, si capì abbastanza facilmente che dare del «fascista» era un modo efficace per impedire la resistenza degli anticomunisti alla violenza che si stava instaurando come metodo. Così molti anticomunisti furono bollati come «fascisti» senza che lo fossero minimamente.
Ecco perché l’anticomunismo era un atteggiamento in qualche modo nobile, soprattutto quando divenne difficile e politicamente scorretto, soprattutto se praticato in quei Paesi nei quali, a cominciare dal 1917, si moriva a milioni soltanto per un accenno, una presunzione o una delazione di anticomunismo.
Naturalmente era una nobiltà statu nascenti, che doveva essere educata. Bisognava far capire come il comunismo fosse la tappa di un processo e come fosse necessario spostare l’attenzione sul processo, anche perché la fase comunista della Rivoluzione in quel frangente era oggettivamente in difficoltà e stava concludendosi sotto il profilo ideale, anche se non ancora militarmente. Inoltre, ai molti giovani attratti dall’anticomunismo bisognava spiegare come anche i mezzi per combatterlo avrebbero dovuto essere diversi da quelli impiegati dai comunisti. Il problema era allora che questi giovani, nel secondo dopoguerra, avevano trovato in Italia, come forme espressive del loro anticomunismo, o la Chiesa cattolica o i movimenti neofascisti sopravvissuti alla fine del regime mussoliniano.
La prima opzione aveva differenti posizioni al suo interno, dall’anticomunismo sincero dei Comitati Civici (6) a un’area che «guardava a sinistra», cioè alcune correnti dell’Azione Cattolica schierate contro le scelte del presidente Luigi Gedda (1902-2000) (7) e del venerabile Papa Pio XII (1939-1958), dirette da personaggi come Carlo Carretto (1910-1988) e Mario Rossi (1925-1976). I movimenti neofascisti esprimevano le diverse anime del fascismo storico, dall’anticomunismo quale difesa dell’Occidente al socialismo nazionale. Politicamente esistevano la Democrazia Cristiana (DC) e il Movimento Sociale Italiano (MSI), partiti entrambi dal carattere tecnicamente «fascistico», ossia con diverse anime ideologiche e raggruppamenti al loro interno. Molti giovani preferivano l’anticomunismo del MSI, più schietto e meno strumentale di quello democristiano, soprattutto dopo la sconfitta dei Comitati Civici che, a partire dagli anni 1950, vennero progressivamente «silenziati» dalla sinistra della DC e da una certa componente progressista all’interno del mondo cattolico, sia in ambito ecclesiastico, sia nell’Azione Cattolica.
Agli inizi degli anni 1960 all’interno del mondo anticomunista comincia a essere presente anche Alleanza Cattolica. Nata attorno a Giovanni Cantoni e ad altri amici, anzitutto piacentini, dopo i primi governi di centro-sinistra, iniziati nel 1963 con l’ingresso del Partito Socialista Italiano (PSI) nella maggioranza, e durante gli anni del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), Alleanza Cattolica cominciò a operare soprattutto in entrambi questi ambienti, che vedevano nella «questione comunista» un punto centrale del momento storico (8).
Tuttavia, non bisogna politicizzare troppo l’analisi di quel periodo e ritenere che la questione comunista fosse l’unica sul tappeto.
Il mondo occidentale in quegli anni era alla vigilia di una svolta culturale di proporzioni epocali, che avrebbe cambiato completamente il destino dell’Occidente ma anche della stessa Rivoluzione. La Rivoluzione culturale del 1968 aveva come obiettivo principale il mutamento dell’identità dell’uomo e dei suoi legami con Dio, con sé stesso, con gli altri uomini e con i beni materiali. Essa colpiva l’uomo nella sua interiorità e si diffondeva capillarmente con mezzi non violenti: si sarebbe potuta realizzare anche abbandonando la prospettiva leninista della conquista del potere nel mondo che intendeva instaurare i princìpi marxisti con la forza, sull’esempio della Rivoluzione russa del 1917. E ciò effettivamente accadde, anche se soltanto negli anni 1980. La prospettiva «bolscevica» dovette allora battere in ritirata, con la rivolta operaia di Solidarność in Polonia, con la sconfitta delle truppe sovietiche che occupavano l’Afghanistan, con le «resistenze dimenticate» nei Paesi sovietizzati, che ripresero vigore grazie alla presidenza negli Stati Uniti d’America (USA) di Ronald Wilson Reagan (1911-2004) e soprattutto con il grande magistero di san Giovanni Paolo II (1978-2005).
