Massimo Introvigne, Cristianità n. 373 (2014)
Dal 24 al 26 maggio 2014 Papa Francesco si è recato in Giordania, in Israele e nei territori amministrati dall’Autorità Palestinese. Nell’udienza generale del 28 maggio, di ritorno a Roma, il Pontefice ha riassunto i motivi che lo hanno portato in Terrasanta. «È stato un grande dono per la Chiesa — ha detto —, e ne rendo grazie a Dio. Egli mi ha guidato in quella Terra benedetta» (1).
A fronte di presentazioni dei media che hanno messo in primo piano aspetti «politici», il Pontefice ha presentato una gerarchia degli scopi del suo viaggio, che sono stati sostanzialmente tre. Lo scopo principale, ha affermato, «[…] è stato commemorare il 50° anniversario dello storico incontro tra il Papa Paolo VI [1963-1978] e il Patriarca Atenagora [1886-1972]» (2), che «[…] ha posto una pietra miliare nel cammino sofferto ma promettente dell’unità di tutti i cristiani, che da allora ha compiuto passi rilevanti» (3). Pertanto l’incontro del Papa con il Patriarca ortodosso Bartolomeo, successore di Atenagora, «[…] ha rappresentato il momento culminante della visita»(4).
Naturalmente, l’incontro ecumenico non ha risolto tutti i problemi:«[…] abbiamo avvertito tutta l’amarezza e la sofferenza delle divisioni che ancora esistono tra i discepoli di Cristo; e davvero questo fa tanto male, male al cuore. Siamo divisi ancora; in quel posto dove è risuonato proprio l’annuncio della Risurrezione, dove Gesù ci dà la vita, ancora noi siamo un po’ divisi» (5). «Come hanno fatto i Papi precedenti — ha aggiunto Francesco — io chiedo perdono per quello che noi abbiamo fatto per favorire questa divisione, e chiedo allo Spirito Santo che ci aiuti a risanare le ferite che noi abbiamo fatto agli altri fratelli» (6). E tuttavia, ha affermato, ognuno di questi incontri consente dei veri passi avanti nel cammino del dialogo ecumenico.
Secondo scopo: la pace, «[…] che è nello stesso tempo dono di Dio e impegno degli uomini» (7). I popoli di Terrasanta «[…] da troppo tempo convivono con la guerra e hanno il diritto di conoscere finalmente giorni di pace!» (8). Ai cristiani il Papa ha ricordato che «la pace si fa artigianalmente! Non ci sono industrie di pace, no. Si fa ogni giorno, artigianalmente, e anche col cuore aperto perché venga il dono di Dio» (9). Il viaggio, ha detto il Pontefice, voleva contribuire a «[…]stemperare le tensioni nell’area medio-orientale, soprattutto nella martoriata Siria, come pure a continuare nella ricerca di un’equa soluzione al conflitto israeliano-palestinese» (10). Per questo il Papa ha invitato il presidente d’Israele e il presidente della Palestina «[…] a venire in Vaticano a pregare insieme con me per la pace. E per favore, chiedo a voi di non lasciarci soli: voi pregate, pregate tanto perché il Signore ci dia la pace, ci dia la pace in quella Terra benedetta!» (11).
Terzo scopo del viaggio: le comunità cristiane della Terrasanta, che il Papa ha voluto «confermare nella fede» (12) ricordando a tutti nello stesso tempo che sono «“sale e luce” in quella Terra» (13) e che hanno diritto alla piena libertà religiosa. Anche per i cristiani di Terrasanta non dobbiamo dimenticarci di pregare. Soprattutto, ha concluso Papa Francesco, dobbiamo «[…] pregare insieme la Madonna, Regina della pace, Regina dell’unità fra i cristiani, la Mamma di tutti i cristiani: che lei ci dia pace, a tutto il mondo, e che lei ci accompagni in questa strada di unità» (14).
I tre scopi del viaggio sono stati ribaditi nei diversi incontri e discorsi di Papa Francesco nelle tre intense giornate di Terrasanta. Li esamino pertanto, accogliendo l’invito dello stesso Pontefice, secondo la gerarchia degli scopi del viaggio enunciata nell’udienza generale del 28 maggio.
