Silvia Scaranari, Cristianità n. 423 (2023)
«Sperare insieme» (1) è stato lo slogan del 43° viaggio di Papa Francesco, compiuto dal 31 agosto al 4 settembre nella lontana Mongolia. Speranza, dialogo, amore sono le linee-guida della presenza del Pontefice presso un popolo ricco di tradizione, di cultura e soprattutto d’interminati spazi.
Come egli stesso ha sottolineato, ha scelto questo slogan per esprimere «[…] proprio la potenzialità insita nel camminare con l’altro, nel rispetto reciproco e nella sinergia per il bene comune. La Chiesa cattolica, istituzione antica e diffusa in quasi tutti i Paesi, è testimone di una tradizione spirituale, nobile e feconda, che ha contribuito allo sviluppo di intere nazioni in molti campi del vivere umano, dalla scienza alla letteratura, dall’arte alla politica. Sono certo che anche i cattolici mongoli sono e saranno pronti a dare il proprio apporto alla costruzione di una società prospera e sicura, in dialogo e collaborazione con tutte le componenti che abitano questa grande terra baciata dal cielo» (2).
Questo viaggio è stato compiuto nell’occasione di due ricorrenze molto importanti: i 777 anni dalla visita del francescano Giovanni di Pian del Carpine (1182 ca.-1252), inviato di Papa Innocenzo IV (1243-1254) presso Guyug (1206-1248), il terzo imperatore mongolo, nel 1246, e gli 860 anni dalla nascita di Gengis Khan (1162/3-1227), o Cinghiss Khan, come si preferisce oggi. Questo immenso territorio rievoca immediatamente il padre della Mongolia e i suoi temibili guerrieri che in pochi anni dalla lontana Kharakorum arrivarono, a ovest, fino alla Bulgaria e ad est inclusero nell’impero gran parte della Cina e della Corea. Con i suoi immediati successori l’impero mongolo riunì un quarto del globo terrestre e un quarto della popolazione mondiale del secolo XIII. Periodo di luci e ombre: il più grande impero con territori contigui godeva di proficue comunicazioni commerciali, di pacifica convivenza fra molti popoli, lingue e religioni, ma sotto un’inflessibile dittatura, la ben nota pax mongolica.
Le ombre che hanno contrassegnato in modo prevalente quell’impero sono, tuttavia, rimaste assenti nel giudizio storico che il Pontefice ha formulato su una pax, appunto quella mongolica, non propriamente fondata sulla giustizia
Tanto veloce fu la formazione quanto la frammentazione, che diede vita a tanti khanati — regioni a governo praticamente autonomo —, da cui sorsero però molti Paesi dell’Età Moderna. Oggi dell’antico fasto rimane solo la memoria: il Paese, pur vastissimo con i suoi 1.566.000 km2 contro i 324.000 dell’Italia, ha poco più di tre milioni di abitanti, un’economia in larga parte di sussistenza nonostante le grandi ricchezze del sottosuolo (petrolio, rame, carbone, tungsteno, fosfato) e poco meno di un terzo della popolazione sotto la soglia della povertà.
Certamente un Paese affascinante, che colpisce per i suoi grandi spazi, che si possono solo «sentire», come ha detto il Santo Padre. Se la capitale, Ulan Bator (o Ulanbataar), è una grande città con circa un milione e mezzo di abitanti — dove palazzi e grandi viali del centro conservano ancora le tracce del passato governo comunista filosovietico accanto a nuovi avveniristici grattacieli, circondati da una periferia da «terzo mondo» con interminabili fila di gher, la tradizionale struttura abitativa mongola, e migliaia di persone che vivono al limite della sussistenza — il resto del Paese ha mantenuto il volto di un tempo. Metà della popolazione vive di pastorizia, con accentuato nomadismo, mentre l’agricoltura stanziale è modesta a causa delle condizioni climatiche piuttosto proibitive: in inverno la temperatura scende a meno quaranta gradi e nei mesi estivi tocca al massimo i venticinque gradi.
