di Gabriele Fontana
L’agricoltura
1. Origini e sviluppo
Con il termine «agricoltura», parola composta che deriva dal latino ager, «campo», e coltura, «coltivazione», s’intendono tutte le attività umane relative alla coltivazione della terra. Se il senso più stretto fa riferimento alla sola coltivazione delle piante, siano esse destinate a scopo alimentare o a fornire altri materiali utili, il senso più ampio comprende l’allevamento del bestiame, che direttamente dipende dalle produzioni vegetali e ne è il complemento, come pure la selvicoltura, aspetto particolare legato spesso allo sfruttamento di un patrimonio ampiamente «naturale».
Dall’agricoltura dipende dunque in primo luogo l’alimentazione umana, ma di grande importanza sono anche le fibre tessili – di origine vegetale o animale – le pelli, il legname e altri prodotti derivati, destinati ai più diversi usi industriali. Quest’ultimo aspetto, che vede l’agricoltura fornitrice soprattutto dell’industria chimica, è attualmente oggetto di particolare attenzione: esiste la possibilità di ottenere da fonti rinnovabili materiali, come i carburanti o i polimeri plastici, che sono ora soprattutto di origine minerale, provenienti cioè da fonti non rinnovabili.
Storicamente si può cominciare a parlare di agricoltura quando il rapporto dell’uomo con la natura vegetale e animale muta e dalla semplice raccolta di prodotti e dalla caccia si passa al tentativo di governare la vita delle piante con la propria opera, la coltivazione, e al parallelo tentativo di governare la vita degli animali, l’allevamento, per i quali si pone immediatamente il problema di assicurarne l’alimentazione. In altri termini, l’inizio dell’agricoltura coincide con l’addomesticamento tanto del regno vegetale, quanto di quello animale.
L’agricoltura, fino a non molto tempo fa occupazione della maggior parte dell’umanità, ha accompagnato la storia dell’uomo in tutti i suoi aspetti, religiosi, culturali, politici, economici e tecnologici. Il fenomeno dell’industrializzazione ha comportato in primo luogo la sottrazione di risorse umane all’agricoltura, ma nello stesso tempo lo sviluppo scientifico e tecnologico hanno permesso a essa di aumentare grandemente la propria produttività – per unità di superficie e di manodopera -, così come la produzione globale.
In questo contesto la posizione dell’agricoltore rimane per molti versi singolare. Da una parte appare chiaramente come egli sia, fra tutti, colui che ancora ha un contatto molto diretto con la realtà naturale. Nel contempo egli si deve misurare con gli aspetti della realtà contemporanea, quali gli ultimi sviluppi delle tecnologie meccaniche, chimiche, biologiche, e con la «globalizzazione», dal momento che – grazie allo sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione – la destinazione dei suoi prodotti e l’acquisto delle risorse necessarie sono definitivamente usciti dalla dimensione locale. Una situazione particolare, quindi, al confine fra la variabilità frenetica del mondo contemporaneo e le permanenze del mondo naturale, i cui fenomeni sono comunque oggetto di esperienza e di riflessione quotidiane.
2. Economia agricola
Se da una parte l’uomo legato alla sua terra, con il suo realismo, viene costantemente aggredito dall’omologazione della Modernità, che tenta di fargli perdere la sua peculiarità culturale ed esistenziale, dall’altra l’erosione della classe rurale è anche quantitativa. Se solo un secolo fa oltre il 90% della popolazione italiana viveva dell’agricoltura e delle attività connesse, già negli anni 1930 la percentuale era dimezzata; ancora nel 1970 essa raggiungeva il 20%, per attestarsi agli inizi degli anni 1990 su un valore dell’8,5%. Al calo numerico si aggiunge inoltre il crescente invecchiamento della popolazione rurale.
Infine, per completare il quadro dal punto di vista economico, il peso delle produzioni agricole nei paesi sviluppati rappresenta ormai pochi punti percentuali del valore globale dei beni prodotti. Nel 1994 l’agricoltura italiana ha rappresentato solo il 3% del PIL, il Prodotto Interno Lordo. In un mondo in cui il profilo economico è prevalente, una situazione simile comporta automaticamente una perdita di rilevanza politica e sociale.