Ma il clima culturale che precedette la rivoluzione antropologica apertasi nel 1968 era già stato intuito dalla Chiesa, almeno in Italia, con la Lettera dell’episcopato sul laicismo del 1960 (9), ma anche da don Joseph Ratzinger in Baviera, che nel 1958 chiamava «pagani» i cristiani che frequentavano la messa domenicale, ancora in molti, nelle chiese tedesche, perché ignoravano i principi elementari della fede (10).
Il Concilio Ecumenico Vaticano II intervenne proprio sul punto, individuando nel processo di crescente secolarizzazione il problema pastorale prioritario da affrontare e di fatto avviando la nuova evangelizzazione del mondo occidentale con il discorso di apertura di san Giovanni XXIII (1958-1963), l’11 ottobre 1962 (11).
La Chiesa non aveva di fronte soltanto la questione comunista, ma una radicale sfida culturale che minacciava la persona e i suoi fondamenti antropologici e sociali essenziali. Perciò sarebbe stato sempre più urgente rieducare le persone ai fondamenti della fede e irrobustire la catechesi per gli adulti. Tuttavia, con il passare degli anni e con l’avanzare della secolarizzazione, con il relativo abbandono della fede da parte della maggioranza degli occidentali, appariva sempre più importante e centrale la necessità di tornare ad annunciare Cristo a un mondo non più cristiano, nel quale i cristiani rimasti erano una minoranza che però stentava, e stenta ancora, ad assumere le caratteristiche missionarie tipiche delle minoranze.
Tutto ciò si svolse in un ventennio (1968-1989), un tempo breve da un punto di vista storico, ma lungo per chi lo ha vissuto. Le contraddizioni infatti non mancavano. Il «socialismo reale» stava «poco bene», ma fino al 1975 non smise di vincere militarmente in diverse parti del mondo, in particolare nel Vietnam del Sud con la caduta della capitale Saigon nel 1975 (12). In alcuni Paesi occidentali, in Italia certamente, accanto al Sessantotto della Rivoluzione antropologica, ivi compresa quella sessuale, vi era «il Sessantotto» del terrorismo comunista delle Brigate Rosse, che sarà sconfitto definitivamente soltanto negli anni 1980: questa presenza rese più complicato il problema dell’atteggiamento da tenere verso il modus operandi del processo rivoluzionario, che sembrava assumere sempre più chiaramente gli aspetti di una quarta fase della Rivoluzione, ma continuava a manifestare i caratteri violenti del comunismo, anche nei suoi aspetti terroristici (13). Ciò rese difficile e spesso contraddittorio il cambio di passo necessario per attuare la nuova evangelizzazione, che poteva apparire come qualcosa che sottraeva energie alla lotta contro il comunismo.
Su questo equivoco lavorò con profitto — e provocando grandi danni — una minoranza di intellettuali, sacerdoti e vescovi sia filo-modernisti sia filo-comunisti, come apparve chiaro in Italia, per fare solo un esempio, nel sostegno al mantenimento della legge sul divorzio in occasione del referendum abrogativo del 1974.
L’equivoco si chiarì, o almeno cominciò a chiarirsi, durante il pontificato di san Giovanni Paolo II (14).
