MASSIMO INTROVIGNE, Cristianità n. 229 (1994)
1. “Opus Dei. Un’indagine”
Secondo una recente indagine, fra i primi quattro libri di argomento religioso che il pubblico italiano ricorda di aver letto tre sono opera di Vittorio Messori (1). Si tratta già di una buona ragione per considerare un autentico avvenimento culturale ogni nuovo lavoro del giornalista e scrittore di Sassuolo, nel Modenese, dove Vittorio Messori è nato nel 1941; quando poi l’argomento è così rilevante per la vita della Chiesa — e insieme è oggetto di così numerosi equivoci — come l’Opus Dei, le ragioni di un’attenzione particolare si moltiplicano. Opus Dei. Un’indagine, l’ultimo lavoro di Vittorio Messori (2), si presenta come un “dossier” su una realtà con cui all’inizio della sua ricerca l’autore non aveva particolare familiarità (3). Una rassegna stampa sull’Opus Dei aveva messo Vittorio Messori di fronte soprattutto — e con poche eccezioni — a un’ostilità e un astio fuori del comune, un’autentica “leggenda nera” (4) con censure fra l’incredibile e il grottesco, culminate, a partire dagli anni 1984-1985, nell’accusa di essere una “sètta” (5). Sulla campagna scatenata nei confronti dell’Opus Dei dal movimento anti-sette — a proposito della quale Vittorio Messori ha la cortesia di citare sia diversi miei lavori, sia conversazioni personali con me — ritornerò nella seconda e nella terza parte di questo articolo con qualche ulteriore integrazione e commento. Quanto a Vittorio Messori, convinto della limitata utilità dei ritagli di stampa, inizia la sua indagine da una visita delle istituzioni in qualche modo collegate all’Opus Dei, cominciando da quelle di tipo universitario (6). Passa quindi allo studio della figura del beato Josemaría Escrivá de Balaguer (1902-1975), il fondatore dell’Opus Dei, e della sua esperienza del 2 ottobre 1928, che a torto — osserva esattamente l’autore — si cercherebbe di comprendere al di fuori della sua dimensione religiosa e anzi, propriamente, mistica (7). Il beato Josemaría Escrivá de Balaguer ha infatti sempre sostenuto di non avere propriamente “fondato” alcunché, ma di aver “visto” nel 1928 un progetto che Dio gli comandava di realizzare. Il fondatore dell’Opus Dei, peraltro, non era — per carattere e per inclinazione — particolarmente interessato a visioni, ad apparizioni e a messaggi celesti. Il suo carisma specifico consisteva piuttosto in una spiritualità dell’ordinario e nella “stranezza di non essere strani” (8). Questo non significa che l’Opus Dei possa essere compresa e studiata sulla base di categorie semplicemente sociologiche: Vittorio Messori rileva — e si tratta di una osservazione di grande importanza per l’esame di qualunque fenomeno religioso, cattolico o non cattolico — che “[…] ciò che anche molti “intelligenti” sembrano da decenni aver dimenticato è una necessità ovvia, lapalissiana: e che, cioè, l’esperienza religiosa va affrontata secondo categorie religiose“ (9).
“Realtà religiosa” (10), l’Opus Dei ha al suo centro una spiritualità del lavoro. La via proposta dal beato Josemaría Escrivá de Balaguer — che certamente non si presenta come esclusiva né escludente rispetto ad altre vie che la Chiesa accoglie e propone — consiste nel “santificarsi nel perfetto adempimento del lavoro“. Non si tratta, cioè, di concepire la santificazione e l’apostolato come un’attività a cui dedicarsi principalmente nel tempo che rimane libero dai normali impegni lavorativi, ma — al contrario — di vivere il proprio lavoro come via alla santificazione: di adempiere il proprio lavoro con cura particolare “sforzandosi sempre e dovunque di essere migliori” in modo che il proprio “prestigio professionale” diventi, secondo l’espressione stessa del fondatore dell’Opus Dei, “la cattedra da cui si insegna agli altri a santificare il lavoro e a conformare la propria vita alle esigenze della vita cristiana” (11). La realizzazione di questo progetto di spiritualità del lavoro non è affidata soltanto all’iniziativa personale del singolo, ma è sostenuta dalla struttura dell’Opus Dei, che Vittorio Messori descrive come una “agenzia di servizi spirituali” o una “stazione di servizio per le anime” (12). L’“agenzia per lo spirito” (13) — contrariamente a un mito diffuso — si rivolge a tutti, e non soltanto ai professionisti, ai dirigenti d’azienda o agli intellettuali, che pure sono più numerosi nell’Opus Dei rispetto ad altre realtà cattoliche (14). Particolarmente misconosciuta è, del resto, la struttura stessa dell’Opus Dei, accolta nella sua forma attuale dalla Chiesa solo al termine di un complesso itinerario canonico. L’Opus Dei non è un movimento, e neppure una congregazione religiosa. Nel 1982 è diventata la prima e, per ora, unica Prelatura personale della Chiesa cattolica. La Prelatura personale è una sorta di diocesi senza territorio, a cui i membri sono soggetti per quanto riguarda la loro vita spirituale, mentre per ogni altro aspetto rimangono soggetti al vescovo diocesano. Nell’Opus Dei — che si pone quindi come una specifica “vocazione” nella Chiesa — si entra con un contratto che lega ciascun fedele alla Prelatura e che, ancora una volta, non va confuso con i voti religiosi (15). La grande maggioranza dei fedeli dell’Opus Dei è costituita da laici, uomini e donne che hanno tutti una normale vita lavorativa o professionale. Alcuni scelgono il celibato per dedicarsi con maggiore libertà al lavoro apostolico della Prelatura e sono detti “numerari”, mentre altri in genere sposati — la maggioranza — sono detti “soprannumerari”; una terza situazione personale è quella degli “aggregati”, che scelgono il celibato ma vivono con la famiglia o comunque hanno una minore disponibilità di tempo per il lavoro apostolico rispetto ai numerari; esistono infine “cooperatori” esterni, che possono essere anche non cattolici (16). L’Opus Dei comprende anche sacerdoti incardinati nella Prelatura, mentre una Società sacerdotale della Santa Croce riunisce, insieme ai sacerdoti della Prelatura, anche membri del clero diocesano che desiderano — rimanendo per ogni altro aspetto soggetti al proprio vescovo — vivere la spiritualità della Prelatura e godere della sua assistenza spirituale (17).
Santificare il proprio lavoro — si tratti del lavoro dell’avvocato o di quello del sacerdote — richiede, secondo la spiritualità dell’Opus Dei, un ritmo e una regolarità di vita scanditi da alcune pratiche ascetiche. Vittorio Messori discute l’uso del cilicio, spesso rimproverato all’Opus Dei come prova del suo presunto carattere “settario”, il rosario, la devozione alla Madonna e agli angeli custodi (18). Contro la “leggenda nera”, Vittorio Messori mette in luce il pluralismo nelle scelte economiche e politiche dei membri dell’Opus Dei. Nella vita sociale, secondo l’autore, l’Opus Dei non si muove affatto come un blocco: anche in vicende italiane recenti non di rado si sono trovati soprannumerari dell’Opus Dei schierati su posizioni diverse, senza che la Prelatura abbia in alcun modo interferito. Occorre quindi comportarsi con cautela quando si legge su qualche organo di stampa che nella vita politica o economica “l’Opus Dei ha detto…” o “l’Opus Dei ha fatto…”, giacché si tratta in genere di opzioni individuali di singoli soprannumerari o anche numerari, che operano nell’esercizio di una libertà di scelta nella vita secolare per cui il beato Josemaría Escrivá de Balaguer aveva un vero e proprio culto. Questa libertà implica che non sia impossibile — sia, anzi, normale — che anche nella stessa nazione membri diversi dell’Opus Dei, sugli stessi temi sociali o politici, compiano scelte diverse (19).
