Giovanni Cantoni, Cristianità n. 19-20 (1976)
Rimessi in luce dal caso Lefèbvre
I PROBLEMI DELLA «CHIESA CONCILIARE»
Negli ultimi mesi, l’opinione pubblica mondiale – e quella italiana non fa eccezione – è stata, con sempre maggiore intensità, sommersa da informazioni sul cosiddetto caso Lefèbvre.
Dopo una tale eruzione giornalistica potrebbe parere impossibile aggiungere qualcosa all’affaire‚ né questo è il mio scopo.
Senza voler essere eccentrico a ogni costo, mi pare infatti molto più opportuno chiedersi se esista veramente un caso Lefèbvre. Immagino senza difficoltà la sorpresa di non pochi lettori, che hanno visto fotografie di “messe proibite”, hanno letto dichiarazioni tranchantes di illustri ignoti, hanno potuto apprezzare titoli cubitali in cui si sprecano gli antipapi, gli scismi e le eresie come se si trattasse di termini del gergo calcistico; e nella stragrande maggioranza dei casi, usati con la competenza “religiosa” che‚ – senza offesa per nessuno‚ – si può pensare propria di un cronista sportivo!
Resisto all’urto di questa sorpresa generalizzata e ripropongo con fermezza il quesito relativo alla esistenza o meno di un caso Lefèbvre.
Perché il caso di cui ha riferito e non cessa di riferire la stampa possa a giusto titolo nominarsi dal monsignore francese di cui sono piene la cronache, è indispensabile trovare nella dottrina che gli viene attribuita, e ancora più in quella che realmente professa, punti enucleabili e chiaramente enunciabili, che si possano considerare le prime espressioni – sintetiche e in attesa di svolgimento – di un ipotetico o almeno incipiente lefebvrismo.
Le indagini condotte in questa direzione non sono state, a tutt’oggi, particolarmente numerose e anche le poche non hanno certo brillato per profondità‚ ma, tutte senza eccezione, hanno dovuto immediatamente abbandonare il terreno che legittimerebbe il parlare di un caso Lefèbvre, per subito spostarsi – forse inconsapevolmente ma, proprio per questo, molto significativamente – sui problemi prima della “nuova messa” e quindi del Concilio Ecumenico Vaticano II, per trovare poi, mi pare, un ubi consistam nella realtà definita come “Chiesa conciliare”.
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Qualche lettore potrebbe immediatamente gridare al maldestro tentativo, da parte mia, di fare dimenticare le “disubbidienze” di mons. Lefèbvre, che costituirebbero il nucleo del suo sistema, damnabilis et damnandus.
Rispondo che parlare di disubbidienza a una autorità comporta il parlare di una infrazione a una legge, sì che il discorso sulla legge, sulla natura della legge e sulla sua giustezza è preliminare a una definizione sostanziale della infrazione e quindi della disubbidienza. Chi non ricorda che ogni ordinamento giuridico positivo si fonda su una morale, e che ogni morale postula e rimanda a una metafisica, naturale e/o rivelata? È forse diversa la natura dell’ordinamento canonico?
In questa prospettiva naufraga miseramente la falsa alternativa – radicalmente ricattatoria – secondo cui si dovrebbe scegliere tra Paolo VI e mons. Lefèbvre, entrambi, mi auguro, disinteressati ad avere “tifosi” o “partigiani”, ma piuttosto preoccupati dell’esercizio del rispettivo munus gerarchico nella Chiesa cattolica.
Quindi non l’eventuale “disubbidienza” o infrazione costituisce la sostanza vera del caso – al massimo può esserne l’origine -, ma la materia di tale disubbidienza o infrazione.
Perciò, alla domanda “da chi tiene” o “con chi sta“, mi sembra ragionevole che il cattolico debba rispondere che, se proprio deve parteggiare, egli parteggia “per chi ha ragione“, posto che esistano almeno taluni campi in cui sia Paolo VI che mons. Lefèbvre potrebbero avere torto. E alla prevedibile e frettolosa replica “ma il Papa è sempre il Papa“, mi sembra ugualmente ragionevole che il cattolico faccia osservare come sia anzitutto male sonante la formula “il Papa ha sempre ragione“, che getta un’ombra totalitaria o almeno assolutistica (“la Chiesa sono io“) sulla costituzione organica della Chiesa cattolica: e come essa sia, soprattutto, difforme da quanto il supremo magistero ha rivendicato per sé stesso: la sola infallibilità magisteriale in materia di fede e di costumi, che “è vincolata alla dottrina contenuta nella sacra Scrittura e nella tradizione, nonché alle definizioni già pronunciate dal magistero ecclesiastico” (1).
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Dicevo prima che lo sforzo di affrontare il caso Lefèbvre – non di portare a esso nuove pennellate di colore giornalistico – fa incontrare il caso “Chiesa conciliare”.
