Giovanni Cantoni, Cristianità n. 31 (1977)
Sulla strada del “compromesso storico”
IL “COMPROMESSO CULTURALE”
V
“INSTAURARE OMNIA IN CHRISTO”
Riaffermare nella sua integrità la permanente dottrina sociale della Chiesa è il dovere di quei cattolici che intendono contrastare il tradimento progressista e quello democristiano.
A quei membri della gerarchia cattolica che intendessero respingere la proposta comunista di complicità e di tradimento, è nota la via per rendere efficace e non velleitario il loro rifiuto: diffondere e difendere coraggiosamente e instancabilmente, nei seminari e nelle diocesi, nelle scuole e nelle università cattoliche, con tutti i mezzi di diffusione del pensiero e di formazione cristiana, l’integrale e immutabile dottrina sociale cattolica.
La risposta cattolica alla proposta comunista – sia detto con tutto il rispetto dovuto alle competenti autorità ecclesiastiche – non si può limitare e non si può esaurire nella affermazione della inconciliabilità dottrinale tra marxismo e cristianesimo; non basta assolutamente dire che i cristiani non sono marxisti, ma si deve aggiungere che non li possono e non li devono diventare.
Purtroppo, però, mentre si polarizza l’attenzione «ammirata» di molti sulla nuova immagine promozionale che il PCI offre di sé – e i cui vantaggi immediati vanno alla DC -, nessuno pare deciso a respingerla in toto, ma piuttosto a «confrontarsi» con essa, producendosi in distinguo che finiscono per accreditarla; ma soprattutto vi è chi, lavorando ad intra, promuove la corrispondente opera di «deideologizzazione» del mondo cattolico, mettendo in dubbio la sopravvivenza – se non l’esistenza – della dottrina sociale naturale e cristiana. Come non essere tentati di pensare che i termini espliciti di padre Chenu costituiscano la spiegazione ultima, il senso recondito di frasi ambigue come quella che si legge, siglata da don Virgilio Levi, su L’Osservatore Romano, secondo cui «esistono […] i “programmi” socio-politici del marxismo. Il cristiano non vi contrappone un programma politico cristiano, una società cristiana, uno Stato cristiano»? (1). Oppure quella di padre Arrupe, per il quale «la fede cristiana non prevede un programma socio-politico determinato ma deve rendere capaci gli uomini di discernere e di giudicare la validità delle diverse proposte socio-politiche»? (2).
Cosa pensare, poi, di affermazioni come quella di mons. Alfredo Battisti, vescovo di Udine, secondo cui «le soluzioni economiche marxiste non sono per sé in opposizione con la fede cristiana»? (3). O quella di mons. Bettazzi, per il quale «il cosiddetto odio di classe […] sarebbe l’impegno di eliminare sopraffazioni strutturali tra le varie classi, sarebbe … l’unica via concreta all’interclassismo!»? (4).
Che giudizio farsi, infine, dell’operato – e dei principi direttivi di tale operato – di mons. Cesare Zacchi, nunzio apostolico a Cuba, che ha «meritato» il pubblico elogio di Fidel Castro, ispirando a quest’ultimo l’affermazione secondo cui «non esistono contraddizioni tra i propositi della religione e quelli del socialismo»? (5).
In queste condizioni, sia per evidenti ragioni di fatto, che per motivazioni di principio, che mi pare di avere messo adeguatamente in luce, la «lungimirante» proposta del segretario generale comunista può ricevere risposta adeguata soltanto dalla riaffermazione esplicita e tematica delle tesi classiche della dottrina sociale cristiana, che «è parte integrante della concezione cristiana della vita» (6).
«I cattolici – infatti – posseggono nelle verità della loro fede, negli insegnamenti della Chiesa, nel loro programma sociale, una tale ricchezza di forze positive e costruttive che non hanno bisogno di prenderle quasi in prestito da altri» (7). Perciò, «il cristiano credente deve abbracciare con fermezza tutti gli articoli del domma rivelato e tutte le verità necessariamente derivanti dal domma stesso, in particolar modo quindi anche i principi fondamentali su cui riposa l’edificio di ogni sana dottrina sociale» (8). Tale dottrina, poi, «è definitivamente e univocamente fissata nei suoi punti fondamentali, è tuttavia abbastanza larga da poter essere adattata e applicata alle mutevoli vicissitudini dei tempi, purché senza detrimento dei suoi principi immutabili e permanenti. Essa è chiara in tutti i suoi aspetti; è obbligatoria; niuno se ne può scostare senza pericolo per la fede e per l’ordine morale» (9); infatti, «vi è un ordine naturale, anche se le sue forme mutano con gli sviluppi storici e sociali; ma le linee essenziali furono e sono tuttora le medesime: la famiglia e la proprietà, come base di provvedimento personale: poi, come fattori complementari di sicurezza, gli enti locali e le unioni professionali, e finalmente lo Stato» (10).
All’interno di questa indispensabile riaffermazione degli «insegnamenti della Chiesa», è di particolare urgenza ricordare che «il mondo economico è creazione dell’iniziativa personale dei singoli cittadini», e che l’azione dei pubblici poteri, «che ha carattere di orientamento, di stimolo, di coordinamento, di supplenza e di integrazione, deve ispirarsi al principio di sussidiarietà, formulato da Pio XI nell’Enciclica Quadragesimo Anno: Deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che siccome non è lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’aggetto naturale di qualsiasi intervenzione della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle» (11).
