Marco Invernizzi, Cristianità n. 379 (2016)
Per capire che cosa sia la Divina Misericordia conviene senz’altro leggere il documento del Magistero che ne tratta in modo esplicito, la seconda enciclica di san Giovanni Paolo II (1978-2005), Dives in misericordia (1). Essa è pubblicata all’inizio del pontificato, in un tempo ancora segnato dalla Guerra Fredda (1946-1991) e dal rischio del conflitto nucleare fra le due superpotenze, quando ancora non si capisce se ci sarà il tentativo delle forze comuniste di conquistare il mondo oppure prevarrà la prospettiva nichilistica promossa dalla Rivoluzione Culturale del 1968, come poi avverrà con la rimozione del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, e lo scioglimento dell’Unione Sovietica, il 25 dicembre 1991.
Come sottolinea il Pontefice, l’uomo moderno sembra poco disponibile ad accogliere un simile messaggio, che sostanzialmente rievoca la natura più profonda del cristianesimo, ricordando che Cristo stesso è la Misericordia, con la sua volontà di salvare tutti gli uomini, andando a cercarli e aspettandoli per poterli poi perdonare, come il Padre che ogni sera guarda se il figlio che se ne era andato non sia per caso sulla via del ritorno (2).
Il limite al male
Come spiegherà nel suo libro Memoria e identità, san Giovanni Paolo II ritiene che la misericordia consista nel limite posto da Dio al diffondersi del male nella storia, cioè l’autentica risposta d’amore del Creatore, che non abbandona le sue creature neppure quando si macchiano dei peggiori delitti. Per questo il richiamo alla misericordia si manifesta particolarmente nel corso del secolo XX, e in particolare attraverso la vita della suora mistica Faustina Kowalska (1905-1938) nella Polonia degli anni 1930, letteralmente fatta scomparire come Stato dalla contemporanea invasione degli eserciti nazionalsocialista e comunista, nel settembre del 1939, una settimana dopo la firma del patto fra URSS e Terzo Reich germanico, noto come Patto Molotov-Ribbentrop, dai nomi dei rispettivi ministri degli Esteri Vjaceslav Michajlovic Skrjabin «Molotov» (1890-1986) e Joachim von Ribbentrop (1893-1946).
In quel frangente si sarebbe particolarmente manifestato il male insito nelle ideologie, che caratterizza il secolo XX e che pare certamente legato alle apparizioni a santa Faustina, come ricorda il Papa polacco:«Fu come se Cristo avesse voluto rivelare che il limite imposto al male, di cui l’uomo è artefice e vittima, è in definitiva la Divina Misericordia. Certo, in essa vi è anche la giustizia, ma questa da sola non costituisce l’ultima parola dell’economia divina nella storia del mondo e nella storia dell’uomo. Dio sa sempre trarre il bene dal male, Dio vuole che tutti siano salvi e possano raggiungere la conoscenza della verità» (3).
L’enciclica «Dives in misericordia»
Quando l’enciclica è pubblicata, il tema della Divina Misericordia — almeno come lo concepiamo oggi — non è particolarmente al centro della spiritualità cattolica. La devozione iniziata con suor Faustina non è conosciuta a livello popolare se non in Polonia e in Lituania, dove peraltro ha dovuto fare marcia indietro per una condanna del Sant’Uffizio del 1959. San Giovanni Paolo II non la cita neppure una volta, pur essendo un sostenitore della sua autenticità da decenni.
In un primo momento la misericordia parrebbe la richiesta a ogni cristiano di avere una grande compassione del peccatore. Secondo il Papa è qualcosa che va oltre: «Il significato vero e proprio della misericordia non consiste soltanto nello sguardo, fosse pure il più penetrante e compassionevole, rivolto verso il male morale, fisico o materiale: la misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell’uomo» (4).