Comunismo romantico e secolarismo
È necessario ricostruire il clima dell’Italia intorno al 1968 per comprendere come si mosse Alleanza Cattolica all’inizio della sua storia. Da una parte c’era un comunismo che certamente in Unione Sovietica (URSS) aveva perso la capacità di seduzione dei tempi del 1917, ma che stava riciclandosi presentando figure più suggestive e capaci di entusiasmare il pubblico occidentale, come Ernesto «Che» Guevara (1928-1967), Fidel Castro (1926-2016) e la «Grande rivoluzione culturale proletaria» (1966-1976) lanciata da Mao Zedong (1893-1976) (15) in Cina durante l’ultimo periodo in cui fu al potere, e che sembrava ancora vincente dal punto di vista militare, almeno negli anni 1970. Dall’altra parte avanzava il processo di secolarizzazione della società. Il suo obiettivo non era la distinzione fra l’autorità politica e la gerarchia ecclesiastica che, contro il clericalismo e il laicismo, il Magistero della Chiesa auspicava ricordando la diretta dipendenza dell’ordine temporale dall’ordine divino e il messaggio evangelico circa il rapporto fra Dio e Cesare (16). Tale processo puntava piuttosto alla totale scristianizzazione della vita pubblica. A tale scopo aveva elaborato e diffondeva con successo una cultura della trasgressione, utilizzando soprattutto l’arma della sessualità, ormai «liberata» grazie alla pillola anti-fecondativa, ai comportamenti trasgressivi enfatizzati dai media e alle leggi sempre più permissive, come strumento di sovversione antropologica (17).
Fu il pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) a porre la domanda, nel 1977, in occasione della terza edizione italiana del saggio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (18), se la Rivoluzione comunista, attraverso l’URSS, avrebbe tentato la conquista militare e politica del mondo oppure avrebbe lasciato il campo a una nuova fase del processo rivoluzionario, la quarta, appunto una rivoluzione in interiore homine, come poi in effetti accadde (19).
E così Alleanza Cattolica dovette cominciare a operare su due fronti, quello dell’anticomunismo e quello della questione antropologica. Il primo era abbondantemente sguarnito, perché nella DC era in corso un processo di spostamento a sinistra cominciato negli anni 1960 e culminato nella politica di «compromesso storico» (1976-1979) (20), volta a introdurre il Partito Comunista Italiano (PCI) nell’area di governo per spegnerne le istanze rivoluzionarie coinvolgendolo nella gestione del potere, mentre nella Chiesa era in corso una politica di «dialogo» verso i Paesi comunisti, detta Ostpolitik vaticana, che mirava a dare maggiore protezione ai fedeli che vivevano oltre la Cortina di Ferro concordando con i regimi comunisti la nomina dei vescovi. Questa politica, salva la buona intenzione, certamente comportava un’attenuazione, da parte della gerarchia ecclesiastica, del proprio anticomunismo e favoriva anche la nascita di formazioni e di atteggiamenti che miravano a un compromesso ideologico con il comunismo: un’alleanza ideologica, quindi, e non solo strumentale a una miglior tutela della libertà dei fedeli che vivevano sotto i regimi comunisti.
Era un tempo di grandi cambiamenti e di grande confusione, in parte inevitabile, dovendo affrontare nuovi obiettivi pastorali e politici, e in parte dovuta a chi intendeva sfruttare la situazione, così come era accaduto in occasione della crisi modernista di inizio Novecento, per «buttare via il bambino con l’acqua sporca del bagnetto».
Il Papa venuto dall’Est
Il cambiamento avvenne durante il pontificato di san Giovanni Paolo II. Fu un cambiamento sia ecclesiale, sia relativo alla vita politica e soprattutto culturale.
Senza tornare esplicitamente a un anticomunismo da Guerra Fredda (1947-1989), il Papa continuò l’Ostpolitik dei predecessori, ponendo il card. Agostino Casaroli (1914-1998) alla guida diplomatica della Chiesa con la carica di Segretario di Stato (21), ma ne cambiò radicalmente il contenuto. Papa Wojtyła cercò sempre di parlare ai popoli, invitandoli a scoprire le loro radici storiche e culturali e a non lasciarsi sopraffare da chi le voleva sradicare. Ciononostante mantenne con i regimi comunisti un dialogo sempre aperto, almeno formalmente, come quello che conservò in modo particolare con il regime polacco durante la crisi seguente il colpo di Stato del generale Wojciek Witold Jaruzelski (1923-2014), nel 1981, che mise fuori legge il sindacato libero Solidarność, nato in occasione del primo viaggio apostolico in Polonia di san Giovanni Paolo II nel 1979.