La gher — simile alla yurta siberiana — è una casa mobile ma stabile. Ha una struttura portante rotonda in legno, sollevata dal terreno e ricoperta da pelli, stoffe e sterpaglie, che formano blocchi di parete. Si smonta e si rimonta in un giorno, pronta ad accogliere la famiglia dopo le grandi traversate a cui costringe la ricerca di nuovi pascoli. All’interno vi è un unico ampio ambiente, al cui centro trionfa la stufa che cuoce e riscalda; intorno letti, una madia e null’altro, se non i tappeti su cui ci si siede, si mangia, si discute, si trattano gli affari, si gioca. In alto cordicelle tese sorreggono pezzi di carne essiccata, latte secco od otri con latte acido di cammella o cavalla, fotografie e qualche amuleto. Non chiedetevi dove sono i servizi igienici, la risposta sarebbe una mano che indica gli ampi spazi intorno alla gher. Ma come ha sottolineato il Santo Padre, le gher «[…] testimoniano inoltre il prezioso connubio tra tradizione e modernità; esse, infatti, accomunano la vita di anziani e giovani, raccontando la continuità del popolo mongolo, che dall’antichità al presente ha saputo custodire le proprie radici, aprendosi, specialmente negli ultimi decenni, alle grandi sfide globali dello sviluppo e della democrazia» (3).
Tre, quattro gher in cui vive la famiglia, intorno chilometri e chilometri di neve in inverno e di erba verde in estate, quando e se piove, altrimenti sterpaglia semi-secca. Ma non ovunque, perché la Mongolia offre anche spettacolari paesaggi di valli, che s’incuneano pericolosamente fra alte montagne e dove si possono vedere le aquile volare indisturbate, o le immense dune del deserto del Gobi — che diversamente dal Sahara è più una grande steppa arida —, in cui è facile imbattersi in qualche osso di dinosauro, e la depressione dei Grandi Laghi, che confina con la Siberia «con le innumerevoli anse dei corsi d’acqua, che visti dall’alto sembrano decorazioni raffinate su antiche stoffe pregiate: tutto questo è uno specchio della grandezza e della bellezza dell’intero pianeta, chiamato a essere un giardino ospitale» (4), come ha detto nel discorso di saluto il Pontefice.
Il 95% della popolazione parla il mongolo (o suoi dialetti), scritto in caratteri cirillici, retaggio del legame sovietico, anche se oggi si cerca di reintrodurre nelle scuole l’hudum, la scrittura tradizionale; una minoranza usa il russo — la lingua straniera più studiata — o il kazako. Il livello medio di istruzione è piuttosto basso perché c’è un’unica università, fondata nella capitale sotto il governo comunista, e nelle grandi steppe rimane a livelli elementari.
Presso questo popolo dal passato glorioso, dalle grandi tradizioni di combattimento e di caccia, dalle danze rituali in costumi coloratissimi, si è recato il Santo Padre per incontrare un piccolo gregge, non solo in senso figurato. Un piccolo gregge molto dinamico, come ha sottolineato il nunzio, card. Giorgio Marengo, missionario della Consolata, in visita a Torino alla fine di settembre del 2023, che non dimentica di essere appunto missionario e testimone, anche se il Vangelo può essere solo «sussurrato» (5), con grande delicatezza, nell’immenso territorio ricco di tante tradizioni religiose ma anche di grandi distanze.
Il periodo comunista ha lasciato come eredità un pesante ateismo. Solo il 53% della popolazione dichiara di essere buddista, il 3% musulmana e piccole frange seguono lo sciamanesimo, il cristianesimo o un mix, come si evince entrando in una gher. Ma il periodo comunista è stato superato senza spargimento di sangue e con esso anche l’ideologia atea che «[…] credeva di dover estirpare il senso religioso, ritenendolo un freno allo sviluppo» (6), ha detto il Papa alle autorità. Così oggi il popolo mongolo può riconoscersi «in quel valore essenziale dell’armonia e della sinergia tra credenti di fedi diverse, che — ognuna dal proprio punto di vista — contribuiscono al progresso morale e spirituale». «Le religioni […] quando si rifanno al loro originale patrimonio spirituale e non sono corrotte da devianze settarie, sono a tutti gli effetti sostegni affidabili nella costruzione di società sane e prospere, dove i credenti si spendono affinché la convivenza civile e la progettualità politica siano sempre più al servizio del bene comune, rappresentando anche un argine al pericoloso tarlo della corruzione» (7).