1. Il dialogo con la Chiesa Ortodossa
Nell’incontro del 25 maggio con il Patriarca Ecumenico Ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, celebrato a Gerusalemme a cinquant’anni da quello fra il venerabile Paolo VI e il Patriarca Atenagora, Papa Francesco ha ripreso con forza il tema, su cui torna spesso, delle persecuzioni dei cristiani, ricordando che quello che unisce anzitutto oggi cattolici e ortodossi, in tempi in cui in tante parti del mondo si«[…] uccidono [e] perseguitano i cristiani» (15), è «[…] l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficacia non solo nei contesti in cui esso ha luogo ma anche, in virtù della comunione dei santi, per tutta la Chiesa» (16).
Il messaggio congiunto che il Papa e il Patriarca hanno diffuso insiste sulla «profonda preoccupazione per la situazione dei cristiani in Medio Oriente e per il loro diritto a rimanere cittadini a pieno titolo delle loro patrie» (17) e sulla volontà dei cristiani «[…] di salvaguardare ovunque il diritto ad esprimere pubblicamente la propria fede e ad essere trattati con equità» (18), sviluppando anche una dottrina sociale comune «in un contesto storico segnato da violenza, indifferenza ed egoismo, [dove] tanti uomini e donne si sentono oggi smarriti» (19).
La dichiarazione congiunta riconosce i progressi compiuti nel cammino ecumenico grazie agli sforzi di san Giovanni Paolo II (1978-2005), di Benedetto XVI (2005-2013) e dei loro interlocutori ortodossi. Nel suo discorso Papa Francesco si è detto ancora una volta disponibile a studiare, in continuità con gli sforzi avviati dai suoi due predecessori,«[…] una forma di esercizio del ministero del vescovo di Roma che, in conformità alla sua missione, si apra a una situazione nuova» (20), in modo da favorire la possibilità di una piena riconciliazione con gli ortodossi, in attesa della quale — ha pure affermato con chiarezza — la «condivisione della stessa mensa eucaristica» (21) non è possibile e non può essere praticata. Infatti, spiega la dichiarazione, un vero ecumenismo non può avanzare a spese della verità. Il vero dialogo ecumenico «[…] non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull’approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa» (22).
2. Pace per il Medio Oriente
All’arrivo in Giordania, il 24 maggio, nella cerimonia di benvenuto al Palazzo Reale di Amman, Papa Francesco ha subito fatto cenno al gran numero di profughi palestinesi, iracheni e siriani — alcuni dei quali poi incontrati in serata — ricevuti come ospiti in Giordania, con un’accoglienza che merita «la stima e il sostegno della comunità internazionale» (23) e conta già da tempo sulla fattiva collaborazione della Chiesa Cattolica. Lo sguardo del Papa si è poi rivolto alla«permanenza di forti tensioni nell’area medio-orientale» (24), dove continuano purtroppo a non manifestarsi «una soluzione pacifica alla crisi siriana, nonché una giusta soluzione al conflitto israeliano-palestinese» (25).
In modo impegnativo il Pontefice ha espresso la sua stima al re di Giordania Abdullah II, un musulmano conservatore ma ostile alla violenza e al terrorismo, spesso criticato dagli ultra-fondamentalisti, come «uomo di pace e artefice di pace» (26), esprimendo«riconoscenza alla Giordania» (27) per il suo ruolo di moderazione nell’area medio-orientale.
Nella serata del 24 maggio, incontrando i rifugiati e i disabili a Betania dopo la visita al luogo del Battesimo di Gesù sul Giordano, Papa Francesco ha affermato che ultimamente le guerre, le stragi e il terrorismo nascono dal peccato che vive nel cuore dell’uomo e si superano solo con la conversione. «Dio converta i violenti! Dio converta coloro che hanno progetti di guerra!» (28), ha esclamato il Papa, menzionando anche «l’odio e la cupidigia di denaro» (29) di chi in Medio Oriente vende armi a milizie private, fomentando il terrorismo.
Il 25 maggio, in una giornata politicamente delicatissima in cui ogni gesto correva il rischio di essere manipolato, Papa Francesco ha incontrato prima le autorità palestinesi e poi quelle israeliane. A entrambe ha ribadito la posizione, da anni assunta dalla Santa Sede, secondo cui la via per la pace in Medio Oriente — «una pace stabile, basata sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza» (30), ha detto a Betlemme al presidente palestinese Abu Mazen — passa per «il riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati [Israele e la Palestina] ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti» (31). Non basta però proclamare questo diritto in teoria. Occorre anche che«[…] si evitino da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere ad un vero accordo» (32); e che si ricordi che alla pace, dopo un durissimo conflitto, si arriva«rinunciando ognuno a qualche cosa» (33).
