Marco Invernizzi, Cristianità n. 386 (2017)
La politica e le recenti elezioni amministrative. Uno sguardo
Incontro con i referenti del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, tenuto a Vicenza il 1°-7-2017
Il Comitato Difendiamo i Nostri Figli (CDNF) è una realtà nata in occasione dell’introduzione nell’ordinamento legislativo italiano di una legge che equiparava praticamente l’unione fra persone dello stesso sesso al matrimonio naturale e si è assunto contemporaneamente il compito di cercare di fermare la penetrazione nelle scuole e in generale nella cultura dell’«ideologia gender» che, negando la complementarietà naturale dell’uomo e della donna, pone le basi della distruzione del matrimonio e quindi della famiglia.
Duplice dunque il suo scopo, culturale e politico, orientato a operare sul corpo sociale per mostrare i veleni che la «dittatura del relativismo» (1) si sforza di iniettarvi e contemporaneamente per cercare di ricostruire la società, mostrando la bellezza della famiglia naturale, quella nata da una unione per sempre di un uomo e di una donna, ma anche di organizzare una «resistenza politica» all’introduzione di leggi inique, come quella già approvata sulle unioni civili (legge n. 76 del 2016) e quella in discussione al Senato sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT), o «testamento biologico», che introdurrebbe di fatto l’eutanasia nel Paese.
Questo tentativo di «resistenza politica» si è svolto in questi anni cooperando alla realizzazione del progetto «parlamentari per la famiglia» che, nei mesi della battaglia parlamentare sulle unioni civili prima e sulle DAT poi, ha cercato di coordinare una rete, piccola ma reale, di parlamentari pro-family, che appunto favorisse la realizzazione di una comune strategia in parlamento per rendere più difficile l’approvazione dei due ricordati progetti di legge. È una «resistenza» che si muove in collaborazione e in parallelo con lo sforzo di realtà come il Centro Studi Rosario Livatino, che punta a costituire un’alternativa culturale nel campo della giurisprudenza, posto che quasi sempre le sentenze orientate da derive libertarie fanno da apripista a cattive leggi.
Tuttavia, una resistenza politica si realizza non soltanto attraverso le battaglie in parlamento, che pure sono fondamentali perché lì si fanno le leggi, ma anche a livello amministrativo, dove i sindaci e in generale le giunte comunali possono esercitare una reale influenza, positiva o negativa, circa le modalità di applicazione delle leggi.
Da questa precisazione nasce l’attenzione del CDNF alla politica, sia quella nazionale sia quella locale, e quindi alle elezioni che hanno come scopo l’elezione di parlamentari nazionali o di consiglieri di regioni o di comuni. Un’attenzione che esclude la trasformazione del CDNF in un partito, che negherebbe la sua origine di movimento orientato a influenzare le istituzioni in senso pro-life e pro-family, aiutando e cercando di orientare gli uomini politici presenti nelle istituzioni, ma senza sostituirsi a essi.
Questa premessa mi sembrava necessaria per spiegare i motivi che ci spingono a intervenire nelle diverse tornate elettorali per indicare come meritevoli di essere votati coloro che si impegnano pubblicamente a sostenere certi princìpi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa e quindi a cercare di fare in modo che le amministrazioni comunali, così come i governi politici, possano favorire la famiglia, la vita e la libertà di educazione e di religione attraverso la loro attività legislativa e amministrativa.
Detto ciò, diventa doveroso cercare di analizzare le elezioni amministrative del mese di giugno, che hanno interessato oltre mille comuni e quasi dieci milioni di italiani.
Toccherò diversi aspetti: la vittoria del centro-destra, la sconfitta di Matteo Renzi e la scomparsa delle sinistre radicali, alcune caratteristiche del MoVimento 5 Stelle (M5S) e soprattutto la grande vittoria dell’astensione come segno definitivo della fine delle ideologie.
Comincio da quest’ultimo aspetto che mi sembra il più rilevante.
Il partito dell’astensione
Secondo i dati dell’Istituto Cattaneo le elezioni dell’11 giugno 2017 hanno visto una perdita di 429.222 votanti (ha partecipato al voto il 61,5 per cento del totale) nei 159 comuni con più di 15mila abitanti in cui si è votato. Si tratta di una perdita del 6,6 per cento rispetto alle precedenti amministrative del 2012, che conferma un trend costante ormai da decenni. In occasione dei ballottaggi avvenuti il 25 giugno in 111 dei 159 comuni dove si era votato al primo turno, la percentuale è scesa ulteriormente spostandosi molto al di sotto della metà degli elettori (45,9 per cento).
Ciò significa che, approssimativamente, i sindaci eletti hanno ricevuto il voto da poco più della metà di meno della metà degli elettori, ossia fra il 25 e il 30 per cento. Poco più di un elettore su quattro.
Giovanni Cantoni aveva preso l’abitudine di analizzare le diverse elezioni attraverso «le cifre del “rifiuto”» (2), cioè mettendo in luce le cifre relative al «partito dell’astensione» (3), che aumentava a ogni tornata elettorale fino a diventare oggi il maggior partito, fra il 40 e il 50 per cento e oltre in alcuni casi, degli italiani.