Gli anni 1980 furono decisivi per la sconfitta del comunismo nel mondo. Le vicende polacche, che videro una situazione di stallo fra la resistenza popolare e il regime militare instaurato dal colpo di Stato; le resistenze in tante nazioni soggette a regimi comunisti, non più «dimenticate» ma anzi aiutate dalla presidenza di Reagan; la sconfitta militare sovietica in Afghanistan; la costruzione di un sistema antimissilistico intercontinentale, detto «scudo stellare», che permise agli Stati Uniti d’America di «rompere» l’equilibrio nucleare proteggendo il Paese da un eventuale attacco sovietico; e, infine, soprattutto il pontificato di san Giovanni Paolo II, unitamente a una crisi economica interna all’URSS che sembrava non avere fine, contribuirono alla decisione di Michail Gorbaciov, nuovo segretario del PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, di lanciare una nuova politica, la cosiddetta perestrojka (ristrutturazione), che avrebbe dovuto cambiare l’assetto istituzionale sovietico introducendo elementi di democrazia e una maggiore glasnost (trasparenza). In pratica Gorbaciov tentò di salvare il comunismo riformandolo in senso democratico, rinunciando così ad alcune caratteristiche fondamentali del sistema leninista, come il centralismo democratico, il partito unico, l’assenza di proprietà privata, l’ateismo di Stato e forse anche, in certa misura, al dominio sulla «fascia esterna», quella europea, dell’impero socialcomunista.
Alleanza Cattolica seguì attentamente l’evolversi della situazione internazionale, prendendo posizione soprattutto attraverso gli scritti su Cristianità e le conferenze di Giovanni Cantoni e di altri suoi esponenti, anche dando voce in tutta Italia alle resistenze anticomuniste «dimenticate» e attraverso la costituzione della sezione italiana della CIRPO, la Conferenza Internazionale delle Resistenze nei Paesi Occupati, fondata in Francia da Pierre Faillant de Villemarest (1922-2008).
Il sistema comunista era in rapida trasformazione e con esso cambiavano anche le relazioni internazionali perché Gorbaciov aveva rinunciato a ogni politica aggressiva nei confronti dell’Occidente, scegliendo la strada dei negoziati e del disarmo nucleare e convenzionale concordato con gli USA, nella speranza di ottenere quegli aiuti che avrebbero permesso all’URSS di superare la crisi, specialmente quella economica.
Giunse così il 1989, quando il 9 novembre, per la prima volta dalla costruzione del Muro, venne permesso a cittadini della Repubblica Democratica Tedesca di attraversare il confine che divideva la Berlino comunista da quella occidentale. Poco dopo il Muro sarà smantellato. Era il segno di un cambiamento epocale.
L’Italia dopo il 1989
I comunisti italiani furono i primi a percepire questo cambiamento epocale e internazionale e così il segretario del PCI, on. Achille Occhetto, diede seguito alla politica di Gorbaciov trasformando il PCI nel PDS, il Partito Democratico della Sinistra, cioè dando origine a un partito socialista di sinistra, che prendeva atto di quanto già aveva detto un precedente segretario, l’on. Enrico Berlinguer (1922-1984), che aveva riconosciuto l’esaurirsi della spinta della Rivoluzione d’Ottobre. Così il nuovo partito rinunciava allo specifico bagaglio ideologico comunista per approdare a un progressismo più generico, che in qualche modo lo faceva assomigliare a un grande «partito radicale di massa» (22), con in più una struttura di partito capillare e organizzata, capace di governare grazie all’esperienza della guida amministrativa di regioni e di comuni importanti. Solo una piccola quota di comunisti diede vita a un altro partito, Rifondazione Comunista, che in realtà, sotto la guida dell’on. Fausto Bertinotti, si rivelerà qualcosa di molto diverso dal vecchio PCI, un comunismo poco «sovietico» e molto intellettuale nella ricerca di una via per fare la rivoluzione nell’epoca ormai post-moderna. Ma la rimozione del Muro prima e la fine dell’URSS nel 1991 produssero cambiamenti anche nelle file del mondo anticomunista o che tale avrebbe dovuto essere.
