di Francesco Pappalardo
1. L’ascesa delle città marinare
L’invasione longobarda dell’anno 568 rompe l’unità politica della penisola italiana e apre la strada a una distinzione fra i territori del Regno italico — che si frazionerà in potentati sempre più autonomi, dando poi luogo alla fioritura delle autonomie comunali —, i principati longobardi meridionali — Benevento, Capua e Salerno — e i domìni romano-bizantini, che si frammenteranno a loro volta in una serie di nuclei locali, soprattutto nei territori di frontiera o nelle aree di maggiore frizione, come il litorale campano e la laguna veneta.
Nei secoli VII e VIII i musulmani dilagano nel Mediterraneo e sbarcano in Italia, giungendo a conquistare la Sicilia e a isolare la Sardegna, a costituire un emirato a Bari (840-870), a installarsi alle foci del Garigliano e, da qui, a compiere scorrerie contro la stessa Roma, con l’attacco alle basiliche di San Pietro e di San Paolo fuori le Mura, nell’846. La grande offensiva condotta dall’impero d’Oriente sotto la dinastia macedone, fondata dall’imperatore Basilio I (812-886), non ristabilisce l’egemonia di Bisanzio sui mari, perché i saraceni, espulsi dall’Adriatico e dall’Italia peninsulare, consolidano la loro presenza in Sicilia.
Costrette a fronteggiare la minaccia che longobardi e saraceni facevano gravare permanentemente sui loro territori, le città costiere della Campania, prive di un retroterra territoriale significativo e decisamente proiettate sul mare, assumono l’iniziativa politica e militare per proteggere le coste e le vie di commercio. I duchi di Napoli — che nel secolo VIII controllavano tutto il litorale tirrenico da Gaeta ad Amalfi — sono i primi a emanciparsi dal supremo magistrato bizantino in Italia, lo stratega di Sicilia, al quale dovevano la loro nomina, quindi si rendono autonome le città di Amalfi e di Gaeta e, in ultimo, Sorrento. Ovunque, una famiglia locale emerge fra le altre, rende stabile nelle sue mani la delega a rappresentare l’autorità maggiore da cui dipende e, infine, afferma apertamente l’autonomia della città, pur continuando a far parte di quello che lo storico russo Dimitri Obolensky ha definito il Commonwealth bizantino.
Inseriti fra le pieghe di dominazioni regie e imperiali, e individuati da fluidi e incerti confini, questi frammenti di territorio e di potenza navale testimoniano il vigore delle popolazioni locali che, di fronte al disfacimento di grandi realtà politiche e militari, danno vita a una mirabile varietà di “abiti” politici e civili, che faranno dell’Italia, nei secoli seguenti, un campionario di Stati e di società storiche.
2. La nascita del Ducato
L’origine di Amalfi è legata probabilmente alla sua funzione di castrummilitare dentro il sistema difensivo messo in opera dai bizantini per contenere le pressioni dei longobardi. La civitas si sviluppa dal castrumdel secolo VI, conservando ancora per lungo tempo un aspetto più simile a un luogo fortificato che non a un centro di vita civile ed economica. Le sue fortune si delineano dalla metà del secolo VIII, quando, per circa settant’anni, le scorrerie arabe contro la Sicilia cessano e si rafforza l’antico circuito commerciale fra l’isola, le città campane e l’Africa musulmana. Quasi predestinata dalla geografia e dalla scarsa fertilità delle sue terre alla marineria e al commercio, Amalfi acquista un’importanza pari a quella del Ducato di Napoli, da cui dipende, ponendo le basi, insieme alle altre città campane, del risveglio economico del Mediterraneo. Quando, nel secolo IX, forti della loro superiorità marittima, i saraceni ottengono il controllo dell’intero bacino, solo la Repubblica di Venezia e il Ducato di Amalfi rimangono attivi sul mare, la prima collegata a Costantinopoli attraverso l’Adriatico e lo Ionio, il secondo inserito, come capolinea cristiano, nel sistema economico del mondo islamico.
Nel corso del secolo IX Amalfi si emancipa lentamente dalla sovranità napoletana, sottoponendosi all’autorità di propri comites e praefecturii, sostituiti da duces verso la metà del secolo X. L’autonomia della città è riconosciuta dall’imperatore d’Oriente, che insignisce di titoli bizantini le autorità locali. Nell’anno 987 la cattedra vescovile di Amalfi è eretta in metropolitana.