Questo mondo rurale, compresso e sminuito, ma che mantiene ancora il suo ruolo nel rifornire di alimenti l’umanità, si trova ad affrontare una serie di problemi e di situazioni di grande complessità. La globalizzazione dei mercati, che ha visto nel 1994 concludersi una laboriosa serie di negoziati con la creazione della WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, prevede anche per le derrate agricole l’abolizione graduale di tutte le misure protezionistiche, esponendo alcuni sistemi agricoli, fra cui quello europeo, a una concorrenza sui prezzi assai difficile da sostenere. Questo in realtà è solo un problema che si aggrava, poiché già da tempo le agricolture dei paesi sviluppati, non potendo produrre a costi competitivi, ricevono sussidi a vario titolo.
Ciò fa dell’agricoltura, di fatto, un’economia amministrata, dove le scelte degli imprenditori, almeno nei comparti produttivi principali, sono indirizzate dagli interventi dei governi – nel caso italiano da quello dell’Unione Europea – a sostegno dei prezzi delle derrate o, questa è l’evoluzione dal 1993, direttamente dei redditi degli agricoltori.
Il peso rilevante dell’intervento pubblico è particolarmente evidente quando si scorre la storia della politica agricola comunitaria. L’unificazione dei mercati agricoli europei viene impostata negli anni 1960 con un forte dirigismo, basato su un meccanismo di prezzi garantiti, con lo scopo di sostenere i redditi agricoli. Constatate più tardi le distorsioni e i costi enormi di questo sistema, vengono introdotte forme di controllo amministrativo delle produzioni, consistenti soprattutto in soglie quantitative da non superare. Ne consegue un’escalation di burocrazia, caratterizzante gli anni 1980, ma tuttora vigente, pur se in forme mutate.
Le scelte colturali e l’impostazione anche agronomica delle aziende vedono gli imprenditori agricoli costretti in primo luogo a ottimizzare l’ottenimento dei diversi contributi. L’altro aspetto sul quale devono però continuare ad agire, con un più pieno possesso delle prerogative imprenditoriali, è il contenimento dei costi di produzione e la razionalizzazione delle strutture.
Questo comporta la necessità di mantenere alta e di far crescere la produttività, ovvero quanto – in termini di reddito e di prodotto – si può ottenere dalla singola unità di suolo o di lavoro.
Produttività che è già grandemente cresciuta negli ultimi anni, in particolare nel secondo dopoguerra con la definitiva diffusione nelle agricolture sviluppate di numerose tecniche di miglioramento genetico, di difesa dalle avversità, di fertilizzazione, di irrigazione e di meccanizzazione, ma che ha ancora spazio di crescita, grazie anche alle possibilità attualmente offerte dalle scienze biogenetiche.
3. Produzione, popolazione e ambiente
La riflessione sulla produttività introduce necessariamente il discorso sulla produzione globale del sistema agricolo mondiale e sulla possibilità di poter soddisfare le crescenti esigenze dell’umanità, sia per l’aumento della sua dimensione numerica, sia per la necessità di migliorare la dieta in tutta l’area del sottosviluppo. Lasciato da parte il facile catastrofismo, di cui le proiezioni del Club di Roma negli anni 1970 sono state la tipica espressione, le più accurate riflessioni di oggi indicano come questa possibilità esista, sempre che la produttività continui a crescere, tanto nelle agricolture sviluppate, quanto – ma secondo i moduli culturali, ambientali e tecnologici loro propri – nelle agricolture in via di sviluppo. Importante segnale in questo senso viene anche dal ridimensionamento delle riserve mondiali di derrate, che ha raggiunto un minimo nel 1995, dopo un periodo in cui queste riserve non solo risultavano elevate, ma venivano indicate come fisiologicamente eccedentarie.
