Giovanni Cantoni, Cristianità n. 31 (1977)
Sulla strada del “compromesso storico”
IL “COMPROMESSO CULTURALE”
II
IL “DIALOGO” PER IL “COMPROMESSO CULTURALE”
La proposta odierna del PCI di una sintesi compromissoria tra verità cattolica ed errore comunista è solo “un” elemento di un “dialogo” più remoto tra democratismo socialista e progressismo.
Qualcuno si chiederà certamente, e a giusto titolo, che senso abbia una esposizione così ampia e dettagliata del documento su cui si articola la mossa comunista, dal momento che tale manovra si mostra scopertamente per quello che è e che vale.
In primo luogo, rispondo che tale manovra «mostra la corda», è suscettibile di rivelarsi per quello che è, cioè una mossa di particolare significato, solamente se viene descritta abbondantemente e non riferita a brandelli, magari soltanto nelle sue parti declaratorie, che possono lasciare il sospetto – o perfino alimentarlo – di essere sostenute da un imponente apparato dimostrativo: il che non è assolutamente, dal momento che le prove addotte sono quelle che ho riportato, chiaramente risibili e mistificanti.
In secondo luogo, mi pare che la illustrazione dettagliata del documento e dei suoi inconsistenti fondamenti logici e dottrinali, aiuti a qualificare le reazioni alla lettera berlingueriana e a valutare, se non la buona fede, almeno e certamente le capacità naturali di chi si è espresso in proposito, «a caldo», come si dice, o più meditatamente (1).
In terzo luogo, la messa in chiaro dei passaggi principali del documento comunista, e la sottolineatura delle sue linee portanti e dei suoi leitmotiv ideologici e propagandistici, deve servire a intendere la manovra in tutta la sua ampiezza, consentendo di cogliere nel contesto politico-culturale le risonanze e le consonanze, che permettano di ripercorrerne l’itinerario e di individuare anelli meno visibili della catena. La sentenza secondo cui «i comunisti fanno la corte ai cattolici», nonché semplicistica, si preclude la comprensione della natura della tentazione cui i cattolici sono sottoposti e la individuazione degli indispensabili rafforzamenti di abiti virtuosi, attraverso un agere contra puntuale, proporzionato e intelligente.
Vediamo, in questo senso, qualche elemento che ci aiuti a comporre il quadro, almeno nelle sue linee più rivelatrici, siano esse costituite da fatti o da principi.
1. MONS. CLEMENTE RIVA: «DEIDEOLOGIZZARE»
Accanto a concessioni verbali sulla inconciliabilità ideologica tra marxismo e cattolicesimo, si avanza la richiesta di «diminuzione di rigidismo ideologico» e di accantonamento di «diatribe ideologiche»: cioè, la richiesta di accantonare l’inconciliabilità ideologica e di trascurare le verità permanenti a favore di intese contingenti, per consentire un compromissorio «mettersi assieme», che associ i comunisti al perseguimento di quel bene comune di cui essi sono i peggiori nemici.
Il primo elemento che mi pare necessario fare risaltare è costituito da una dichiarazione resa da mons. Clemente Riva, vescovo ausiliare di Roma, in occasione della presentazione degli atti del convegno su Evangelizzazione e promozione umana. In tale occasione il presule, richiesto del suo parere sul «compromesso storico», pur ribadendo la inconciliabilità tra marxismo e cristianesimo, ha in sostanza auspicato l’incontro fra le forze politiche. Questo perché, a suo giudizio, tutte le forze politiche «in momenti di emergenza si debbono mettere insieme, per evitare che il tetto crolli in testa». Si è detto però contrario al «compromesso storico», qualora esso dovesse costituire «l’addormentamento della situazione socio-politica del paese». Il prelato, su questo argomento, ha infine auspicato la «deideologizzazione del PCI» relativamente al punto che prevede il dovere di diffondere l’ideologia marxista-leninista.
«Nella nostra società – ha aggiunto mons. Riva – assistiamo all’estensione sempre maggiore dello spazio politico (o politicizzazione), […] per cui gli organismi e le strutture tradizionali partitiche non sono più esaustive della politica, ma devono riconoscere altri modi, altre aggregazioni che intervengono con prontezza politica, portando i partiti verso una diminuzione di rigidismo ideologico, ormai incapace di incapsulare una realtà umana e sociale che scoppia dappertutto, rompe ogni vestito stretto e ogni vaso vecchio».