La DC, che dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) era stata la «grande diga» indispensabile per escludere il PCI dal governo cercando di rappresentare, eppure con grande ambiguità, soprattutto in alcuni momenti storici, gli interessi degli USA e della Chiesa cattolica, di fronte al venire meno dell’URSS diventava un partito come altri, non più indispensabile a causa della mancanza di alternative politiche possibili, come era accaduto dal 1945 al 1989. Infatti la DC venne aggredita e sopraffatta in pochi anni da un attacco giudiziario chiamato Mani Pulite, partito dal Palazzo di Giustizia di Milano, che sfruttò l’elevato tasso di corruzione presente nei partiti italiani, anzitutto quelli di governo come appunto la DC e il Partito Socialista Italiano, che finanziavano gli alti costi della politica ricorrendo ai soldi erogati dallo Stato e alle tangenti sulle opere pubbliche, mentre il PCI aveva fatto ricorso, soprattutto ma non solo, al finanziamento proveniente dall’Unione Sovietica.
L’ideologia marxista-leninista perdeva così la propria capacità di seduzione in tutto l’Occidente e anche in Cina, dove si svolgeva proprio nel 1989 la rivolta dei giovani nella piazza Tienanmen, divenuta celebre per una foto che ritrae un giovane inerme che blocca la marcia di un carro armato. La differenza fu che, mentre in Cina la rivolta veniva repressa nel sangue, permettendo così al partito comunista di rimanere al potere nonostante il grande cambiamento economico in senso capitalistico in atto, in Occidente i partiti comunisti uscivano di scena, trasformandosi o semplicemente scomparendo.
Fine del comunismo e dell’anticomunismo?
La caduta del Muro di Berlino e la fine dell’URSS produssero immediati cambiamenti in tutto il mondo occidentale, sia nel campo comunista sia in quello dell’anticomunismo. Tuttavia, come ogni cambiamento epocale, il passaggio da un’epoca a un’altra è lungo e complesso. Si trattava di abbandonare o, comunque, di rivedere i presupposti dell’epoca della modernità, iniziata con il Rinascimento e con la Riforma protestante e continuata con l’epoca delle ideologie successiva alla Rivoluzione francese, per una nuova stagione post-moderna, nella quale stiamo vivendo, ancora difficile da definire ma segnata certamente da quella che Papa Benedetto XVI (2005-2013) ha chiamato la «dittatura del relativismo» (23). Un’epoca, come stiamo osservando, segnata dall’individualismo e dal consumismo, dal rifiuto del principio di autorità e di ogni legame «per sempre», da una rivoluzione antropologica che mette in discussione la stessa identità sessuale della persona, con le teorie del gender, ma ha creato anche un tipo umano che ragiona sempre con la «pancia», cioè sistematicamente in balia delle proprie emozioni, il più delle volte negative ma a volte anche buone, tuttavia mai sottomesse all’uso della ragione.
Che cosa fare nell’epoca post-moderna?
Quest’anno cade il centenario della Rivoluzione sovietica e della successiva guerra civile, che segnò l’inizio cruento della lotta fra comunismo e anticomunismo. Conoscere quel periodo è indispensabile per comprendere quello che stiamo vivendo, perché la storia non conosce salti nel buio ma una continua metamorfosi, seppure segnata da passaggi epocali.
La cosa importante è decidere nel nostro cuore come ci vogliamo rapportare di fronte al mondo che ciascuno di noi si trova intorno e dunque di fronte alla storia. Possiamo ignorare il passato perché a noi interessa e basta vivere nel presente. Ciò avviene per molti nostri contemporanei, a volte perché oppressi dalle difficoltà della vita quotidiana, altre volte per scelta, nell’ottica del hic et nunc, vivi e godi l’attimo che fugge.