Un esempio della libertà di scelta nelle vicende secolari — con cui Vittorio Messori conclude la sua indagine — è costituito dall’atteggiamento di membri dell’Opus Dei nei confronti del regime del generale Francisco Franco, al potere in Spagna dal 1939 al 1975 (20), ulteriormente illustrato in un’appendice — C’era una volta Franco (21) — dello storico Giuseppe Romano, egli stesso numerario dell’Opus Dei. Vittorio Messori osserva anzitutto che il magistero sociale cattolico “[…] non ha assolutizzato mai alcuna forma politica, come oggi (risvegliatici dalla soggezione al “rosso” e dalla sbornia “comunitaria”) rischiamo di fare per il sistema democratico-liberal-capitalista”. Collaborare con un governo di tipo non democratico come quello del generale Francisco Franco dunque “[…] non era affatto una sorta di “crimine” o addirittura di “vergogna””; si trattava del resto di un governo “[…] del tutto legittimo e riconosciuto da tutta la comunità internazionale” (22). Lo Stato spagnolo dell’epoca del generale Francisco Franco inoltre “[…] per almeno 25 anni fu elogiato pubblicamente dai vescovi del Paese. Nulla, dunque, impediva a un cattolico di collaborare” (23). Tutto questo premesso, la “collaborazione” fra l’Opus Dei e il regime franchista deve essere precisata. Se è vero che — nell’esercizio della loro libertà di scelta — alcuni membri dell’Opus Dei sono stati ministri in alcuni governi degli ultimi anni del regime, non è meno vero che altri membri dell’Opus Dei hanno fatto parte di organizzazioni politiche di segno diverso e hanno scritto su giornali di opposizione. Sulla questione del tipo di monarchia che avrebbe dovuto reggere la Spagna dopo la morte del generale Francisco Franco si trovava, per esempio, fra i membri dell’Opus Dei, tutta una gamma di opinioni diverse. Vittorio Messori nota infine come sia interessante il fatto che tutti i detrattori dell’Opus Dei discutano di questi episodi sapendo perfettamente chi — fra i ministri e i collaboratori di Francisco Franco — faceva parte dell’Opus Dei e chi non ne faceva parte, il che induce a ridimensionare un altro aspetto della “leggenda nera”, che fa dell’Opus Dei una sorta di “società segreta”. Certo — proprio in quanto non è un ordine religioso — l’Opus Dei non ha segni distintivi o abiti che identifichino immediatamente ciascuno dei suoi circa ottantamila membri. I suoi statuti — contrariamente a una diffusa mitologia — sono tuttavia pubblici (e oggi anche pubblicati, così che possono essere acquistati in qualunque libreria), e d’altro canto “[…] tutti coloro che conoscono e frequentano i soci dell’Opus Dei sanno bene che fanno parte dell’Opera, perché non ne menano un vanto, ma neppure lo nascondono” (24).
2. La campagna del movimento anti-sette contro l’Opus Dei
A. Le origini
Nel terzo capitolo della sua opera, Vittorio Messori accenna agli attacchi del movimento anti-sette contro l’Opus Dei, riportando da alcune mie opere — in particolare Le nuove Religioni (25) — qualche cenno di carattere generale sul movimento anti-sette e sulle sue differenze con il movimento contro le sette. Senza ritornare qui su temi che Vittorio Messori riassume del resto brillantemente — e che ho esposto anche in un articolo pubblicato su Cristianità (26) — sarà sufficiente ricordare che, mentre il movimento contro le sette, nato in ambiente religioso — particolarmente protestante-evangelico, negli Stati Uniti d’America — critica le “sette” da un punto di vista qualitativo, mettendo in luce quanto nelle loro dottrine si oppone all’ortodossia cristiana, il movimento anti-sette, che nasce in ambienti laicisti, dichiara di volersi occupare esclusivamente di comportamenti, deeds, e non di dottrine, creeds, e attacca come “settaria” ogni forma di esperienza religiosa che da un punto di vista quantitativo appaia più intensa di quanto il secolarismo moderno sia disponibile a tollerare. Benché alcuni suoi esponenti non siano particolarmente filo-cattolici, il movimento evangelico contro le sette si occupa di rado di realtà interne alla Chiesa cattolica, e di fatto non ha quasi mai attaccato come “setta” l’Opus Dei. Da un lato, infatti, non esiste una “dottrina” nell’Opus Dei, distinta dalla dottrina cattolica; dall’altro, il movimento contro le sette evangelico sa bene che i presunti eccessi nello zelo per l’apostolato talora rimproverati all’Opus Dei potrebbero facilmente essere attribuiti anche a movimenti e a gruppi protestanti, alcuni dei quali sono infatti puntualmente entrati nel mirino dei movimenti anti-sette laicisti. Le considerazioni di Vittorio Messori offrono tuttavia lo spunto per qualche ulteriore riflessione.
L’avversione all’Opus Dei e il movimento anti-sette sono nati in forma autonoma e separata. Come nota lo stesso Vittorio Messori, le campagne contro l’Opus Dei — all’esterno e, purtroppo, anche all’interno della Chiesa cattolica — sono quasi antiche come la realtà fondata dal beato Josemaría Escrivá de Balaguer. Particolarmente vivaci sono state le campagne degli anni 1960 e quella degli anni 1980-1981 in Inghilterra, conclusa con il documento del 1981 del card. Basil Hume, arcivescovo di Westminster, intitolato Raccomandazioni per la futura attività dei membri dell’Opus Dei nella diocesi di Westminster, che — inteso a far cessare una polemica dannosa a tutta la Chiesa — è stato di fatto utilizzato dagli avversari dell’Opus Dei come se si trattasse di una conferma alle loro critiche (27). I più antichi attacchi all’Opus Dei venivano dall’interno della Chiesa cattolica, e in particolare da membri di congregazioni religiose, che non apprezzavano l’idea del beato Josemaría Escrivá de Balaguer di costituire una realtà che si ponesse come tertium genus fra l’ordine religioso e l’associazione di laici. In seguito gli attacchi acquisirono una matrice dottrinale e politica: tutti i tipi di “progressismo” cattolico vedevano infatti nell’Opus Dei una realtà di tipo “conservatore”, che si opponeva all’”aggiornamento” della teologia e in particolare alle forme di “teologia della liberazione” più direttamente influenzate dal marxismo. Nel frattempo l’Opus Dei cresceva fino agli ottantamila membri attuali e la sua crescita — non soltanto in termini di numero di membri, ma anche di attività apostoliche — non poteva che disturbare tutto un mondo laicista abituato a registrare con soddisfazione, quando si trattava della Chiesa cattolica, soltanto statistiche che indicavano il declino apparentemente inarrestabile dei fedeli, delle attività di apostolato, delle associazioni e degli ordini religiosi. Per ragioni quantitative e qualitative l’Opus Dei veniva a trovarsi al centro dello scontro intraecclesiale fra cattolici “progressisti” —pronti a invocare, in genere a sproposito, lo “spirito” del Concilio Vaticano II, se del caso contro la sua lettera — e cattolici fedeli alla dottrina della Chiesa insegnata dal Magistero, e insieme dello scontro fra il laicismo anti-cattolico e una Chiesa sempre meno disposta ad accettare il futuro di irrilevanza sociale e culturale disegnato per lei dai profeti del neo-illuminismo contemporaneo.