Molti anni fa, prima della rimozione del Muro di Berlino nel 1989, era luogo comune sostenere che mentre i partiti di sinistra erano in grado di mobilitare al voto i propri elettori sempre e comunque, gli elettori di destra erano molto meno mobilitabili perché più qualunquisti e concentrati sul proprio privato, per cui le elezioni per esempio in date «balneari» avrebbero favorito le sinistre e penalizzato le destre. Oggi, votandosi in giugno con i ballottaggi addirittura a fine mese, è accaduto il contrario, segno definitivo della fine dell’epoca delle ideologie e soprattutto segno certo del disincanto dell’elettore di sinistra, poco attratto dal Partito Democratico (PD) guidato da Matteo Renzi ma ancor meno affascinato dalla proposta dei partiti alla sinistra del PD.
Indubbiamente una proporzione così importante di non votanti merita una riflessione. A parte una fisiologica porzione di «non interessati a prescindere» e di anarchici, comunque esistenti anche prima del 1989, la grande maggioranza del «partito dell’astensione» non vota perché non si sente attratto da nessuna delle proposte politiche in campo. In alcuni casi per una sorta di qualunquismo — «tanto sono tutti uguali, chiunque vinca non cambierebbe nulla»; in altri casi per una specie di populismo che disprezza le forze politiche esistenti ma non trova un capo mitico cui affidarsi; in altri ancora, pochi peraltro, per un eccesso di «purezza ideale» che non tollera la mediocrità delle proposte politiche. Altre volte ancora — soprattutto nelle elezioni amministrative — perché i candidati proposti non vengono percepiti come capaci e attrattivi.
In ogni caso, questa porzione di italiani esprime un problema. Essi non si sono volutamente estraniati dalla cosa pubblica e potrebbero rientrare in gioco in qualsiasi momento, qualora trovassero i motivi per ricominciare a occuparsi di politica. È evidente che un partito o un movimento che riuscisse a intercettarne almeno in parte il consenso potrebbe trovare quel numero di voti necessari per vincere le elezioni. Essi rappresentano un elettorato potenziale, che non si rifiuta di ascoltare, anzi cerca una proposta, ma che non si sente soddisfatto da quanto viene offerto.
Venendo a noi, occorre una premessa. Le elezioni non sono il mezzo per mandare al governo coloro che miracolosamente risolveranno tutti i problemi perché bravissimi, quasi degli unti del Signore. Le elezioni non sono oggi — e non lo erano neppure nell’epoca delle ideologie, quando però la politica selezionava classi dirigenti con una vera e propria scuola e quando le diverse visioni del mondo spingevano gli elettori a votare con criteri di appartenenza ideologica che oggi si sono estinti — il luogo del confronto fra i puri e i cattivi, ma sono l’occasione per affidare il Paese o i comuni o le regioni a chi le gestirà meglio, o meno peggio, salvaguardando il più possibile quei princìpi, come la vita, la famiglia, la libertà di educazione e di religione, che costituiscono il fondamento del bene comune.
Questa considerazione non vuole e non deve far credere che non si possano creare nella società nuovi e grandi movimenti popolari al servizio di grandi ideali, ma vuole ricordare che questi movimenti possono nascere soltanto dentro un contesto sociale ancora parzialmente sano e reattivo e, sebbene minoritari, essi hanno una funzione provvidenziale nel senso che provengono da Dio — se non sono effimeri —, e possono e devono avere ricadute politiche, ma non nascono, se nascono, principalmente per eleggere dei sindaci o dei parlamentari. Ricordiamo come e dove nacque il Family Day del giugno 2015 a Roma: in una società profondamente secolarizzata ma ancora abbastanza reattiva sul tema della famiglia da saper trovare le forze per rispondere con entusiasmo all’appello di pochi uomini coraggiosi, che riuscirono a creare in pochi giorni un «miracolo politico» che oggi abbiamo il dovere di custodire e moltiplicare, dandogli una struttura organizzata e permanente.
Così come non nascono anzitutto per fare politica, questi movimenti popolari non si sostituiscono neppure alla Chiesa e alla sua funzione primaria, che riguarda l’insegnamento della dottrina e la salvezza personale: essi hanno a che fare con la cultura di un popolo, nascono per orientarlo o riorientarlo in un tempo di smarrimento dei valori, certo in qualche modo al servizio della Chiesa e con uno scopo anche politico, ma principalmente e anzitutto con l’obiettivo di riformare i criteri di giudizio che sono andati perduti, il «senso comune» della «gente comune».
La vittoria del centro-destra e delle liste civiche
Torniamo ai dati elettorali. Il centro-sinistra governava 90 comuni dei 159 con più di 15mila abitanti andati al voto e oggi ne governa 62, mentre il centro-destra ne governava 51 e oggi 70. Il M5S passa da 3 a 8, mentre le liste civiche senza alcuna esplicita appartenenza partitica ne governavano 15 e sono arrivate a controllarne 19.