Alcuni aspetti relativi alla libertà religiosa sembrano essere ragionevolmente ben consolidati in Mongolia, ma se si guarda in profondità qualche problema c’è. La libertà religiosa è riconosciuta dalla Costituzione del 1992 ma alcune leggi specifiche impongono a tutte le religioni minoritarie di registrarsi come organizzazioni non governative, di sottostare a minuziose regole fiscali e soprattutto avere fra il 25% e il 95% — per la Chiesa cattolica il 75% — di personale mongolo. Questo aspetto, unito all’impossibilità di possedere beni immobiliari da parte di operatori religiosi stranieri, genera difficoltà con il personale missionario.
Sempre parlando alle autorità, il Papa ha sottolineato che dal punto di vista politico «[…] la sua attiva adesione alle Nazioni Unite, il suo impegno per i diritti umani e per la pace, riveste un ruolo significativo nel cuore del grande continente asiatico e nello scenario internazionale» (8).
Dopo un lungo periodo (1921-1990) di governo modellato sullo stampo sovietico, con partito unico comunista, nel 1992 il Paese ha visto l’introduzione di una nuova Costituzione che ha permesso, per la prima volta dal 1921, il passaggio a un governo democratico. Oggi la Mongolia ha un presidente eletto dal voto popolare e un primo ministro normalmente espressione del partito di maggioranza del Gran Hural. Al momento è al potere il Partito Rivoluzionario del Popolo Mongolo (MPRP), subentrato nel 2021 al Partito Democratico. Il retaggio sovietico rimane nei codici di diritto che hanno preso il posto dell’antico yasa, una raccolta di norme nata dopo la morte di Genghis Khan. La presenza del passato è invece il complesso disegno della bandiera, il Soyombo, creato forse dal Buddha vivente nel secolo XIV, Zanabazar, ricco di simboli diversi tendenti a rievocare la fierezza, il desiderio di libertà, l’unione del popolo mongolo e l’equità necessaria nel giudizio verso ricchi e verso i poveri.
Parte integrante delle organizzazioni sovranazionali, ha un’attenta politica di pace, che il Papa ha sottolineato: «Vorrei menzionare anche la vostra determinazione a fermare la proliferazione nucleare e a presentarsi al mondo come Paese senza armi nucleari: la Mongolia non è solo una nazione democratica che attua una politica estera pacifica, ma si propone di svolgere un ruolo importante per la pace mondiale. Inoltre — altro provvido elemento da segnalare — la pena capitale non compare più nel vostro ordinamento giudiziale» (9).
Sul tema religioso il Papa è ritornato nel discorso nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, rievocando un po’ di storia. «Ricordo allora il Vescovo Wenceslao Selga Padilla, primo Prefetto Apostolico, pioniere della fase contemporanea della Chiesa in Mongolia e costruttore di questa cattedrale. Qui, tuttavia, la fede non risale solo agli anni novanta del secolo scorso, ma ha radici molto antiche. Alle esperienze del primo millennio, segnate dal movimento evangelizzatore di tradizione siriaca diffusosi lungo la via della seta, è seguito un considerevole impegno missionario: come non ricordare le missioni diplomatiche del XIII secolo, ma anche la cura apostolica manifestata dalla nomina, intorno al 1310, di Giovanni da Montecorvino come primo Vescovo di Khān Bālīq, e dunque responsabile di tutta quest’ampia regione del mondo sotto la dinastia mongola Yuan? Fu proprio lui a fornire la prima traduzione in lingua mongola del libro dei Salmi e del Nuovo Testamento. Ebbene, questa grande storia di passione per il Vangelo è ripresa in modo straordinario nel 1992 con l’arrivo dei primi missionari della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, a cui si sono aggiunti rappresentanti di altri istituti, clero diocesano e volontari laici. Tra tutti vorrei ricordare l’attivo e zelante Padre Stephano Kim Seong-hyen [1968-2023]. E facciamo memoria di tanti fedeli servitori del Vangelo in Mongolia, che sono qui con noi ora e che, dopo aver speso la vita per Cristo, vedono e gustano le meraviglie che la sua bontà continua ad operare in voi e attraverso di voi» (10).