Il movimento anti-sette laico, come nota acutamente Vittorio Messori, nasce da un riflesso simile. Un certo mondo laicista non ha potuto tollerare il “ritorno del religioso”, che veniva a smentire le profezie secondo cui non vi sarebbe stato “[…] più posto, nella cultura tecnologica e postmoderna, per la dimensione religiosa”. In altre parole, l’esplosione delle “nuove religioni” realizzava “[…] il contrario esatto — comme d’habitude — di quanto profetizzavano i soliti “esperti”: sociologi, futurologi, ma anche teologi e specialisti vari di questioni religiose, molti preti e vescovi non esclusi” (28). Giacché la religione era incamminata lungo la strada di un declino irreversibile e un nuovo interesse dei giovani per i fenomeni religiosi non poteva verificarsi spontaneamente, il movimento anti-sette concludeva che doveva essersi verificato qualche cosa di sinistro e di non spontaneo, e adattava ai nuovi movimenti religiosi le teorie del “lavaggio del cervello”, elaborate per spiegare il (relativo) successo dei “campi di rieducazione” comunisti nord-coreani e cinesi all’epoca della guerra di Corea. I nemici del movimento anti-sette — e i gruppi che venivano accusati di praticare il “lavaggio del cervello” — erano negli anni 1960 e 1970 piuttosto lontani dal mondo delle Chiese e comunità cristiane maggioritarie; si trattava dei Bambini di Dio e in seguito di quelli che il movimento anti-sette avrebbe chiamato i “tre grandi” fra i suoi avversari: la Chiesa dell’Unificazione del reverendo Sun Myung Moon, la Scientologia e gli Hare Krishna. Nasceva anche — ne fa cenno lo stesso Vittorio Messori — una nuova professione, che proponeva ai genitori di chi aveva aderito a un nuovo movimento religioso di sottoporre i loro figli a un “lavaggio del cervello” di segno contrario: la “deprogrammazione”, che consisteva nel rapire il giovane dalle sedi del movimento e chiuderlo per qualche giorno o qualche settimana in una stanza di motel o in una casa privata bombardandolo con pressioni fisiche e psicologiche perché rinnegasse la sua adesione al movimento. I “deprogrammatori” — la cui attività appare in ribasso, ma non è completamente scomparsa — non erano medici né psichiatri, ma ex membri dei movimenti e, più spesso ancora, persone che potevano vantare soprattutto una notevole forza fisica e che avevano svolto prima di diventare deprogrammatori attività che andavano dal servizio di guardia del corpo a qualche potente fino al furto e alla rapina (29). L’industria della deprogrammazione — che frutta ai deprogrammatori dai 20 ai 40 milioni di lire per ogni “trattamento” — aveva bisogno di giustificazioni ideologiche, e anche di una struttura politico-associativa di sostegno. Nacquero così — intorno ai primi deprogrammatori — associazioni anti-sette, rigorosamente laiciste, che si sono successivamente trasformate fino a diventare gli attuali CAN — Cult Awareness Network, “Rete di consapevolezza nei confronti delle sette” — e AFF — American Family Foundation, “Fondazione americana per la famiglia” —, che hanno sostenuto con aiuti di diverso genere la nascita di organizzazioni simili in numerosi paesi del mondo. Alcuni membri della professione psichiatrica — severamente criticati dai loro stessi colleghi — hanno elaborato una teoria della “manipolazione mentale”, che di fatto applica la metafora del “lavaggio del cervello” (anche se preferisce non servirsi di questa espressione controversa) alle attività dei nuovi movimenti religiosi, giustificando così la deprogrammazione. Le attività di questi psichiatri hanno subito un duro colpo quando, nel maggio del 1987, l’American Psychological Association, forse la più autorevole organizzazione professionale del mondo nel campo della psicologia e della psichiatria, ha dichiarato dopo un lungo studio “non scientifica” la teoria della manipolazione mentale o del “lavaggio del cervello” applicata a movimenti religiosi (30). Cambiando — ove del caso — la terminologia e le etichette, le attività dei movimenti anti-sette (e in una certa misura pure dei deprogrammatori, anche se i più noti fra loro sono stati arrestati in vari paesi) sono peraltro continuate fino ai nostri giorni. Nel frattempo — per sopravvivere — i movimenti anti-sette e i deprogrammatori hanno dovuto estendere il loro campo di attività, occupandosi non più soltanto dei “tre grandi” o dei Bambini di Dio, ma di un gran numero di gruppi religiosi (e talora perfino non religiosi) convenientemente etichettati come “sette”.
B. L’incontro
In questa prospettiva si inquadra anche l’incontro fra il movimento anti-sette e i nemici dell’Opus Dei. Occorre sempre partire dal quadro di riferimento ideologico di fondo del movimento anti-sette, nato in un ambiente laicista che non sopporta qualunque fenomeno sociale che suoni smentita alle tesi secondo cui la religione è destinata a perdere progressivamente la sua importanza in un mondo moderno e postmoderno che sostanzialmente non ne ha più bisogno. Si deve aggiungere che l’ideologia laicista — chiamata negli Stati Uniti d’America secular humanism, “umanesimo secolare” — si accompagna quasi sempre (anche se non mancano eccezioni) a una militanza politica liberal e “a sinistra”, a cui fa da pendant la militanza in un campo politicamente conservatore del nuovo protestantesimo evangelico e fondamentalista e anche di alcuni nuovi movimenti religiosi, particolarmente della Chiesa dell’Unificazione del reverendo Sun Myung Moon, almeno fino ad anni recenti (31). È appunto una lobby politica di nemici dell’Opus Dei quella che, negli anni 1984-1985, viene in contatto con il movimento anti-sette. In quegli anni erano in gestazione in Europa due dei più duri attacchi da una prospettiva cattolica “progressista” contro l’Opus Dei, che si sarebbero manifestati nei volumi del religioso paolino Giancarlo Rocca (32) e del sociologo spagnolo — nonché ex membro dell’Opus Dei, secondo Vittorio Messori — Alberto Moncada (33). In quegli stessi anni visita l’Europa per raccogliere materiale destinato a un libro sulle “sette cattoliche” Penny Lernoux (1940-1989), una giornalista statunitense specializzata in problemi latino-americani, che si era segnalata per una serie di opere in cui difendeva in modo militante la “teologia della liberazione” di ispirazione marxista e attaccava in modo virulento chiunque nel mondo cattolico si opponesse a questa teologia (34). Penny Lernoux fa stato dei suoi ripetuti contatti con il vaticanista Giancarlo Zizola, con i già citati don Giancarlo Rocca e Alberto Moncada e, negli Stati Uniti, con Maria del Carmen Tapia, una ex appartenente all’Opus Dei che lavorava come ricercatrice presso l’Università della California a Santa Barbara (35). Oltre che infaticabile propagandista contro l’Opus Dei, Maria del Carmen Tapia è attiva nelle polemiche sulle “sette”, che in quegli anni dividono in due gli specialisti di scienze religiose dell’Università della California, dove un piccolo gruppo di docenti favorevoli alle attività del movimento anti-sette viene contrastato da altri docenti e in particolare da J. Gordon Melton.
