Massimo Introvigne, Cristianità n. 378 (2015)
I. Il Papa a Cuba
1. «Non si servono le ideologie, ma le persone»
Sabato 20 settembre è stata la prima giornata di Papa Francesco a Cuba, con la Messa e l’Angelus di fronte a mezzo milione di persone in Plaza de la Revolución, e in serata gl’incontri con i sacerdoti e con i giovani. Il Pontefice si è rallegrato del fatto che, grazie anche agli sforzi della diplomazia vaticana, il mondo si apra a Cuba. Ma ha chiesto anche a Cuba di aprirsi al mondo, con un esame di coscienza improntato al principio secondo cui il vero servizio al popolo «[…] non è mai ideologico» (1), rispetta la libertà religiosa e «[…] non serve idee ma persone» (2).
Il viaggio era iniziato il 19 settembre con la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale dell’Avana, in cui il Papa aveva voluto salutare anche «[…] tutte quelle persone che, per diversi motivi, non potrò incontrare e tutti i cubani dispersi nel mondo» (3). Francesco ha ricordato i precedenti viaggi a Cuba di san Giovanni Paolo II (1978-2005) e di Benedetto XVI (2005-2013), nonché l’ottantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche, mai interrotte, fra Cuba e Santa Sede, e ha auspicato che «[…] la Chiesa continui ad accompagnare ed incoraggiare il popolo cubano nelle sue speranze, nelle sue preoccupazioni, con libertà e tutti i mezzi e necessari per far giungere l’annuncio del Regno fino alle periferie esistenziali della società».
La Vergine della Carità del Cobre, proclamata Patrona di Cuba esattamente cento anni fa da Papa Benedetto XV (1914-1922), «[…] ha accompagnato la storia del popolo cubano, sostenendo la speranza che custodisce la dignità delle persone nelle situazioni più difficili e difendendo la promozione di tutto ciò che conferisce dignità all’essere umano». Questa devozione felicemente, ha detto Francesco, non diminuisce ma cresce, e il Papa è venuto a pregare la Madonna per Cuba, «[…] perché percorra sentieri di giustizia, di pace, di libertà e di riconciliazione».
«Geograficamente, Cuba è un arcipelago che si affaccia verso tutte le direzioni, con uno straordinario valore come “chiave” tra nord e sud, tra est e ovest. La sua vocazione naturale è quella di essere punto d’incontro». San Giovanni Paolo II aveva chiesto nella sua visita del 1998 che «[…] Cuba si apra con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e il mondo si apra a Cuba». Quanto al mondo, la Santa Sede ha operato per la «normalizzazione» delle relazioni con gli Stati Uniti, e Francesco si rallegra della positiva conclusione di un processo cui la diplomazia vaticana molto ha contribuito. «Il mondo ha bisogno di riconciliazione in questa atmosfera di terza guerra mondiale “a pezzi” che stiamo vivendo», ha detto il Papa, e le relazioni diplomatiche, l’incontro, il dialogo pur non essendo la soluzione di tutti i problemi sono sempre un utile punto di partenza.
Se il mondo si apre a Cuba, Cuba deve aprirsi al mondo. Nell’omelia della Messa il Papa è partito, come fa sempre, dal Vangelo del giorno, dove Gesù rimprovera i discepoli che si erano messi a discutere su chi, tra loro, fosse il più grande. Da un certo punto di vista, ha detto il Papa, la domanda è tipicamente umana. È «una domanda che ci accompagnerà per tutta la vita e alla quale saremo chiamati a rispondere nelle diverse fasi dell’esistenza. Non possiamo sfuggire a questa domanda, è impressa nel cuore. Ho sentito più di una volta in riunioni famigliari domandare ai figli: “A chi volete più bene, al papà o alla mamma?”. È come domandare: chi è più importante per voi? Questa domanda è davvero solo un semplice gioco per bambini? La storia dell’umanità è stata segnata dal modo di rispondere a questa domanda» (4).
In realtà «Gesù non teme le domande degli uomini; non ha paura dell’umanità, né dei diversi interrogativi che essa pone. Al contrario, Egli conosce i “recessi” del cuore umano, e come buon pedagogo è sempre disposto ad accompagnarci». Gesù assume le nostre domande, ma «[…] dà loro un nuovo orizzonte. Fedele al suo stile, riesce a dare una risposta capace di porre una nuova sfida, spiazzando le “risposte attese” o ciò che era apparentemente già stabilito. Fedele al suo stile, Gesù pone sempre in atto la logica dell’amore. Una logica capace di essere vissuta da tutti, perché è per tutti». Nel Signore non vi è nulla di gnostico. Il Pontefice spiega che «[…] l’orizzonte di Gesù non è per pochi privilegiati capaci di giungere alla “conoscenza desiderata” o a distinti livelli di spiritualità». Gesù entra nei problemi di tutti, di tutti i giorni, ma lo fa con «[…] una proposta che fa sempre sì che la quotidianità abbia un certo sapore di eternità».
Chi è il più grande? Gesù spiazza i discepoli con la sua risposta: «Se uno vuole essere il primo — ossia il più grande — sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc. 9,35). Commenta Francesco: «Chi vuole essere grande, serva gli altri, e non si serva degli altri!». «E questo è il grande paradosso di Gesù. I discepoli discutevano su chi dovesse occupare il posto più importante, su chi sarebbe stato il privilegiato — ed erano i discepoli, i più vicini a Gesù, e discutevano di questo! —, chi sarebbe stato al di sopra della legge comune, della norma generale, per mettersi in risalto con un desiderio di superiorità sugli altri. Chi sarebbe asceso più rapidamente per occupare incarichi che avrebbero dato certi vantaggi.
«E Gesù sconvolge la loro logica dicendo loro semplicemente che la vita autentica si vive nell’impegno concreto con il prossimo, cioè servendo».
Ma che cosa significa servire? Significa, «[…] in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo». Sono le«[…] persone in carne e ossa, con la loro vita, la loro storia e specialmente la loro fragilità, che Gesù ci invita a difendere, ad assistere, a servire». Gesù denuncia un servizio falso, quello che «[…]“si” serve degli altri. Esiste una forma di esercizio del servizio che ha come interesse il beneficiare i “miei”, in nome del “nostro”. Questo servizio lascia sempre fuori i “tuoi”, generando una dinamica di esclusione».
Tutti siamo chiamati «[…] al servizio che serve e ad aiutarci a vicenda a non cadere nelle tentazioni del “servizio che si serve”». Questi problemi, ha detto il Papa, esistono anche a Cuba. Il popolo cubano non ha bisogno di «[…] progetti che possono apparire seducenti, ma che si disinteressano del volto di chi ti sta accanto». In effetti «[…] chi non vive per servire, non serve per vivere». Non vi è bisogno d’ideologie, ma di cura genuina delle persone e del bene comune.
I cristiani, ha detto il Papa nell’Angelus, devono dare l’esempio. Devono imparare da Maria a vedere «[…] Gesù in ogni uomo sfinito sulla strada della vita; in ogni fratello affamato o assetato, che è spogliato o in carcere o malato. Insieme alla Madre, sotto la croce, possiamo capire chi è veramente “il più grande”, e che cosa significa essere uniti al Signore e partecipare alla sua gloria» (5). Impariamo da Maria alle Nozze di Cana la delicatezza della cura perché «[…] a nessuno manchi il vino dell’amore nuovo, della gioia che Gesù ci offre».
Oltre che a Cuba, il Papa ha rivolto lo sguardo anche alla Colombia, chiedendo «che il sangue versato da migliaia di innocenti durante tanti decenni di conflitto armato, unito a quello di Gesù Cristo sulla Croce, sostenga tutti gli sforzi che si stanno facendo […] per una definitiva riconciliazione. E così la lunga notte del dolore e della violenza, con la volontà di tutti i colombiani, si possa trasformare in un giorno senza tramonto di concordia, giustizia, fraternità e amore, nel rispetto delle istituzioni e del diritto nazionale e internazionale, perché la pace sia duratura». In Colombia, ha detto Francesco, «[…] non possiamo permetterci un altro fallimento in questo cammino di pace e riconciliazione». Anche lì la menzogna delle ideologie dovrebbe cedere il passo alla vera cura per le persone.
Prima di lasciare Santiago, nella tarda serata del 20 settembre, il Pontefice ha incontrato prima i sacerdoti, i religiosi e le religiose e quindi i giovani. Con entrambi ha preferito dialogare a braccio, consegnando ma non leggendo i discorsi che aveva preparato. Con i consacrati ha affrontato il tema dello spirito di povertà, su cui torna spesso. Povertà, ha detto, è «[…] una parola molto scomoda, estremamente scomoda, che va anche controcorrente rispetto a tutta la struttura culturale, tra virgolette, del mondo» (6). Questa parola «lo spirito mondano non la conosce, non la vuole, la nasconde, non per pudore, ma per disprezzo. E se deve peccare e offendere Dio perché non venga la povertà, lo fa».
Nell’episodio del giovane ricco, che non era cattivo ma bene intenzionato, vediamo come «lo spirito del mondo» penetra anche fra i buoni. «La povertà, cerchiamo sempre di sfuggirla, sia per cose ragionevoli, ma sto parlando di sfuggirla nel cuore». Amare la povertà non significa amministrare male i propri beni. «Saper amministrare i beni, è un dovere, perché i beni sono un dono di Dio, ma quando quei beni entrano nel cuore e incominciano a dirigere la tua vita, allora hai perso. Non sei più come Gesù. Hai la tua sicurezza dove l’aveva il giovane triste, quello che se ne andò rattristato». Sant’Ignazio di Loyola [1491-1556] — ha ricordato il Papa gesuita — diceva che «[…]la povertà è il muro e la madre della vita consacrata. La madre perché genera più fiducia in Dio. E il muro perché la protegge da ogni mondanità. Quante anime distrutte! Anime generose, come quella del giovane intristito, che sono partiti bene e poi si sono attaccati a quella mondanità ricca, e sono finiti male. Vale a dire, mediocri. Sono finiti senza amore perché la ricchezza impoverisce, ma impoverisce male. Ci toglie il meglio che abbiamo, ci rende poveri dell’unica ricchezza che conta, per farci mettere la sicurezza in altre cose».
Quando «[…] lo spirito di ricchezza, di mondanità ricca, entra nel cuore di un consacrato, di un sacerdote, di un vescovo, di un papa, di chiunque […] quando uno incomincia ad accumulare denaro, e per assicurarsi il futuro, certo, allora il futuro non sta in Gesù, sta in una compagnia di assicurazione di tipo spirituale, che io controllo». Il Papa ha aggiunto che quando una congregazione religiosa «[…] incomincia ad accumulare denaro e a risparmiare, risparmiare, Dio è così buono che le manda un economo disastroso, che la manda in fallimento. Sono tra le migliori benedizioni di Dio per la sua Chiesa, gli economi disastrosi, perché la rendono libera, la rendono povera».