Alle autorità israeliane all’aeroporto di Tel Aviv il Pontefice ha detto di comprendere le «aspirazioni di pace e prosperità» (34) d’Israele. E ha ribadito, citando Benedetto XVI: «Sia universalmente riconosciuto che lo Stato d’Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto ad una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La “soluzione di due Stati” diventi realtà e non rimanga un sogno» (35). A Tel Aviv il Papa ha pure auspicato che «[…] non vi sia alcuno spazio per chi, strumentalizzando ed esasperando il valore della propria appartenenza religiosa, diventa intollerante e violento verso quella altrui» (36).
A Betlemme il Pontefice ha pregato poggiando la sua fronte sul muro, tanto detestato dai palestinesi, che li separa da Israele. Nello stesso tempo, quando fra i bambini del campo profughi di Dheiseh gli è stata letta una lettera con accenti anti-israeliani piuttosto bellicosi, ha risposto improvvisando nella sua lingua, lo spagnolo, per evitare qualunque equivoco nella traduzione: «Non lasciate mai che il passato determini la vita. Guardate sempre avanti. Lavorate e lottate per ottenere le cose che volete. Però, sappiate una cosa, che la violenza non si vince con la violenza! La violenza si vince con la pace!» (37).
A Tel Aviv ha condannato duramente il terrorismo e l’antisemitismo, citando anche l’attentato di Bruxelles, e ha ricordato l’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945), la «[…] Shoah, tragedia che rimane come simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa»(38). Nello stesso tempo, ha ricordato che dell’odio fomentato dalle ideologie sono stati vittime nel secolo XX, oltre agli ebrei, «anche tanti cristiani» (39).
Particolarmente toccante è stato, nell’omelia del 25 maggio nella Piazza della Mangiatoia a Betlemme, il passaggio dall’adorazione di Gesù Bambino al ricordo dei tanti bambini che della mancanza di pace e di libertà sono le prime vittime. I bambini, ha detto il Pontefice, sono un «[…] segno “diagnostico” per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero. Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano» (40). Quando invece «fin dal grembo materno» (41) — Papa Francesco di rado dimentica nei suoi interventi più impegnativi di fare un cenno all’aborto — i bambini sono uccisi,«sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti» (42), allora dobbiamo chiederci se anche la nostra società, anche noi non siamo «come Erode» (43).
Oggi, ha affermato, «[…] piangono i bambini, piangono molto, e il loropianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per malattie facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato: il pianto di questi bambini è soffocato! Devono combattere, devono lavorare, non possono piangere! Ma piangono per loro le madri, odierne Rachele: piangono i loro figli, e non vogliono essere consolate» (44). E certo non le consolano gli appelli «[…] retorici e pietisti [di] persone che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro» (45).
Il 26 maggio, il Papa ha incontrato il Gran Muftì e i musulmani di Gerusalemme, cui ha ricordato che cristiani, ebrei e musulmani riconoscono tutti la figura di Abramo come padre della loro fede, anche se — a evitare facili assimilazioni — ha precisato che lo fanno«ciascuno in modo diverso» (46). Come Abramo, ha detto il Pontefice alla delegazione islamica, «non possiamo mai ritenerci autosufficienti, padroni della nostra vita; non possiamo limitarci a rimanere chiusi, sicuri nelle nostre convinzioni. Davanti al mistero di Dio siamo tutti poveri, sentiamo di dover essere sempre pronti ad uscire da noi stessi, docili alla chiamata che Dio ci rivolge, aperti al futuro che Lui vuole costruire per noi» (47).
Con i musulmani, ha affermato Francesco, possiamo percorrere insieme un tratto di strada. Sappiamo che un tratto non è tutta la strada e che vi è sempre il rischio che qualcuno «[…] strumentalizzi per la violenza il nome di Dio» (48). Nello stesso tempo, «non possiamo dimenticare […] che il pellegrinaggio di Abramo è stato anche una chiamata per la giustizia» (49) e possiamo trovare un terreno di collaborazione in elementi di dottrina sociale che, al di là delle differenze religiose, possiamo riconoscere insieme.
