Daniela Bovolenta, Cristianità n. 382 (2016)
L’oblat, ultimo romanzo dello scrittore e critico d’arte francese Joris-Karl Huysmans (1848-1907), è ora edito per la prima volta in italiano con il titolo L’oblato, tradotto dalle monache benedettine del monastero San Benedetto di Bergamo, pubblicato da D’Ettoris Editori come decimo volume della collana Magna Europa diretta da Giovanni Cantoni e corredato dall’importante Presentazione (pp. 7-33) di Ferdinando Raffaele.
Definito «romanzo liturgico» (Wanda Rupolo, L’Oblat, un romanzo liturgico, in Idem, Stile, romanzo, religione: aspetti della narrativa francese del primo Novecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1985, p. 37), L’oblato racconta le avventure di Durtal, alter ego dello stesso Huysmans, scrittore in pensione dai trascorsi piuttosto tumultuosi, appassionato d’arte e di musica, convertito al cattolicesimo, frequentatore di monasteri, oblato benedettino. Mai come in questo caso, la biografia dell’autore è determinante per la comprensione dell’opera.
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Huysmans nasce a Parigi da madre francese e padre olandese, il suo vero nome è Charles-Marie-Georges, in seguito cambiato in Joris-Karl, in omaggio alle origini fiamminghe paterne. Riceve un’educazione cattolica; rimasto presto orfano di padre, viene mandato in collegio e la madre si risposa. Conseguito il diploma, inizia a lavorare presso il ministero degli Interni a Parigi, lavoro poco amato ma che lo accompagnerà per trent’anni, fino alla pensione. Abbandona presto il cattolicesimo e si dedica a una giovinezza piuttosto dissoluta, fra ambienti letterari, attrici e prostitute. Svolge l’attività di critico d’arte, promuovendo in particolare la scuola impressionistica. Nel 1876 conosce Émile Zola (1840-1902) e nel 1880 un suo racconto è incluso nel volume Les soirées de Médan, antologia-manifesto di autori legati al naturalismo. Zola lo indica come uno dei più promettenti scrittori della scuola naturalistica, dalla quale però Huysmans si allontana nel 1884, con la pubblicazione di À Rebours (Controcorrente), capolavoro letterario e modello assoluto del decadentismo europeo da Oscar Wilde (1854-1900) a Gabriele D’Annunzio (1863-1938).
Deluso da naturalismo e positivismo, Des Esseintes, il protagonista di À Rebours, è la quintessenza dell’esteta, si ritira dalla società dopo averne provato tutte le sensazioni e le dissolutezze, immagina un’abitazione solitaria nella quale coltivare il proprio disprezzo nei confronti dei miseri piaceri borghesi e dove assecondare fino all’estremo le proprie sensazioni e un gusto elitario. Il libro è una specie di catalogo di ogni raffinatezza, tanto meglio se esclusiva e morbosa, dalle pietre preziose ai profumi, all’arte, alle stoffe. Des Esseintes si ritira in una sorta di abitazione-monastero dove ogni oggetto, ogni profumo o colore, ha lo scopo di stimolare i suoi sensi sempre più esigenti, al fine di creare un mondo immaginario, di sostenere un’allucinazione volontaria. Al termine sarà preso da una nevrosi così grave che il medico gli ordinerà di tornare a Parigi e di ricominciare a vivere in società, sancendone la sconfitta umana: «Tra due giorni sarò a Parigi — mormorò —; coraggio, è finita davvero. Come un maremoto, le onde della mediocrità umana salgono fino al cielo e stanno per inghiottire il rifugio di cui io stesso apro, mio malgrado, le dighe» (A ritroso, 1953, trad. it., Rizzoli, Milano 2010, p. 250).