Non si tratta quindi semplicemente di avere pazienza con il male, né di smettere di combatterlo, ma di vincere «con il bene il male» (5), cosa«particolarmente necessaria ai nostri tempi» (6). Si tratta di partire dal male esistente nell’uomo contemporaneo per «rivalutare» e «trarre» il bene che sempre rimane in ogni persona, come il «lucignolo che ancora fumiga» (cfr. Is. 42,1-4 e Mt. 12,20).
Il mistero pasquale e il dono di sé
Il vertice della devozione alla Divina Misericordia è il mistero pasquale, e non potrebbe essere altrimenti. Ma san Giovanni Paolo II sostiene che anche il non credente potrebbe apprezzare la modalità con cui Cristo sofferente si pone nei confronti degli uomini, con il suo disinteresse nel sostenere il bene dell’uomo. Tuttavia, il mistero pasquale va oltre. Il Dio che Cristo rivela non è solo il Creatore, bensì anche il padre degli uomini, il quale è mosso da un amore che non soltanto genera la vita, ma coinvolge la creatura nella vita divina, perché chi ama veramente desidera donare sé stesso (7).
L’uomo così rigenerato è pronto per portare nel mondo questo amore di Cristo che «[…] è più potente di ogni genere di male in cui l’uomo, l’umanità, il mondo sono coinvolti. Credere in tale amore significa credere nella misericordia. Questa infatti è la dimensione indispensabile dell’amore, è come il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed attuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l’uomo, che si insinua anche nel suo cuore e può farlo “perire nella Geenna”» (8).
Il Crocifisso e Sua Madre
Il Crocifisso è il segno concreto e visibile di questo amore di Dio per ogni uomo: «La croce è il più profondo chinarsi della Divinità sull’uomo e su ciò che l’uomo — specialmente nei momenti difficili e dolorosi — chiama il suo infelice destino. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo, è il compimento sino alla fine del programma messianico, che Cristo formulò una volta nella sinagoga di Nazaret e ripeté poi dinanzi agli inviati di Giovanni Battista» (9).
Maria sperimenta il mistero della croce, dove la giustizia divina si incontra con l’amore e mostra «quel “bacio” dato dalla misericordia alla giustizia» (10).
Gli anni 1980
Siamo all’inizio degli anni 1980. Secondo il Papa gli uomini soffrono inquietudini ancora maggiori di quelle descritte durante il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), ai cui documenti ama sempre rifarsi. In essi è possibile riscontrare quanto troviamo scritto quindici anni dopo nell’enciclica Dives in misericordia? Credo lo si possa sostenere. Penso al discorso inaugurale di san Giovanni XXIII (1958-1963), l’11 ottobre 1962, quando fornisce l’indicazione che rimarrà in tutti i documenti successivi, secondo cui oggi bisogna usare la medicina della misericordia invece della condanna: «Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. Non perché manchino dottrine false, opinioni, pericoli da cui premunirsi e da avversare; ma perché tutte quante contrastano così apertamente con i retti principi dell’onestà, ed hanno prodotto frutti così letali che oggi gli uomini sembrano cominciare spontaneamente a riprovarle, soprattutto quelle forme di esistenza che ignorano Dio e le sue leggi, riponendo troppa fiducia nel progressi della tecnica, fondando il benessere unicamente sulle comodità della vita. Essi sono sempre più consapevoli che la dignità della persona umana e la sua naturale perfezione è questione di grande importanza e difficilissima da realizzare. Quel che conta soprattutto è che essi hanno imparato con l’esperienza che la violenza esterna esercitata sugli altri, la potenza delle armi, il predominio politico non bastano assolutamente a risolvere per il meglio i problemi gravissimi che li tormentano» (11).
Penso all’ambiguità del mondo moderno, come descritto nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, un giudizio già presente nelle parole iniziali del documento: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi» (12).
Penso alla parabola del Buon Samaritano, vera immagine descrittiva del Concilio stesso secondo il beato Paolo VI (1963-1978), che si china con amore sul mondo ferito per soccorrerlo invece di limitarsi a giudicarlo: «L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? uno scontro, una lotta, un anatema? poteva essere; ma non è avvenuto. L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo» (13).