Questa presenza è una testimonianza che non deve ridursi a portare avanti progetti ma deve essere animata da un profondo amore al Signore Gesù, «[…] rimanendo a contatto con il volto di Cristo, scrutandolo nelle Scritture e contemplandolo in silenzio adorante — in silenzio adorante — davanti al tabernacolo […]. Di questo c’è bisogno, oggi e sempre: non di persone indaffarate e distratte che portano avanti progetti, col rischio talvolta di apparire amareggiate per una vita certamente non facile, no: il cristiano è colui che è capace di adorare, adorare in silenzio. E poi, da questa adorazione scaturisce l’attività. Ma non dimenticate l’adorazione. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione in questo secolo pragmatico: non dimenticatevi di adorare e, dall’adorazione, fare le cose» (11).
Stimolando la santa volontà di agire, il Papa raccomanda l’unione con la Chiesa universale tramite la figura del vescovo, perché «[…] l’unità nella Chiesa non è questione di ordine e di rispetto, e nemmeno una buona strategia per “fare squadra”; è questione di fede e di amore al Signore, è fedeltà a Lui. Perciò è importante che tutte le componenti ecclesiali si compattino intorno al Vescovo, che rappresenta Cristo vivo in mezzo al suo Popolo, costruendo quella comunione sinodale che è già annuncio e che tanto aiuta a inculturare la fede» (12).
Compito immane ma possibile alla dolce sequela della «Madre del cielo», la cui statua, ritrovata in una discarica, è stata benedetta dal Papa, che ha proseguito: «Carissimi, in questo cammino di discepoli-missionari avete un sostegno sicuro: la nostra Madre celeste, che — mi è piaciuto tanto scoprirlo! — ha voluto darvi un segno tangibile della sua presenza discreta e premurosa lasciando che si trovasse una sua effigie in una discarica. Nel luogo dei rifiuti è comparsa questa bella statua dell’Immacolata: lei, senza macchia, immune dal peccato, ha voluto farsi così vicina da essere confusa con gli scarti della società, così che dallo sporco della spazzatura è emersa la purezza della Santa Madre di Dio, la Madre del Cielo. Ho saputo dell’interessante tradizione mongola della suun dalai ijii, la mamma dal cuore grande come un oceano di latte. Se, nella narrazione della Storia segreta dei Mongoli, una luce discesa attraverso l’apertura superiore della ger feconda la mitica regina Alungoo, voi potete contemplare nella maternità della Vergine Maria l’azione della luce divina che dall’alto accompagna ogni giorno i passi della vostra Chiesa» (13).
Il tema della speranza torna a essere centrale nell’incontro ecumenico e interreligioso svoltosi nella capitale. La speranza anima il Santo Padre nella prospettiva di una convivenza pacifica e collaborativa fra le diverse sensibilità, che in questo vasto Paese sembra realizzarsi da sempre.
«L’umanità, nel suo anelito religioso, può essere paragonata a una comunità di viandanti che cammina in terra con lo sguardo rivolto al cielo» (14) ha ricordato il Papa, e questo Paese, in cui per chilometri e chilometri non si vede altro che il cielo e la terra, vive con un naturale sguardo verso il cielo per ricevere la luce con cui gestire la realtà quotidiana. «Le religioni sono chiamate a offrire al mondo questa armonia, che il progresso tecnico da solo non può dare, perché, mirando alla dimensione terrena, orizzontale dell’uomo, rischia di dimenticare il cielo per il quale siamo fatti», ha detto il Pontefice, e ha indicato dieci buone pratiche che l’Asia, meglio ancora la Mongolia, che ne è il cuore, può offrire a tutta l’umanità. «Dieci aspetti: il buon rapporto con la tradizione, nonostante le tentazioni del consumismo; il rispetto per gli anziani e gli antenati — quanto bisogno abbiamo oggi di un’alleanza generazionale tra loro e i più giovani, di dialogo tra nonni e nipoti! E poi, la cura per l’ambiente, nostra casa comune, altra necessità tremendamente attuale: siamo in pericolo. E ancora: il valore del silenzio e della vita interiore, antidoto spirituale a tanti malanni del mondo odierno. Quindi, un sano senso di frugalità; il valore dell’accoglienza; la capacità di resistere all’attaccamento alle cose; la solidarietà, che nasce dalla cultura dei legami tra le persone; l’apprezzamento per la semplicità. E, infine, un certo pragmatismo esistenziale, che tende a ricercare con tenacia il bene del singolo e della comunità. Questi dieci sono alcuni elementi del patrimonio di sapienza che questo Paese può offrire al mondo».