Mario Praz (1896-1982) scrive: «[…] À rebours (il titolo stesso implica un programma di forzamento sadico della natura) è il libro cardinale del decadentismo, nel quale tutta la fenomenologia di questo stato d’animo è illustrata fin nei minimi particolari in un personaggio esemplare, Des Esseintes. “Tous les romans que j’ai écrits depuis À rebours sont contenus en germe dans ce livre”: noterà Huysmans» (Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, 1948, Sansoni, Firenze 1992, p. 268).
E il critico e scrittore Jules Amédée Barbey D’Aurévilly (1808-1889) aggiunge: «Dopo Les fleurs du mal — dicevo a Baudelaire [Charles Pierre, 1821-1867] — non le resta, logicamente, che la bocca di una pistola o i piedi della croce”. Baudelaire ha scelto i piedi della croce. Li sceglierà anche l’autore di À Rebours?» (Alain Vircondelet, Joris-Karl Huysmans, Plon, Parigi 1990, cit. in Ferdinando Castelli S.J., Joris-Karl Huysmans: a Dio passando per il satanismo II. O un colpo di pistola o i piedi della croce, in La Civiltà Cattolica, anno 149, volume I, quaderno 3544, 21 febbraio 1988, p. 340).
Si tratta non solo di una parabola letteraria ma umana e di un’epoca: il lungo percorso di risalita di Huysmans dall’abisso alla croce si snoda nello specchio delle avventure del suo alter ego, il personaggio Durtal.
Anch’egli scrittore, Durtal fa la sua comparsa nel romanzo Là-bas (1891, L’abisso), nel corso del quale ispeziona a fondo la mancanza di senso e la desolazione morale della società borghese, fa un’immersione nei bassifondi materiali e spirituali del suo tempo e ne esce sconvolto fin nell’intimo. Il nevrotico Des Esseintes, protagonista di À Rebours, tornato alla mediocrità della vita sociale e divenuto — letterariamente — Durtal, inizia le ricerche per scrivere un libro storico su Gilles De Rais (1404-1440), noto anche come Barbablù, e per questo tramite è condotto negli ambienti esoterici di Parigi, fino ad assistere a una messa nera, la prima descritta in un romanzo. Proprio quest’apertura così inquietante sul mondo dello spirito porterà il protagonista Durtal a un percorso di conversione alla fede cattolica. È la stessa parabola della vita del suo autore, Huysmans, che dal naturalismo e dal positivismo delle prime opere, passando per il decadentismo, arriva alla letteratura spirituale e quasi liturgica dei suoi ultimi romanzi: En Route (1895, Per strada), La Cathédrale (1898, La cattedrale) e L’Oblat (1903, L’oblato).
Huysmans giunge infatti a criticare l’illusione di una felicità mediocre di stampo borghese, i miti di americanismo e di efficientismo, il positivismo come religione secolarizzata, la fede cieca nella scienza e nel progresso. Dopo un primo momento di cupo pessimismo influenzato dalla lettura di Arthur Schopenhauer (1788-1860), Durtal-Huysmans reagisce al vicolo cieco spirituale in cui si trova, anche grazie alla descrizione di quella messa nera, paradossale apertura alle esigenze dello spirito.
Non è solo il personaggio Durtal, ma lo stesso Huysmans, a frequentare il milieu esoterico francese; tuttavia la frequentazione di don Arthur Mugnier (1853-1944) e, soprattutto, un soggiorno presso l’abbazia trappista di Igny, nell’Île-de-France, lo porteranno definitivamente ai piedi della croce. «Le trappe costituiscono la risposta più magistrale a coloro che affermano che la Chiesa ha smarrito la linfa che alimentava i martiri dei primi secoli del Cristianesimo», scrive a questo proposito il pensatore brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) nel secondo di due articoli dedicati all’opera di Huysmans e apparsi sulla rivista O Legionário (Plinio Corrêa de Oliveira, Huysmans – II, En route, in O Legionário, n. 24, San Paolo del Brasile 21 febbraio 1932, p. 2).