A questa inquietudine diffusa fra gli uomini del mondo moderno Dio aveva risposto con le apparizioni a santa Faustina (14), annunciandole che il suo direttore spirituale don Michał Sopoćko (1888-1975) (15), beatificato il 28 settembre 2008, avrebbe portato nel mondo, con molta sofferenza, e dopo la morte della giovane suora, il significato ultimo di quanto le stava rivelando. E san Giovanni Paolo II ricorda come nei campi di sterminio e di prigionia della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) o nelle città completamente distrutte del dopoguerra, molti uomini che avevano perduto tutto troveranno in questa devozione la forza per rimanere aggrappati alla vita (16). Ma della Divina Misericordia ha bisogno ancora l’uomo degli anni 1980, come quello di quindici anni prima, come quello degli anni 1930, tutti viventi in situazioni diverse, ma accomunati da inquietudini simili. Così come sarà per l’uomo del 2000, quando santa Faustina verrà canonizzata e quella della Divina Misericordia diverrà una festa liturgica della Chiesa Cattolica: «Questa inquietudine è legata con il senso stesso dell’esistenza dell’uomo nel mondo, ed è inquietudine per l’avvenire dell’uomo e di tutta l’umanità; essa esige risoluzioni decisive, che sembrano ormai imporsi al genere umano» (17).
La paura di una società materialistica
Nel mondo precedente il 1989 era cresciuta l’idea di giustizia, ma spesso si era trasformata in un esercizio di violenza, dimostrando così che la sola giustizia non risolve i problemi dell’umanità. Nell’enciclicaCentesimus annus san Giovanni Paolo II spiega le origini del movimento operaio, legate alla situazione d’ingiustizia in cui si trovavano milioni di lavoratori nelle fabbriche delle città europee in seguito alla Rivoluzione Industriale (18). Essi erano privi di ogni struttura organizzata che potesse difendere i loro diritti di fronte alla prepotenza di pochi datori di lavoro, spesso senza scrupoli. Il movimento operaio nacque per difendere legittimi interessi, ma venne egemonizzato dal marxismo, che userà queste rivendicazioni per tentare una rivoluzione sociale e antropologica. La richiesta di giustizia si trasformerà in una rivendicazione rivoluzionaria, per sostenere la quale occorreva esercitare la violenza di classe. Quando questa violenza ebbe il sopravvento, come in Russia nel 1917 e nei Paesi dell’Europa Orientale dopo la Seconda Guerra Mondiale, nacque l’area dei Paesi del «socialismo reale».
Ma, accanto alle violazioni della dignità degli uomini in nome della giustizia, si sono manifestate altre modalità di negazione dei valori morali cristiani e anche semplicemente naturali, come il diritto alla vita, l’indissolubilità del matrimonio e la centralità della famiglia.
In questa situazione la Chiesa ha il diritto e il dovere di testimoniare la necessità della misericordia, ricordandosi delle parole di Maria nelMagnificat. Essa è «il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore» (19) ed «[…] è, per così dire, la fonte più profonda della giustizia. Se quest’ultima è di per sé idonea ad “arbitrare” tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l’equa misura, l’amore invece, e soltanto l’amore (anche quell’amore benigno, che chiamiamo “misericordia”), è capace di restituire l’uomo a se stesso» (20).
Il perdono
Restituito a sé stesso, l’uomo può imparare a perdonare.
San Giovanni Paolo II si sofferma anche sul tema del perdono, strettamente collegato a quello della misericordia. Se Dio cerca ogni creatura per perdonarla e condurla alla felicità, anche e soprattutto il peccatore più lontano e ribelle, così dobbiamo fare anche noi, fra di noi, liberandoci da ogni risentimento e rancore. «Cristo sottolinea con tanta insistenza la necessità di perdonare gli altri che a Pietro, il quale gli aveva chiesto quante volte avrebbe dovuto perdonare il prossimo, indicò la cifra simbolica di “settanta volte sette”, volendo dire con questo che avrebbe dovuto saper perdonare a ciascuno ed ogni volta»(21).
