di Marco Invernizzi
La Restaurazione
Il Congresso di Vienna
Con il termine Restaurazione viene indicato il periodo della storia europea successivo alla sconfitta militare di Napoleone Bonaparte (1769-1821) e al venir meno del sistema imperiale da lui costruito nel ventennio dal 1796 al 1815, nello stesso tempo facendo riferimento sia alla ripresa dei princìpi precedenti la Rivoluzione francese — cioè caratterizzanti l’Antico Regime —, sia al ritorno dei prìncipi sui troni degli Stati sui quali Napoleone aveva dominato, a partire dal rientro dei Borboni in Francia.
L’esame dell’operato dei governi dopo il 1815 mostra però come non si sia verificata un’autentica restaurazione dei princìpi pre-rivoluzionari, soprattutto perché la cultura politica delle classi dirigenti è intrisa dell’ideologia illuminista, quindi la loro azione nei confronti della Chiesa cattolica ispirata dal giurisdizionalismo, cioè dalla dottrina dell’assolutismo illuminato che subordinava la religione agli interessi dello Stato e che aveva dominato negli Stati europei del Seicento e del Settecento.
L’evento principale della Restaurazione è il congresso — tenuto a Vienna dal 22 settembre 1814 al 10 giugno 1815 — nel quale i responsabili delle potenze che avevano costituito la quadruplice alleanza contro Napoleone gettano le basi del sistema politico che garantirà la pace all’Europa nei trent’anni successivi. A Vienna sono rappresentati l’impero austriaco, il regno di Prussia, l’impero degli zar e il Regno Unito. A essi si deve aggiungere il Regno di Francia, presente con Charles-Maurice Périgord, principe di Talleyrand (1754-1838), un ex abate sempre nella cerchia dei potenti, sotto qualsiasi governo di qualunque tendenza, prima con quelli rivoluzionari, poi con Napoleone, ora con re Luigi XVIII di Borbone (1755-1824). Questi i protagonisti del congresso, anche se ai lavori prendono parte diplomatici di altri Stati.
Oltre al nuovo assetto istituzionale e politico dato all’Europa, il risultato più importante del Congresso di Vienna è la costituzione della Santa Alleanza fra l’impero degli zar, il regno di Prussia e l’impero austriaco, con la quale questi Stati s’impegnavano a considerarsi parti di un unico popolo soggetto al medesimo Dio, che insieme avrebbero protetto dai nemici sia esterni che interni.
Il principe di Metternich
Artefice e arbitro del Congresso di Vienna è Klemens Wenzel Lothar, principe di Metternich (1773-1859), forse il protagonista della lotta contro Napoleone, al quale succede come figura di primo piano nella storia europea. Entrambi, negli opposti campi della Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione, sono specularmente simili, perché atipici nei rispettivi schieramenti. Come Napoleone fa senz’altro parte del mondo rivoluzionario e, anzi, dà un contributo decisivo allo sviluppo del processo rivoluzionario, soprattutto istituzionale, in Europa — pur essendo atipico rispetto all’immagine corrente del rivoluzionario —, così Metternich dedica senz’altro tutta la sua vita pubblica a combattere la Rivoluzione, pur senza essere un contro-rivoluzionario. Infatti, più che un portatore di una visione del mondo immutabile — come sono i contro-rivoluzionari, consuetamente ed erroneamente ridotti a semplici sostenitori dell’Antico Regime — è lo strenuo difensore di un ordine politico realizzatosi in un determinato tempo storico e un fedele servitore della monarchia asburgica, che serve con tutta la sua intelligenza e abilità diplomatica, pur condividendo in parte le premesse ideologiche illuministiche della Rivoluzione. L’ottica con la quale studia e combatte la Rivoluzione è essenzialmente politica, in quanto vede in essa la nemica dell’ordine e dell’armonia fra gli Stati, cioè della concezione politica riassunta nella divisa “La vera forza nel diritto”, contenuta nel suo testamento politico. Metternich concepisce il Congresso di Vienna e la Santa Alleanza come strumenti per attuare una politica di solidarietà fra gli Stati che riposasse — come scrive nelle Memorie — «[…] sulla medesima base della grande società umana formatasi in seno al cristianesimo. Questa base non è altro che il precetto formulato nel Libro per eccellenza: “non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te”». La mancanza di una più completa prospettiva religiosa e culturale è probabilmente conseguenza dell’educazione ispirata alla pedagogia illuminista di Johann Bernhard Basedow (1723-1790), il fondatore del “filantropismo” — ricevuta da un precettore giacobino dal 1787 al 1790 e dell’insegnamento che gli viene impartito all’università di Strasburgo, in particolare da un professore di Diritto Canonico del quale Metternich non rivela il nome —, successivamente divenuto vescovo di Strasburgo e poi apostata in nome dei princìpi rivoluzionari; se, con i loro eccessi, questi uomini suscitano nel giovane Metternich repulsione per l’ideologia giacobina, d’altro canto in qualche modo lo privano dell’educazione che gli avrebbe permesso di risalire alle cause del processo rivoluzionario e, quindi, di cogliere le responsabilità dell’illuminismo — anche nella versione del dispotismo illuminato — in quella rivoluzione che avrebbe combattuto per tutta la vita.