Dal momento della sua conversione, Huysmans diviene un paladino della bellezza della fede cattolica, un appassionato conoscitore e divulgatore dell’arte cristiana, soprattutto di quella medioevale, raffinato cultore di canto gregoriano, di architettura romanica e gotica, di agiografia. Rimane in Durtal-Huysmans la stessa componente aristocratica ed estetizzante del vecchio Des Esseintes, ma purificata dal prisma dell’osservanza di una regola, di una liturgia e — attraverso queste — finalmente dall’abbandono in Cristo.
Huysmans dopo la conversione diviene oblato benedettino del monastero di Ligugé, nei pressi di Poitiers, rappresentato letterariamente ne L’oblato dal monastero della Val des Saints, ma poco dopo è costretto — proprio come Durtal — a tornare a Parigi in seguito alle leggi anticlericali del 1901, che esiliarono dalla Francia decine di ordini religiosi. Morirà pochi anni dopo, al termine di una malattia dolorosissima, affrontata con profondo spirito di sopportazione cristiana.
Ma l’uscita dal proprio rifugio per tornare a Parigi non è più la sconfitta patita da Des Esseintes al termine di À Rebours; è vissuta invece con abbandono a Dio e attraverso la viva presenza di un mondo interiore, che non è più il frutto di un appagamento snervante dei sensi, ma sigillo di una ritrovata unità proprio nella frequentazione quotidiana della Regola di san Benedetto (480 ca.-547) e della liturgia monastica. La volontà non è più lasciata a sé stessa, così come il senso del bello non parte semplicemente da un’inclinazione estetica personale, ma entrambi scaturiscono dall’oggettività della norma liturgica.
Vi è, in Durtal, un giudizio sulla storia e sulla salvezza che giunge alla speranza nella nascita di una nuova civiltà cristiana irradiante dalla spiritualità e dall’arte benedettine. La bellezza con cui ha ora a che fare non è il mondo auto-generato di Des Esseintes, ma una presenza esterna al soggetto, un dato di fatto presente nel creato e nell’opera di Cristo nella storia, che il singolo può solo contemplare facendosene plasmare. Proprio da tali considerazioni derivano anche alcuni severi giudizi che Durtal esprime sul cattolicesimo dei suoi tempi e sulla decadenza della liturgia e dell’arte cristiana.
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L’oblato, romanzo in cui non accade quasi nulla, che segue per alcuni mesi la liturgia del monastero della Val des Saints, che si snoda in qualche conversazione con i suoi monaci o in qualche visita ai musei e alle chiese di Digione, è però un romanzo in cui sono contenute moltissime suggestioni: l’arte fiamminga, la storia del breviario romano e di quello benedettino, il canto piano, la botanica, la farmacopea medievale, la storia degli ordini monastici e degli oblati benedettini, delle toccanti riflessioni sul valore salvifico della sofferenza.
È un romanzo intensamente liturgico, solenne, capace di suscitare una profonda nostalgia di bene, che si conclude con lo slancio dell’anima di Durtal: «Ah! Mio caro Signore, dacci la grazia di non mercanteggiare così, di non evitare una volta per tutte di vivere alla fin fine non importa dove, a patto però che sia lontano da me stesso e vicino a Te!» (p. 396).
«Huysmans — osserva Ferdinando Raffaele nella Presentazione — scopre in particolare il Medioevo, che si rivela ai suoi occhi come l’“età dell’oro” della fede cristiana, un tempo immune dagli errori che inficiano lo spirito della modernità, posti nel Rinascimento neopagano e nella Riforma protestante. Fra l’altro, incontra la spiritualità benedettina e matura la vocazione all’oblazione monastica, nella quale coniuga il suo radicale rifiuto per la società del tempo con il desiderio di vedere nascere — ma stavolta non più sotto il segno dell’utopia — una nuova civiltà» (p. 27).
Daniela Bovolenta