Non è vero che il perdono e la misericordia siano la tomba della giustizia, come pochi dicono ma molti pensano, i due aspetti sono collegati e il Pontefice lo mette in risalto: «L’adempimento delle condizioni della giustizia è indispensabile, soprattutto affinché l’amore possa rivelare il proprio volto» (22).
E ancora: «È ovvio che una cosi generosa esigenza di perdonare non annulla le oggettive esigenze della giustizia. La giustizia propriamente intesa costituisce per cosi dire lo scopo del perdono. In nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l’oltraggio arrecato. In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell’oltraggio sono condizione del perdono» (23).
Il problema è che noi uomini fatichiamo ad andare oltre la giustizia e a liberarci dal desiderio di vendetta contro chi ha esercitato il male. San Giovanni Paolo II, invocando la Divina Misericordia nel tempo attuale, ci invita invece a fare proprio questo passo, imitando il Signore Gesù e, dopo di lui, santo Stefano, il primo dei martiri, che morirono tutti chiedendo al Padre di non imputare ai loro assassini il peccato che quelli stavano commettendo.
Anche Papa Benedetto XVI (2005-2013) ha voluto ricordare che «la misericordia è in realtà il nucleo centrale del messaggio evangelico, è il nome stesso di Dio, il volto con il quale Egli si è rivelato nell’antica Alleanza e pienamente in Gesù Cristo, incarnazione dell’Amore creatore e redentore» (24).
Divieto e assoluzione 1958-1978. Vent’anni senza suor Faustina
Dopo il 1980, la strada verso il pieno riconoscimento della devozione alla Divina Misericordia è completamente spianata. La suora viene beatificata nel 1993 e canonizzata nel 2000. La Notificazione del Sant’Uffizio del 1959, che ne proibiva il culto, era stata superata da quella della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 15 aprile 1978, in cui si affermava che «[…] tenuti presenti i molti documenti originali, non conosciuti nel 1959; considerate le circostanze profondamente mutate, e tenuto conto del parere di molti Ordinari Polacchi» (25), non erano più vincolanti le proibizioni contenute nella precedente Notificazione.
Secondo uno dei principali studiosi delle apparizioni, i motivi del provvedimento erano stati tre. Innanzitutto, gli errori nella traduzione del Diario di santa Faustina consegnata alla Santa Sede, «[…] ma soprattutto la discordanza tra l’originale di suor Faustina e il testo dato al traduttore. Questo testo era un dattiloscritto del Diario eseguito da suor Ksawera Olszamowska su ordine della madre generale Michaela Moraczewska. Purtroppo quella traduzione era stata fatta in modo impreciso e poco scientifico. Suor Ksawera aveva ritenuto giusto cambiare alcune espressioni, aggiungere oppure omettere delle frasi e, per disattenzione, aveva tralasciato ampie parti di testo. Alcune formulazioni erano diventate molto vicine all’eresia. Quel che è peggio è che il testo di suor Ksawera per tre volte ha ottenuto la conferma ufficiale della Curia metropolitana di Cracovia tra il 1950 e il 1952»(26).
Il secondo motivo furono le diverse pubblicazioni divulgative del culto che si basavano sulle apparizioni senza avere alcun fondamento teologico e che causarono equivoci e fraintendimenti, mentre il terzo era «[…] la manipolazione abilmente fomentata del culto alla Divina Misericordia, per cui questo era visto come un prodotto della propaganda polacca e una forma di nazionalismo travestita di religiosità» (27). Don Sopoćko non rimase stupito da quanto era accaduto, ma ricordò che la devozione era stata portata avanti in modo sbagliato, privilegiando le apparizioni a suor Faustina e lasciando invece in secondo piano le «motivazioni dogmatiche, liturgiche e psicologiche» (28): il provvedimento del Sant’Uffizio avrebbe costretto a porvi rimedio, come in effetti accadde. Sarà proprio il confessore di santa Faustina a promuovere studi e testi teologici di carattere scientifico che faranno un gran bene alla causa della Divina Misericordia e ne propizieranno il riconoscimento.