Se il Congresso di Vienna, con il ritorno dei sovrani sui troni occupati da uomini di Napoleone e con la solidarietà degli Stati contro la Rivoluzione, dà all’Europa un lungo periodo di pace dopo vent’anni di guerra praticamente ininterrotta, la Rivoluzione continua a operare occultamente nelle diverse nazioni, talora emergendo, come nei moti del 1820 e del 1821 in Spagna, nel Mezzogiorno d’Italia, in Piemonte e in quelli del 1830, che portano allinstaurazione di una monarchia liberale in Francia con re Luigi Filippo d’Orléans (1773-1850), prima di esplodere nel 1848 nelle insurrezioni delle principali capitali europee.
La Restaurazione in Italia
Il Congresso di Vienna ricostituisce nella penisola italiana dieci Stati: il Regno di Sardegna, il Regno Lombardo-Veneto sotto l’imperatore d’Austria, il Ducato di Parma e di Piacenza, il Ducato di Modena e di Reggio, il Ducato di Massa e Carrara, il Granducato di Toscana, il Ducato di Lucca, lo Stato della Chiesa — comprendente anche le Legazioni di Bologna, Ferrara e Ravenna, le Marche, Benevento e Pontecorvo —, la Repubblica di San Marino, il Regno di Napoli e di Sicilia, mentre Trentino, Sud Tirolo e Venezia Giulia tornavano all’impero austriaco.
L’Italia era rimasta profondamente segnata dal regime napoleonico. Dal punto di vista ecclesiale, gli ordini religiosi, le congregazioni e le confraternite soppressi dai governi rivoluzionari vengono restaurati solo in minima parte: «[…] nella diocesi di Milano — scrive per esempio lo storico Guido Verucci — si hanno nel 1818 solo 1 casa religiosa maschile e 2 femminili, e in quella di Bergamo, nel 1825, 1 maschile e 3 femminili, contro 24 maschili e 34 femminili esistenti alla fine del Settecento». Anche la politica giurisdizionalistica imputabile all’impero austriaco, almeno fino al Concordato del 1855, avrà la sua parte di responsabilità nell’ostacolare la rinascita religiosa, favorendo il distacco popolare dall’autorità imperiale e attenuando l’ostilità del mondo cattolico verso le società segrete e le forze rivoluzionarie.
Nel mondo cattolico fioriscono nuove forme di apostolato, fra le quali alcune specificamente sorte per combattere la Rivoluzione sul piano culturale, come il movimento laicale Amicizia Cristiana — Cattolica dopo il 1815 —, diffuso soprattutto nell’Italia Settentrionale, e nascono numerosi giornali contro-rivoluzionari come L’Enciclopedia ecclesiastica e morale, pubblicata a Napoli nel 1821 dal teatino Gioacchino Ventura (1792-1861), le Memorie di religione, di morale e di letteratura, fondate a Modena nel 1822 da monsignor Giuseppe Baraldi (1778-1832), e L’Amico d’Italia, sorto a Torino nello stesso anno per iniziativa del marchese Cesare Taparelli d’Azeglio (1763-1830).
Ma il periodo napoleonico lascerà segni profondi e duraturi soprattutto sul piano giuridico: «Indipendentemente da ogni considerazione del suo contenuto normativo sostanziale — ricorda Guido Astuti (1910-1980) —, la vera novità e originalità del C. N. [il Codice Napoleone] sta nel valore giuridico formale della codificazione, compiuta in attuazione di nuovi principi teorici, che la differenziano nettamente da tutte le precedenti compilazioni o consolidazioni legislative, determinando una radicale trasformazione del sistema delle fonti del diritto, e con essa l’inizio di una nuova età nella storia della nostra civiltà giuridica.