Anche nella lotta contro il comunismo c’erano quelli che combattevano soltanto «con la pancia» e uno dei compiti che Alleanza Cattolica si assunse fu proprio quello di tentare il trasbordo consapevole da un anticomunismo istintivo o interessato a un anticomunismo dottrinale, cioè fondato sul fatto che esiste una verità delle cose, un progetto divino sull’uomo che il comunismo, come le altre ideologie, nega e mette in discussione. Perciò andava anzitutto combattuto e questo combattimento per molti fu la strada della conversione a Dio, per abbracciare o riscoprire la fede in Gesù Cristo. Si trattava di mostrare a molti che la lotta contro il comunismo doveva andare al di là degli eventuali torti e delle singole ingiustizie subite e che non era difficile verificare — per esempio attraverso il numero spaventoso di vittime provocate dal comunismo al potere, nei Paesi del cosiddetto «socialismo reale», ma anche nella «violenza antifascista» praticata in Italia nelle scuole e nelle università — chi voleva togliere la facoltà di esprimere pubblicamente le proprie opinioni qaunti fossero contrari al comunismo. Era importante riportare al centro della riflessione l’esistenza di una verità delle cose oggettiva e conoscibile, premessa alla comprensione del fatto che questa verità si era incarnata e dunque rivelata a ciascun uomo nella persona di Cristo, uomo e Dio.
Anche oggi si può sbagliare l’approccio ai problemi della IV Rivoluzione e dell’epoca post-moderna. Si può sbagliare reagendo solo emotivamente alle singole ferite che la dittatura del relativismo infligge all’umanità, isolando le battaglie per la vita e per la famiglia dal contesto di tutta la dottrina sociale della Chiesa e quindi combattendole isolatamente ed emotivamente, così condannandosi non soltanto alla sconfitta ma anche alla disperazione.
Oggi bisogna anzitutto coltivare negli uomini la speranza nella possibilità di costruire una società «a misura di uomo e secondo il piano di Dio» (24), come diceva san Giovanni Paolo II. Non è facile, perché il primo ostacolo si trova nel cuore degli uomini, in particolare di quelli del nostro tempo, così prepotentemente attratti dal proprio benessere e da poco altro. Se le ideologie portavano le persone, soprattutto i giovani, a «uscire da sé» per abbracciare prospettive errate e spesso assassine, comunque deplorevoli, l’ideologia del pensiero unico e dominante oggi porta le persone a concentrarsi esclusivamente sul proprio «io».
Il Regno di Maria
Ancora una volta la medicina la offre Maria santissima, che a Fatima, dopo aver indicato il pericolo concreto dell’inferno dove finiscono coloro che rifiutano la misericordia di Dio e dopo aver indicato negli errori diffusi dalla Russia l’«inferno delle nazioni», cioè il comunismo, ha indicato all’umanità la conversione come via alla salvezza personale e sociale: «Avete visto l’inferno, dove cadono le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Mio Cuore Immacolato. Se faranno quello che io vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace. La guerra sta per finire [si tratta della Prima guerra mondiale, 1914-1918]. Ma, se non smetteranno di offendere Dio, nel pontificato di Pio XI, ne comincerà un’altra peggiore. Quando vedrete una notte illuminata da una luce sconosciuta sappiate che è il grande segno che Dio vi dà, che punirà il mondo per i suoi delitti, per mezzo della guerra, della fame e delle persecuzioni alla Chiesa e al Santo Padre.
«Per impedirla, verrò a chiedere la consacrazione della Russia al Mio Cuore Immacolato, e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se ascolteranno le Mie richieste, la Russia si convertirà e ci sarà pace. Se no, diffonderà i suoi errori nel mondo, suscitando guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte. Finalmente il Mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre mi consacrerà la Russia, che si convertirà, e sarà concesso al mondo qualche tempo di pace» (25).
La Madonna promette la salvezza eterna, ma anche un tempo storico di pace, dove sarà riconosciuta la regalità di Suo Figlio: «adveniat regnum tuum, adveniat per Mariam».