Nel periodo di massimo splendore i confini del Ducato corrono a oriente fra Cetara e Vietri, presso Salerno, e giungono a occidente fino a Positano, comprendendo l’isola di Capri e la maggior parte dei monti Lattari, vera muraglia di roccia che difendeva il territorio dalle incursioni longobarde e sulle cui pendici occidentali erano i castelli di Gragnano e di Lettere, principali difese del territorium stabiense, ai margini del Ducato di Sorrento.
Pur mantenendo una posizione oscillante nei confronti dei saraceni, con i quali stabilisce intense e proficue relazioni commerciali, il Ducato prende parte a tutte le principali spedizioni militari contro di essi, distinguendosi nella vittoriosa battaglia navale di Ostia, combattuta in difesa di Roma, nell’849, insieme alle unità di Napoli e di Gaeta, che rispondevano all’appello di Papa san Leone IV (847-855); nella liberazione del vescovo di Napoli sant’Atanasio (832-872), compiuta nell’872 grazie anche all’aiuto dell’imperatore franco Ludovico II (825-875); e nella decisiva vittoria del Garigliano, ottenuta nel 915 dalle forze della Lega di Roma — Capua, Gaeta, Napoli, Amalfi, Salerno e Benevento —, organizzata da Papa Giovanni X (914-928).
Amalfi dà prova di abilità politica e militare, non inferiore alla sua intraprendenza sul mare, anche di fronte agli assalti periodici dei longobardi. Fra il 783 e il 785 la città è assediata dal potente principe di Benevento, Arechi II (m. 788), ma è liberata con l’aiuto di forze napoletane; nell’839 la sua popolazione è deportata a Salerno, ma l’anno seguente si ribella vittoriosamente; nel 981, il principato longobardo di Salerno viene occupato per due anni dal duca Mansone I (958-1004).
3. L’apogeo dei secoli X e XI
Città di frontiera fra la Cristianità e l’Islam, Amalfi svolge un ruolo attivo di collegamento commerciale e culturale fra il mondo italico, il mondo bizantino e quello arabo, diventando una delle poche città italiane la cui fama è diffusa nel Mediterraneo orientale nel secolo X. Poiché la scarsità di risorse economiche del Ducato impedisce agli amalfitani d’esportare prodotti propri, la loro attività commerciale è basata sull’intermediazione: forniscono, infatti, legname europeo agli Stati arabi dell’Africa Settentrionale, che ne sono sprovvisti, oltre che ferro e cereali, portando in cambio sui mercati italiani tessuti di seta, medicinali, oggetti di lusso e altre merci di origine araba e bizantina. I negotiatores di Amalfi commerciano lungo le coste tirreniche e nell’Italia Settentrionale, penetrano nell’Adriatico, stabilendosi a Ravenna e a Durazzo, sono presenti sia nell’Italia Meridionale, dove un patto con Sicardo (m. 839), principe longobardo di Benevento, garantisce loro libera circolazione, sia sulla costa nordafricana e nel Levante, impiantando colonie — che si amministravano con le leggi della madrepatria — a Tunisi, ad Alessandria, al Cairo, a Tiro e soprattutto a Costantinopoli, dove ebbero un loro quartiere, con terre, fondaci, una chiesa e un cimitero, prima ancora dei veneziani e dei pisani.
In Oriente si stabiliscono mercanti che accumulano ricchezze enormi, come il celebre Pantaleone de comite Maurone, patrizio imperiale, che donò al duomo di Amalfi, nel 1060, e alla badia di Montecassino, nel 1071, porte di bronzo fuse a Bisanzio, e il cui figlio, Mauro, fondò ospizi a Gerusalemme e ad Antiochia. Alla fine del secolo XI, prima della liberazione di Gerusalemme da parte dei crociati nel 1099, alcuni mercanti e monaci benedettini di Amalfi, a capo dei quali era frate Gerardo da Scala, venerato come beato dalla popolazione cristiana, ottengono dal califfo d’Egitto il permesso di costruire presso il Santo Sepolcro — per offrire assistenza ai pellegrini in Terrasanta — un ospedale dedicato a San Giovanni Battista e una chiesa dal titolo di Santa Maria dei Latini, dando origine all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, poi di Rodi e infine di Malta, il cui vessillo reca ancora la croce bianca o d’argento a otto punte, antico simbolo civico di Amalfi.