Occorre che il sacerdote e la religiosa sappiano amare il servizio alle periferie. «Ci sono servizi pastorali che possono essere più gratificanti dal punto di vista umano, senza essere cattivi o mondani, ma quando uno cerca di dare preferenza interiore al più piccolo, al più abbandonato, al più malato, a quello che nessuno considera, che nessuno vuole, al più piccolo, e si mette al servizio del più piccolo, costui sta servendo Gesù nel modo più alto». Senza lamentarsi — il Papa ha citato santa Teresa d’Avila che diceva: «Guai alla suora che va dicendo: mi hanno trattato senza ragione». Ma molti non si lamentano.«Quante religiose, e quanti religiosi, bruciano — e ripeto il verbo: bruciano — la loro vita accarezzando “materiale” di scarto, accarezzando quelli che il mondo scarta, quelli che il mondo disprezza, che il mondo preferisce non ci siano; quello che il mondo oggi, con metodi di analisi nuovi che esistono, quando si prevede che può venire con una malattia degenerativa, si propone di mandarlo indietro, prima che nasca». Non vale solo per le suore che assistono gli handicappati o i malati terminali. Per i sacerdoti e i parroci «[…] c’è un posto privilegiato […] dove si manifesta l’ultimo, il minimo, il più piccolo, ed è il confessionale». Come fa in tutto il mondo, il Papa ha esortato i sacerdoti a dedicare tempo al confessionale e a mostrare la misericordia di Dio. Ha citato sant’Ambrogio [339/340-397]: «Dove c’è misericordia, c’è lo spirito di Gesù. Dove c’è rigidità, ci sono solo i suoi ministri».
Fedeltà, povertà, misericordia sono le parole chiave anche del discorso scritto consegnato ai consacrati. Essi non devono chiudersi «[…] in piccole “aziende domestiche”, che rompono il volto multiforme della Chiesa. Situazioni che sfociano nella tristezza individualista, in una tristezza che a poco a poco lascia spazio al risentimento, alla continua lamentela, alla monotonia». Così si creano anche le conventicole, che rompono l’unità della Chiesa. «I conflitti, le discussioni nella Chiesa sono auspicabili e, oserei dire, addirittura necessarie. Segno che la Chiesa è viva e lo Spirito continua ad agire e continua a renderla dinamica. Guai a quelle comunità dove non c’è un sì o un no! Sono come quegli sposi che non discutono più perché hanno perso l’interesse, hanno perso l’amore». Ma le discussioni devono sempre essere condotte in spirito di fedeltà e di unità.
Ai giovani, parlando a braccio, il Papa ha parlato dell’importanza di sognare. «Uno scrittore latinoamericano diceva che noi uomini abbiamo due occhi, uno di carne e uno di vetro. Con l’occhio di carne vediamo ciò che guardiamo. Con l’occhio di vetro vediamo ciò che sogniamo» (7). I giovani di Cuba hanno tanti problemi. Forse «[…]sognano cose che non accadranno mai… Ma sognale, desiderale, cerca orizzonti, apriti, apriti a cose grandi. Non so se a Cuba si usa la parola, ma noi argentini diciamo “no te arrugues”, non tirarti indietro, apriti. Apriti e sogna. Sogna che il mondo con te può essere diverso. Sogna che se darai il meglio di te, aiuterai a far sì che questo mondo sia diverso. Non lo dimenticate, sognate. A volte vi lasciate trasportare e sognate troppo, e la vita vi taglia la strada. Non importa, sognate. E raccontate i vostri sogni». I sogni si spezzano quando «[…] ci chiudiamo nelle conventicole delle ideologie». Le ideologie escludono dalla società chi non si conforma ai loro rigidi dettami. Generano«inimicizia sociale, guerra, morte». Ma attenzione, ha detto Francesco, anche le religioni possono diventare ideologie e chiudersi in conventicole. «Quando una religione diventa conventicola, perde il meglio che ha, perde la sua realtà di adorare Dio, di credere in Dio. È una conventicola. È una conventicola di parole, di preghiere, di “io sono buono, tu sei cattivo”, di prescrizioni morali. E quando io ho la mia ideologia, il mio modo di pensare e tu hai il tuo, mi chiudo in questa conventicola dell’ideologia».
Ai giovani di Cuba il Papa ha raccomandato la speranza, che è cosa diversa dall’ottimismo. «L’ottimismo è uno stato d’animo. Domani ti alzi col mal di fegato e non sei ottimista, vedi tutto nero. La speranza è qualcosa di più». Si cerca di rubare la speranza ai giovani coinvolgendoli nella «cultura dello scarto». Anzi, «si scartano i bambini perché non li si vuole o perché li si uccide prima che nascano. […] si scartano gli anziani perché non producono più. In alcuni Paesi, c’è la legge sull’eutanasia, ma in tanti altri c’è un’eutanasia nascosta, occulta. Si scartano i giovani perché non si dà loro lavoro». E alcuni si abbattono, fuggono dalla vita, diventano pensionati a vent’anni.
La speranza è al centro anche nel testo scritto consegnato ai giovani di Cuba, invitati a resistere alle «false promesse di felicità vuota», alle ideologie, al culto del «[…] piacere immediato ed egoista, di una vita mediocre, centrata su se stessi, e che lascia nel cuore solo tanta tristezza e amarezza». Invece, «[…] la speranza è audace, sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa». È difficile. Ma anche a Cuba non si deve «[…] cadere nella tentazione della delusione, che paralizza l’intelligenza e la volontà, e non lasciarci prendere dalla rassegnazione, che è un pessimismo radicale di fronte ad ogni possibilità di raggiungere i nostri sogni. Questi atteggiamenti alla fine sfociano o in una fuga dalla realtà verso paradisi artificiali o in un trincerarsi nell’egoismo personale, in una specie di cinismo, che non vuole ascoltare il grido di giustizia, di verità e di umanità che si leva intorno a noi e dentro di noi».
Come fare? «[…] la speranza — ha detto Francesco — si nutre della memoria, comprende con il suo sguardo non solo il futuro ma anche il passato e il presente. Per camminare nella vita, oltre a sapere dove vogliamo andare, è importante sapere anche chi siamo e da dove veniamo. Una persona o un popolo che non ha memoria e cancella il suo passato, corre il rischio di perdere la sua identità e rovinare il suo futuro». La memoria storica permette «[…] il discernimento, perché è essenziale aprirsi alla realtà e saperla leggere senza timori e pregiudizi. Non servono le letture parziali o ideologiche, che deformano la realtà affinché entri nei nostri piccoli schemi prestabiliti, provocando sempre delusione e disperazione. Discernimento e memoria, perché il discernimento non è cieco, ma si realizza sulla base di solidi criteri etici, morali, che aiutano a discernere ciò che è buono e giusto». A differenza di quanto fanno le ideologie, il discernimento mette al centro «[…] la preoccupazione concreta e reale per l’essere umano, che può essere mio amico, mio compagno, o anche qualcuno che la pensa in modo diverso, che ha le sue idee, ma che è un essere umano e un cubano tanto quanto me».
2. «Se muore la famiglia, individui in mano al potere»
Nella seconda giornata del suo viaggio a Cuba Papa Francesco ha visitato la città di Holguín, di cui sono originari Raúl Modesto Castro Ruz, presente alla Messa nella città del Sud-Est dell’isola, e il fratello Fidel, che Francesco aveva visitato nella sua residenza prima di lasciare L’Avana. Nella Messa celebrata a Holguín, prima della benedizione della città e della partenza per il Santuario della Virgen de la Caridad del Cobre a Santiago, dove è arrivato per l’incontro con i vescovi, il Pontefice — sempre attento a non entrare direttamente sul terreno della politica — ha rinnovato la sua critica delle ideologie, che non servono le persone ma le usano, un tema centrale del suo viaggio nell’isola caraibica. «[…] i concittadini, ha detto, non sono quelli di cui si approfitta, si usa e si abusa» (8), ammonendo che le ideologie possono penetrare anche nella Chiesa.
Il Papa è arrivato a Holguín in una data per lui significativa, il 21 settembre, il giorno in cui nel 1953 scoprì dopo una confessione, a diciassette anni, la sua vocazione al sacerdozio. Nell’omelia della Messa ha citato l’episodio, da cui ha tratto il suo motto episcopaleMiserando atque eligendo, della conversione del pubblicano Matteo.«Gesù lo guardò. Che forza di amore ha avuto lo sguardo di Gesù per smuovere Matteo come ha fatto! Che forza devono avere avuto quegli occhi per farlo alzare!». Matteo non osava alzare gli occhi verso il Signore. Fu Gesù a raggiungerlo con lo sguardo, e lo fa anche con noi.«Il suo amore ci precede, il suo sguardo anticipa le nostre necessità. Egli sa vedere oltre le apparenze, al di là del peccato, del fallimento o dell’indegnità».
Matteo «si lasciò alle spalle il banco delle imposte, il denaro, la sua esclusione. Prima aspettava seduto per riscuotere, per prendere dagli altri; ora con Gesù deve alzarsi per dare, per offrire, per offrirsi agli altri. Gesù lo ha guardato e Matteo ha trovato la gioia nel servizio». È la prova che chi esercita il potere in modo ideologico si deve e si può convertire. Può e deve capire che «i concittadini non sono quelli di cui si approfitta, si usa e si abusa». Può, possiamo imparare a «[…]guardare oltre, a non fermarci alle apparenze o al politicamente corretto». Vale per chi esercita il potere ma vale per tutti noi. Anche a noi Gesù chiede: «Credi? Credi che sia possibile che un esattore si trasformi in un servitore? Pensi che sia possibile che un traditore diventi un amico? Pensi che sia possibile che il figlio di un falegname sia il Figlio di Dio?». Se crediamo, lo sguardo del Signore «[…]trasforma il nostro sguardo, il suo cuore trasforma il nostro cuore. Dio è Padre che vuole la salvezza di tutti i suoi figli».
L’ultima giornata cubana di Papa Francesco, il 22, è stata dedicata alla devozione mariana, che — ha detto — ha salvato la fede a Cuba in anni drammatici, e alla difesa della famiglia, che i poteri forti di questo mondo attaccano perché gl’individui isolati, senza famiglia, sono più«facili da manipolare» (9).
Gli ultimi due incontri cubani del Papa sono stati a Santiago, dove si trova il Santuario della Madonna della Carità del Cobre, patrona di Cuba, e dove Francesco ha celebrato la Messa e ha incontrato le famiglie. Nell’omelia il Papa è partito dal Vangelo, che presentava la visita di Maria a santa Elisabetta. Una pagina che Francesco ama molto, perché «[…] ci mette di fronte alla dinamica che il Signore genera ogni volta che ci visita: ci fa uscire da casa. Sono immagini che più volte siamo invitati a contemplare. La presenza di Dio nella nostra vita non ci lascia mai tranquilli, ci spinge sempre a muoverci. Quando Dio ci visita, sempre ci tira fuori di casa. Visitati per visitare, incontrati per incontrare, amati per amare» (10).
Maria è una ragazza «[…] tra i 15 e i 17 anni, che in un villaggio della Palestina è stata visitata dal Signore che le annunciava che sarebbe diventata la madre del Salvatore. Lungi dal credersi chissà chi e dal pensare che tutti sarebbero venuti ad assisterla o servirla, lei esce di casa e va a servire» Elisabetta. Non è una curiosità, è una lezione fondamentale su cui Francesco torna spesso. «La gioia che scaturisce dal sapere che Dio è con noi, con la nostra gente, risveglia il cuore, mette in movimento le nostre gambe, “ci tira fuori”, ci porta a condividere la gioia ricevuta». Il Vangelo precisa che «[…] Maria uscì in fretta, passo lento ma costante, passi che sanno dove andare; passi che non corrono per “arrivare” troppo rapidamente o vanno troppo lenti come per non “arrivare” mai». Senza essere «né agitata né addormentata, Maria va di fretta». Visitata da Dio, va a visitare la cugina Elisabetta, che è incinta. E da allora non si è più fermata. «Ha saputo visitare e accompagnare nelle drammatiche gestazioni di molti dei nostri popoli; ha protetto la lotta di tutti coloro che hanno sofferto per difendere i diritti dei loro figli». E continua a farlo ancora oggi.