Note:
(1) Cfr. per esempio, W.[illiam] Bruce Lincoln (1938-2000), I bianchi e i rossi. Storia della guerra civile russa, trad. it., Mondadori, Milano 1994; una recente eccezione è David Bullock, La guerra civile russa 1918-1922 dalla Rivoluzione d’ottobre alla nascita dell’Unione Sovietica, trad. it., LEG. Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2017. Sul 1917 cfr. anche Vittorio Strada, Impero e rivoluzione. Russia 1917-2017, Marsilio, Venezia 2017 e una delle grandi opere di Richard Pipes, Il regime bolscevico. Dal terrore rosso alla morte di Lenin, trad. it., Mondadori, Milano 2000. Cfr. anche Oscar Sanguinetti, L’insorgenza anticomunista di Tambov (1920-1921), in Dizionario del Pensiero Forte, a cura dell’IDIS. Istituto per Dottrina e l’Informazione Sociale, alla pagina <http://alleanzacattolica.org/l%c2%92insorgenza-anticomunista-di-tambov-1920-1921>. I siti web dell’intero articolo sono stati consultati il 28-10-2017.
(2) Cfr. Cfr., sul tema, Michael Pearson, Il treno piombato, trad. it., Sperling & Kupfer, Milano 1976; nonché Catherine Merridale, Lenin sul treno, trad. it., UTET, Torino 2017; cfr. anche O. Sanguinetti, «Il grande Parvus», in Cristianità, anno XVII, n. 173, settembre 1989, pp. 8-10.
(3) Cfr. in lingua italiana, Igor Rostislavovič Safarevič (1923-2017), Il socialismo come fenomeno storico mondiale, trad. it., con una Presentazione di Aleksandr Solženicyn (1918-2008), trad. it., Effedieffe, Milano 1999.
(4) Cfr., François «Gracchus» Babeuf, La guerra della Vandea e il sistema di spopolamento, trad. it., introduzione, presentazione, cronologia, bibliografia e note di Reynald Secher e Jean-Joel Bregeon, Effedieffe, Milano 2000; nonché il testo apologetico di Maurice Dommanget (1888-1976), Babeuf e la congiura degli Uguali, 1922, trad. it., Edizioni Immanenza, Napoli 2015.
(5) Cfr. Libero Federici, L’egualitarismo di Filippo Buonarroti, Il prato, Saonara (Padova) 2006; Armando Saitta (1919-1991), Filippo Buonarroti. Contributi alla storia della sua vita e del suo pensiero, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1950; sulla seconda parte della sua vita cfr. Alessandro Galante Garrone (1909-2003), Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell’Ottocento (1828-1837), Einaudi, Torino 1972; cfr. altresì Filippo Buonarroti, Scritti politici, a cura di Franco Della Peruta (1924-2012), Einaudi, Torino 1976.
(6) Cfr. il mio I Comitati Civici, in 18 aprile 1948. L’«anomalia italiana», a mia cura, Ares, Milano 2007, pp. 71-91.
(7) Cfr. il mio Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia, con Prefazione di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2012.
(8) Cfr. il mio Alleanza Cattolica. Dal Sessantotto alla nuova evangelizzazione. Una «piccola storia» per «grandi desideri», Piemme, Milano 2004.
(9) Cfr. Francesco Pappalardo, L’analisi del laicismo in una lettera pastorale dei vescovi italiani del 1960, in M. Invernizzi e Paolo Martinucci (a cura di), Dal «centrismo» al Sessantotto, Ares, Milano 2007, pp. 341-357.
(10) Cfr, Joseph Ratzinger, I nuovi pagani e la Chiesa, in Cristianità, anno XLV, n. 384, marzo-aprile 2017, pp. 29-40.
(11) Sul senso dell’espressione «nuova evangelizzazione» cfr.: «Il punto di riferimento sicuro per quest’opera di evangelizzazione, in continuità con la vivente tradizione della Chiesa, deve restare l’evento di grazia del Concilio Vaticano II. Lo Spirito ha parlato alle Chiese d’oggi e la sua voce è risuonata nel Concilio Ecumenico. Esso si può ben dire che rappresenti il fondamento e l’avvio di una gigantesca opera di evangelizzazione del mondo moderno, giunto ad una svolta nuova della storia dell’umanità, in cui compiti di una gravità e ampiezza immensa attendono la Chiesa. Secondo l’ispirazione originaria il Concilio si proponeva essenzialmente di “mettere in contatto con le energie vivificanti dell’Evangelo il mondo moderno” (Giovanni XXIII, Constitutio Apostolica «Humanae Salutis» qua SS. Oecumenicum Concilium Vaticanum II indicitur, 25-12-1961: AAS 54 [1962] 5-13)» (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al VI Simposio delle Conferenze episcopali d’Europa, dell’11-10-1985. «Potremmo dire che la nuova evangelizzazione è iniziata proprio con il Concilio, che il Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell’umana attività (cfr Discorso di chiusura del I periodo del Concilio, 8 dicembre 1962)» (Benedetto XVI, Discorso ai vescovi partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione dei vescovi, del 20-9- 2012).