L’argomentazione secondo la quale l’agricoltura «produce troppo e genera stock», curiosamente coesistente con il catastrofismo sul destino alimentare dell’umanità, è – o almeno è stato – uno dei cavalli di battaglia dell’ecologismo ideologico contro le attività agricole, specie le più produttive, soggette all’accusa di essere fra le cause principali del degrado dell’ambiente. Sicuramente l’agricoltura, come ogni altra attività umana, ha una sua influenza sull’ambiente. Altrettanto ovviamente si può rilevare che, dall’agricoltura primitiva a quella più tecnologicamente sviluppata, alcune di queste influenze possono aver intaccato il patrimonio ambientale. Tutto questo non è però sufficiente a sostenere la necessità di un improbabile ritorno verso forme di agricoltura idealizzate in una presunta naturalità. La riflessione del mondo scientifico sull’argomento ha portato da una parte alla definizione del concetto di «agricoltura sostenibile», cioè a una pratica della coltivazione ove l’attenzione al mantenimento in essere di tutte le risorse ambientali a favore delle generazioni future coesiste con l’utilizzo oculato delle più aggiornate tecnologie, dall’altra parte ha ridimensionato la propaganda ecologistica, che faceva leva su una presunta insalubrità dei prodotti dell’agricoltura progredita e su un parimenti presunto effetto devastante sull’ambiente e sulla salute di ogni tecnologia applicata nell’agricoltura di oggi.
4. Contributo al bene comune
L’agricoltura sviluppata è responsabile, senza dubbio, di un miglioramento dell’alimentazione e quindi della salute fisica dell’umanità. Se si può indicare un rischio, questo può essere individuato in una discesa di qualità, in una standardizzazione, in una banalizzazione dei suoi prodotti che, perdendo di connotazione, portano a una sorta di «civiltà di massa a tavola». Il profilo culturale – ma anche religioso, il pane e il vino nella religione cristiana! – delle produzioni agricole è particolarmente evidente nell’ambito italiano, dove la ricchezza dei diversi cibi, dei vini, il loro collocarsi vivamente nelle consuetudini locali, il loro essere occasione di lavoro ben fatto e orgoglioso, di festa e di convivialità, fa di essi un elemento irrinunciabile della nostra civiltà.
La crescente industrializzazione della produzione alimentare, cui si accompagna il crescente peso della grande distribuzione, la perdita del rapporto diretto fra l’agricoltore produttore e il consumatore sono giustamente percepiti come problemi importanti. Da una parte la sempre migliore integrazione del settore della produzione primaria con quello della lavorazione alimentare e della distribuzione appare come inderogabile, dall’altra si percepisce la necessità di mantenere la diversificazione, la ricchezza di una sperimentata qualità, la possibilità di assegnare una provenienza di luogo a quanto giunge sulla nostra tavola.
Giustamente viene anche sottolineato il ruolo dell’agricoltura nella custodia dei beni ambientali, fra i quali, per esempio, la bellezza del paesaggio, ma è soprattutto opportuno ricordare come le cure che agricoltori e alpigiani devolvono ai terreni, ai boschi, al sistema idrico, siano l’insostituibile e primo presidio contro quel degrado generale del territorio, cui spesso conseguono eventi disastrosi.
Gabriele Fontana
Per approfondire: vedi un panorama mondiale, con dati numerici anche storici, in R. Thomas Fulton, voce Agricoltura, in Enciclopedia del Novecento, vol. VIII, Supplemento, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1989, pp. 1-14; un panorama italiano, in Giuseppe Colombo, voce Agricoltura, in Enciclopedia Italiana, Quinta Appendice. 1979-1992, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1991, pp. 82-85; maggiori informazioni, con riferimenti anche europei, dati e ampie monografie sui temi di attualità, in Istituto Nazionale di Economia Agraria, Annuario dell’Agricoltura Italiana, ultimo relativo al 1995 (vol. XLIX), Il Mulino, Bologna 1996; una sintesi essenziale della politica agricola dell’Unione Europea, in Cesare Cesari, Nozioni di politica agricola comunitaria, Editrice San Marco, Trescore Balneario (Bergamo) 1995; i temi relativi a popolazione e alimentazione, in Lorenzo Cantoni, Popolazione e risorse. Alcune pietre d’inciampo, in Agricoltura, anno XLIII, n. 269-270, agosto-settembre 1995, pp. 2-19; il rapporto fra agricoltura e ambiente, in Accademia Nazionale di Agricoltura, Agricoltura e ambiente, Edagricole. Edizioni Agricole, Bologna 1991, con contributi specialistici di più autori; e in Paolo Sequi, Il racket ambientale, 21mo Secolo, Milano 1995.