Anche Cuba è stata visitata da Maria. «La patria cubana è nata e cresciuta nel calore della devozione alla Vergine della Carità». Cento anni fa, ha ricordato Francesco, nel 1915, i cubani scrissero a Benedetto XV chiedendo di proclamare la Vergine della Carità del Cobre patrona di Cuba. Si rivolsero al Papa di allora con queste parole:«Né le disgrazie e né le privazioni riuscirono a “spegnere” la fede e l’amore che il nostro popolo cattolico professa a questa Vergine, ma anzi, nelle più grandi vicissitudini della vita, quando era più vicina la morte o prossima la disperazione, sempre è sorta come luce che dissipa ogni pericolo, come rugiada consolatrice… la visione di questa Vergine benedetta, cubana per eccellenza… perché così l’hanno amata le nostre indimenticabili madri, così la benedicono le nostre spose».
Parole, ha detto Papa Francesco, che sembrano scritte per i nostri giorni. Dal Santuario del Cobre, Maria «[…] custodisce le nostre radici, la nostra identità, perché non ci perdiamo su vie di disperazione». I drammi di Cuba «[…] non sono riusciti a spegnere la fede; quella fede che si è mantenuta viva grazie a tante nonne che hanno continuato a render possibile, nella quotidianità domestica, la presenza viva di Dio»: «nonne, madri, e tanti altri» che «hanno tenuto aperta una fessura, piccola come un granello di senape, attraverso la quale lo Spirito Santo ha continuato ad accompagnare il palpitare di questo popolo».
Ora Cuba, ha detto il Papa, ha bisogno di una rivoluzione: ma è «la rivoluzione della tenerezza», la rivoluzione di Maria. «La nostra rivoluzione passa attraverso la tenerezza, attraverso la gioia che diventa sempre prossimità, che si fa sempre compassione — che non è pietismo, è patire-con, per liberare — e ci porta a coinvolgerci, per servire, nella vita degli altri. La nostra fede ci fa uscire di casa e andare incontro agli altri per condividere gioie e dolori, speranze e frustrazioni. La nostra fede ci porta fuori di casa per visitare il malato, il prigioniero, chi piange e sa anche ridere con chi ride, gioire con le gioie dei vicini». Francesco vuole una Chiesa «[…] che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza, essere segno di unità di un popolo nobile e dignitoso».
Maria, ha detto il Papa nel successivo incontro con le famiglie, ha difeso Cuba difendendo la famiglia. Dove la famiglia è minacciata, come accade «in molte culture al giorno d’oggi» (11), lì «[…] tutto tende a separarsi, isolarsi», producendo «la divisione e lamassificazione». Perché i padroni di questo mondo attaccano la famiglia? Perché, ha spiegato Francesco, dove viene meno la famiglia«[…] le persone si trasformano in individui isolati», e dunque — spiega — «facili da manipolare e governare». In famiglia, invece, «[…] non c’è posto per le “maschere”, siamo quello che siamo e […] siamo invitati a cercare il meglio per gli altri». «Quando viviamo bene nella famiglia, gli egoismi restano piccoli — ci sono, perché tutti abbiamo qualcosa di egoismo —; ma quando non si vive una vita di famiglia si generano quelle personalità che possiamo definire così: “io, me, mi, con me, per me”, totalmente centrate su sé stesse, che ignorano la solidarietà, la fraternità, il lavoro in comune, l’amore, la discussione».
Il futuro del mondo, ha ribadito il Pontefice, passa per le famiglie. In una casa «[…] vuota, non di persone ma vuota di relazioni, vuota di contatti umani […] non si sa aspettare, non si sa chiedere permesso, non si sa chiedere scusa, non si sa ringraziare». Le famiglie vanno dunque difese come «[…] veri spazi di libertà», senza i quali «si perdono le relazioni che ci costituiscono come persone, che ci insegnano ad essere persone».
Qualcuno potrebbe obiettare che oggi in tante famiglie la vita non è idilliaca. Il Papa risponde che «è in casa che sperimentiamo il perdono». In ogni famiglia può capitare di assistere a «[…] qualche discussione, qualche litigata tra marito e moglie, succede ma non c’è da aver paura», e Francesco confida di avere «[…] più paura delle coppie che mi dicono che mai, mai hanno avuto una discussione». Forse questi sposi non discutono perché non si parlano più.
Alle famiglie in difficoltà Francesco propone l’Eucaristia, «la cena della famiglia di Gesù». Gesù — è il pensiero che il Papa lascia alle famiglie, invitandole a pregare per l’Incontro mondiale di Filadelfia e per il Sinodo — «[…] vuole essere sempre presente nutrendoci con il suo amore, sostenendoci con la sua fede, aiutandoci a camminare con la sua speranza».
II. Il Papa negli Stati Uniti d’America e all’ONU
1. Obama accoglie Francesco, «Papa della speranza». E lui chiede libertà religiosa e difesa della famiglia
Il 23 settembre Papa Francesco ha iniziato la sua visita negli Stati Uniti. I primi incontri sono stati con il presidente Barack Hussein Obama alla Casa Bianca e con i vescovi americani, mentre al Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione di Washington il Pontefice ha canonizzato il beato Junipero Serra Ferrer (1713-1784), il francescano apostolo della California nel secolo XVIII. Nella sua prima giornata il Papa ha invitato a difendere la vita, la famiglia e la libertà religiosa, che oggi sono in pericolo anche negli Stati Uniti, con una fermezza obbligatoria cui a nessuno è lecito sottrarsi ma insieme con uno stile umile, evitando un tono «aspro e bellicoso» (12) e persuadendo con dolcezza e pazienza.
La visita ha avuto un prologo nell’incontro con i giornalisti nel volo fra L’Avana e Washington, dove al Papa sono state poste domande forti sul mancato incontro con i dissidenti cubani ostili al regime di Castro e sulle difficoltà che potrà incontrare negli Stati Uniti un Pontefice che non fa mistero della sua ostilità al grande capitalismo americano. Sui dissidenti cubani Francesco ha risposto di aver escluso dalla visita incontri privati e che la Chiesa di Cuba non li ignora ma si muove con discrezione. Il Papa ha affermato che «[…] la Chiesa di Cuba ha lavorato ad una lista di prigionieri cui concedere l’indulto… L’indulto è stato concesso a 3.500 circa… La cifra me l’ha detta il presidente della Conferenza Episcopale: sì, più di tremila. E ancora ci sono casi allo studio» (13). Al di là dell’incontro con Fidel Castro, dove — ha affermato Francesco — si è parlato soprattutto di ecologia e dei ricordi dell’ex leader cubano sui suoi studi giovanili presso i gesuiti, il Papa ha dichiarato, in un viaggio che si voleva peraltro soprattutto religioso e pastorale, di aver fatto intendere chiaramente che cosa non va a Cuba.«Nei discorsi che ho fatto a Cuba, sempre ho fatto accenno alla Dottrina sociale della Chiesa. Le cose che si devono correggere le ho dette chiaramente, non “profumatamente”, “soft”».
Quanto agli Stati Uniti, il Papa ha reagito in modo sorridente alle accuse secondo cui sarebbe socialista o comunista. «Un Cardinale amico — ha confidato — mi ha raccontato che è andata da lui una signora, molto preoccupata: molto cattolica, un po’ rigida, la signora, ma buona, buona, cattolica, e gli ha chiesto se era vero che nella Bibbia si parlava di un anticristo. E lui le ha spiegato. È anche nell’Apocalisse, no? E poi, se era vero che si parlava di un antipapa… “Ma perché mi fa questa domanda?”, ha chiesto il Cardinale. “Perché io sono sicura che Papa Francesco è l’antipapa”. “E perché?” — chiede quello — “Perché ha questa idea?”. “Eh, perché non usa le scarpe rosse!”». Francesco ha affermato di non aver mai detto «[…] una cosa che non sia nella Dottrina sociale della Chiesa. Le cose si possono spiegare. Forse una spiegazione ha dato un’impressione di essere un pochettino più “sinistrina”, ma sarebbe un errore di spiegazione. No. La mia dottrina, su tutto questo, sulla Laudato si’, sull’imperialismo economico e tutto questo, è quella della Dottrina sociale della Chiesa. E se è necessario che io reciti il “Credo”, sono disposto a farlo!».
Al termine del suo viaggio il Papa è arrivato nella capitale dell’«imperialismo economico», negli Stati Uniti, dove vi era molta attesa per l’incontro con il presidente Obama. Il Pontefice si è detto lieto, come «figlio di una famiglia di emigranti» (14), di essere ospite in una nazione «[…] che in gran parte fu edificata da famiglie simili». Ma ha subito precisato di essere venuto negli Stati Uniti anzitutto per partecipare all’incontro di Filadelfia, «[…] il cui scopo è quello di celebrare e sostenere le istituzioni del matrimonio e della famiglia, in un momento critico della storia della nostra civiltà». Insieme alla difesa della famiglia, Francesco ha ricordato al presidente Obama l’altra grande preoccupazione dei vescovi americani: la libertà religiosa. I cattolici, ha detto il Papa, «[…] si attendono che gli sforzi per costruire una società giusta e sapientemente ordinata rispettino le loro preoccupazioni più profonde e i loro diritti inerenti alla libertà religiosa. Questa libertà rimane come una delle conquiste più preziose dell’America. E, come i miei fratelli Vescovi degli Stati Uniti ci hanno ricordato, tutti sono chiamati alla vigilanza, proprio in quanto buoni cittadini, per preservare e difendere tale libertà da qualsiasi cosa che la possa mettere in pericolo o compromettere».
Dopo questi due precisi moniti il Papa ha aperto al presidente americano sulla fine dell’embargo contro Cuba, giudicata positivamente dalla Santa Sede che da anni operava per questo risultato, e sul terreno di «un’iniziativa per la riduzione dell’inquinamento dell’aria». Le preoccupazioni ecologiche sono in parte comuni a Papa Francesco e al presidente degli Stati Uniti, ma forse non è la stessa l’analisi delle cause dei disastri ecologici. Per Francesco il problema è un «sistema»che viola insieme i diritti delle famiglie, dell’ambiente e di una grande massa di «[…] esclusi che grida al cielo e che oggi bussa con forza alle nostre case, città, società. Riprendendo le sagge parole del Reverendo Martin Luther King [1929-1968] — ha affermato il Papa —,possiamo dire che siamo stati inadempienti in alcuni impegni, ed ora è giunto il momento di onorarli».
Con i vescovi il Papa ha evocato la storia della Chiesa negli Stati Uniti,«[…] un Paese dove le frontiere sono sempre provvisorie» (15), e ha chiesto con le parole del poeta americano Edgar Lee Masters (1868-1950) «“ali forti ed instancabili”, ma anche la saggezza di chi “conosce le montagne”». Francesco ha definito «tuttora attuale» il corpus di discorsi negli Stati Uniti del beato Paolo VI (1958-1963), di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, e ha aggiunto: «Non sono venuto per giudicarvi o per impartirvi lezioni». Ma «con la libertà dell’amore, […] come un fratello tra fratelli», ha offerto alcune riflessioni sulle«strade da percorrere» e sullo «spirito con cui agire». I vescovi devono essere «nient’altro che Pastori» e custodire la gioia del Vangelo, anzitutto in sé stessi dove «il maligno ruggisce» e cerca d’indurre scoraggiamento. «L’essenza della nostra identità va cercata nell’assiduo pregare», ha detto Francesco ai vescovi, e non basta «una preghiera qualsiasi». Un vescovo che prega sarà capace di predicare non «complesse dottrine, ma l’annuncio gioioso di Cristo morto e risorto per noi». «Vegliate perché il gregge incontri sempre nel cuore del Pastore quella riserva di eternità che con affanno si cerca invano nelle cose del mondo».