Al presidente israeliano Shimon Peres, sempre il 26 maggio, il Pontefice ha detto che «va respinto con fermezza tutto ciò che si oppone al perseguimento della pace e di una rispettosa convivenza tra Ebrei, Cristiani e Musulmani: il ricorso alla violenza e al terrorismo, qualsiasi genere di discriminazione per motivi razziali o religiosi, la pretesa di imporre il proprio punto di vista a scapito dei diritti altrui, l’antisemitismo in tutte le sue possibili forme, così come la violenza o le manifestazioni di intolleranza contro persone o luoghi di culto ebrei, cristiani e musulmani» (50). È noto quanto alla Santa Sede stia a cuore il libero accesso ai luoghi di pellegrinaggio della Terrasanta che, ha affermato Francesco rivolgendosi a Peres, «[…] non sono musei o monumenti per turisti» (51), ma luoghi di fede che «[…] vanno perpetuamente salvaguardati nella loro sacralità» (52).
Riprendendo l’espressione riferita agli ebrei da san Giovanni Paolo II, il Papa ha lasciato una dedica ai «miei fratelli maggiori» (53) sul libro d’onore del Muro del Pianto. In una fessura del Muro ha deposto una busta con un foglio su cui aveva scritto di suo pugno il Padre Nostro in lingua spagnola. Il Papa ha poi visitato il memoriale delle vittime del terrorismo — di cui ha rinnovato la severa condanna — e il mausoleo del fondatore del movimento sionista, Theodor Herzl (1860-1904). A proposito di quest’ultima visita, Radio Vaticana ha precisato che «la sosta è avvenuta in base al nuovo protocollo previsto da Israele per le visite ufficiali dei capi di Stato» (54), sottolineando così implicitamente che essa non implica un’adesione del Papa o della Chiesa Cattolica alle idee politiche di Herzl.
Incontrando i due rabbini capo d’Israele, di rito rispettivamente ashkenazita e sefardita, il Papa ha detto che «non si tratta solamente di stabilire, su di un piano umano, relazioni di reciproco rispetto: siamo chiamati, come Cristiani e come Ebrei, ad interrogarci in profondità sul significato spirituale del legame che ci unisce. Si tratta di un legame che viene dall’alto, che sorpassa la nostra volontà e che rimane integro, nonostante tutte le difficoltà di rapporti purtroppo vissute nella storia» (55). «Da parte cattolica vi è certamente l’intenzione di considerare appieno il senso delle radici ebraiche della propria fede» (56). Com’è noto, l’interesse per il cristianesimo non è invece sempre incoraggiato negli ambienti ebraici. Il dialogo presuppone però, anche da questo punto di vista, una certa reciprocità.«Confido, con il vostro aiuto — ha detto il Pontefice ai rabbini —, che anche da parte ebraica si mantenga, e se possibile si accresca, l’interesse per la conoscenza del cristianesimo, anche in questa terra benedetta in cui esso riconosce le proprie origini e specialmente tra le giovani generazioni» (57).
Al memoriale e museo dello Yad Vashem, che commemora l’Olocausto, Papa Francesco ha nuovamente condannato l’antisemitismo e ha ricordato il grido di Dio nel libro della Genesi: «Adamo, dove sei?»(Gen. 3,9). «In questa domanda — ha detto — c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio.
«Il Padre conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso!» (58). E quel grido di Dio risuona di nuovo di fronte all’«abisso senza fondo» (59) delle tragedie scatenate dalle ideologie del secolo XX:
«Uomo, chi sei? Non ti riconosco più.
«Chi sei, uomo? Chi sei diventato?
«Di quale orrore sei stato capace?
«Che cosa ti ha fatto cadere così in basso?» (60).
Il Pontefice allo Yad Vashem ha fatto cenno anche a un tema su cui torna spesso, quello dell’azione del Diavolo nella storia. «No, questo abisso — ricorda Dio all’uomo — non può essere solo opera tua, delle tue mani, del tuo cuore… Chi ti ha corrotto? Chi ti ha sfigurato?
«Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirti del bene e del male?
«Chi ti ha convinto che eri dio? Non solo hai torturato e ucciso i tuoi fratelli, ma li hai offerti in sacrificio a te stesso, perché ti sei eretto a dio» (61).