È Maria del Carmen Tapia a mettere in contatto Penny Lernoux, e in seguito anche Alberto Moncada, con la principale organizzazione anti-sette degli Stati Uniti, il CAN (36). Alla fine del 1985 il Cultic Studies Journal, l’organo del CAN, pubblica un primo attacco all’Opus Dei, utilizzando il documento del card. Basil Hume del 1981, di cui ho già avuto occasione di segnalare il reiterato uso malizioso (37). Nel 1985 viene pubblicato il volume di don Giancarlo Rocca, e nel 1986 quello di Alberto Moncada. Nello stesso 1986 la questione dell’Opus Dei come possibile “società segreta” viene sollevata al Parlamento italiano sull’onda dello scandalo della loggia massonica P2; la polemica cessa dopo una risposta alle interrogazioni dell’allora ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro (38). Nel 1987 e 1988 gli interventi contro l’Opus Dei — denunciata come “setta”, accusata dell’immancabile “lavaggio del cervello”, e vittima soprattutto in Spagna delle “cure” dei deprogrammatori — si estendono dagli Stati Uniti d’America, dove opera il CAN, ai paesi dove sono attivi organismi associati o finanziati dal movimento anti-sette americano, particolarmente la Francia, dove opera l’ADFI, Association de Defense de la Famille et de l’Individu, e la Spagna, dove sono attivi diversi organismi fra cui Pro Juventud e il catalano AIS, Assessorament i Informació sobre Sectes. Alla fine del 1986 viene fondata a New York una prima associazione di coordinamento fra gruppi anti-sette specificamente interessati ad attaccare l’Opus Dei, il Comitato ad hoc per la difesa del quarto comandamento — con riferimento a presunti conflitti di genitori con figli membri dell’Opus Dei —, con sede in una suite di Madison Avenue a New York (39). Da questo gruppo si svilupperà in seguito un’altra associazione, Our Lady and St. Joseph in Search of the Lost Child, “Nostra Signora e san Giuseppe alla ricerca del Figlio perduto”, diretta da Joseph Garvey. Agli incontri del CAN, dell’ADFI e di consimili associazioni si presentano a denunciare l’Opus Dei come “setta” anche sacerdoti cattolici come il domenicano di San Francisco Kent Burtner, e don Jacques Trouslard, già vicario generale della diocesi di Soissons e uno dei più attivi esponenti dell’ADFI. Negli Stati Uniti d’America partecipa alle attività del CAN anche don James McGuire, direttore del Newman Center, un centro studentesco cattolico alla University of Pennsylvania. Don James McGuire, “che condivide le preoccupazioni di molti altri osservatori sulle caratteristiche settarie dell’Opus Dei”, si è opposto alle attività di “proselitismo” dell’Opus Dei e di “altri gruppi evangelici” nell’Università dove opera (40). Quanto a don Jacques Trouslard, nel 1993 dichiarava all’autore di una virulenta opera anti-sette diffusa dall’ADFI di aver “cominciato da parecchi anni una ricerca con famiglie preoccupate dall’Opus Dei”, contro cui intendeva preparare un’autentica “requisitoria”. Don Jacques Trouslard affermava che “non era certo perché l’Opus Dei era l’opera privilegiata del Santo Padre che era disposto a tacere”, in presenza di una serie di “caratteristiche settarie” evidenti, fra cui l’“indottrinamento tramite corsi intensivi”, l’“infiltrazione in tutte le reti della vita sociale”, il “proselitismo esacerbato”, la “presenza di maschere comuni a tutte le sette, come campi, viaggi, spettacoli, scuole”, e così via. Come ogni buon esponente del movimento anti-sette, don Jacques Trouslard ripeteva di “non occuparsi né di dottrine né di credenze”, ma esclusivamente di comportamenti, e di essere totalmente indifferente alla beatificazione del fondatore dell’Opus Dei. Alla vigilia della beatificazione, il 14 maggio 1992, don Jacques Trouslard dichiarava a due quotidiani e a due catene televisive che “questa beatificazione non è il mio problema, anche se costituisce un’approvazione dell’Opus Dei. Per divertirvi, al limite vi dirò: Josemaría Escrivá de Balaguer è stato beatificato, e io continuo a ridermela beato…” (41).
Prima della beatificazione — del 17 maggio 1992 — il movimento anti-sette e i nemici dell’Opus Dei si erano incontrati per altre iniziative comuni. Nel 1989 era stato pubblicato il volume di Michael Walsh, un ex religioso cattolico, The Secret World of Opus Dei (42). Nonostante alcune espressioni di carattere cauto il volume proclama fin dalla copertina che l’Opus Dei è “una setta” e conclude che “in quanto setta, l’Opus Dei non è soltanto meno che cattolica, ma è meno che cristiana” (43). Il volume di Michael Walsh è così pieno di errori e di imprecisioni da far seriamente dubitare che sia stato scritto in buona fede (44). È più interessante l’itinerario di Michael Walsh: ex gesuita, già ostile all’Opus Dei — e, come molti altri critici dell’Opus Dei, difensore fino al fanatismo della “teologia della liberazione” — quando era ancora religioso cattolico, Michael Walsh ha cercato di inserirsi nel mondo degli specialisti di nuovi movimenti religiosi collaborando con INFORM — Information Network Focus on Religious Movements, “Rete di informazione sui movimenti religiosi” —, un autorevole organismo che ha sede presso la London School of Economics, e che peraltro non ha un atteggiamento anti-sette (45). Come Michael Walsh, anche don Jacques Trouslard dichiara di aver iniziato la sua campagna contro l’Opus Dei già “nel 1963” e di essersi accostato soltanto in seguito al mondo dei movimenti anti-sette, iniziando a collaborare con l’ADFI (46). Nel 1989 — l’anno della morte di Penny Lernoux — veniva pubblicato anche il suo magnum opus sulle “sette cattoliche”, People of God. L’opera è principalmente dedita ad attaccare l’Opus Dei, ma si occupa anche — dopo tutto la categoria di “setta cattolica” non sarebbe credibile se ospitasse al suo interno una sola realtà — di Comunione e Liberazione nonché della TFP, la Società brasiliana di difesa della tradizione, famiglia e proprietà, e delle sue organizzazioni sorelle, e dedica un cenno anche ad Alleanza Cattolica. Il riferimento ad Alleanza Cattolica è sufficiente ad illustrare di quale tipo di metodo “scientifico” si sia servita la giornalista americana nel suo volume. Penny Lernoux accusa Alleanza Cattolica di costituire un semplice “fronte” italiano per la TFP brasiliana, di praticare l’indottrinamento intensivo dei minorenni all’insaputa dei loro genitori e di credere che il professor Plinio Corrêa de Oliveira, il fondatore della stessa TFP brasiliana, sia “immortale”. Un numero di nota — che rinvia a note poste alla fine del volume — crea nel lettore l’impressione che queste accuse grottesche siano in qualche modo documentate. La nota menziona infatti “Cristianità, aprile 1983; Alleanza Cattolica (Italia), novembre 1984 e febbraio 1985” (47). Senonché il numero di aprile del 1983 di Cristianità non contiene neppure il più vago accenno al professor Plinio Corrêa de Oliveira — per non parlare della sua “immortalità” — o a metodi di formazione dei giovani: gran parte del numero è dedicato alla riproduzione di una conferenza del card. Joseph Ratzinger in tema di catechismi. Quanto a una rivista Alleanza Cattolica — di cui la nota richiama i numeri del novembre 1984 e del febbraio 1985 —, più semplicemente non è mai esistita. Non rimane che supporre che gli informatori di Penny Lernoux su Alleanza Cattolica — la giornalista cita e ringrazia in particolare i redattori dell’agenzia ADISTA (48) — abbiano fornito sull’argomento — come su altri — informazioni per dire il meno imprecise.