Non deve mancare, in un Paese che parla molto di prosperità, «[…] il sereno coraggio di confessare che bisogna procurarsi “non il cibo che perisce ma quello che dura per la vita eterna”». Per essere persuasivi occorre però sfuggire alla «tentazione del narcisismo» che rende il pastore «irriconoscibile». Occorre anche che i vescovi abbiano «[…] la lucida percezione della battaglia tra la luce e le tenebre che si combatte in questo mondo» e combattano questa battaglia insieme con«spirito di coraggio e non di timidezza», con stile evangelico e non mondano. «Guai a noi […] se facciamo della Croce un vessillo di lotte mondane, dimenticando che la condizione della vittoria duratura è lasciarsi trafiggere e svuotare di sé stessi». È una tentazione, ha detto il Papa, reagire a un clima «ostile» con un linguaggio «aspro e bellicoso», che «[…] non si addice alle labbra del pastore», mentre la Chiesa persuade quando pratica il dialogo, non per «strategia» ma per fedeltà all’«invito d’amore» del Signore Gesù. E il primo dialogo dei vescovi deve svolgersi tra loro, per «[…] cementare l’unità, il cui contenuto è definito dalla Parola di Dio» e dalla comunione con la Chiesa di Roma «che “presiede nella carità”».
Dialogo non significa nascondere i problemi: questo, ha affermato con forza Francesco, «[…] non è lecito». «Le vittime innocenti dell’aborto, i bambini che muoiono di fame o sotto le bombe, gli immigrati che annegano alla ricerca di un domani, gli anziani o i malati dei quali si vorrebbe far a meno, le vittime del terrorismo, delle guerre, della violenza e del narcotraffico, l’ambiente devastato da una predatoria relazione dell’uomo con la natura, in tutto ciò è sempre in gioco il dono di Dio, del quale siamo amministratori nobili, ma non padroni. […] Di non minore importanza è l’annuncio del Vangelo della famiglia che, nell’imminente Incontro Mondiale delle Famiglie a Filadelfia, avrò modo di proclamare con forza insieme a voi e a tutta la Chiesa»: si tratta di«aspetti irrinunciabili della missione della Chiesa» da proclamare anche«quando la mentalità del tempo si rende impermeabile e ostile a tale messaggio». «Non è lecito pertanto — ha detto il Pontefice — evadere da tali questioni o metterle a tacere», anche se la posizione della Chiesa va presentata con «soavità» e pazienza, ponendo la propria fiducia non tanto nei «proclami» ma nella forza dell’amore.
Il Papa ha concluso richiamando i vescovi alla «paternità», a fronte di tante difficoltà dei sacerdoti americani, esposti anche a «tentazioni», e all’attenzione non solo umanitaria ma pastorale e religiosa ai nuovi immigrati. La nuova immigrazione è in gran parte latina e cattolica: bene accolta, diventerà una risorsa che «[…] arricchirà l’America e la sua Chiesa».
Il 23 sera, nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione, il Pontefice ha celebrato la Messa per la canonizzazione dell’apostolo della California Junipero Serra. Nell’omelia è partito da un suo tema prediletto, l’invito alla gioia. «C’è qualcosa dentro di noi che ci invita alla gioia e a non adattarci a palliativi che cercano sempre di accontentarci» (16). E tuttavia oggi «sono molte le situazioni che sembrano mettere in dubbio questo invito. La dinamica a cui molte volte siamo soggetti sembra portarci ad una rassegnazione triste che a poco a poco si va trasformando in abitudine, con una conseguenza letale: anestetizzarci il cuore». Come evitare questa anestesia del cuore? La soluzione Gesù l’ha offerta ai discepoli, e anche a noi:«Andate! Annunciate! La gioia del Vangelo si sperimenta, si conosce e si vive solo donandola, donandosi».
«Lo spirito del mondo ci invita al conformismo, alla comodità». Rinunciando a qualche comodità e a tanto conformismo per annunciare il Vangelo, diventiamo capaci di ascoltare la voce del Signore che ci dice: «[…] la gioia il cristiano la sperimenta nella missione: andate alle genti di tutte le nazioni;
«la gioia il cristiano la trova in un invito: andate e annunciate;
«la gioia il cristiano la rinnova e la attualizza con una chiamata: andate e ungete». Il Signore Gesù, ha detto Francesco, «[…] non dà una lista selettiva di chi sì e chi no, di quelli che sono degni o no di ricevere il suo messaggio, la sua presenza. Al contrario, ha abbracciato sempre la vita così come gli si presentava. Con volto di dolore, fame, malattia, peccato. Con volto di ferite, di sete, di stanchezza. Con volto di dubbi e di pietà. Lungi dall’aspettare una vita imbellettata, decorata, truccata, l’ha abbracciata come gli veniva incontro. Benché fosse una vita che molte volte si presenta rovinata, sporca, distrutta». Anche noi dobbiamo annunciare il Vangelo «[…] a tutta questa vita così com’è e non come ci piacerebbe che fosse», «[…] senza paura, senza pregiudizi, senza superiorità, senza purismi, a tutti quelli che hanno perso la gioia di vivere», a «[…] quelli che vivono con il peso del dolore, del fallimento, del sentire una vita spezzata». A tutti la Chiesa annuncia, «[…] con l’olio che lenisce le ferite e ristora il cuore», che«[…] gli sbagli, le illusioni ingannevoli, le incomprensioni, non hanno l’ultima parola nella vita di una persona».
I santi come Junipero Serra ci hanno insegnato che cos’è davvero la missione. «La missione non nasce mai da un progetto perfettamente elaborato o da un manuale molto ben strutturato e programmato; la missione nasce sempre da una vita che si è sentita cercata e guarita, trovata e perdonata. La missione nasce dal fare esperienza una e più volte dell’unzione misericordiosa di Dio». La Chiesa americana è figlia«dell’audacia missionaria di tanti» e debitrice «di una Tradizione, di una catena di testimoni». Padre Serra «ha saputo vivere quello che è “la Chiesa in uscita”, questa Chiesa che sa uscire e andare per le strade, per condividere la tenerezza riconciliatrice di Dio. Ha saputo lasciare la sua terra, le sue usanze, ha avuto il coraggio di aprire vie, ha saputo andare incontro a tanti imparando a rispettare le loro usanze e le loro caratteristiche». In particolare, fra i nativi americani della California, «Junipero ha cercato di difendere la dignità della comunità nativa, proteggendola da quanti ne avevano abusato. Abusi che oggi continuano a procurarci dispiacere, specialmente per il dolore che provocano nella vita di tante persone». Il nuovo santo «scelse un motto che ispirò i suoi passi e plasmò la sua vita: seppe dire, ma soprattutto seppe vivere dicendo: “Sempre avanti”». Camminava, evangelizzava, non si fermava, «[…] perché non si anestetizzasse il suo cuore. È stato sempre avanti, perché il Signore aspetta; sempre avanti, perché il fratello aspetta; sempre avanti per tutto ciò che ancora gli rimaneva da vivere; è stato sempre avanti. Come lui allora, anche noi oggi possiamo dire: sempre avanti».
2. Al Congresso Usa: «No alla pena di morte. Difendete la persona e la vita umana, sono sacre»
Il 24 settembre Papa Francesco ha compiuto le due ultime tappe a Washington: il primo storico discorso di un Pontefice al Congresso degli Stati Uniti e il commovente incontro con i senzatetto, molti dei quali piangevano, presso la parrocchia di Saint Patrick. Il Papa ha continuato a proporre, e a tenere insieme, quattro temi forti: la difesa della famiglia, «minacciata, forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno» (17), la libertà religiosa, la critica della dittatura del denaro e del profitto — con una nuova condanna del commercio delle armi — e la difesa dell’ambiente, cui ha aggiunto un pressante invito perché vi sia maggiore accoglienza per gl’immigrati e sia abrogata la pena di morte, che negli Stati Uniti è ancora in vigore.
Non troviamo «[…] nessun tipo di giustificazione sociale, morale, o di altro genere per accettare la mancanza di abitazione» (18), ha detto il Papa ai senzatetto. «Sono situazioni ingiuste, ma […] Dio le sta soffrendo insieme con noi, le sta vivendo al nostro fianco. Non ci lascia soli» (19). Anche la Sacra Famiglia è stata senza tetto a Betlemme, anche san Giuseppe, che il Papa — ha detto Francesco — prega tanto spesso e propone ai senzatetto come patrono.
Di fronte ai parlamentari del Congresso Francesco ha salutato l’America, «terra dei liberi e casa dei valorosi»(20), e ha ricordato la vocazione alta e nobile della politica. «Una società politica dura nel tempo quando si sforza, come vocazione, di soddisfare i bisogni comuni stimolando la crescita di tutti i suoi membri, specialmente quelli in situazione di maggiore vulnerabilità o rischio. L’attività legislativa è sempre basata sulla cura delle persone». Il Papa ha invitato i legislatori a riflettere sulla figura di Mosè. «Da una parte, il patriarca e legislatore del popolo d’Israele simbolizza il bisogno dei popoli di mantenere vivo il loro senso di unità con gli strumenti di una giusta legislazione. Dall’altra, la figura di Mosè ci conduce direttamente a Dio e quindi alla dignità trascendente dell’essere umano. Mosè ci offre una buona sintesi del vostro lavoro: a voi viene richiesto di proteggere, con gli strumenti della legge, l’immagine e la somiglianza modellate da Dio su ogni volto umano».
Francesco ha quindi diviso il suo discorso in quattro parti, rievocando altrettante figure della storia americana di cui a vario titolo ricorrono quest’anno anniversari: due protestanti — Abraham Lincoln (1809-1865) e Martin Luther King — e due cattolici, Dorothy Day (1897-1980) e Thomas Merton O.C.S.O (1915-1968). Questi uomini e donne, ha detto il Papa, non erano perfetti, vivevano «la complessità della storia e la realtà della debolezza umana». Ma i loro sogni hanno creato«profonde riserve culturali», «hanno dato forma a valori fondamentali e resteranno per sempre nello spirito del popolo americano». Il presidente Lincoln nell’immaginario americano incarna la libertà.«Costruire un futuro di libertà significa amore per il bene comune e collaborazione in uno spirito di sussidiarietà e solidarietà». Dall’azione politica di Lincoln Francesco ricava tre insegnamenti. Il primo è il rifiuto di «ogni forma di fondamentalismo, tanto religioso come di ogni altro genere». «Il nostro mondo è sempre più un luogo di violenti conflitti, odi e brutali atrocità, commesse perfino in nome di Dio e della religione. Sappiamo che nessuna religione è immune da forme di inganno individuale o estremismo ideologico». Alla radice del fondamentalismo sta un «[…] semplicistico riduzionismo che vede solo bene o male, o, se preferite, giusti e peccatori». Dal fondamentalismo, che non è solo religioso, si arriva facilmente alla «violenza perpetrata nel nome di una religione, di un’ideologia o di un sistema economico». Qualche volta «[…] nel tentativo di essere liberati dal nemico esterno, possiamo essere tentati di alimentare il nemico interno. Imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore di prendere il loro posto».