Ci vorranno vent’anni e la tenacia in particolare del vescovo di Cracovia, dove suor Faustina era sepolta e dove sorge il «suo» santuario. Questo vescovo era Karol Wojtyła, che aveva sempre pregato e creduto nella missione richiesta alla suora, ancora prima di diventare sacerdote. Mentre finalmente si studiava seriamente il contesto teologico, il vescovo di Cracovia iniziava il 5 ottobre 1965 l’inchiesta canonica relativa alla vita e alla virtù di suor Faustina, che si sarebbe concluso il 20 settembre 1967. Inviata la documentazione a Roma, il 31 gennaio 1968 veniva aperto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il processo di beatificazione della serva di Dio. Nei dieci anni successivi sarebbero avvenuti gli eventi straordinari nella storia del riconoscimento del culto della Divina Misericordia cui ho già accennato, tutti peraltro strettamente legati all’elezione del cardinal Wojtyla al soglio di Pietro, nel 1978.
Finalmente, dopo la beatificazione e la canonizzazione di suor Faustina, la domenica dopo Pasqua del 2000 veniva celebrata per la prima volta la festa liturgica della Divina Misericordia.
Strettamente legato al secolo XX e alle sue tragedie, il messaggio della Divina Misericordia è valido anche per gli uomini del terzo millennio cristiano, che, dopo l’illusione delle ideologie, rischiano il dramma della depressione. A essi si rivolge san Giovanni Paolo II nell’omelia della canonizzazione, il 30 aprile 2000: «Questo messaggio consolante si rivolge soprattutto a chi, afflitto da una prova particolarmente dura o schiacciato dal peso dei peccati commessi, ha smarrito ogni fiducia nella vita ed è tentato di cedere alla disperazione. A lui si presenta il volto dolce di Cristo, su di lui arrivano quei raggi che partono dal suo cuore e illuminano, riscaldano, indicano il cammino e infondono speranza. Quante anime ha già consolato l’invocazione “Gesù, confido in Te”, che la Provvidenza ha suggerito attraverso Suor Faustina! Questo semplice atto di abbandono a Gesù squarcia le nubi più dense e fa passare un raggio di luce nella vita di ciascuno» (29).
L’incidenza sull’apostolato
È evidente come la devozione alla Divina Misericordia abbia una forte incidenza sul modo di porgere la fede all’uomo contemporaneo e non sia semplicemente una delle tante possibili devozioni. In questo senso essa diventa una componente importante della nuova evangelizzazione. Se è vero che l’uomo contemporaneo non vive più «protetto» da una società cristiana e spesso neppure più da una famiglia, ma si trova immerso in una società «liquida» priva di riferimenti forti da un punto di vista morale, allora la nuova evangelizzazione, cioè la seconda evangelizzazione dei Paesi già appartenenti alla cristianità europea, è diventata una necessità, quasi una condizione di sopravvivenza per la Chiesa cattolica. Lo hanno colto perfettamente i Papi moderni, almeno dal venerabile Pio XII (1939-1958) in poi, tanto che un’importante raccolta dei testi magisteriali sulla nuova evangelizzazione comincia proprio con alcuni interventi di Papa Pacelli e con la significativa data del 1939 (30).