Come la gher, abitazione tradizionale, rappresenta la naturale apertura al divino di questo popolo perché riceve la luce dal grande foro centrale del tetto, così anche il governo e le istituzioni devono garantire una vera libertà religiosa, «[…] perché in società pluralistiche e che credono nei valori democratici, come la Mongolia, ogni istituzione religiosa, regolarmente riconosciuta dall’autorità civile, ha il dovere e in primo luogo il diritto di offrire quello che è e quello che crede, nel rispetto della coscienza altrui e avendo come fine il maggior bene di tutti». Il Pontefice ha sottolineato: «vorrei confermarvi che la Chiesa cattolica vuole camminare così, credendo fermamente nel dialogo ecumenico, nel dialogo interreligioso e nel dialogo culturale», ma allo stesso tempo precisa che «il dialogo, infatti, non è antitetico all’annuncio: non appiattisce le differenze, ma aiuta a comprenderle, le preserva nella loro originalità e le mette in grado di confrontarsi per un arricchimento franco e reciproco». La Chiesa professa una fede fondata sull’eterno «[…] dialogo tra Dio e l’umanità, incarnatosi nella persona di Gesù Cristo. Con umiltà e nello spirito di servizio che ha animato la vita del Maestro, venuto nel mondo non “per farsi servire ma per servire” (Mc 10,45), la Chiesa oggi offre il tesoro che ha ricevuto ad ogni persona e cultura, rimanendo in atteggiamento di apertura e ascolto». Per questo anche in un Paese in cui i cattolici sono molto pochi sperare è sempre possibile, perché «come ebbe a dire un filosofo: “Ognuno fu grande secondo quello che sperò. Uno fu grande sperando il possibile; un altro sperando l’eterno, ma chi sperò l’impossibile fu il più grande di tutti” (S. A. Kierkegaard, Timore e tremore, Milano 2021, 16)».
L’omelia della Messa, celebrata domenica 3 settembre presso la «Steppe Arena» della capitale, ruota intorno al salmo 63, «O Dio […] ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua» (15), quindi alla sete di amore che abita nell’uomo dell’uomo e all’amore divino che salva da ogni arsura.
Occorre «[…] riconoscere la sete che ci abita», parole ben comprese in Mongolia, «un territorio immenso, ricco di storia, una terra piena di cultura, ma anche segnato dall’aridità della steppa e del deserto».
Il Papa cita sant’Agostino (354-430), secondo cui Dio «ci fa, sì, provare la sete ma poi viene ad appagarla. […] Dio ha avuto misericordia di noi e ha aperto per noi una via nel deserto: il Signore nostro Gesù Cristo […] E ci ha procurato una consolazione nel deserto: i predicatori della sua Parola». Così anche ai pochi fedeli che abitano questo Paese «il Signore non vi fa mancare l’acqua della sua Parola, specialmente attraverso i predicatori e i missionari che, unti dallo Spirito Santo, ne seminano la bellezza».
L’acqua che disseta veramente è solo l’amore di Cristo, come anche l’episodio di Pietro, rimproverato perché non vuole accettare l’annuncio della passione e morte del Signore, mette in evidenza. Ma occorre sintonizzarsi sul modo di pensare di Dio e non degli uomini perché «[…] la via migliore di tutte è questa: abbracciare la croce di Cristo. Al cuore del cristianesimo c’è questa notizia sconvolgente, notizia straordinaria: quando perdi la tua vita, quando la offri con generosità in servizio, quando la rischi impegnandola nell’amore, quando ne fai un dono gratuito per gli altri, allora essa ti ritorna in abbondanza, riversa dentro di te una gioia che non passa, una pace del cuore, una forza interiore che ti sostiene».
Il viaggio termina lunedì 4 settembre con la benedizione della Casa della Misericordia, un luogo per provvedere ad accoglienza, ascolto e sostegno dei più fragili. La Casa della Misericordia non è frutto di un’attività missionaria ma ha avuto origine dalla Chiesa locale e, pur in collaborazione con le diverse attività missionarie, sarà gestita da volontari fra i fedeli della comunità mongola.