La vera risposta al fondamentalismo sta in una politica che «[…]salvaguarda allo stesso tempo la libertà religiosa, la libertà intellettuale e le libertà individuali». «In questa terra, le varie denominazioni religiose hanno contribuito grandemente a costruire e a rafforzare la società. È importante che oggi, come nel passato, la voce della fede continui ad essere ascoltata» e non sia emarginata o messa a tacere. In secondo luogo Lincoln, che si trovò coinvolto nella Guerra Civile (1861-1865), comprendeva il valore della pace. «I nostri sforzi devono puntare a restaurare la pace, rimediare agli errori, mantenere gli impegni, e così promuovere il benessere degli individui e dei popoli». Infine, Lincoln difese gelosamente le prerogative della politica contro i tentativi di prevaricazione dei potentati economici. «Se la politica dev’essere veramente al servizio della persona umana, ne consegue che non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza. Politica è, invece, espressione del nostro insopprimibile bisogno di vivere insieme in unità, per poter costruire uniti il più grande bene comune: quello di una comunità che sacrifichi gli interessi particolari per poter condividere, nella giustizia e nella pace, i suoi benefici, i suoi interessi, la sua vita sociale».
Martin Luther King è il simbolo della «libertà nella pluralità e non esclusione» attraverso la sua battaglia per i «pieni diritti civili e politici per gli Afro-Americani». Oggi a chiedere pieni diritti si presentano i nuovi immigrati. «Negli ultimi secoli, milioni di persone sono giunte in questa terra per rincorrere il proprio sogno di costruire un futuro in libertà. Noi, gente di questo continente — ha detto Francesco, figlio egli stesso d’immigrati dall’Italia —, non abbiamo paura degli stranieri, perché molti di noi una volta eravamo stranieri». In passato, purtroppo, in nessun Paese del continente americano sono mancati atteggiamenti discriminatori verso questa o quella categoria d’immigrati. Oggi «[…] non dobbiamo ripetere i peccati e gli errori del passato». Mentre le guerre creano «[…] una crisi di rifugiati di proporzioni tali che non si vedevano dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. […] Dobbiamo evitare una tentazione oggi comune: scartare chiunque si dimostri problematico. Ricordiamo la Regola d’Oro: “Fai agli altri ciò che vorresti che gli altri facessero a te” (Mt 7,12).
«Questa norma ci indica una chiara direzione. Trattiamo gli altri con la medesima passione e compassione con cui vorremmo essere trattati. Cerchiamo per gli altri le stesse possibilità che cerchiamo per noi stessi. Aiutiamo gli altri a crescere, come vorremmo essere aiutati noi stessi». In altre parole, «[…] se vogliamo sicurezza, diamo sicurezza; se vogliamo vita, diamo vita; se vogliamo opportunità, provvediamo opportunità. La misura che usiamo per gli altri sarà la misura che il tempo userà per noi».
Il Papa ha anche richiamato «la responsabilità di proteggere e difendere la vita umana in ogni fase del suo sviluppo» e ha auspicato l’abolizione della pena di morte, ancora in vigore in parecchi Stati degli Stati Uniti, convinto che «[…] una giusta e necessaria punizione non deve mai escludere la dimensione della speranza e l’obiettivo della riabilitazione». Dorothy Day, attivista sociale cattolica di cui è in corso la causa di beatificazione, è il simbolo della critica a un’idea di progresso che limita la nozione dello sviluppo all’aumento del prodotto nazionale e della ricchezza. Una nozione diversa dell’economia è possibile. Ricordando la sua enciclica Laudato si’, il Pontefice ha invitato a porre l’economia e la tecnica «al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale», più rispettoso delle persone e dell’ambiente. Francesco ha ribadito che la Chiesa non è contro gl’imprenditori e considera la loro una «nobile vocazione». Ma questa vocazione deve essere orientata dalla morale.«Il corretto uso delle risorse naturali, l’appropriata applicazione della tecnologia e la capacità di ben orientare lo spirito imprenditoriale, sono elementi essenziali di un’economia che cerca di essere moderna, inclusiva e sostenibile».
Infine, Thomas Merton, monaco trappista nato cento anni fa, uomo di preghiera attivo nel dialogo interreligioso e nelle iniziative per la pace.«Essere al servizio del dialogo e della pace — ha detto il Papa —significa anche essere veramente determinati a ridurre e, nel lungo termine, a porre fine ai molti conflitti armati in tutto il mondo». Nuovamente, Francesco ha levato la sua voce contro il commercio delle armi: «perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società? Purtroppo, la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è intriso di sangue, spesso del sangue innocente».
Concludendo il suo intervento di fronte al Congresso, il Papa ha dichiarato come sia suo desiderio «[…] che durante tutta la mia visita la famiglia sia un tema ricorrente. Quanto essenziale è stata la famiglia nella costruzione di questo Paese! E quanto merita ancora il nostro sostegno e il nostro incoraggiamento!». «[…] non posso nascondere — ha affermato Francesco — la mia preoccupazione per la famiglia, che è minacciata, forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno. Relazioni fondamentali sono state messe in discussione, come anche la base stessa del matrimonio e della famiglia». Le prime vittime dell’attacco alla famiglia sono i giovani, che spesso «[…]sembrano disorientati e senza meta, intrappolati in un labirinto senza speranza, segnato da violenze, abusi e disperazione. I loro problemi sono i nostri problemi. Non possiamo evitarli». Oggi la cultura è tale che molti giovani «[…] sono dissuasi dal formare una famiglia». Ma senza famiglia quella libertà, per cui tanti grandi americani si sono battuti, alla fine si perde.
In serata il Pontefice si è recato a New York, incontrando il clero, i religiosi e le religiose nella cattedrale di Saint Patrick, dove ha evocato due santi americani che si batterono per i diritti delle scuole cattoliche:«[…] santa Elisabetta Anna Seton [1774-1821], che fondò la prima scuola cattolica gratuita per ragazze in America» (21), e «san Giovanni Neumann [1811-1860], fondatore del primo sistema di educazione cattolica in questo Paese». Francesco non ha mancato di far cenno al problema della pedofilia, confessando la sua «[…] vergogna a causa di tanti fratelli che hanno ferito e scandalizzato la Chiesa nei suoi figli più indifesi» e ha manifestato il suo affetto alle religiose americane, divise e con molti problemi ma spesso «in prima linea nell’annuncio del Vangelo». Ha però anche richiamato le religiose, i religiosi e i sacerdoti a non perdere lo «spirito di gratitudine» e lo «spirito di laboriosità». Un consacrato dovrebbe sempre essere grato a Dio per averlo chiamato e dovrebbe fare di questa gratitudine l’asse centrale della sua vita. «La gioia di uomini e donne che amano Dio attrae altri ad essi; sacerdoti e consacrati chiamati a trovare e irradiare una permanente soddisfazione per la loro chiamata. La gioia sgorga da un cuore grato. È vero: abbiamo ricevuto molto, tante grazie, tante benedizioni, e ce ne rallegriamo. Ci farà bene ripercorrere la nostra vita con la grazia della memoria».
Dalla gratitudine sgorga la laboriosità apostolica. «Un cuore grato è spontaneamente sospinto a servire il Signore e a intraprendere uno stile di vita operoso». La vera laboriosità ha due nemici. Il primo è la«spiritualità mondana», che induce a «[…] misurare il valore dei nostri sforzi apostolici dal criterio dell’efficienza, della funzionalità e del successo esterno che governa il mondo degli affari». «Non che queste cose non siano importanti! — ha detto il Papa —. Ci è stata affidata una grande responsabilità e giustamente il Popolo di Dio si aspetta delle verifiche. Ma il vero valore del nostro apostolato viene misurato dal valore che esso ha agli occhi di Dio». La croce di Gesù «[…] ci mostra un modo diverso nel misurare il successo: a noi spetta seminare, e Dio vede i frutti delle nostre fatiche». Il secondo pericolo è quello del sacerdote e del religioso che difende il suo diritto al tempo libero come se fosse un lavoratore qualunque e pensa che «[…]circondarci di confort mondani ci aiuterà a servire meglio». Così «pian piano ma sicuramente diminuisce il nostro spirito di sacrificio, il nostro spirito di rinuncia e di laboriosità. E pure allontana la gente che sta soffrendo per la povertà materiale ed è costretta a fare sacrifici più grandi dei nostri, senza essere consacrati». Certo, «il riposo è una necessità, come lo sono i momenti di tempo libero e di ricarica personale, ma dobbiamo imparare come riposare in maniera che approfondisca il nostro desiderio di servire in modo generoso».
3. Il grido del Papa all’ONU: «Basta abusi sui poveri. Terra, casa, lavoro e libertà d’educazione per tutti»
La terza giornata di Papa Francesco negli Stati Uniti ha avuto come momento centrale la visita alle Nazioni Unite, seguita dall’incontro interreligioso a Ground Zero. Si è conclusa, quindi, con la visita a una scuola d’immigrati a Harlem e la Messa al Madison Square Garden. Il Papa ha ricordato ancora l’ambiente e i poveri, ma ha sottolineato con particolare enfasi la libertà di educazione, oggi spesso minacciata e negata, strettamente collegata alla libertà religiosa e ai diritti delle famiglie, minacciati dalla «colonizzazione ideologica» (22) e dai «falsi diritti». E ha chiesto un «esame di coscienza» sui cristiani e le altre minoranze perseguitate in Medio Oriente e sul problema, ancora troppo sottovalutato, della droga.
Vi era molta attesa per il discorso del Papa alle Nazioni Unite. Come fa spesso, Francesco ha ricordato i suoi predecessori che hanno parlato al Palazzo di Vetro: il beato Paolo VI nel 1965, san Giovanni Paolo II nel 1979 e nel 1995, Benedetto XVI nel 2008. Ha citato due volte Benedetto XVI, per mostrare che le preoccupazioni per l’ambiente erano già presenti in Papa Ratzinger e per riaffermare il primato del diritto naturale sul diritto positivo, anche internazionale. Le Nazioni Unite, ha detto il Papa, sono nate dalla constatazione che il potere, nelle mani di «[…] ideologie nazionalistiche o falsamente universalistiche, è capace di produrre tremende atrocità». Dopo la Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), «la codificazione e lo sviluppo del diritto internazionale, la costruzione della normativa internazionale dei diritti umani, il perfezionamento del diritto umanitario» sono stati visti come il rimedio per contrastare «l’oscurità del disordine causato dalle ambizioni incontrollate e dagli egoismi collettivi». Nonostante i risultati conseguiti, sono però «ancora molti i gravi problemi non risolti». Con un accenno non troppo velato al problema del Consiglio di Sicurezza, dove pochi Paesi ancora possono esercitare il diritto di veto, il Pontefice ha chiesto riforme che possano «[…] concedere a tutti i Paesi, senza eccezione, una partecipazione e un’incidenza reale ed equa nelle decisioni. Questa necessità di una maggiore equità, vale in special modo per gli organi con effettiva capacità esecutiva, quali il Consiglio di Sicurezza, gli Organismi finanziari e i gruppi o meccanismi specificamente creati per affrontare le crisi economiche».
Francesco ha ricordato che «[…] la limitazione del potere è un’idea implicita nel concetto di diritto. Dare a ciascuno il suo, secondo la definizione classica di giustizia, significa che nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei gruppi sociali. La distribuzione di fatto del potere (politico, economico, militare, tecnologico, ecc.) tra una pluralità di soggetti e la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendicazioni e degli interessi, realizza la limitazione del potere». «Oggi il panorama mondiale ci presenta, tuttavia, molti falsi diritti», ha aggiunto il Pontefice, riprendendo un tema già sottolineato da Benedetto XVI.