Quali vantaggi, poi, non si ricaveranno dal ricordo di tesi come quella che afferma che «chi osa […] negare la disparità delle classi sociali, contraddice all’ordine stesso di natura»? (12). O di quell’altra aurea sentenza secondo cui «noi respingiamo il comunismo come sistema sociale in virtù della dottrina cristiana, e dobbiamo affermare particolarmente i fondamenti del diritto naturale. Per la medesima ragione rigettiamo altresì l’opinione che il cristiano debba oggi vedere il comunismo come un fenomeno o una tappa nel corso della storia, quasi necessario “momento” evolutivo di essa, e quindi accettarlo quasi come decretato dalla Provvidenza divina»? (13).
Ma la riaffermazione stessa non basta ancora. Bisogna diffondere tale dottrina estendendo il suo «insegnamento con corsi ordinari e in forma sistematica a tutti i Seminari e a tutte le scuole cattoliche di ogni grado. Va inoltre inserita nei programmi di istruzione religiosa delle parrocchie e delle associazioni dell’apostolato dei laici; va diffusa con i mezzi espressivi moderni: stampa quotidiana e periodica, pubblicazioni a carattere divulgativo e di natura scientifica, radio e televisione» (14). Contro le insidie sempre più sottili del comunismo «intrinsecamente perverso» si tratta, insomma, di riprendere il programma enunciato nella Divini Redemptoris, di cui quest’anno è letteralmente caduto il quarantesimo anniversario!
Solo in questo modo il cristiano può essere messo al riparo dalle seduzioni che lo circondano e fornito delle categorie necessarie per giudicare della serietà di chi si dice «cristianamente ispirato». Solo in questo modo può opporsi con fermezza e con serenità a quel «compromesso culturale» che viene offerto e proposto al mondo cattolico – e in primis all’episcopato -, e che consiste, molto semplicemente, nel perdere la propria identità cattolica, magari per motivi «religiosi»! Solo in questo modo può riproporsi di operare per la restaurazione di tutte le cose in Cristo, cioè per la riaffermazione della sua regalità, anche sociale.
Chiedendo al Signore e alla Vergine santissima la grazia di questa ulteriore auspicata espressione del magistero episcopale – che distribuisca ai «poveri» i tesori di dottrina che «il Magistero della Chiesa ha enucleato, con la collaborazione di sacerdoti e laici illuminati, specialmente in questo ultimo secolo» (15) -, nel caso, comunque, in cui questa attesa avesse a rivelarsi tragicamente vana e la «consolazione» gerarchica mancare, propongo una applicazione sociale della quinta regola suggerita da sant’Ignazio «per conoscere gli spiriti»: «in tempo di desolazione non si deve mai fare mutamento, ma restare fermi e costanti nei propositi e nella determinazione in cui si stava nel giorno precedente a quella desolazione, o nella determinazione in cui si stava nella precedente consolazione» (16).
Ad maiorem Dei gloriam.
GIOVANNI CANTONI
Note:
(1) V. L., Catechesi e marxismo, in L’Osservatore Romano, 28-10-1977.
(2) Comunicato AGI, 21-10-1977.
(3) L’Unità, 2-11-1977.
(4) MONS. LUIGI BETTAZZI, Farsi uomo. Confessioni di un vescovo, Gribaudi, Torino 1977, pp. 192-193.
(5) Cfr. L’Unità, 6-11-1977.
(6) GIOVANNI XXIII, Enciclica Mater et Magistra, del 15-5-1961, in FRANCESCO VITO, Introduzione alle encicliche e ai messaggi sociali. Da Leone XIII a Giovanni XXIII, Vita e Pensiero, Milano 1962, p. 309.
(7) PIO XII, Allocuzione ai laureati e universitari di A. C., del 7-1-1946, in Quello che i Papi dicono del comunismo, Edizioni Domenicane Italiane, Napoli 1967, p. 77.
(8) IDEM, Discorso Quale anniversario, ai Giovani romani di Azione Cattolica, del 10-6-1945, in Le consegne ai militanti, insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes, trad. it.. Edizioni Paoline, 2ª ed., Roma 1962, p. 81.
(9) IDEM, Discorso Avevamo, ai partecipanti al convegno di Azione Cattolica, delle diocesi dell’Italia Centrale e Meridionale, del 29-4-1945, in Le consegne ai militanti, cit., p. 76.
(10) IDEM, Radiomessaggio natalizio, del 24-12-1955, in Le encicliche sociali dei papi, Da Pio IX a Pio XII (1864-1956), a cura di Igino Giordani, 4ª ed. corretta e aumentata, Editrice Studium, Roma 1956, p. 1069.
(11) GIOVANNI XXIII, Enciclica Mater et Magistra, cit., p. 270.
(12) IDEM, Enciclica Ad Petri cathedram, del 29-6-1959, in Encicliche e discorsi (1958-1959), vol. I, 2ª ed., Edizioni Paoline, Roma 1963, p. 277.
(13) PIO XII, Radiomessaggio natalizio, del 24-12-1955, cit., pp. 1072-1073.
(14) GIOVANNI XXIII, Enciclica Mater et Magistra, cit., p. 309.
(15) Ibid., p. 308.
(16) SANT’IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, Editrice Ancora, Milano 1967, n. 318.