Il prelato ha concluso affermando: «Siamo a mio parere in una fase molto interessante di passaggio politico, in cui problemi umani, le condizioni sociali e le attese della gente, conteranno più delle ideologie. Per questo saremo più impegnati ad affrontare concretamente i gravi problemi degli uomini più che le diatribe ideologiche. In questa prospettiva anche la Chiesa è coinvolta, poiché oltre i valori cristiani in senso proprio, essa ha il dovere e il diritto di difendere e di promuovere i valori umani fondamentali» (2).
2. PADRE SORGE: IL COMPROMESSO È POSSIBILE, ANCHE SE NON «ANCORA» E NON «OGGI»
Per diffondere tra i cattolici il dubbio, è utile l’artificio di «interrogarsi» su ciò che è più che noto e certo: il contenuto radicalmente contrario alla legge naturale e al cattolicesimo della concezione comunista del pluralismo, della democrazia, della libertà religiosa. Si ottiene così di preparare i cattolici ad accettare, «domani», tale concezione come compatibile con la dottrina cattolica.
Come secondo elemento del quadro – sempre sulla linea di queste dichiarazioni tendenti all’abbattimento di ogni barriera ideologica, sotto la spinta della «realtà» – si situa certamente, a buon diritto, il confronto a distanza tra padre Bartolomeo Sorge, direttore de La Civiltà Cattolica, e Lucio Lombardo Radice, membro del comitato centrale del PCI, confronto ospitato da La Stampa di Torino (3).
Alla domanda «Come giudica la Chiesa il “caso italiano”?», il padre gesuita risponde: «L’Italia è un paese atipico, con due partiti di massa ancora in contrasto sui principi fondamentali». Al lettore non sarà certo sfuggito un «ancora» degno della massima attenzione.
Alla domanda, poi, «Come giudica, dalla parte della Chiesa, la scelta del pci di appoggiare il governo?», lo stesso padre risponde: «Credo che i comunisti si siano resi conto della gravità della situazione e quindi della necessità di un confronto. Ritengo che qualcosa si muova nel pci, ma restano profondi dubbi sul loro modo di intendere concetti fondamentali come quelli di pluralismo, di democrazia, di libertà religiosa. Proprio per questo il compromesso storico oggi non è possibile». Anche in questa frase compare un «oggi» degno sempre della massima attenzione.
E Lucio Lombardo Radice risponde in termini che saranno ripresi dall’on. Berlinguer, sì che il discorso, di cui la lettera a mons. Bettazzi è un episodio, anche se saliente, si rivela iniziato da tempo e, comunque, semplicemente «in corso».
3. DIETRO LE QUINTE: LA SETTA CATTOLICO-COMUNISTA
L’intesa compromissoria teorizzata dal progressismo di oggi è una tappa transitoria verso la realizzazione di una identificazione radicale tra cattolicesimo e comunismo: identificazione a cui il cattolicesimo dovrebbe giungere rinunciando alla sua permanente dottrina morale relativa alla società.
Per intendere, però, se non compiutamente, almeno abbondantemente, i toni di questo discorso, che si va svolgendo tra esponenti comunisti e figure più o meno autorevoli del mondo cattolico e in special modo ecclesiastico, si rende indispensabile la riscoperta e la messa in luce dei temi che sono stati tipici dei cattolici-comunisti del tempo della Resistenza e dell’immediato dopoguerra, e soprattutto bisogna riparlare di un personaggio schivo come Franco Rodano, con chiara vocazione al ruolo di «eminenza grigia» (4).
Nel giugno di quest’anno ha visto la luce, presso gli Editori Riuniti, il volume Questione democristiana e compromesso storico, che di Rodano raccoglie due saggi comparsi nel 1975-76 sui Quaderni della Rivista trimestrale e un gruppo di articoli pubblicati, sempre recentemente, su Paese sera, il quotidiano comunista romano del pomeriggio (5). In questi scritti l’«eminenza grigia» cattolico-comunista dà indicazioni di non volgare interesse sul processo di articolazione ideologica – e non, come qualcuno dice, di «decomposizione dottrinale» – in corso nel PCI, processo in cui la prospettiva cattolico-comunista sembra avere una funzione orientatrice del rapporto attuale con il mondo cattolico.
Con perfetto precorrimento delle tesi esposte dal segretario generale comunista nella lettera al vescovo di Ivrea, nell’opera di Rodano è esplicitamente sottolineata la necessità di vedere nel marxismo una «imprescindibile lezione» (6), piuttosto che una ideologia; di puntare alla «rivoluzione nella democrazia» (7) non tatticamente ma strategicamente; ed è, infine, prospettata la possibilità che la collaborazione di «compromesso storico» conduca alla costituzione di «una nuova formazione politica unitaria» (8), alla quale «il partito “di ispirazione cristiana”» è destinato a portare come contributo specifico il proprio carattere di garante della «laicità della politica» (9).