Papa Francesco ha a cuore «le parti fragili della realtà»: l’ambiente e gli esclusi. Ha affermato che «[…] esiste un vero “diritto dell’ambiente”», il quale «[…] comporta limiti etici che l’azione umana deve riconoscere e rispettare». «Qualsiasi danno all’ambiente […] è un danno all’umanità» e «[…] ciascuna creatura, specialmente gli esseri viventi, ha un valore in sé stessa, di esistenza, di vita, di bellezza e di interdipendenza con le altre creature». «L’abuso e la distruzione dell’ambiente, allo stesso tempo, sono associati a un inarrestabile processo di esclusione». Gli stessi gruppi, spinti da «una brama egoistica e illimitata di potere», non si curano dell’ambiente e«scartano» i più deboli. «I più poveri sono quelli che soffrono maggiormente questi attentati per un triplice, grave motivo: sono scartati dalla società, sono nel medesimo tempo obbligati a vivere di scarti e devono ingiustamente soffrire le conseguenze dell’abuso dell’ambiente. Questi fenomeni costituiscono oggi la tanto diffusa e incoscientemente consolidata “cultura dello scarto”».
Non è questione di parole, ma di giustizia. «Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi», ha ricordato il Papa: «la giustizia è la volontà perpetua e costante di riconoscere a ciascuno il suo diritto». In concreto, le Nazioni Unite devono combattere «tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato». Attenzione, però. Troppo spesso gli organismi internazionali si limitano a «un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze» e si limitano «all’esercizio burocratico di redigere lunghe enumerazioni di buoni propositi — mete, obiettivi e indicazioni statistiche», che in concreto lasciano i problemi come sono. Francesco ha voluto ricordare che la giustizia, cioè il rispetto del diritto di ciascuno, «[…] si assicura in primo luogo rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare e il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a sostenere e collaborare con le famiglie nell’educazione delle loro figlie e dei loro figli». Agende e documenti lasciano il tempo che trovano se non è garantita «[…] la libertà di spirito, che comprende la libertà religiosa, il diritto all’educazione e tutti gli altri diritti civili». Questi «[…] pilastri dello sviluppo umano integrale hanno un fondamento comune, che è il diritto alla vita, e, in senso ancora più ampio, quello che potremmo chiamare il diritto all’esistenza della stessa natura umana». Il Papa denuncia la «crisi ecologica» e «le nefaste conseguenze di un irresponsabile malgoverno dell’economia mondiale, guidato unicamente dall’ambizione di guadagno e di potere», ma afferma, citando ancora Benedetto XVI, che questi mali si combattono con «una severa riflessione sull’uomo». «L’uomo non si crea da solo. È spirito e volontà, però anche natura». Non bastano le soluzioni tecniche. Occorre, dietro il diritto internazionale, «[…] il riconoscimento di una legge morale inscritta nella stessa natura umana, che comprende la distinzione naturale tra uomo e donna e il rispetto assoluto della vita in tutte le sue fasi e dimensioni».
La legge morale naturale è anche il più sicuro presidio contro le guerre. «Senza il riconoscimento di alcuni limiti etici naturali insormontabili» gli appelli alla pace rischiano «[…] di diventare un miraggio irraggiungibile o, peggio ancora, parole vuote che servono come scusa per qualsiasi abuso e corruzione, o per promuovere una colonizzazione ideologica mediante l’imposizione di modelli e stili di vita anomali estranei all’identità dei popoli e, in ultima analisi, irresponsabili». Francesco ha condannato ancora «la proliferazione delle armi», si è rallegrato dei risultati raggiunti dai negoziati sul nucleare, che attendono però — ha detto — la prova dei fatti, e ha ricordato che esistono «gravi prove delle conseguenze negative di interventi politici e militari non coordinati tra i membri della comunità internazionale». E ha continuato: «[…] seppure desiderando di non avere la necessità di farlo, non posso non reiterare i miei ripetuti appelli in relazione alla dolorosa situazione di tutto il Medio Oriente, del Nord Africa e di altri Paesi africani, dove i cristiani, insieme ad altri gruppi culturali o etnici e anche con quella parte dei membri della religione maggioritaria che non vuole lasciarsi coinvolgere dall’odio e dalla pazzia, sono stati obbligati ad essere testimoni della distruzione dei loro luoghi di culto, del loro patrimonio culturale e religioso, delle loro case ed averi e sono stati posti nell’alternativa di fuggire o di pagare l’adesione al bene e alla pace con la loro stessa vita o con la schiavitù». Su queste persecuzioni Francesco ha chiesto un «esame di coscienza» alle organizzazioni internazionali.
Ha citato anche «[…] un altro tipo di conflittualità, non sempre così esplicitata ma che silenziosamente comporta la morte di milioni di persone. Un altro tipo di guerra che vivono molte delle nostre società con il fenomeno del narcotraffico. Una guerra “sopportata” e debolmente combattuta. Il narcotraffico per sua stessa natura si accompagna alla tratta delle persone, al riciclaggio di denaro, al traffico di armi, allo sfruttamento infantile e ad altre forme di corruzione. Corruzione che è penetrata nei diversi livelli della vita sociale, politica, militare, artistica e religiosa, generando, in molti casi, una struttura parallela che mette in pericolo la credibilità delle nostre istituzioni». Francesco ha concluso, con un cenno anche all’aborto, invocando il «[…] rispetto della sacralità di ciascuna vita umana, di ciascun uomo e di ciascuna donna; dei poveri, degli anziani, dei bambini, degli ammalati, dei non nati, dei disoccupati, degli abbandonati, di quelli che vengono giudicati scartabili perché li si considera nient’altro che numeri di questa o quella statistica». E ha invitato alla concordia politica con le parole del poema nazionale argentino, il Martín Fierro: «I fratelli siano uniti perché questa è la prima legge. Abbiano una vera unione in qualsiasi tempo, perché se litigano tra di loro li divoreranno quelli di fuori» (23).
Il mondo ha bisogno di una pausa di riflessione, ha detto il Papa alle Nazioni Unite. Ed è andato a riflettere a Ground Zero, il luogo del dramma dell’11 settembre 2001. Lì ha affermato che «[…] la vita è sempre destinata a trionfare sui profeti della distruzione, sulla morte, che il bene avrà sempre la meglio sul male, che la riconciliazione e l’unità vinceranno sull’odio e sulla divisione» (24). L’11 settembre è stato il giorno del male e del crimine, ma anche dell’eroismo di chi ha dato la vita per salvare quella di altri. «Questo luogo di morte si trasforma anche in un luogo di vita, di vite salvate, un canto che ci porta ad affermare che la vita è sempre destinata a trionfare sui profeti della distruzione, sulla morte». Qui, ha detto Francesco, si è anche vista la «[…] capacità di bontà eroica di cui è anche capace l’essere umano, la forza nascosta a cui sempre dobbiamo fare appello. Nel momento di maggior dolore, sofferenza, voi siete stati testimoni dei più grandi atti di dedizione e di aiuto. Mani tese, vite offerte. In una metropoli che può sembrare impersonale, anonima, di grandi solitudini, siete stati capaci di mostrare la potente solidarietà dell’aiuto reciproco, dell’amore e del sacrificio personale». Alla fine, l’immagine dell’11 settembre che più deve farci riflettere e dare speranza è quella dei «pompieri di New York [che] sono entrati nelle torri che stavano crollando senza fare tanta attenzione alla propria vita. Molti sono caduti in servizio e col loro sacrificio hanno salvato la vita di tanti altri».
Il Papa ha quindi visitato la scuola «Nostra Signora Regina degli Angeli» a Harlem. Ai bambini afroamericani e immigrati ha ricordato ancora Martin Luther King e le sue parole famose: «Ho un sogno. Sognò — ha commentato — che tanti bambini, tante persone avrebbero avuto uguaglianza di opportunità. Sognò che tanti bambini come voi avrebbero avuto accesso all’educazione. Sognò che tanti uomini e donne, come voi, potessero andare a testa alta, con la dignità di chi può guadagnarsi da vivere. È bello avere dei sogni ed è bello poter lottare per i sogni. Non dimenticatelo» (25). Il Pontefice ha parlato di un vero «diritto di sognare» (26), e ha commentato che «dove ci sono sogni, dove c’è gioia, lì c’è sempre Gesù. Sempre. Invece, chi è quello che semina tristezza, che semina sfiducia, che semina invidia, che semina i cattivi desideri? Come si chiama? Il diavolo. Il diavolo semina sempre tristezza, perché non vuole che siamo felici, non vuole che sogniamo» (27).
Infine, il saluto a New York con la Messa al Madison Square Garden,«luogo emblematico di questa città» (28). Il Papa è tornato su un tema che lo appassiona: le grandi città e come «contemplare la presenza viva di Dio» anche nelle moderne megalopoli. «Vivere in una città è qualcosa di piuttosto complesso: un contesto multiculturale con grandi sfide non facili da risolvere». Ma le megalopoli «[…] ci ricordano la ricchezza nascosta nel nostro mondo: la varietà di culture, tradizioni e storie. La varietà di lingue, di vestiti, di cibi. Le grandi città diventano poli che sembrano presentare la pluralità dei modi che noi esseri umani abbiamo trovato di rispondere al senso della vita nelle circostanze in cui ci trovavamo». Ma è anche vero che «[…] le grandi città nascondono il volto di tanti che sembrano non avere cittadinanza o essere cittadini di seconda categoria. Nelle grandi città, nel rumore del traffico, nel “ritmo dei cambiamenti”, rimangono coperte le voci di tanti volti che non hanno “diritto” alla cittadinanza, non hanno diritto a far parte della città — gli stranieri, i loro figli (e non solo) che non ottengono la scolarizzazione, le persone prive di assistenza medica, i senzatetto, gli anziani soli — confinati ai bordi delle nostre strade, nei nostri marciapiedi in un anonimato assordante. Ed entrano a far parte di un paesaggio urbano che lentamente diventa naturale davanti ai nostri occhi e specialmente nel nostro cuore».
Non dobbiamo abituarci al male e dobbiamo liberarci «dalle “connessioni” vuote, dalle analisi astratte, o dal bisogno di sensazioni forti». Dobbiamo invece saper «[…] guardare in mezzo allo “smog” la presenza di Dio che continua a camminare nella nostra città. Perché Dio è nella città». Ma come incontrarlo? Francesco si è riferito a quattro caratteristiche del Messia preannunciate dal profeta Isaia:«Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace». Anzitutto consigliere. Gesù consiglia «[…] sempre ai suoi discepoli di andare, di uscire. Li spinge ad andare incontro agli altri, dove realmente sono e non dove ci piacerebbe che fossero. Andate, una, due, tre volte, andate senza paura, andate senza repulsione, andate e annunciate questa gioia che è per tutto il popolo».
Poi, «Dio potente». «In Gesù Dio si è fatto Emmanuel, il Dio con noi, il Dio che cammina al nostro fianco, che si è mescolato con le nostre cose, nelle nostre case, con i nostri “tegami”, come amava dire santa Teresa di Gesù». In Gesù Dio si rivela pure come «Padre per sempre. Nulla e nessuno potrà separarci dal suo Amore». E come «Principe della pace. Andare verso gli altri per condividere la buona notizia che Dio è nostro Padre. Che cammina al nostro fianco, ci libera dall’anonimato, da una vita senza volti, una vita vuota, e ci introduce alla scuola dell’incontro. Ci libera dalla guerra della competizione, dell’autoreferenzialità, per aprirci al cammino della pace».
4. Le famiglie del mondo incontrano Papa Francesco. «Donne e laici chiamati alla missione»
Sabato 26, Papa Francesco è arrivato a Filadelfia, dove si è aperto l’Incontro mondiale delle famiglie. La visita è iniziata dalla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, dove ha incontrato i sacerdoti, le religiose e i religiosi. Parlando loro, ha denunciato un certo clericalismo e ha invitato a dare più spazio ai laici e alle donne, senza peraltro rinunciare all’«autorità spirituale» (29) che vescovi e sacerdoti devono esercitare sulle loro comunità.