Nonostante la pessima qualità scientifica dei volumi di Michael Walsh e di Penny Lernoux, la nozione di “setta cattolica” era destinata a fare strada. Alberto Moncada la presentava nel luglio del 1990, a Madrid, al dodicesimo Congresso mondiale di sociologia, con una lunga relazione dal titolo Sectas catolicas: el Opus Dei. Nella prima pagina della sua relazione, Alberto Moncada elogiava il mio volume Le sette cristiane (49). Da una versione successiva del testo di Alberto Moncada il riferimento elogiativo al sottoscritto sarebbe sparito, per una ragione che va al di là dell’aneddoto autobiografico e che mi sembra interessante precisare. Il movimento anti-sette aveva da tempo deciso di lanciare una campagna contro l’Opus Dei per prevenire — se possibile — la beatificazione del suo fondatore nel 1992 o comunque per creare dubbi e perplessità nell’opinione pubblica in occasione di tale beatificazione. Sarebbe stato ideale poter lanciare questa campagna in una sede scientifica prestigiosa e neutrale, quale non poteva essere, per esempio, uno degli incontri annuali del CAN, sede né qualificata dal punto di vista scientifico-accademico né, ovviamente, neutrale. Nel 1991 il seminario annuale del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, era in programma a Buellton, in California, ed era organizzato in collaborazione con l’Institute for the Study of American Religion, che ha sede presso l’Università della California a Santa Barbara. Considerata la centralità della California nel mondo dei nuovi movimenti religiosi — e anche la sua obiettiva rilevanza giornalistica — si prevedeva per quel seminario un’affluenza di delegati di Chiese e di comunità maggioritarie, e anche di giornalisti, maggiore di quanto è consueto per i seminari del CESNUR, che sono riservati agli specialisti e che non vengono annunciati con particolare pubblicità. L’occasione sembrava favorevole, e furono poste in essere pressioni di diversa natura perché venisse accettata una relazione di Alberto Moncada sull’Opus Dei come “setta cattolica”. Gli enti co-organizzatori — d’accordo fra loro — decisero di rifiutare la proposta, spiegando che l’ambito di attività del CESNUR si riferisce esclusivamente ai “nuovi movimenti religiosi” e non alle realtà che operano nell’ambito delle Chiese e comunità maggioritarie, com’è indubbiamente l’Opus Dei. Dopo aver informato — con tutta la cortesia del caso — Alberto Moncada della decisione, gli organizzatori lessero, con loro sorpresa, una replica del sociologo spagnolo, che contestava anche la presenza di un vescovo cattolico, mons. Giuseppe Casale, nella seduta finale del seminario, accanto, peraltro, a un pastore luterano e uno metodista. “Lamento — scriveva in data 5 aprile 1991 Alberto Moncada — che abbiate preso questa decisione escludente, e debbo dire sinceramente che la struttura del seminario, con un vescovo cattolico come oratore finale, suona abbastanza come alleanza con la Chiesa romana nella sua lotta di mercato con le altre sette, una alleanza poco rispettosa dell’indipendenza accademica e del giudizio di quanti crediamo che nel nostro mondo ecclesiastico ci siano sufficienti componenti settarie, soprattutto sotto il pontificato dell’attuale papa” (50). Questa lettera curiosa — dove il riferimento al “nostro mondo ecclesiastico” contrastava con l’accenno alla “Chiesa romana” come setta in lotta con “altre sette” — era il preludio ad altre sorprese. Al seminario di Buellton — come talora, ma non sempre, accade nei seminari annuali del CESNUR — erano stati invitati a esporre il loro punto di vista agli specialisti accademici presenti esponenti di alcuni nuovi movimenti religiosi e di movimenti anti-sette, fra cui il CAN. Con la delegazione del CAN — la cui co-fondatrice Priscilla Coates, mi sembra opportuno precisarlo, espose idee discutibili con un tono indubbiamente cortese e rispettoso di chi la ospitava — si presentò a Buellton la signora Maria del Carmen Tapia, che ho già avuto occasione di citare come attivista anti-sette specializzata negli attacchi all’Opus Dei. La signora Tapia chiese di leggere una dichiarazione contro l’Opus Dei assolutamente estranea al carattere scientifico del seminario, incontrando un fermo rifiuto in particolare da parte del sottoscritto. Decise allora di creare l’incidente a tutti i costi — a beneficio dei giornalisti presenti — salendo sul palco del seminario e cercando di afferrare letteralmente chi scrive per il bavero della giacca. Sfortunatamente per la signora Tapia, il servizio d’ordine dell’albergo che ospitava il seminario si mosse così rapidamente da non permettere che dell’incidente si rendessero neppure conto il pubblico e i giornalisti in modo sufficiente da prenderne nota. Per la cronaca, il servizio d’ordine si era preoccupato dell’apparizione della signora Tapia perché questa — vestita interamente di nero e con una croce al collo — era stata scambiata per un’adepta di uno dei gruppi satanisti da anni presenti nella zona…
Fallito il tentativo di utilizzare una sede accademica come il seminario di Buellton per lanciare una campagna anti-sette contro l’Opus Dei, la signora Tapia e i suoi amici decisero di perseguire la strada giornalistica prendendo contatto con Newsweek, un rotocalco statunitense che — come il concorrente Times — aveva sempre prestato orecchio volentieri alle tesi del movimento anti-sette. Nel numero del 13 gennaio 1992 — con il titolo A Questionable Saint, “Un santo discutibile” — Newsweek rilanciava la tesi dell’Opus Dei come “setta cattolica” (51). L’articolo veniva anticipato alla stampa internazionale e trovava eco anche in Italia (52). Naturalmente la campagna di stampa non preveniva affatto la beatificazione, che veniva celebrata con grande concorso di folla a Roma il 17 maggio 1992. Continuavano, peraltro, gli attacchi del movimento anti-sette, e ancora una volta veniva sapientemente affidato a un religioso cattolico, il domenicano Kent Burtner, il compito di presentare l’Opus Dei come “setta” al convegno del CAN del 1992. In quell’occasione padre Kent Burtner dichiarava che, “[…] benché l’Opus Dei da un punto di vista formale e nominale mantenga linee di responsabilità verso la Chiesa cattolica”, di fatto “[…] si comporta piuttosto come una setta che viva protetta in una serra” (53).