Gli amalfitani sono fra i primi a diffondere presso i navigatori occidentali l’uso della bussola nautica e a introdurre nella penisola italiana nuove modalità di produzione della carta, in sostituzione della pergamena. Nei loro viaggi in Oriente acquisiscono anche tecniche di costruzione e artistiche innovative, che consentono loro di arricchire il sobrio stile romanico, tipico di tanti monumenti dei centri campani, con influssi islamici e bizantini, dando origine al cosiddetto romanico amalfitano.
La vitalità della città si riflette anche nella ricchezza del suo ordinamento giuridico, testimoniata dalle Consuetudines Civitatis — raccolta di leggi interne, trascritta per la prima volta nel 1274, che dà notizia fra l’altro del ruolo di primo piano assunto dalle donne amalfitane nella vita della comunità — e dalle consuetudini marittime, che ebbero la loro più antica codificazione nella Tabula de Amalpha, che ha costituito un punto di riferimento per la navigazione nel Mediterraneo fino al secolo XVI. Molti documenti testimoniano anche l’uso plurisecolare di riportare in ogni atto notarile l’intera genealogia dei partecipanti, fino a un capostipite certo, segno visibile del forte senso dell’unità familiare e della continuità del lignaggio nel tempo.
Il testo della Tabula e quello delle Consuetudines, insieme al Chronicum Amalfitanum, una cronistoria degli avvenimenti principali, risalente al secolo XIII, erano raccolti in un unico volume, conservato presso il seggio dei nobili.
4. La decadenza
Nel 1039 il principe Guaimario V (1013 ca.-1052) di Salerno, aiutato dai normanni della contea di Aversa, conquista il Ducato di Amalfi e lo affida al duca Mansone II, conservandone il dominio effettivo. Gli amalfitani reagiscono ancora e, nel 1052, riconquistano l’indipendenza, sostituendo Mansone con il fratello Giovanni (m. 1069), ma la pressione dei longobardi è tale che essi devono chiedere, nel 1073, la protezione del normanno Roberto il Guiscardo (1015 ca.-1085), conte di Puglia. In un primo momento il Ducato conserva la sua autonomia, pur dovendo impegnarsi a prestare servitium et tributa, cioè milizie e sovvenzioni, ai suoi protettori e a cedere loro un castello. Tre anni dopo, però, il conte Roberto, durante l’assedio posto alla città di Salerno, coglie l’occasione per occupare Amalfi e per trasformare il protettorato in un vero e proprio dominio, che soffoca l’autonomia della città. Qualche mese più tardi anche il principato di Salerno perde la sua plurisecolare indipendenza. Da allora, per un cinquantennio, la storia di Amalfi è contrassegnata da violenti ribellioni — nel 1088, nel 1096 e nel 1100 — contro la signoria normanna, finché, nel 1131, Ruggero II (1095 -1154), incoronato re di Sicilia l’anno precedente, sottomette definitivamente la città, continuando però a riconoscerne il titolo ducale e i privilegi mercantili. Quattro anni dopo, chiamata dai longobardi di Capua, che ancora resistevano ai normanni, la flotta pisana saccheggia Amalfi e le città limitrofe, infliggendo un colpo mortale alla loro economia.
Affermatasi in un’epoca di grandi rivolgimenti e di profonde trasformazioni, Amalfi, insieme ad altre città della Campania e della Puglia, ha mostrato una notevole intraprendenza e si è imposta come centro di vita economica e d’autonomia politica. L’unificazione normanna del Mezzogiorno ha fatto venir meno quelle ragioni d’autodifesa e d’iniziativa politica che avevano animato le imprese del Ducato e che avrebbero sollecitato, ancora per alcuni secoli, le città lombarde e toscane a elaborare nuove forme di autogoverno, ma sulle vie tracciate dalle navi amalfitane il Regno di Sicilia poté proseguire per alcuni secoli l’espansione politica e commerciale nell’Africa e nel Levante.
Per approfondire: vedi Mario Del Treppo e Alfonso Leone, Amalfi medioevale, Giannini, Napoli 1977; Vera von Falkenhausen, Il ducato di Amalfi, in AA.VV., Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, vol. III della Storia d’Italia diretta da Giuseppe Galasso, UTET, Torino 1983, pp. 339-346; e Gerardo Sangermano, Il Ducato di Amalfi, in AA.VV., Storia del Mezzogiorno, vol. II, tomo I, Il Medioevo, Edizioni del Sole, Napoli 1988, pp. 279-321.