Ma l’azione del Diavolo non cancella la responsabilità degli uomini e la loro vergogna. «Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare — ha chiesto a Dio il Pontefice —, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita. Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare» (62).
Nella Messa al Cenacolo, anch’essa del 26 maggio, il Papa si è rivolto ai cristiani, invitandoli come gli è consueto a fare la loro parte, a«uscire» (63), a essere missionari per il Vangelo e per la pace anche quando le condizioni esterne sono difficili. «Qui è nata la Chiesa, ed è nata in uscita. Da qui è partita, con il Pane spezzato tra le mani, le piaghe di Gesù negli occhi, e lo Spirito d’amore nel cuore. Gesù risorto, inviato dal Padre, nel Cenacolo comunicò agli Apostoli il suo stesso Spirito e con la sua forza li inviò a rinnovare la faccia della terra»(64). «Uscire, partire, non vuol dire dimenticare — ha precisato —. La Chiesa in uscita custodisce la memoria di ciò che qui è accaduto; lo Spirito Paraclito le ricorda ogni parola, ogni gesto, e ne rivela il senso»(65). Il Cenacolo ci ricorda il servizio, il sacrificio, l’amicizia. «Ma il Cenacolo — ha affermato — ricorda anche la meschinità, la curiosità — “chi è colui che tradisce?” — il tradimento. E può essere ciascuno di noi, non solo e sempre gli altri, a rivivere questi atteggiamenti, quando guardiamo con sufficienza il fratello, lo giudichiamo; quando con i nostri peccati tradiamo Gesù» (66).
Lo stesso 26 maggio il Pontefice aveva meditato con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi nella chiesa del Getsemani sul tradimento di Giuda, insistendo sul fatto che «tutti noi siamo esposti al peccato, al male, al tradimento» (67). Al Getsemani il Papa aveva proposto uno dei suoi consueti esami di coscienza: «Sono di quelli che, invitati da Gesù a vegliare con Lui, si addormentano, e invece di pregare cercano di evadere chiudendo gli occhi di fronte alla realtà?
«O mi riconosco in quelli che sono fuggiti per paura, abbandonando il Maestro nell’ora più tragica della sua vita terrena?
«C’è forse in me la doppiezza, la falsità di colui che lo ha venduto per trenta monete, che era stato chiamato amico, eppure ha tradito Gesù?
«Mi riconosco in quelli che sono stati deboli e lo hanno rinnegato, come Pietro? Egli poco prima aveva promesso a Gesù di seguirlo fino alla morte (cfr Lc 22,33); poi, messo alle strette e assalito dalla paura, giura di non conoscerlo.
«Assomiglio a quelli che ormai organizzavano la loro vita senza di Lui, come i due discepoli di Emmaus, stolti e lenti di cuore a credere nelle parole dei profeti (cfr Lc 24,25)?» (68).
Con queste meditazioni Papa Francesco non si è allontanato dal tema della pace che, come ha ricordato il 24 maggio nella Messa allo Stadio Internazionale di Amman, ha una dimensione spirituale e una profonda relazione con le tre azioni dello Spirito Santo, che «prepara, unge e invia» (69).
Come ha preparato Gesù, la Madonna, i discepoli, così oggi lo Spirito Santo prepara, per vie che Lui solo conosce, la pace e la coesistenza armoniosa — anche in Terrasanta — fra etnie e religioni diverse. «La missione dello Spirito Santo, infatti, è di generare armonia — Egli stesso è armonia — e di operare la pace nei differenti contesti e tra i soggetti diversi. La diversità di persone e di pensiero non deve provocare rifiuto e ostacoli» (70).
In secondo luogo «[…] lo Spirito Santo unge. Ha unto interiormente Gesù, e unge i discepoli, perché abbiano gli stessi sentimenti di Gesù e possano così assumere nella loro vita atteggiamenti che favoriscono la pace e la comunione» (71). Misteriosamente, l’unzione dello Spirito su Gesù coinvolge tutti gli uomini. «Con l’unzione dello Spirito, la nostra umanità viene segnata dalla santità di Gesù Cristo e ci rende capaci di amare i fratelli con lo stesso amore con cui Dio ci ama» (72). Ultimamente la pace non viene da un progetto politico, ma da grandi e piccoli «[…] gesti di umiltà, di fratellanza, di perdono, di riconciliazione. Questi gesti sono premessa e condizione per una pace vera, solida e duratura» (73).