(12) Cfr. l’utile ricostruzione storica e storiografica di Mitchell K. Hall, La guerra del Vietnam, trad. it., il Mulino, Bologna 2011.
(13) Cfr. Enzo Peserico (1959-2008), Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo e Rivoluzione, con mia Presentazione e Prefazione di Mauro Ronco, Sugarco, Milano 2008.
(14) Cfr. il mio San Giovanni Paolo II. Un’introduzione al suo Magistero, con Prefazione di padre Livio Fanzaga S.P., Sugarco, Milano 2014.
(15) Cfr. Jon Halliday e Jung Chang — la donna cinese autrice del best seller Cigni selvatici (trad. it., Longanesi, Milano 1991) —, Mao. La storia sconosciuta, trad. it., Longanesi, Milano 2006, una biografia scientifica del dittatore cinese.
(16) «La secolarizzazione, che spesso si muta in secolarismo abbandonando l’accezione positiva di secolarità, mette a dura prova la vita cristiana dei fedeli e dei pastori, e voi l’avete, durante i vostri lavori, interpretata e trasformata anche in una sfida provvidenziale così da proporre risposte convincenti ai quesiti e alle speranze dell’uomo, nostro contemporaneo» (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria del Pontificio consiglio per la cultura, dell’8-3-2008).
(17) Cfr., sul punto, Augusto del Noce (1910-1989), L’erotismo alla conquista della società, in Idem, Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione. Scritti su «L’Europa» (e altri, anche inediti), a cura di Francesco Mercadante, Antonio Tarantino e Bernardino Casadei, Giuffré, Milano 1993, pp. 61-95.
(18) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it., accresciuta del saggio Rivoluzione e Contro-Rivoluzione vent’anni dopo in prima edizione mondiale, con Lettere di encomio di mons. Romolo Carboni (1911-1999), Edizioni di «Cristianità», Piacenza 1977, pp. 167-195.
(19) Cfr. ibidem.
(20) Cfr. G. Cantoni, Una nuova trappola comunista: il «grande compromesso storico», in Cristianità, anno I, n. 2, novembre-dicembre 1973, pp. 1-2.
(21) Cfr., sull’Ostpolitik, le memorie del cardinale Agostino Casaroli, Il martirio della pazienza. La Santa Sede e i paesi comunisti (1963-89), con una Introduzione del card. Achille Silvestrini, Einaudi, Torino 2000.
(22) Cfr. G. Cantoni, «Fermiamo il partito radicale di massa», in Cristianità, anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 10-12 (p. 11); nonché il mio «Dal PCI al PDS» le tappe e i contenuti di una metamorfosi rivoluzionaria, ibidem, pp. 5-9.
(23) Cfr., per esempio, Benedetto XVI, Messaggio per la celebrazione della XLVI Giornata Mondiale della Pace, dell’8-12-2012, n. 2.
(24) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana «Dalla “Rerum novarum” ad oggi: la presenza dei cristiani alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa», del 31-10-1981.
(25) Memorie di suor Lucia, compilazione di Luigi Kondor S.V.D. (1928-2009), collaborazione nell’introduzione e note di Joaquin Maria Alonso C.M.F. (1913-1981), Segretariado dos Pastorinhos, Fatima 2005, Terza memoria, del 31-8-1941, pp. 117-129 (pp. 119-120); nel sito web <http://www.pastorinhos.com/_wp/wp-content/uploads/MemoriasI_it.pdf>.