La Divina Misericordia è così il modo della nuova evangelizzazione, ossia la modalità particolare di porgere la fede nel tempo della postmodernità, quando il processo di disgregazione della Cristianità, a partire dalla rivoluzione culturale e antropologica del 1968, è arrivato a colpire l’uomo singolo, tanto che si può parlare di una rivoluzione in interiore homine. L’uomo, investito da questo tsunami culturale, si trova a vivere in un contesto in cui il cui modo di vivere è profondamente cambiato rispetto alle generazioni precedenti il 1968: quell’epoca in cui, come diceva Pio XII il 26 ottobre 1946, il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato stesso (31). Quando quest’uomo riscoprisse la realtà del «suo» peccato, come un «figliol prodigo» del secolo XXI, sarebbe facilmente tentato dalla disperazione e, comunque, rimarrebbe facilmente colpito dalla malattia del nostro tempo, la depressione.
Il precedente del Sacro Cuore
La devozione della Divina Misericordia, presentando il volto accogliente del Cristo misericordioso e la Sua volontà di perdono, ricorda veramente la devozione al Sacro Cuore di Gesù, diffusasi a livello popolare dopo le apparizioni a santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690) e poi accolta dal Magistero, di fronte al rigorismo dei giansenisti e agli errori del razionalismo. Questa devozione ebbe una influenza enorme, almeno fino alla metà del secolo XX, sulla pietas popolare, ma anche sulla resistenza dei movimenti cattolici e contro-rivoluzionari al tempo della Rivoluzione del 1789 e alla sua diffusione in Europa nel secolo XIX. Lo ha notato mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, presentando l’opera I Papi e la Misericordia, che costituisce uno dei sussidi della«collana ufficiale per celebrare e vivere il Giubileo della Misericordia», indetto da Papa Francesco, dall’8 dicembre 2015 alla fine dell’anno liturgico del 2016 (32). Come sempre è accaduto nella storia, il Magistero dei Papi non indica una strada — la cosiddetta pastorale —, scegliendone intellettualisticamente una fra le altre, ma indica lastrada che ritiene meglio conduca alla salvezza in un tempo storico determinato.
Così, la scelta di un Giubileo della Misericordia è la scelta per salvare l’uomo di oggi che vive in un’epoca ancora da definire compiutamente, ma che certamente non ha più i connotati né della Cristianità, né della successiva modernità, un’epoca dominata dall’estensione del peccato nel costume delle società, il «peccato sociale» (33).
In questa nuova epoca l’azione della Chiesa ha le stesse caratteristiche di continuità che il beato John Henry Newman (1801-1890) attribuiva alla storia della spiritualità e che mons. Fisichella ricorda opportunamente: «La Chiesa cattolica non perde mai quello che ha posseduto. Non passa da una fase della vita all’altra ma porta sempre con sé la sua giovinezza e la sua maturità, fino alla sua vecchiaia. Domenico [1170-1221] non le fa perdere Benedetto [480 ca.-547]: li possiede ancora tutti e due e diventa pure la madre di Ignazio [1491-1556]» (34).
Questa continuità nel presentare la Divina Misericordia come messaggio importante del cristianesimo ha conosciuto negli ultimi pontificati una sorta di accelerazione, quasi come se una componente del messaggio di Cristo dovesse avere la precedenza a causa dell’emergere del male nel corso della storia fino ad arrivare al Giubileo della Misericordia e alle parole di Papa Francesco: «Io credo che questo sia il tempo della misericordia» (35).
Infatti, la scelta di mettere la misericordia al centro del Magistero — afferma il Pontefice — è necessaria perché quella di oggi «è un’umanità ferita, un’umanità che porta ferite profonde. Non sa come curarle o crede che non sia proprio possibile curarle. E non ci sono soltanto le malattie sociali e le persone ferite dalla povertà, dall’esclusione sociale, dalle tante schiavitù del terzo millennio. Anche il relativismo ferisce tanto le persone: tutto sembra uguale, tutto sembra lo stesso. Questa umanità ha bisogno di misericordia» (36).
Note:
(1) Cfr. san Giovanni Paolo II, Enciclica «Dives in misericordia» sulla misericordia divina, del 30-11-1980.
(2) Cfr. la parabola del Padre misericordioso, Lc. 15,11-32.