Ricorda il Santo Padre che «da quando i primi missionari sono arrivati a Ulaanbaatar negli anni novanta, hanno sentito subito l’appello alla carità, che li ha portati a prendersi cura dell’infanzia derelitta, di fratelli e sorelle senza fissa dimora, dei malati, delle persone con disabilità, dei carcerati e di quanti nella loro condizione di sofferenza chiedevano di essere accolti.
«Oggi vediamo come da quelle radici è cresciuto un tronco, sono spuntati dei rami e sono sbocciati tanti frutti: numerose e lodevoli iniziative benefiche, sviluppatesi in progetti a lungo termine, portati avanti per lo più dai diversi Istituti missionari qui presenti e apprezzati dalla popolazione e dalle autorità civili. D’altronde, era stato lo stesso Governo mongolo a chiedere l’aiuto dei missionari cattolici per fronteggiare le numerose emergenze sociali di un Paese che al tempo versava in una delicata fase di transizione politica, segnata da diffusa povertà» (16). Occorre però contrastare alcune dicerie che vedono i cattolici operare solo per fare proselitismo — cosa che, è ben noto, suscita l’irritazione di Papa Francesco — mentre, al contrario, «i cristiani riconoscono chi è nel bisogno e fanno il possibile per alleviarne le sofferenze perché lì vedono Gesù, il Figlio di Dio, e in Lui la dignità di ogni persona, chiamata a essere figlio o figlia di Dio. Mi piace immaginare questa Casa della Misericordia come il luogo dove persone di “credo” diversi, e anche non credenti, uniscono i propri sforzi a quelli dei cattolici locali per soccorrere con compassione tanti fratelli e sorelle in umanità».
In ambito caritativo non sono i soldi che determinano l’aiuto al prossimo — anche se hanno una loro funzione e non vanno demonizzati —, ma il desiderio di donarsi, con professionalità ovviamente, ma soprattutto come persone «capaci di ascolto, capaci di compassione, al di là di qualsiasi compenso». Il Signore non è venuto per farsi servire, ma per servire e il Santo Padre conclude l’incontro citando santa Teresa di Calcutta (1910-1997). A un giornalista che, guardandola ricurva sulla ferita maleodorante di un malato, le avrebbe detto: «Quello che fate è bellissimo, ma personalmente non lo farei neanche per un milione di dollari», «Madre Teresa rispose: “Per un milione di dollari non lo faccio neanch’io. Lo faccio per amore di Dio!”».
Silvia Scaranari
Note:
1) Francesco, Discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico nella Sala «Ikh Mongol» del Palazzo di Stato a Ulaanbaatar, 2-9-2023.
2) Ibidem.
3) Ibidem.
4) Ibidem.
5) Cfr. Maria Chiara Biagioni e Patrizia Caiffa, Papa in Mongolia. Card. Marengo (Ulan Bator): «Chiamati a sussurrare il Vangelo al cuore» del Paese, 3-6-2023, nel sito web <https://www.agensir.it/mondo/2023/06/03/papa-in-mongolia-card-marengo-ulan-bator-chiamati-a-sussurrare-il-vangelo-al-cuore-del-paese> (indirizzo consultato il 31-10-2023).
6) Francesco, Discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico nella Sala «Ikh Mongol» del Palazzo di Stato a Ulaanbaatar, cit.
7) Ibidem.
8) Ibidem.
9) Ibidem.
10) Idem, Discorso all’incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Missionari, i Consacrati, le Consacrate, e gli Operatori Pastorali nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, 2-9-2023.
11) Ibidem.
12) Ibidem.
13) Ibidem.
14) Idem, Discorso all’Incontro Ecumenico e Interreligioso presso l’«Hun Theatre», 3-9-2023. Le citazioni che seguono senza riferimento rimandano a questo testo.
15) Idem, Omelia nella Santa Messa celebrata nella «Steppe Arena», 3-9-2023. Le citazioni che seguono senza riferimento rimandano a questo testo.
16) Idem, Discorso all’incontro con gli Operatori della Carità e inaugurazione della Casa della Misericordia, 4-9-2023. Le citazioni che seguono senza riferimento rimandano a questo testo.