Nel 1993 un nuovo episodio significativo si è verificato con il congresso internazionale Gruppi totalitari e settarismo, organizzato da numerosi movimenti anti-sette di diversi paesi nei giorni 23 e 24 aprile 1993 a Barcellona. Il programma preliminare, diffuso nel 1992, elencava fra gli oratori diversi esponenti del mondo cattolico europeo, insieme ai più noti dirigenti del movimento anti-sette degli Stati Uniti. Nel dicembre del 1992 — segnalando la presenza fra gli oratori di Alberto Moncada e facendo circolare una versione precedente della sua relazione sull’Opus Dei come “setta cattolica”, che in effetti al congresso di Barcellona il sociologo spagnolo avrebbe ripresentato pressoché integralmente — il CESNUR denunciava il prevedibile attacco all’Opus Dei, sottaciuto nell’invito che gli organizzatori avevano rivolto a esponenti qualificati del mondo cattolico. Come risultato, diversi specialisti cattolici che avevano annunciato la loro intenzione di partecipare al congresso di Barcellona — alcuni dei quali figuravano anche sul relativo pre-programma — ritiravano la loro adesione (54). Al congresso Gruppi totalitari e settarismo, come previsto, Alberto Moncada attaccava violentemente l’Opus Dei ripetendo il suo intervento del 1990 e aggiungendo nuove espressioni ingiuriose. Per esempio, l’atteggiamento dei professori universitari dell’Opus Dei, che dedicano parte del loro tempo alla formazione di membri più giovani, veniva qualificato dal sociologo spagnolo — senza altre giustificazioni — come “pederastia spirituale” (55). L’Opus Dei, ripeteva ancora una volta Alberto Moncada, è una “setta” perché pratica l’“indottrinamento” e la manipolazione della personalità dell’adepto “fino alla schizofrenia”. La “manipolazione mentale” avviene anche attraverso i raduni di massa, in cui “il papa polacco esibisce le sue buone doti di attore” (56), e richiede — secondo lo schema tipico del movimento anti-sette — l’intervento dei poteri pubblici perché vengano vietate le attività di “manipolazione” e di “indottrinamento”, con o senza “approvazione vaticana”. I movimenti anti-sette, spiegava Alberto Moncada, possono avere un’importante funzione di “informazione, pubblicità, sensibilizzazione dell’apparato giudiziario e di ordine pubblico contro queste violazioni dei diritti umani, che sono l’unica via accessibile e l’unico meccanismo di difesa sociale contro il settarismo opusdeista, almeno fino a quando questa organizzazione godrà del favore del Vaticano, e quest’ultimo continuerà ad essere retto dai suoi attuali protagonisti” (57). Questa attività, secondo Alberto Moncada, era fortunatamente iniziata con la fondazione di quello che a Barcellona presentava come “Odan Network”, definito come una “rete internazionale per l’informazione sulle attività dell’Opus, con sede a Pittsfield, nel Massachusetts” (58). In realtà, il nome dell’organizzazione in questione è semplicemente ODAN, sigla di Opus Dei Awareness Network, che opera in stretto contatto con il CAN, a cui fa ovvio riferimento già il suo stesso nome (59). Quanto all’analisi dell’Opus Dei, la relazione del sociologo spagnolo è di una povertà intellettuale ai limiti del ridicolo. Nel mondo moderno, secondo Alberto Moncada, per i cattolici conservatori le “opzioni intellettuali si vanno riducendo”, e i nemici del “progresso”, facilmente identificabili per la loro militanza contro l’aborto e contro la “teologia della liberazione”, vanno a costituire piccole sacche che possono presentarsi esclusivamente come “sette”; da questo punto di vista l’Opus Dei, secondo Alberto Moncada, “assomiglia molto, dottrinalmente, al movimento del cardinale [sic] Lefevre [sic]“ (60). Sfortunatamente — e con qualche contraddizione quanto alla coerenza dell’analisi — le sacche “settarie” negli ultimi anni hanno acquistato nella Chiesa cattolica una rilevanza imprevista grazie al “cardinale Woityla [sic]“, che “[…] l’Opus Dei ha fedelmente e efficacemente aiutato nella sua peculiare controriforma contro lo spirito del Concilio Vaticano II; la beatificazione è stata anche un riconoscimento di questo appoggio”. Frutto recente di questa collaborazione sarebbe — secondo Alberto Moncada — il “Catechismo vaticano, i cui precetti sulla proprietà e l’attività economica presuppongono un ritorno alla dottrina dei papi del XIX secolo, saltando e calpestando encicliche come la Populorum progressio e ratificando l’idea che la cosiddetta dottrina sociale della Chiesa non vuole sostituire il capitalismo ma battezzarlo”. Giacché l’insostenibilità di queste idee alla fine del secolo XX è a tutti evidente, è possibile persuaderne ancora qualcuno soltanto “plagiandolo” e, meglio ancora, indottrinandolo quando è ancora “un bambino o una bambina piccola”, senza “dargli il tempo di considerare altre alternative […]“. Di qui — conclude il sociologo spagnolo, la cui faziosità ideologica e insieme superficialità di analisi sono veramente sconcertanti — “la crescente imputazione all’Opus Dei di pratiche settarie e finalmente la sua inclusione nel novero delle sette pericolose anche per l’infanzia da parte di esperti di diverso orientamento” (61).
3. Alcune conclusioni
Il quadro che ho brevemente delineato mi sembra permettere alcune conclusioni. Il movimento anti-sette laicista nasce avendo come obiettivi primari movimenti religiosi non cattolici. Il movimento contro l’Opus Dei nasce — particolarmente in ambiente cattolico progressista — a prescindere da qualunque polemica contro le “sette”. Nella prima metà degli anni 1980, tuttavia, da una parte il movimento anti-sette estende le sue attività dai nemici originari ad altri gruppi — fra cui l’Opus Dei —, dall’altra alcuni nemici intra-cattolici dell’Opus Dei — emblematici sono i casi di don Jacques Trouslard in Francia e di Michael Walsh in Inghilterra — si rendono conto del fatto che il movimento anti-sette offre sia un quadro di riferimento ideologico, sia prospettive di azione idonee a continuare la loro campagna con mezzi maggiori e con alleati potenti. L’incontro avviene forse inizialmente per ragioni estrinseche e, in parte, di carattere politico: ma il movimento anti-sette e i nemici dell’Opus Dei all’interno della Chiesa cattolica avevano in comune una visione del mondo e del ruolo della religione che non poteva non favorire la loro collaborazione.