Anche a questo proposito qualcuno – giustamente colpito dalla assonanza con quel “Repubblica conciliare” che ebbe una certa voga nel gergo politico-religioso di qualche anno fa, a indicare quanto oggi va sotto il nome di compromesso storico – potrebbe accusarmi di avere inventato un neologismo allo scopo di isolare qualcosa dalla mistica realtà della Chiesa cattolica, per poi poterlo tranquillamente bersagliare e coprire di ludibrio.
Sono spiacente di non poter rivendicare il conio di questo neologismo; onestà vuole, infatti, che riconosca che tale termine non ha una origine “integrista” o “tradizionalista”, come oggi si dice, ma che si trova usato da mons. Benelli in una lettera inviata a mons. Lefèbvre il 25 giugno scorso (2). Troppo poco, si dirà, per farne una realtà. Ma non si muove forse nello stesso senso un passo dell’articolo A proposito di opposti estremismi, scritto dal Signor cardinale Garrone per l’Osservatore Romano del 3 settembre, in cui testualmente si dice che: “[…] nella rivelazione divina il Concilio Vaticano II è stato riformatore, ecc.” (3)? Dunque, la rivelazione divina non si è chiusa con la morte dell’ultimo Apostolo? Le uniche possibili alternative sono queste: o dobbiamo aspettarci una nuova edizione della sacra Scrittura con i documenti conciliari dopo l’Apocalisse – e conseguente riapertura del canone e decadenza della condanna di san Pio X contro chi non ritiene chiusa la rivelazione pubblica della Chiesa (4) -; oppure i documenti conciliari costituiscono una rivelazione privata, per quanto autorevolmente avallata e raccomandata! In attesa degli sviluppi della sconcertante questione, ricordo la non meno sconcertante affermazione di Paolo VI in una lettera a mons. Lefèbvre, dove, del Concilio Vaticano II – concilio reiteratamente e formalmente definito “pastorale” (5) – è detta, con espressione solo attenuata da un felice “sotto certi aspetti“: “[…] un Concilio come il Vaticano II, […] non fa meno autorità, anzi sotto certi aspetti è ancor più importante di quello di Nicea” (6).
Primato della prassi pastorale sulla dottrina dogmatica?
Et de hoc satis.
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La realtà “Chiesa conciliare” dà dunque, a giusto titolo, il nome al caso scoppiato nella Chiesa. Un caso che trae la sua origine prossima da avvenimenti relativi a mons. Lefèbvre, alla sua Fraternità Sacerdotale San Pio X e al seminario di Ecône, ma che ha la sua causa prima nei problemi sollevati nella Chiesa cattolica e dal Concilio Vaticano II e dal post-concilio.
La soluzione del caso non sta quindi nel tacitare, riprendere o punire il vescovo francese, e tanto meno nell’operare una scelta tra Paolo VI e mons. Lefèbvre, ma nella risposta autorevole e autorizzata ai molti quesiti che ogni cattolico fedele può legittimamente porsi, e nella conseguente e corrispondente applicazione delle soluzioni alla pastorale.
Per esempio, per tacere di altri problemi – come quello relativo alla Vulgata o al modello di ogni catechismo -, anche scomunicando mons. Lefèbvre non si chiarisce se il Novus Ordo Missae traduca opportunamente – e nella stessa misura dell’Ordo tradizionale – la natura della santa messa come rinnovazione del santo Sacrificio; se l’Ordo romano bimillenario, detto di san Pio V, sia mai stato abrogato e se sia abrogabile; se un cattolico debba o no lottare per la regalità sociale di nostro Signore Gesù Cristo; se si debba o meno continuare a perseguire la conversione al cattolicesimo dei seguaci delle altre religioni, ebrei e musulmani compresi; quali siano, possano e debbano essere i rapporti con il comunismo, dove è al potere e dove lavora per andarvi, ecc.
Questi problemi non sono stati inventati da mons. Lefèbvre, che, se mai, ha avuto solo la funzione di dare voce a quesiti e a dubbi largamente diffusi nel popolo cattolico. Non diversamente si può interpretare l’alta percentuale di cattolici favorevoli, al dire delle indagini sulla opinione pubblica, al vescovo francese (7), nonostante la certamente inesistente o almeno scarsa propaganda da lui svolta. Né questa consistente situazione sociologica può essere vista come pura conseguenza di cosiddetti “abusi” post-conciliari, come vorrebbe l’opinione di quanti non trovano niente di meglio che parlare di opposti estremismi, a dritto e a rovescio.