Lo spostamento a destra è indubbio. Alcuni di questi sindaci hanno firmato il Manifesto Politico del CDNF impegnandosi esplicitamente a sostenere i princìpi ivi contenuti. Vanno seguiti e monitorati, e soprattutto aiutati. In campagna elettorale si firma quasi tutto, poi bisogna essere coerenti e non è facile, anche per chi fosse bene intenzionato. Si tratta di andare contro opinioni diverse presenti ampiamente anche nel centro-destra, che certamente è meno ostile ai principi pro-family di altre forze politiche ma raramente se ne fa una bandiera, mettendoli al centro della sua proposta, sia per mancanza di convinzione sia perché li considera elementi divisivi, che fanno perdere voti anziché guadagnarne. Bisogna aiutarli ma anche essere disposti a criticarli se capitasse — e capiterà — che si lascino condizionare negativamente da altre posizioni ideologiche oppure se volutamente facessero passare in secondo piano i princìpi pro-family. L’aiuto sarà necessario per vincere sia le resistenze delle burocrazie interne, spesso legate agli assetti amministrativi precedenti, sia le indifferenze dei vertici nazionali, taluni dei quali di recente hanno manifestato più interesse per i cosiddetti diritti degli animali che per i diritti veri delle famiglie e dei bambini.
L’Istituto Cattaneo mette in luce come i risultati elettorali mostrino che, oltre e più che il centro-destra, i veri vincitori di questa tornata elettorale sono state le liste civiche, non tanto quelle non riconducibili ad alcuna forza politica — che peraltro hanno vinto in 19 comuni —, ma piuttosto quelle che hanno permesso al centro-destra di vincere in molte competizioni, risultando decisive più di quanto sia accaduto per il centro-sinistra. Queste liste civiche sono ormai una realtà consolidata nelle elezioni comunali, presentandosi come liste locali di appoggio al sindaco, oppure come liste locali capaci però di conseguire percentuali importanti e di essere così decisive nella somma dei voti finali a sostegno del candidato sindaco. Sono liste molto legate alla persona di quest’ultimo oppure al proprio capolista, sono molto «locali» nel senso che non hanno collegamenti fra comune e comune, però esistono ormai ovunque, molto di più nell’ambito del centro-destra che nel centro-sinistra, dove esiste ancora un partito-guida, il PD, sebbene in evidente crisi — pur avendo leggermente aumentato del 2,5 per cento i propri iscritti nel 2016 (405.041) —, tenendo presente che nel 2009 aveva 831.042 tesserati.
Queste liste civiche vanno studiate per capirne la logica e il futuro, anche nel senso di una possibile federazione che permetta loro di avere un ruolo politico nazionale, al momento assente. Se ciò fosse possibile, esse potrebbero rappresentare una vera alternativa al M5S in grado di «sgonfiare» quest’ultimo, un «movimento non partito» espressione politica del relativismo, che non ha nessun riferimento ideale oltre l’onestà, ma che riesce populisticamente a raccogliere consensi sia per la diffusa corruzione della classe politica sia per essere riuscito a trasformare l’uso diffuso del web in una forma nuova di partecipazione politica, demagogica e superficiale, ma reale.
In conclusione, si può forse sperare di avere guadagnato qualche anno, nel senso che il risultato politico di queste elezioni amministrative induce a credere che esiste un elettorato conservatore per quanto riguarda i princìpi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa più consistente di quanto appaia dai media, dal clima culturale ostile alla famiglia, dall’inverno demografico in cui è sprofondato il Paese. I cosiddetti poteri forti esistono e non sono un grande complotto ma più semplicemente l’insieme dei principali centri di consenso e di potere finanziario e politico di un Paese, con poche eccezioni. Essi spingono, anche in Italia, verso il nichilismo, ma incontrano una resistenza popolare inaspettata, che rimane nonostante non trovi un’adeguata e intelligente rappresentanza politica. Se quest’ultima capirà che conviene presentarsi uniti, come ha scritto Alfredo Mantovano (4), perché soltanto così si possono vincere le elezioni politiche, allora potremo allontanare di qualche anno una catastrofe antropologica annunciata e già in fase avanzata in quasi tutti i Paesi europei, ma che non può impedire la nascita di un «mondo migliore», dentro un mondo che muore.
Note:
(1) Cfr. card. Joseph Ratzinger, Omelia durante la «Missa pro eligendo Romano Pontifice», del 18 aprile 2005, nel sito web, consultato il 3-9-2017, <http://www.vatican.va/gpII/documents/homily-pro-eligendo-pontifice_20050418_it.html>.
(2) Cfr. Giovanni Cantoni, 3 giugno 1979. Le cifre del «rifiuto», in Cristianità, anno VII, n. 50-31, giugno-luglio 1979, pp. 3-5;
(3) Cfr. Idem, La destra in piazza, la destra e la piazza, ibid., anno XXIV, n. 249, gennaio 1996, pp. 20-22 (p. 21).
(4) Cfr. Alfredo Mantovano, Centrodestra: le condizioni per il bis alle politiche, nel sito web <http://alleanzacattolica.org/centrodestra-le-condizioni-per-il-bis-alle-politiche>, consultato il 3-9-2017.