La Chiesa Cattolica in Pennsylvania ha eretto splendide mura, ha detto Francesco, ma «mi piace pensare, tuttavia, che la storia della Chiesa in questa città e in questo Stato è in realtà una storia che non comprende solo la costruzione di mura, ma anche il loro abbattimento». È la storia«[…] di generazioni e generazioni di cattolici impegnati che sono andati verso le periferie e hanno costruito comunità per il culto, per l’educazione, per la carità e il servizio della società in generale». Un’eredità che passa anche per «centinaia di scuole». Francesco ha ricordato un aneddoto relativo a una santa di Filadelfia, Caterina Drexel (1858-1955). «Quando parlò al Papa Leone XIII [1878-1903]delle necessità delle missioni, il Papa — era un Papa molto saggio — le domandò intenzionalmente: “E tu? Che cosa farai?”. Quelle parole cambiarono la vita di Caterina, perché le ricordarono che in fondo ogni cristiano, uomo o donna, in virtù del Battesimo, ha ricevuto una missione». Ognuno di noi deve rispondere personalmente, senza pensare di poter delegare ad altri.
Questo «E tu?» di Leone XIII ha due dimensioni. In primo luogo, le parole «[…] sono state rivolte ad una persona giovane, a una giovane donna con alti ideali, e le hanno cambiato la vita». Tanti giovani hanno gli stessi ideali e aspirano a cose grandi. Il Papa chiede ai sacerdoti:«[…] noi, li mettiamo alla prova? Diamo loro spazio e li aiutiamo a realizzare il loro compito? Troviamo il modo di condividere il loro entusiasmo e i loro doni con le nostre comunità, soprattutto nella pratica delle opere di misericordia e nell’attenzione agli altri? Condividiamo la nostra gioia e il nostro entusiasmo nel servizio del Signore?». Un prete non entusiasta spegne l’entusiasmo dei fedeli. In secondo luogo, «[…] queste parole dell’anziano Papa sono state rivolte ad una donna laica». Francesco ricorda che «[…] il futuro della Chiesa, in una società che cambia rapidamente, esige già fin d’ora una partecipazione dei laici molto più attiva». Il Pontefice parla ai sacerdoti e li invita a superare il clericalismo. Attenzione, però, ricorda il Pontefice a vescovi e sacerdoti, «questo non significa rinunciare all’autorità spirituale che ci è stata conferita; piuttosto, significa discernere e valorizzare sapientemente i molteplici doni che lo Spirito effonde sulla Chiesa. In modo particolare, significa stimare l’immenso contributo che le donne, laiche e religiose, hanno dato e continuano a dare nella vita delle nostre comunità».
Infine, il Papa ricorda che è venuto a Filadelfia per l’Incontro mondiale delle famiglie e chiede ai sacerdoti «[…] in modo speciale di riflettere sul nostro servizio alle famiglie, alle coppie che si preparano al matrimonio, e ai nostri giovani». «E tu?». Il Signore lo chiede alle parrocchie: fate abbastanza per le famiglie? Lo chiede alle famiglie. E a tutti addita l’esempio di chi ha dato la risposta perfetta: la Vergine Maria.
Francesco ha quindi visitato lo storico Independence Mall, il luogo dove«[…] le libertà che definiscono questo Paese sono state proclamate per la prima volta» (30). Il Pontefice ha ricordato «[…] le grandi lotte che hanno portato all’abolizione della schiavitù, all’estensione del diritto di voto, alla crescita del movimento dei lavoratori, ed allo sforzo progressivo per eliminare ogni forma di razzismo e di pregiudizio diretti contro le ondate successive di nuovi americani». Fare memoria del passato è importante. «Un popolo che ricorda non ripete gli errori del passato; al contrario, guarda fiducioso le sfide del presente e del futuro. La memoria salva l’anima di un popolo da tutto ciò o da tutti coloro che potrebbero tentare di dominarla o di utilizzarla per i loro interessi». Gli Stati Uniti hanno messo al centro della loro Costituzione, ha ricordato il Papa, «il diritto alla libertà religiosa» come «diritto fondamentale». I padri fondatori della nazione americana sapevano che la libertà religiosa è più della semplice libertà di culto. «La libertà religiosa implica certamente il diritto di adorare Dio, individualmente e comunitariamente, come la propria coscienza lo detta. Ma la libertà religiosa, per sua natura, trascende i luoghi di culto, come pure la sfera degli individui e delle famiglie. Perché il fatto religioso, la dimensione religiosa, non è una subcultura, è parte della cultura di qualunque popolo e qualunque nazione».
La libertà religiosa richiama «[…] la dimensione trascendente dell’esistenza umana e la nostra irriducibile libertà di fronte ad ogni pretesa di qualsiasi potere assoluto». La storia mostra le «[…] atrocità perpetrate dai sistemi che pretendevano di costruire questo o quel “paradiso terrestre” dominando i popoli, asservendoli a principi apparentemente indiscutibili e negando loro qualsiasi tipo di diritto», a partire dalla libertà di religione. Se cade la libertà religiosa, ha detto Francesco citando lo storico gesuita francese Michel de Certeau (1925-1986), non vi è più difesa contro quella «[…] uniformità che l’egoismo del forte, il conformismo del debole, o l’ideologia dell’utopista potrebbero cercare di imporci».
La voce del Papa si è levata per denunciare «[…] un mondo dove le diverse forme di tirannia moderna cercano di sopprimere la libertà religiosa, o — come ho detto prima — cercano di ridurla a una subcultura senza diritto di espressione nella sfera pubblica, o ancora cercano di utilizzare la religione come pretesto per l’odio e la brutalità». Dietro alla negazione della libertà religiosa si nasconde la«globalizzazione del paradigma tecnocratico» che «[…] mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale». Francesco ha ricordato l’impegno per la libertà religiosa de «i Quaccheri che hanno fondato Filadelfia» e delle altre comunità che hanno contribuito alla formazione degli Stati Uniti. Oggi i loro ideali sono minacciati da una certa idea della globalizzazione. «La globalizzazione — ha affermato Francesco — non è cattiva. Anzi, la tendenza a globalizzarci è buona, ci unisce. Ciò che può essere negativo è il modo di realizzarla. Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo. Se una globalizzazione cerca di unire tutti, ma rispettando ogni persona, la sua ricchezza, la sua peculiarità, rispettando ogni popolo, con la sua ricchezza, la sua peculiarità, questa globalizzazione è buona e ci fa crescere tutti».
Infine, il Papa ha iniziato con una veglia di preghiera il suo dialogo con il popolo delle famiglie, al quale ha detto «che una società cresce forte, cresce buona, cresce bella e cresce vera se si edifica sulla base della famiglia» (31). La Trinità stessa è una famiglia. La creazione ha affidato la Terra a una famiglia. «Tutto l’amore che Dio ha in sé, tutta la bellezza che Dio ha in sé, tutta la verità che Dio ha in sé, la consegna alla famiglia». La narrazione del Paradiso Terrestre ci mostra anche «l’astuzia del demonio», che vuole distruggere il disegno di Dio sulla famiglia. «E tra queste due posizioni camminiamo noi oggi. Sta a noi scegliere, sta a noi decidere la strada da seguire». Anche Gesù«[…] è entrato nel mondo in una famiglia. E ha potuto farlo perché quella famiglia era una famiglia che aveva il cuore aperto all’amore, aveva le porta aperte». A Filadelfia, ha detto il Pontefice, «siamo alla festa delle famiglie. La famiglia ha la carta di cittadinanza divina. È chiaro? La carta di cittadinanza che ha la famiglia l’ha data Dio perché nel suo seno crescessero sempre più la verità, l’amore e la bellezza». Certo, nelle famiglie vi sono le difficoltà, vi è la croce. «Ma nelle famiglie, dopo la croce, c’è anche la risurrezione, perché il Figlio di Dio ci ha aperto questa via. Per questo la famiglia è — scusate il termine — una fabbrica di speranza, di speranza di vita e di risurrezione».
Il Papa ha raccomandato soprattutto alle famiglie «[…] i bambini e i nonni. I bambini e i giovani sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza. I nonni sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno dato la fede, ci hanno trasmesso la fede. Avere cura dei nonni e avere cura dei bambini è la prova di amore, non so se più grande, ma direi più promettente della famiglia, perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e un popolo che non sa prendersi cura dei nonni è un popolo senza futuro, perché non ha la forza e non ha la memoria per andare avanti».
5. Il Papa lancia un appello: «Difendete la famiglia, qui si gioca il futuro»
Domenica 27 il Papa, a Filadelfia, la città della Rivoluzione Americana, prima di concludere di fronte a un milione di persone l’Incontro mondiale delle famiglie, ha riaffermato con parole particolarmente forti l’impegno della Chiesa per la libertà religiosa, che non è solo libertà di culto ma diritto delle religioni a essere parte integrante della società e della cultura, e per la famiglia, senza la quale — ha detto — la società si corrompe e la stessa Chiesa non esisterebbe.
Incontrando i vescovi che partecipano all’Incontro delle famiglie, Francesco è tornato sulla questione dei preti pedofili, confidando:«continua a opprimermi la vergogna […]. Dio piange»; «mi impegno all’attenta vigilanza della Chiesa per proteggere i minori e prometto che tutti i responsabili renderanno conto» (32). I preti pedofili hanno rischiato di spezzare l’alleanza fra Chiesa e famiglie, che non è un dettaglio ma il centro della missione. «Senza la famiglia — ha affermato il Papa — anche la Chiesa non esisterebbe». Oggi riaffermare questa verità è difficile, di fronte a una cultura che «[…]sembra stimolare le persone a entrare nella dinamica di non legarsi a niente e a nessuno», stimola i consumi e crea nuove solitudini.«Inseguendo un “mi piace”» o l’aumento degli «amici» sui social network le persone seguono la proposta della società contemporanea, in una «solitudine timorosa dell’impegno» e «in una ricerca sfrenata di sentirsi riconosciuti».
Le cose vanno male? È vero. Ma i vescovi non possono limitarsi al lamento. Occorre andare a cercare i giovani, annunciando loro il Vangelo della famiglia e qualche volta ponendo loro la domanda scomoda: «Perché non ti sposi?». «A Buenos Aires — ha raccontato il Papa —, quante donne si lamentavano: “Ho mio figlio che ha 30, 32, 34 anni e non si sposa, non so che fare”. “Signora, non gli stiri più le camicie!”». Il vescovo, come il sacerdote «rinuncia ad affetti familiari propri per destinare tutte le sue forze […] alla benedizione evangelica degli affetti dell’uomo e della donna che danno vita al disegno della creazione di Dio». Dunque la Chiesa ha bisogno della famiglia e la famiglia della Chiesa, senza dimenticare gli affetti «perduti, abbandonati, feriti, devastati, avviliti e privati delle loro dignità», su cui i vescovi devono chinarsi con particolare amore.
Ai detenuti il Papa ha ricordato l’episodio evangelico della lavanda dei piedi. Lì vediamo come Gesù «[…] ci cerca, vuole guarire le nostre ferite, curare i nostri piedi dalle piaghe di un cammino carico di solitudine, pulirci dalla polvere che si è attaccata per le strade che ciascuno ha percorso» (33). «Gesù non ci chiede dove siamo andati, non ci interroga su che cosa stavamo facendo»: «Egli viene incontro a noi per calzarci di nuovo con la dignità dei figli di Dio». «Vivere comporta “sporcarsi i piedi” per le strade polverose della vita, e della storia. E tutti abbiamo bisogno di essere purificati, di essere lavati».