Da questa vicenda si può trarre un’ulteriore osservazione, tutt’altro che priva d’interesse e d’importanza. L’atteggiamento anti-sette laicista e l’atteggiamento contro le sette religioso divergono fra loro per ragioni oggettive, ma non necessariamente per le caratteristiche soggettive di chi se ne fa portatore. Se è difficile che nel movimento contro le sette religioso si trovino atei militanti, capita invece che nel movimento anti-sette laicista si trovino persone che si dichiarano, dal punto di vista personale, religiose. In altra sede ho notato come nei movimenti anti-sette degli Stati Uniti d’America si trovino per esempio spesso — accanto a una dirigenza che è costituita in larga misura da “umanisti secolari” atei o agnostici — esponenti di rilievo delle varie correnti dell’ebraismo americano: la circostanza si spiega — ed è stata spiegata da esponenti del movimento anti-sette, che sono essi stessi ebrei — con un atteggiamento tradizionale dell’ebraismo, religione non missionaria, che guarda con sospetto a qualunque fenomeno di conversione (62). Oltre a questi esponenti del mondo ebraico vi sono, nel movimento anti-sette, anche alcuni protestanti — per la verità assai pochi — e, infine, sacerdoti e religiosi — più raramente anche laici — cattolici, pochi di numero, ma particolarmente attivi.
Ci si può chiedere perché un cattolico — tanto più un sacerdote o un religioso — partecipi alle attività del movimento anti-sette, la cui ideologia, per poco che la si conosca o la si studi, è evidentemente ostile, quando non alla religione in genere, a quella rilevanza sociale della religione che a un cattolico dovrebbe essere particolarmente cara. Qualcuno ritiene che la collaborazione di alcuni cattolici con il movimento anti-sette si spieghi con la loro irritazione nei confronti delle “sette”, che li porta a scegliere quella che — a torto, confondendo la violenza dei toni con la forza oggettiva delle critiche — considerano una linea più “dura” e vigorosa contro i nuovi movimenti religiosi.
Proprio la storia degli attacchi all’Opus Dei mostra, tuttavia, come questa spiegazione riguardi soltanto un numero minimo di cattolici, la cui ingenuità è pari all’incapacità di comprendere a fondo la problematica relativa ai nuovi movimenti religiosi e al movimento anti-sette. Per altri cattolici la scelta di collaborare con il movimento anti-sette risponde a una logica più inquietante. Si tratta infatti di cattolici che non ignorano lo schema ideologico laicista del movimento anti-sette: lo conoscono perfettamente, ma pensano di servirsene come di un’arma per attaccare, anzitutto, i propri avversari intra-ecclesiali bollandoli come “sette”. È certamente possibile che alcuni cattolici, oggi attivisti del movimento anti-sette, abbiano scoperto tardivamente una vocazione a contrastare i nuovi movimenti religiosi. Ma è certo che — già molti anni prima di occuparsi dei testimoni di Geova o degli Hare Krishna — alcuni di costoro erano attivi nel contrastare l’Opus Dei. Come sfuggire quindi all’impressione che questi cattolici “progressisti” abbiano deciso di aderire al movimento anti-sette laicista mossi non da una tardiva scoperta del “pericolo delle sette”, ma dal desiderio di trovare alleati potenti e danarosi, oltre che ideologicamente affini, nella loro polemica contro l’Opus Dei e contro altre realtà cattoliche fedeli all’ortodossia e al Magistero? Anche se a questo interrogativo si volesse lasciare la risposta in sospeso — ma gli indizi per rispondere affermativamente non mancano — ci si trova di fronte, ancora una volta e ad abundantiam, a elementi che giustificano le più ampie riserve — e i più fondati sospetti — nei confronti del movimento anti-sette e dei cattolici che, con maggiore o minore consapevolezza, con questo movimento collaborano.
E tutto questo richiama ancora una volta la necessità non di smettere di interessarsi — anche, quando è necessario, in chiave polemica — dei nuovi movimenti religiosi, ma piuttosto di interessarsene partendo da un punto di vista e secondo categorie specificamente cattoliche, diverse dal laicismo del movimento anti-sette con cui ogni forma di collaborazione — come è sempre più chiaro — non è soltanto inutile, ma è riprovevole e dannosa.
Massimo Introvigne
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(1) Cfr. Giuliano Vigini, Colti, religiosi e saggi, in Avvenire, 26-3-1993, supplemento Gutenberg.
(2) Cfr. Vittorio Messori, Opus Dei. Un’indagine, con un contributo di Giuseppe Romano, Mondadori, Milano 1994.
(3) Cfr. ibid., pp. 9-20 (p. 13).
(4) Cfr. ibid., pp. 21-48.
(5) Cfr. ibid., pp. 49-64 (p. 54).
(6) Cfr. ibid., pp. 65-83.
(7) Cfr. ibid., pp. 84-100.
(8) Cfr. ibid., pp. 101-113 (p. 103).
(9) Ibid., pp. 114-115.
(10) Cfr. ibid., pp. 114-121.
(11) Cfr. ibid., pp. 122-139; p. 142.
(12) Ibid., p. 146.
(13) Cfr. ibid., pp. 140-148.
(14) Cfr. ibid., pp. 149-154.
(15) Cfr. ibid., pp. 155-169.
(16) Cfr. ibid., pp. 170-180.
(17) Cfr. ibid., pp. 181-196.
(18) Cfr. ibid., pp. 197-208.
(19) Cfr. ibid., pp. 209-236.
(20) Cfr. ibid., pp. 237-252.
(21) Cfr. ibid., pp. 253-281.
(22) Cfr. ibid., p. 251.
(23) Ibid., p. 252.
(24) Ibid., p. 239.
(25) Cfr. il mio Le nuove Religioni, SugarCo, Milano 1989.
(26) Cfr. il mio Il movimento “anti-sette” laico e il movimento “contro le sette” religioso: strani compagni di viaggio o futuri nemici?, in Cristianità, anno XXI, n. 217, maggio 1993, pp. 15-21. Questo articolo è stato pubblicato in trad. inglese con il titolo Strange Bedfellows or Future Enemies?, in Update & Dialog, vol. 1, n. 3, ottobre 1993, pp. 13-22. Ne sono seguite una serie di lettere di risposta di esponenti di movimenti anti-sette — con toni che vanno dal polemico all’offensivo — fra le quali è particolarmente interessante quella di Kevin Garvey, dell’organizzazione anti-sette CAN, che — invece di discutere le tesi centrali dell’articolo — si concentra sul breve riferimento ivi contenuto all’Opus Dei, scrivendo che “[…] le sue osservazioni difensive a proposito dell’Opus Dei non ci impressionano. I ranghi crescenti di ex membri americani dell’Opus Dei sono una prova incontrovertibile del fatto che le pratiche di questa organizzazione violano ogni norma cattolica sullo sviluppo personale e spirituale. La teologia morale dell’Opus Dei supera i limiti dell’eresia cattolica”. Kevin Garvey si qualifica “un cattolico romano”, ma afferma che non gli interessa se, a proposito dell’Opus Dei, “il Papa la pensa diversamente. Non sono vincolato dalle opinioni personali del Papa sull’Opus Dei più di quanto sia vincolato dalle sue preferenze per la fenomenologia tedesca. Forse Introvigne non lo sa. Ma noi non conosciamo la sua relazione con l’Opus Dei. Siamo curiosi sulla sua disponibilità a dire la verità. […] Ci piacerebbe che Massimo Introvigne […] rilasciasse una formale dichiarazione sulla sua associazione — o mancanza di associazione — all’Opus Dei” (lettera di Kevin Garvey al direttore di Update & Dialog, dell’8-4-1994). A prescindere dal tono tipicamente “cospirazionista” delle ultime affermazioni — chi critica il movimento anti-sette deve essere membro della “setta” Opus Dei —, stupisce che un “cattolico romano” mostri di non comprendere la differenza fra le “preferenze per la fenomenologia tedesca” di Papa Giovanni Paolo II — e forse anche il suo tifo per la nazionale di calcio polacca — e i documenti pontifici che hanno valore dottrinale e giuridico come l’erezione dell’Opus Dei in Prelatura personale e la beatificazione del suo fondatore.
