Marco Invernizzi, Cristianità n. 383 (2017)
L’imponente opera tratta della storia della Rus’ dalla conversione dei popoli slavi fino ai giorni nostri, attraverso quello che viene chiamato il medioevo russo (secoli X-XVII), la Russia imperiale (1682-1917), quella comunista, segnata dall’impero sovietico (1917-1990), e infine quella attuale indicata nel quarto volume come La nuova Russia.
Giovanni Codevilla, genovese, laureatosi in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha insegnato per quarant’anni Diritto dei Paesi dell’Europa Orientale e Diritto Ecclesiastico Comparato nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste. Ha seguito con partecipazione e affetto le dolorose vicende delle comunità cristiane nei Paesi orientali durante l’epoca del socialismo reale e ha portato in Italia un contributo d’eccellenza con conferenze, partecipazione a convegni e soprattutto con diverse opere dedicate al sistema giuridico russo e sovietico e alle relazioni fra Stato e Chiesa, fra cui La libertà religiosa nell’Unione Sovietica (La Casa di Matriona, Milano 1985), Stato e Chiesa nella Federazione Russa. La nuova normativa nella Russia postcomunista (La Casa di Matriona, Milano 1998), Lo zar e il Patriarca. I rapporti tra trono e altare in Russia dalle origini ai giorni nostri (La Casa di Matriona, Milano 2008).
Padre Stefano Caprio è stato ordinato sacerdote in rito bizantino-slavo nel 1985 e ha conseguito la licenza in Scienze Ecclesiastiche Orientali l’anno seguente presso il Pontificio Istituto Orientale (PIO). Dal 1989 è stato cappellano presso l’ambasciata d’Italia a Mosca e, nel novembre 1991, ha fondato l’Istituto di Teologia per Laici San Tommaso D’Aquino di Mosca, dove ha insegnato Patrologia e Teologia Dogmatica. Rientrato in Italia nel 2002, ha conseguito il dottorato in Scienze Ecclesiastiche Orientali nel 2005 presso il PIO, dove dal 2006 è docente di Storia della Filosofia Russa.
Il Medioevo russo
Il primo volume (Il medioevo russo. Secoli X-XVII) parte dalla conversione della Rus’ e dall’influenza esercitata dal mondo bizantino sul cristianesimo orientale, che in conseguenza della dominazione tatarica era stato separato dall’Europa per due secoli e mezzo. Per Rus’ s’intende la terra natale dello Stato russo, costituito lungo il corso medio del fiume Dnepr, che nella seconda metà del secolo IX raggruppa le tribù slave orientali e si espande fino a comprendere il territorio dell’attuale Ucraina, la Rus’ di Kiev e Novgorod, parte di Bielorussia, Russia, Polonia e regioni baltiche. Convertitosi tardivamente rispetto agli altri slavi, il popolo della Rus’ accoglie il cristianesimo attraverso il battesimo del principe di Kiev, Volodymyr I (958-1015), nel 988, che sceglie la fede ortodossa attratto dalla bellezza della sua liturgia. Infatti, come scrive Pavel Nikolaevič Evdokimov (1901-1970), «gli ortodossi non hanno mai avuto simpatia per le summe teologiche, né per i sistemi scolastici. Ogni formulazione o definizione eccessiva provoca una diffidenza istintiva. L’Ortodossia non ha bisogno di formulare, ha bisogno di non formulare. È una convinzione innata che viene dai Padri della Chiesa, che non è bene speculare sui misteri, è meglio contemplarli, lasciarsi illuminare e penetrare dalla loro luce; così, senza farsi razionalizzare, il mistero diviene illuminante. Da qui deriva un tipo di spiritualità molto più liturgica ed iconografica che discorsiva, concettuale e dottrinale» (Cristo nel pensiero russo, trad. it., Città Nuova, Roma 1972, p. 35).
Molti gli avvenimenti importanti per questa Chiesa durante il suo Medioevo, a cominciare dall’Unione di Firenze con i cattolici, nel 1439, però rifiutata dalla Chiesa di Mosca, che si proclama autocefala, distaccandosi da Costantinopoli (1448). Si comincia così ad affermare l’idea di «Mosca Terza Roma», anche in seguito all’incoronazione, nel 1547, del primo zar, Ivan IV detto «il Terribile» (1530-1584), che instaura un regime assolutistico asservendo anche la Chiesa. Contemporaneamente, la parte occidentale della Rus’, le terre bielorusse e ucraine, acquisiscono tratti culturali sempre più occidentali e nel 1596 l’eparchia rutena aderisce alla Chiesa cattolica, anche come risposta alla nascita del Patriarcato di Mosca, nel 1589. Nel secolo successivo si verifica un’altra importante frattura nella Chiesa ortodossa, con lo scisma dei «vecchi credenti», fedeli che rifiutarono le riforme liturgiche introdotte dal Patriarcato per uniformare i testi liturgici a quelli greci. Lo scisma provocherà deportazioni ed esecuzioni capitali che durarono decenni, arrivando fino ai nostri giorni, quando le comunità scismatiche sono ancora centoventi.