Il Pontefice denuncia i «[…] sistemi penitenziari che non cercano di curare le piaghe, guarire le ferite, generare nuove opportunità. È doloroso riscontrare come a volte si crede che solo alcuni hanno bisogno di essere lavati, purificati, non considerando che la loro stanchezza, il loro dolore, le loro ferite sono anche la stanchezza, il dolore, e le ferite di tutta una società». Lo scopo legittimo della pena e della reclusione è «[…] tendere la mano per riprendere il cammino, tendere la mano perché aiuti al reinserimento sociale». Del resto,«tutti abbiamo qualcosa da cui essere puliti, purificati. Tutti. Che tale consapevolezza ci risvegli alla solidarietà tra tutti, a sostenerci e a cercare il meglio per gli altri».
6. Quattro temi essenziali
Il viaggio, caratterizzato ovunque dall’affluenza di grandi folle, ha toccato moltissimi temi. Sono però emerse quattro tesi fondamentali.
La prima è che «la libertà religiosa oggi è gravemente minacciata». Il problema non riguarda solo i Paesi dominati dalle ideologie evocate in modo critico a Cuba. Riguarda anche l’Occidente. Il fatto che i Paesi e i governanti occidentali non levino la loro voce quando i cristiani e i fedeli di altre minoranze religiose sono massacrati in Africa e in Asia dipende in gran parte dalla loro cattiva coscienza. Se iniziassero a parlare di libertà religiosa, si potrebbe domandare loro se davvero la rispettano nei loro Paesi. Il Papa ha parlato anche con i gesti: ha incontrato privatamente le Piccole Sorelle dei Poveri, impegnate in una causa contro il governo degli Stati Uniti che vuole imporre ai datori di lavoro di garantire — direttamente oppure indirettamente, tramite le assicurazioni — anticoncezionali e aborto gratuiti ai loro dipendenti. E — senza che l’incontro, come ha precisato padre Lombardi, implichi una precisa presa di posizione su un caso che presenta diverse e complesse sfaccettature giuridiche — ha incontrato alla nunziatura di Washington Kim Davis, la funzionaria governativa del Kentucky arrestata e rinviata a giudizio per aver rifiutato di firmare licenze per «matrimoni» fra persone dello stesso sesso. Questi incontri mostrano come il Papa sia consapevole che il «diritto di espressione nella sfera pubblica» (34) che si vuole negare ai cristiani, violando la loro libertà religiosa, riguarda particolarmente la vita e la famiglia. Nel viaggio di ritorno dagli Stati Uniti una giornalista della rete televisiva americanaABC, alludendo al caso Kim Davis, ha chiesto al Papa se appoggia l’obiezione di coscienza di funzionari pubblici «[…] che dicono di non potere, secondo la loro buona coscienza, secondo la loro coscienza personale, attenersi a determinate leggi o assolvere ai loro compiti di funzionari governativi, per esempio nel rilasciare licenze matrimoniali a coppie dello stesso sesso» (35). Francesco ha risposto che sì, sostiene il diritto all’obiezione di coscienza in questi casi, anche se si tratta di pubblici funzionari: «Se il funzionario di governo è una persona umana, ha quel diritto. È un diritto umano» (36).
La seconda tesi è che «forse mai come oggi la famiglia è sotto attacco». Come abbiamo visto, ai parlamentari del Congresso Francesco ha detto che oggi la famiglia «[…] è minacciata forse come mai in precedenza, dall’interno e dall’esterno. Relazioni fondamentali sono state messe in discussione, come anche la base stessa del matrimonio e della famiglia». È tornato sul tema diverse volte. La dura reazione delle organizzazioni omosessuali ha confermato che l’accenno al «matrimonio» omosessuale è stato ben capito da chi doveva capire.
La terza tesi è che «la risposta a quest’attacco dev’essere anzitutto antropologica». Il Papa parlando ai vescovi ha criticato la risposta agli attacchi con un linguaggio «aspro e bellicoso» e ha invitato a non fare«della croce un vessillo di lotte mondane». È un passaggio che va capito bene. Il Papa non chiede né ai vescovi né ai laici di rinunciare alla battaglia per la famiglia, anzi afferma che non è lecito «evadere da tali questioni». Ma chiede, come ha detto ai vescovi, che la posizione della Chiesa sia presentata con «soavità» e pazienza, senza toni urlati. Né si tratta solo di una questione di toni. A Filadelfia il Papa ha invitato il popolo delle famiglie a ripartire dai dati antropologici fondamentali, dalla bellezza della differenza voluta da Dio fra uomo e donna, del matrimonio, della famiglia. Non vi è solo, infatti, la messa in discussione delle basi del matrimonio e della famiglia tramite le cattive leggi. Vi sono anche tanti giovani che non prendono più neppure in considerazione il matrimonio. Vi è una «ferita culturale» (37) che«[…] spinge e convince i giovani a non formare una famiglia» (38). La risposta dev’essere una pastorale capace di «[…] entusiasmare i giovani perché corrano questo rischio» (39) del matrimonio e di mostrare che tutto l’amore di Dio si rivela nella famiglia.
La quarta tesi è che «la difesa della famiglia non va separata da quella della vita, dell’ambiente, della giustizia sociale». Il Papa non ha affatto chiesto ai cattolici americani di ridurre il loro impegno nella difesa della famiglia. Ma è vero che ha indicato anche altre priorità: una tutela della vita che porti ad abrogare la pena di morte, ancora presente in diversi Stati degli Stati Uniti, la difesa dell’ambiente e una giustizia sociale che superi l’imperialismo del denaro, accolga i rifugiati, assicuri i giusti diritti agl’immigrati. Si tratta di un passaggio non facile del Magistero di Papa Francesco, ma fondamentale. Il Pontefice lo ha spiegato all’udienza generale del 16 settembre quando, subito prima di partire per Cuba e gli Stati Uniti, ha concluso il lungo ciclo di catechesi del mercoledì sulla famiglia. Il Papa ha spiegato che la sua triplice battaglia contro la «tecnocrazia economica» (40), contro chi provoca disastri ecologici in nome del profitto e contro le«colonizzazioni […] delle ideologie» (41) che aggrediscono la famiglia, in realtà è una, è la stessa. Gli stessi poteri forti internazionali impongono la dittatura di una finanza senza regole, rovinano l’ambiente e promuovono con ogni mezzo l’ideologia del gender. Sono gli stessi poteri forti: non sono poteri diversi. Criticarli solo sul versante del gender e della famiglia, non andando al cuore del loro dominio, che è economico e finanziario, secondo Francesco è riduttivo. Naturalmente — il Papa lo ha ribadito negli Stati Uniti — è riduttivo anche criticare soltanto le ingiustizie e le «colonizzazioni» economiche, dimenticando quelle «ideologiche» del gender e delle politiche antifamiliari. È uno schema tipico di Papa Francesco, qualche volta non facile da capire e da far capire. Ma è il cuore del suo Magistero.
Note:
(1) Francesco, Omelia nella Santa Messa nella Plaza de la Revolución a L’Avana, del 20-9-2015, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 21/22-9-2015.
(2) Ibidem.
(3) Idem, Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale a L’Avana, del 19-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(4) Idem, Omelia nella Santa Messa nella Plaza de la Revolución a L’Avana, cit. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(5) Idem, Preghiera dell’Angelus Domini, del 20-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(6) Idem, Celebrazione dei Vespri con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi nella cattedrale a L’Avana, del 21-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(7) Idem, Saluto ai giovani del Centro Cultural Padre Félix Varela a L’Avana, del 20-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(8) Idem, Omelia nella Santa Messa nella Plaza de la Revolución a Holguín, del 21-9-2015, ibid. 23-9-2015. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(9) Idem, Incontro con le Famiglie nella Cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione a Santiago, del 22-9-2015, ibid. 24-9-2015.
(10) Idem, Omelia nella Santa Messa nella Basilica minore del Santuario della «Virgen de la Caridad del Cobre» a Santiago, del 22-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(11) Idem, Incontro con le Famiglie nella Cattedrale di Nostra Signora dell’Assunzione a Santiago, cit. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(12) Idem, Incontro con i Vescovi degli Stati Uniti d’America nella Cattedrale di San Matteo a Washington, D.C., del 23-9-2015, ibid. 25-9-2015.
(13) Idem, Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo Santiago-Washington, D.C., del 22-9-2015, ibid. 24-9-2015. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(14) Idem, Cerimonia di benvenuto nel South Lawn della Casa Bianca, del 23-9-2015, ibid. 25-9-2015. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(15) Idem, Incontro con i Vescovi degli Stati Uniti d’America nella Cattedrale di San Matteo a Washington, D.C., cit. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(16) Idem, Omelia nella Santa Messa e Canonizzazione del Beato P. Junipero Serra nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione a Washington, D.C., del 23-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(17) Idem, Discorso all’Assemblea Plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America, del 24-9-2015, ibid. 26-9-2015.
(18) Idem, Visita al Centro Caritativo della Parrocchia di St. Patrick e incontro con i senzatetto a Washington, D.C., del 24-9-2015, ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Idem, Discorso all’Assemblea Plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America, cit. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(21) Idem, Vespri con Clero, Religiosi e Religiose nella Cattedrale di S. Patrizio a New York, del 24-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(22) Idem, Incontro con i Membri dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, del 25-9-2015, ibid. 27-9-2015. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(23) José Hernández (1834-1886), Martín Ferro, Cangrejo Editores, Bogotà (Colombia) 2005, v. 1160 (p. 295).
(24) Idem, Incontro Interreligioso al Memorial di Ground Zero, del 25-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(25) Idem, Visita alla Scuola «Nostra Signora, Regina degli Angeli» e incontro con bambini e famiglie di immigrati a New York (Harlem), del 25-9-2015, ibidem.
(26) Ibidem.
(27) Ibidem.
(28) Idem, Omelia nella Santa Messa nel Madison Square Garden a New York, del 25-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(29) Idem, Omelia nella Santa Messa con Vescovi, Clero, Religiosi e Religiose della Pennsylvania nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Philadelphia, del 26-9-2015, ibid. 28/29-9-2015. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(30) Idem, Incontro per la libertà religiosa con la comunità ispanica e altri immigrati nell’Independence Mall a Philadelphia, del 26-9-2015,ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(31) Idem, Festa delle Famiglie e veglia di preghiera al B. Franklin Parkway a Philadelphia, del 26-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(32) Idem, Incontro con i Vescovi ospiti dell’Incontro Mondiale delle Famiglie nel Seminario San Carlo Borromeo a Philadelphia, del 27-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(33) Idem, Visita ai detenuti nell’Istituto di Correzione Curran-Fromhold a Philadelphia, del 27-9-2015, ibidem. Fino a diversa segnalazione tutte le citazioni senza riferimento rimandano a questo testo.
(34) Idem, Incontro per la libertà religiosa con la comunità ispanica e altri immigrati nell’Independence Mall a Philadelphia, cit.
(35) Idem, Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno dagli Stati Uniti d’America, del 27-9-2015, ibid. 30-9-2015.
(36) Ibidem.
(37) Idem, Incontro con i Vescovi ospiti dell’Incontro Mondiale delle Famiglie nel Seminario San Carlo Borromeo a Philadelphia, cit.
(38) Ibidem.
(39) Ibidem.
(40) Idem, Udienza generale del 16-9-2015, ibid. 17-9-2015.
(41) Ibidem.