(27) Cfr. William O’Connor, Opus Dei: An Open Book. A Reply to “The Secret World of Opus Dei” by Michael Walsh, The Mercier Press, Dublino 1991, pp. 66-69.
(28) V. Messori, op. cit., pp. 49-50.
(29) Uno dei più noti deprogrammatori tuttora attivi, Rick Ross, la cui imperizia ha giocato un ruolo nefasto nella tragedia di Waco del 1993, ha un passato di ladro di gioielli: cfr. il mio Che cosa è veramente accaduto a Waco, in Cristianità, anno XXI, n. 217, cit., pp. 3-9.
(30) Cfr. Board of Social and Ethical Responsibility, American Psychological Association, Memo al comitato DIMPAC, 11-5-1987.
(31) Costituisce peraltro uno dei tanti miti in materia di nuovi movimenti religiosi quello secondo cui le loro posizioni politiche sarebbero invariabilmente “di destra”: per limitarsi a un esempio tutt’altro che irrilevante gli “arancioni” del defunto guru Osho Rajneesh si sono piuttosto resi noti per la loro collaborazione con forze politiche “di sinistra” in numerosi paesi del mondo.
(32) Cfr. Giancarlo Rocca, L’Opus Dei. Appunti e documenti per una storia, Edizioni Paoline, Milano 1985. Ci si può chiedere se questa antica ostilità di ambienti paolini all’Opus Dei non sia da mettere in relazione con la recensione scioccamente aggressiva del volume di Vittorio Messori ad opera di Renzo Giacomelli, Messori e l’Opus Dei: indagine o apologia?, apparsa su Famiglia Cristiana, anno LXIV, n.11, 16-3-1994, p. 135, che nel tono apertamente scortese rappresenta un episodio di malcostume giornalistico che ha pochi precedenti, se si considera che Vittorio Messori è un collaboratore fisso di Jesus, periodico collegato a Famiglia Cristiana e pubblicato dallo stesso editore.
(33) Cfr. Alberto Moncada, Historia oral del Opus Dei, Plaza & Janés, Barcellona 198; cfr. V. Messori, op. cit., p. 55.
(34) Cfr. Penny Lernoux, Cry of the People, Penguin Books, Middlesex 1983.
(35) P. Lernoux, People of God. The Struggle for World Catholicism, Viking, New York 1989, pp. 440-443.
(36) Interviste dell’autore a J. Gordon Melton, e a Priscilla Coates, del Cult Awareness Network, Santa Barbara e Buellton, California, 1991.
(37) Statement by Basil cardinal Hume, Guidelines for Opus Dei in the Westminster Diocese, December 2, 1981, in Cultic Studies Journal, vol. 2, n. 2, autunno-inverno 1985, pp. 284-285.
(38) Cfr. sul punto W. O’Connor, op. cit., p. 122.
(39) Cfr. Bernard Fillaire, Le Grand Décervelage, Plon, Parigi 1993, p. 180.
(40) Professional Profiles, in The Cult Observer, vol. 9, n. 5, 1992, p. 11. The Cult Observer è pubblicato dall’organizzazione anti-sette statunitense American Family Foundation.
(41) B. Fillaire, op. cit., pp. 189-190.
(42) Michael Walsh, The Secret World of Opus Dei, Grafton Books, Londra 1989; 2a ed. ampliata: Opus Dei. An Investigation into the Secret Society Struggling for Power within the Catholic Church, Harper SanFrancisco, San Francisco 1992.
(43) Ibid., p. 199.
(44) Per una critica puntuale, capitolo per capitolo, cfr. W. O’Connor, op. cit.
(45) Intervista dell’autore a Michael Walsh, Londra, marzo 1993.
(46) B. Fillaire, op. cit., p. 190.
(47) P. Lernoux, People of God. The Struggle for World Catholicism, cit., p. 342 e p. 443, nota 129.
(48) Ibid., p. 422. Naturalmente, Penny Lernoux e i suoi informatori non hanno semplicemente sbagliato i riferimenti e le note. L’esame più accurato possibile delle pubblicazioni e delle attività di Alleanza Cattolica in tutto il corso della sua storia non avrebbe permesso alla giornalista americana di trovare il minimo elemento di supporto delle sue accuse, che possono essere soltanto considerate come semplici farneticazioni.
(49) Cfr. il mio Le sette cristiane. Dai testimoni di Geova al reverendo Moon, Mondadori, Milano 1990; cfr. Alberto Moncada, Sectas catolicas: el Opus Dei, relazione presentata al Comitato di studi di sociologia della religione, XII Congresso mondiale di sociologia, Universidad Complutense, Madrid, luglio 1990, testo dattiloscritto, p. 1.
(50) Lettera di Alberto Moncada a Massimo Introvigne, del 5-4-1991; le minuscole per “pontificato” e “papa” sono di Alberto Moncada.
(51) Kenneth L. Woodward, A Questionable Saint. Is Opus Dei’s Founder fit for Canonization?, in Newsweek, vol. CXIX, n. 2, 13-1-1992, pp. 52-53.
(52) Cfr., per esempio, Paolo Passarini, Quel santo era un fan di Hitler, in La Stampa, 7-1-1992.
(53) Cfr. Joe Maxwell, Questions Persist about Opus Dei, in Christian Research Journal, vol. XVI, n. 3, inverno 1994, pp. 41-42 (p. 41). Il Christian Research Journal, che è l’organo principale del movimento contro le sette evangelico negli Stati Uniti, riporta cautamente sia gli attacchi del movimento anti-sette laicista sia le risposte dell’Opus Dei.
(54) Altri cattolici, invece, decidevano di partecipare ugualmente: è il caso dell’antropologo Alberico Lolli, esponente del GRIS, il Gruppo di Ricerca e di Informazione sulle Sette, italiano e relatore al congresso di Barcellona.
(55) Alberto Moncada, Sectas catolicas, el Opus Dei, relazione al congresso internazionale Totalitarian Groups and Cultism, Barcellona, 23/24-4-1993, dattiloscritto, p. 5.
(56) Ibid., p. 7.
(57) Ibid., p. 14.
(58) Ibid., appendice, p. 2.
(59) Cfr. J. Maxwell, art. cit., p. 42, che riporta i virulenti attacchi all’Opus Dei della signora Dianne Di Nicola, una delle fondatrici dell’ODAN.
(60) A. Moncada, Sectas catolicas, el Opus Dei, cit., p. 11.
(61) Ibid., appendice, pp. 1-2.
(62) Cfr. sul punto il mio La questione della nuova religiosità. In appendice la relazione generale al Concistoro Straordinario del 1991 di S. Em. il card. Francis Arinze, Cristianità, Piacenza 1993.