(3) San Giovanni Paolo II, Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, Rizzoli, Milano 2005, pp. 70-71.
(4) Idem, Enciclica «Dives in misericordia» sulla misericordia divina, cit., n. 6.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem.
(7) Cfr. ibid., n. 7.
(8) Cfr. ibidem.
(9) Ibid., n. 8.
(10) Ibid., n. 9.
(11) San Giovanni XXIII, Discorso «Gaudet mater Ecclesia» nella solenne apertura del concilio (Sessione I), dell’11-10-1962, inEnchiridion vaticanum, vol. 1, Documenti del Concilio Vaticano II. (1962-1965), testo ufficiale latino e versione italiana, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1993, vol. I, pp. 32-55 (p. 47).
(12) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale «Gaudium et spes» sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, del 7-12-1965, n. 1.
(13) Paolo VI, Omelia nella 9° Sessione del Concilio, del 7-12-1965, inDocumenti del Concilio Vaticano II. (1962-1965), cit., pp. 272-291 (p. 281 e p. 283).
(14) Cfr. Diario di santa Maria Faustina Kowalska. La misericordia divina nella mia anima, trad. it., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001. Cfr. anche Ewa K. Czaczkowska, Suor Faustina Kowalska. Biografia di una santa, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2014.
(15) Cfr. Mons. D. Henryk Ciereszko, Il cammino di santità di Don Michele Sopocko, trad. it., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008.
(16) Cfr. san Giovanni Paolo II, Memoria e identità. Conversazioni a cavallo dei millenni, cit., p. 70.
(17) Idem, Enciclica «Dives in misericordia» sulla misericordia divina, cit., n. 11.
(18) Cfr. Idem, Enciclica «Centesimus annus» nel centenario della Rerum novarum, del 1°-5-1991, n. 46.
(19) Idem, Enciclica «Dives in misericordia» sulla misericordia divina, cit., n. 13.
(20) Ibidem, n. 14.
(21) Ibidem
(22) Ibidem
(23) Ibidem
(24) Benedetto XVI, Regina Coeli del 30-3-2008, Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. IV, 1, 2008 (gennaio-giugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, pp. 489-490 (p. 489).
(25) Congregatio pro Doctrina Fidei, Documenta inde a Concilio Vaticano Secundo expleto edita (1966-2005), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, p. 33; il documento è reperibile anche all’indirizzo Internet: <http://www.vatican.va/ roman_curia/ congregations/ cfaith/ documents/ rc_con_cfaith_doc_19780415_kowalska_it.html>, consultato il 22 febbraio 2016.
(26) Don Andrzej Witko, Santa Faustina e la Divina Misericordia, trad. it., Shalom, Camerata Picena (Ancona) 2007, p. 236.
(27) Ibid., pp. 236-237.
(28) Ibid., p. 238.
(29) Idem, Omelia per la canonizzazione della beata Maria Faustyna Kowalska, del 30-4-2000, n. 7, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXIII, 1, 2000. (Gennaio-Giugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, pp. 703-708 (p. 707).
(30) Cfr. Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Enchiridion della nuova evangelizzazione. Testi del Magistero pontificio e conciliare. 1939-2012, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012.
(31) Cfr. Pio XII, Radiomessaggio al Congresso Catechistico Nazionale degli Stati Uniti a Boston, del 26-10-1946, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VIII, Tipografia Poliglotta Vaticana, Città del Vaticano 1947, pp. 285-289 (p. 288).
(32) Cfr. Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, I Papi e la Misericordia, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2015.
(33) Cfr. san Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale «Reconciliatio et paenitentia» circa la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi, del 2-12-1984, n. 16.
(34) The Mission of the Benedectine Order, in Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, I Papi e la Misericordia, cit., pp. 14-15.
(35) Francesco, Il nome di Dio è Misericordia, una conversazione con Andrea Tornielli, Libreria Editrice Vaticana e Piemme, Milano 2016, p. 22.
(36) Ibid., p. 30.