Non è certo questa la sede per risolvere – sempre che sia solubile – il quesito relativo al potere della setta cattolico-comunista in seno alla più vasta setta comunista, e neppure per affrontare un tema così sottile ecosì ampio. Ma, dal momento che le prospettive cattolico-comuniste paiono fornire almeno la forma, il rivestimento dell’azione comunista nei confronti della Chiesa e del mondo cattolico in generale, vale la pena – ed è forse indispensabile – risalire alla tesi di fondo del gruppo cattolico-comunista, che ha in Franco Rodano il suo esponente di maggiore rilievo. Tale tesi si può considerare espressa nella distinzione tra materialismo storico e materialismo dialettico e nella asserita falsità, nell’equivoco denunciato «di un’alleanza fra cattolici e comunisti. Esso si basava su un presupposto falso – si legge in un vecchio opuscolo scritto a più mani da Franco Rodano, Felice Balbo e Fedele D’Amico -, di considerare cioè il cattolicismo e il comunismo come due fatti omologhi. Ciò importava una di queste due ipotesi: o che cattolicismo e comunismo fossero due religioni, due concezioni del mondo; oppure che fossero due concezioni politiche. Ipotesi entrambe erronee. Giacché il comunismo non è una religione (e come tale, al pari della religione liberale, è stato giustamente condannato dalla Chiesa); la religione del lavoro, la religione della società, la religione della produzione sono contraddizioni in termini, dato che la religione esprime semplicemente il rapporto dell’uomo con Dio, rapporto che si attua praticamente attraverso tutte le attività umane (e quindi anche attraverso la produzione sociale), ma non si risolve in alcune di esse. E d’altro canto […], il cattolicismo come tale non è una politica. Un’“alleanza” dunque di cattolici da una parte e comunisti dall’altra è priva di senso. Gli unici rapporti possibili sono: o che i cattolici divengano anche comunisti realizzando dunque una identificazione (non un’alleanza) sul piano politico, e lasciando impregiudicato il piano religioso; o che i comunisti divengano anche cattolici realizzando così un’identificazione (non un’alleanza) sul piano religioso, lasciando impregiudicato il piano politico» (10).
Osservando la tesi enunciata nel documento cattolico-comunista in una prospettiva processuale, di transizione, come non vedere il carattere seminale del «compromesso storico», e quindi di ogni «deideologizzazione»? Come non sentirne l’eco in domande del tipo: «La religione è sì o no riconosciuta in se stessa come ogni altro valore fondamentale della persona?» (11).
Note:
(1) Fra tutte, una mi pare particolarmente degna di attenzione, e cioè quella dell’on. Flaminio Piccoli, capogruppo democristiano alla Camera. Non tanto per il suo tenore ovvio, quanto per la sua conclusione, secondo cui «sono da respingere, per fede nel nostro metodo democratico, il rifiuto integrale ed il processo alle intenzioni» (comunicato ANSA, 18-10-1977). Chi è disposto a fidarsi, ha la garanzia dell’on. Piccoli. In caso di delusione, potrà rivolgersi a lui, per avere i conforti della «fede nel […] metodo democratico»!
(2) Comunicato ADN Kronos, 21-6-1976.
(3) Cfr. La Stampa, 15 e 16-9-1977.
(4) Del personaggio si sono interessati anche settimanali politico-scandalistici. Cfr. Panorama, 25-10-1977 e L’Espresso, 23-10-1977.
(5) Cfr. FRANCO RODANO, Questione comunista e compromesso storico, Editori Riuniti, Roma 1977.
(6) Ibid., p. 107.
(7) Ibid., pp. 106, 151 ss.
(8) Ibid., pp. 156, nota 39; 163, nota 43.
(9) Ibid., pp. 108 ss.
(10) Il comunismo e i cattolici, in appendice a CARLO FELICE CASULA, Cattolici-comunisti e sinistra cristiana (1938-1945), il Mulino, Bologna 1976, pp. 273-274.
(11) Se lo è chiesto padre Bartolomeo Sorge parlando a Fossano, il 21 ottobre, in un incontro – organizzato dall’editrice Esperienze – con amministratori pubblici piemontesi, e commentando la lettera dell’on. Berlinguer. Cfr. comunicato ANSA, 21-10-1977. Quesito analogo si ripropone lo stesso padre in Famiglia cristiana, anno 47, n. 44, 6-11-1977, p. 24.