L’impero russo
Il secondo volume — La Russia imperiale da Pietro il Grande a Nicola II (1682-1917) — è segnato dalla figura di Pietro il Grande (1672-1725), lo zar che decide di modernizzare la Russia guardando ai modelli occidentali, affascinato dal progresso tecnologico e dall’Illuminismo. La sua visione si scontra con una certa interpretazione dell’Ortodossia, in particolare con i vecchi credenti, che vengono perseguitati. Pietro il Grande impone il taglio della barba — con l’esclusione di contadini e di sacerdoti —, che per i russi rappresentava un grave peccato, obbliga l’uso di abiti di foggia occidentale e, grazie all’introduzione di una cultura proveniente dall’Occidente secolarizzato, di fatto la Chiesa ortodossa diventa uno strumento nelle mani dello Stato. Questa posizione si accentuerà con i suoi successori del secolo XVIII, in particolare con Caterina II (1729-1796). Abolito il Patriarcato nel 1721, finisce la sinfonia bizantina fra i due poteri, il sacerdozio e l’impero. I russi si dividono fra i sostenitori della ricca tradizione spirituale della Russia — gli «slavofili» — e quelli che invece guardano all’Occidente e al modello di modernizzazione di Pietro, gli «occidentalisti». Le due visioni hanno peraltro in comune la convinzione, radicata nell’idea «Mosca Terza Roma», di una missione universale assegnata alla Russia. I primi concepiscono il popolo russo come teoforo, portatore di una missione anzitutto religiosa, mentre gli altri gli attribuiscono un ruolo esclusivamente mondano, che sarà alla radice della catastrofe antropologica del bolscevismo.
L’Unione Sovietica
Nel terzo volume — L’impero sovietico (1917-1990) — Codevilla esamina come il colpo di Stato che nel 1917 portò al potere il partito bolscevico di Vladimir Il’ič Ul’janov «Lenin» (1870-1924) abbia soffocato il rinnovamento in corso nella società russa, segnato per esempio dalla legge sulla tolleranza religiosa del 1905 e dalla convocazione, nel 1917, dopo tante incertezze, del Concilio della Chiesa ortodossa, che ristabilì il Patriarcato soppresso dallo zar Pietro il Grande.
La Chiesa ortodossa e in generale le religioni vengono represse con violenza dal nuovo Stato governato dai comunisti, almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), quando Iosif Visarionovič Džugasvili (1879-1953), meglio noto come «Stalin», si avvede che per fare fronte all’invasione nazionalsocialista è necessario stimolare lo spirito di sacrificio nella Russia aggredita, che può derivare soltanto dal legame fra ortodossia e patriottismo, e a tal fine restituisce spazi di libertà alla Chiesa. Tuttavia, questo periodo ha breve durata e viene sostituito, finita la guerra, con una fase di asservimento del Patriarcato al regime, durante il quale si tende a sopprimere le chiese cattoliche di rito orientale nell’Unione Sovietica (URSS) e nei Paesi limitrofi, inglobandole nelle Chiese ortodosse. Questa nuova fase di intolleranza trova il suo culmine con l’avvento di Nikita Sergeevič Kruscev (1894-1971) alla guida del partito e dell’URSS, il quale avvia il processo di «destalinizzazione» ma finisce anche per favorire inconsapevolmente quel dissenso religioso e civile che contribuirà al progressivo disfacimento del regime durante gli anni 1980, in cui la guida del partito e dell’URSS passerà nelle mani di Michail Sergeevič Gorbacev.
Dopo il comunismo
Nel quarto volume — La nuova Russia (1990-2015). Con un saggio di Stefano Caprio — si prendono in considerazione gli avvenimenti successivi alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, che precedono di due anni la fine dell’URSS. Dopo aver riconosciuto costituzionalmente, nel 1990, il principio della libertà religiosa come diritto dei singoli e delle comunità di professare e vivere liberamente la religione scelta, la nuova Russia sceglie nel 1997 di ricostituire un sistema politico «confessionistico», simile a quello zarista, rinnegando la separazione fra i due poteri prevista dalla Costituzione. Viene così privilegiata la Chiesa ortodossa e ricostruito il legame fra ortodossia, autocrazia e spirito nazionale, nell’ottica ancora una volta del mito di «Mosca Terza Roma». La Chiesa di Mosca entra così in conflitto con le Chiese ortodosse di altre nazioni, in Ucraina, in Estonia e in Moldavia, mentre internamente alla Russia vengono discriminate le minoranze religiose.
Il saggio conclusivo di padre Stefano Caprio descrive la Russia attuale guidata da Vladimir Vladimirovič Putin, simile alla Russia di sempre, cioè un grande Paese che si ritiene chiamato a una missione universale, un messianismo non per elezione divina ma per ragioni storiche. Dopo un secolo di ateismo, Putin ha eliminato ogni avversario politico e restituito alla Russia la volontà di ritornare una superpotenza, mentre la Chiesa del Patriarca Kirill cerca di non rimanere succube del cesaropapismo e di guardare al terzo millennio «come alla nuova era del cristianesimo universale».
L’opera è di grande spessore, anzitutto per la qualità e l’esperienza dell’autore, che non si è limitato a studiare e a insegnare la materia per quarant’anni, ma ha partecipato con passione e con intelligenza alle vicende drammatiche del popolo russo, soprattutto durante la tragedia del socialismo reale.
Tuttavia, l’importanza dell’opera deriva anche dalla sua attualità. Indubbiamente oggi la Russia di Putin divide in particolare il giudizio degli occidentali. Vi sono quelli che vedono in Putin il nemico dichiarato del secolarismo che affligge l’Occidente e altri che vedono in lui un pericoloso nazionalista slavofilo, che non disprezza la memoria dell’impero sovietico e cerca di ricostruirlo utilizzando l’Ortodossia come alternativa a una Chiesa cattolica ritenuta debole e incerta nella difesa dei valori tradizionali.
Marco Invernizzi