«Ad un ordinamento fondamentalmente consuetudinario e giurisprudenziale, quale era stato nei secoli il diritto civile, dai tempi di Roma fino a tutto il secolo XVIII, il codice sostituiva un ordinamento interamente legislativo, in cui la volontà sovrana del legislatore si poneva come fonte di produzione unica, o almeno tendenzialmente esclusiva di fronte alla consuetudine e alla giurisprudenza; ad un sistema come quello del diritto comune, caratterizzato da una pluralità e gerarchia di fonti, quale si era venuto svolgendo nel pluralismo politico e nel particolarismo giuridico dei secoli di mezzo, sulla duplice base del privilegio e dell’autonomia, succedeva il sistema del diritto codificato, costituito da un solo testo legale, contenente un complesso normativo unitario, sistematicamente ordinato e suddiviso in articoli, in cui materiali vecchi e nuovi, di diversa derivazione e natura, erano insieme rifusi ed uniformemente presentati con formule concise e precise, come parti organiche di un unico corpo».
Dopo il Congresso di Vienna
Negli anni successivi al Congresso di Vienna l’opera della Rivoluzione continua all’interno degli Stati italiani sia a livello delle società segrete che del personale governativo. Già nel 1816 Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa (1768-1838), uno dei principali rappresentanti della posizione contro-rivoluzionaria in Italia — cioè di una riforma culturale e civile prima che politica, che restaurasse i princìpi del diritto naturale e cristiano e abolisse tutte le riforme rivoluzionarie introdotte durante il ventennio napoleonico e anche nel tempo del dispotismo illuminato — è costretto a dimettersi da ministro della polizia nel Regno di Napoli dal primo ministro Luigi cavalier de’ Medici, principe di Ottaiano e duca di Sarno (1759-1830), favorevole al mantenimento delle riforme illuministiche. Pochi anni dopo, nel 1819, il conte Prospero Balbo (1762-1837), un liberale già funzionario del regime napoleonico, è nominato primo segretario di Stato per gli Affari Interni del Regno di Sardegna. Così, mentre in tutti gli Stati italiani vengono mantenuti i codici napoleonici, cioè le principali conquiste rivoluzionarie, e le classi dirigenti, civili e militari, continuano a essere ampiamente caratterizzate dalla presenza di ex collaboratori dei regimi napoleonici, le forze liberali si organizzano per far compiere alla società un nuovo passaggio rivoluzionario. Nel dicembre del 1818, ad Alessandria, Filippo Buonarroti (1761-1837) fonda la società segreta dei Sublimi Maestri Perfetti, organismo con il quale cercherà di controllare la rete delle società segrete operanti nel paese, fra cui la Federazione Italiana guidata dal conte Federico Confalonieri (1785-1846), operante soprattutto in Lombardia, la Costituzione Latina, nata nelle Legazioni pontificie dalla fusione di elementi della Carboneria con uomini della Società Guelfa, e, soprattutto nel Meridione, la stessa Carboneria.
L’influenza nel corpo sociale delle società segrete insieme a quella degli elementi liberali presenti nei governi prepareranno il crollo degli Stati della Restaurazione sotto la pressione del Regno di Sardegna, dopo il 1848 guadagnato alla causa rivoluzionaria e forte dell’appoggio degli Stati francese e inglese.
Per approfondire: vedi un inquadramento generale in Luigi Bulferetti (1915-1992), La Restaurazione, in Nuove questioni di storia del Risorgimento e dell’unità d’Italia, Marzorati, Milano 1961, pp. 387-456; le conseguenze del periodo napoleonico nell’ordinamento giuridico in Guido Astuti, Il Code Napoléon in Italia e la sua influenza sui codici degli Stati italiani successori, in Napoleone e l’Italia, tomo I, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei 1973; sulla vita religiosa durante la Restaurazione vedi Guido Verucci, Chiesa e Società nell’Italia della Restaurazione (1814-1830), in AA. VV., La Restaurazione in Italia. Strutture e ideologie, Atti del XLVII Congresso di storia del Risorgimento italiano (Cosenza, 15-19 settembre 1974), Istituto per la Storia del Risorgimento, Roma 1976, pp. 173-206; del principe di Metternich vedi Memorie, trad. it., Bonacci, Roma 1991, nelle quali, alle pp. 249-257, si trova Il mio testamento politico.