No, questi problemi sono propri e specifici della “Chiesa conciliare”, ed è un grave errore che qualcuno possa pensare di risolvere la situazione con misure disciplinari, o dando il contentino di un colpo alla botte, dopo diversi colpi al cerchio, per accreditare una certa equanimità. A proposito di maldestri tentativi, poi, qualcuno questo errore deve proprio averlo commesso, quando ha imprudentemente e a cuore leggero sollevato il caso Lefèbvre. A questo punto, però, deve ormai essersi convinto che forse si può pensare di chiudere così, con una sorta di argumentum potestatis – mi rifiuto di chiamarlo argumentum auctoritatis -, tale caso; ma il ben più importante caso “Chiesa conciliare” non si può sperare di chiuderlo troppo sbrigativamente. Infatti il cattolico fedele può essere, forse, tacitato o giugulato dal latinorum di una casistica canonica manipolata e svincolata dalla morale e dalla fede, di cui dovrebbe essere invece presidio; ma ha un fine e provvidenziale sensus Ecclesiae, difficilmente ingannabile e duro a morire, che sarà opportuno non trascurare, perché questo sensus Ecclesiae è l’anima dell’importante consensus fidelium.
Comunque – anche dopo le considerazioni immediatamente precedenti – e certo che i problemi enunciati non possono essere tutti risolti dal popolo cattolico, ma da esso certamente sono sentiti e possono essere sempre meglio capiti e impostati. Perciò, nell’attesa delle auspicate e auspicabili risposte autorevoli e chiare, è opera di misericordia spirituale offrire al nostro prossimo gli elementi per una seria meditazione. È quanto si propone Cristianità, attraverso la pubblicazione di un dossier che, per quanto riguarda la causa prossima dell’affaire, è costituito da un esame delle vicende che hanno portato alla “soppressione” della Fraternità Sacerdotale San Pio X e delle misure cui sarebbe stato sottoposto mons. Lefèbvre; per quanto concerne le cause remote propone adeguate trattazioni dei problemi sollevati rispettivamente dal Novus Ordo Missae e dalla dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, e da ultimo presenta una essenziale documentazione sul mancato – o certamente sproporzionato – riferimento al comunismo da parte del Concilio.
La meditazione che intendiamo favorire non può che accrescere la consapevolezza del dramma in cui è immersa la Chiesa cattolica, e quindi ridondare in preghiera, azione e sacrificio – spirituale veglia con nostro Signore Gesù Cristo nell’Orto degli Ulivi – affinché essa ritorni a splendere anche nel visibile, rianimando la civiltà cristiana e trasmettendo Urbi et orbi la verità e la carità del suo divino Fondatore, con la mediazione della Beata Vergine Maria, debellatrice di tutte le eresie.
GIOVANNI CANTONI
NOTE
(1) Dichiarazione collettiva dei vescovi di Germania, gennaio-febbraio 1875, approvata in forma straordinariamente solenne da Pio IX con la lettera apostolica Mirabilis illa constantia, del 2-3-1875 (DS, 3116).
(2) Cfr. MONS. MARCEL LEFÈBVRE, Quelques reflections a propos de la “suspense a divinis“, Ecône 29-7-1976. Il termine in questione sta in questo contesto: parlando dei seminaristi di Ecône, mons. Benelli scrive: “Non c’è nulla di disperato nel loro caso: se sono di buona volontà e seriamente preparati a un ministero presbiterale nella fedeltà vera alla Chiesa conciliare, ci si incaricherà successivamente di trovare per loro la migliore soluzione“.
(3) Cfr. GABRIELE M. CARD. GARRONE, A proposito di opposti estremismi, in L’Osservatore Romano, 3-9-1976. Temendo un lapsus, ho verificato la citazione anche sulla successiva edizione settimanale dell’Osservatore Romano, ritrovando testualmente l’espressione.
(4) Cfr. SAN PIO X, Decreto Lamentabili, del 4-7-1907, n. 21 (DS, 3421).
(5) Cfr. ARNALDO VIDIGAL XAVIER DA SILVEIRA, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, in Cristianità, Piacenza gennaio-febbraio 1975, anno III, n. 9. Dello stesso autore, servono a inquadrare correttamente il problema in esame anche gli studi: Vi può essere errore in documenti del Magistero?, ibid., Piacenza febbraio-marzo 1975, anno III, n. 10, e Resistenza pubblica a decisioni dell’autorità ecclesiastica, ibid., Piacenza settembre-ottobre 1975, anno III, n. 13.
(6) Paolo VI, Lettera a mons. Marcel Lefèbvre, del 29-6-1975, in La Civiltà Cattolica, Roma 5-6-1976, anno 127, n. 2023, p. 485.
(7) Un sondaggio condotto dall’IFOP, e pubblicato in Le Progrès, Lione 13-8-1976, rivela che in Francia il 28% dei cattolici approva le prese di posizione di mons. Lefèbvre. Cfr. La Documentation Catholique, Parigi 5/19-9-1976, anno 58, n. 1704, p. 781.
Circa i cattolici svizzeri sarebbe favorevole al presule francese il 24%. Cfr. Stuttgarter Zeitung, 28-9-1976.