Per fare la nostra parte, ha detto il Papa, noi cristiani dobbiamo chiedere «[…] al Padre di ungerci affinché diventiamo pienamente suoi figli, sempre più conformi a Cristo» (74). Per dialogare con gli altri occorre prima di tutto avere un’identità, essere cristiani, osservare i comandamenti. Il Pontefice ha ricordato le parole di Gesù: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre»(Gv. 14,15-16).
In terzo luogo «[…] lo Spirito Santo invia. Gesù è l’Inviato, pieno delloSpirito del Padre. Unti dallo stesso Spirito, anche noi siamo inviaticome messaggeri e testimoni di pace. Quanto bisogno ha il mondo di noi come messaggeri di pace, come testimoni di pace!» (75). Occorre però avere una nozione insieme chiara e realistica della pace. «La pace non si può comperare, non si vende. La pace è un dono da ricercare pazientemente e costruire “artigianalmente” mediante piccoli e grandi gesti che coinvolgono la nostra vita quotidiana» (76). Pace significa riconoscerci come fratelli, ma questo è impossibile — come sottolineava, con una specifica critica alle ideologie moderne, la prima enciclica di Papa Francesco, Lumen fidei — se «[…] dimentichiamo di avere un unico Padre nel cielo e di essere tutti suoi figli, fatti a sua immagine e somiglianza» (77).
Lo Spirito Santo prepara, unge, invia. E allo Spirito, ha concluso il Pontefice, noi «chiediamo di preparare i nostri cuori all’incontro con i fratelli al di là delle differenze di idee, lingua, cultura, religione; diungere tutto il nostro essere con l’olio della sua misericordia che guarisce le ferite degli errori, delle incomprensioni, delle controversie; la grazia di inviarci con umiltà e mitezza nei sentieri impegnativi ma fecondi della ricerca della pace» (78). Una pace che in Medio Oriente non potrà affermarsi senza la piena libertà religiosa per i cristiani.
3. Libertà per i cristiani del Medio Oriente
Il Papa, già nel primo incontro al Palazzo Reale di Amman del 24 maggio, ha rivolto «un saluto carico di affetto alle comunità cristiane»(79) della Giordania che, «[…] presenti nel Paese fin dall’età apostolica, offrono il loro contributo per il bene comune della società nella quale sono pienamente inserite. Pur essendo oggi numericamente minoritarie, esse hanno modo di svolgere una qualificata e apprezzata azione in campo educativo e sanitario, mediante scuole ed ospedali»(80), che accolgono anche tanti musulmani.
Francesco ha rivolto un forte invito perché i cristiani di Terrasanta possano «[…] professare con tranquillità la loro fede, nel rispetto della libertà religiosa, che è un fondamentale diritto umano e che auspico vivamente venga tenuto in grande considerazione in ogni parte del Medio Oriente e del mondo intero» (81).
Com’è noto, alcuni ambienti islamici riducono la libertà religiosa dei cristiani nei Paesi musulmani alla libertà di culto, cioè alla libertà di celebrare i sacramenti all’interno delle chiese, ma senza alcuna possibilità di svolgere missione e di predicare al di fuori di esse. Questa nozione di libertà religiosa, ha affermato chiaramente il Papa, non è sufficiente. La vera libertà religiosa «[…] comporta sia la libertà individuale e collettiva di seguire la propria coscienza in materia religiosa, sia la libertà di culto … la libertà di scegliere la religione che si crede essere vera e di manifestare pubblicamente la propria credenza» (82). Non solo: i cristiani del Medio Oriente sono spesso discriminati nella vita politica, e anche questo non è giusto. «I cristiani si sentono e sono cittadini a pieno titolo ed intendono contribuire alla costruzione della società insieme ai loro concittadini musulmani, offrendo il proprio specifico apporto» (83).
«E che il Signore ci difenda tutti dalla paura del cambiamento» (84), ha aggiunto Papa Francesco facendo eco a una frase pronunciata da re Abdullah II nel suo indirizzo di saluto e riprendendo un tema tipico di Benedetto XVI, che tante volte aveva esortato i musulmani a fare i conti con la modernità.
Ovunque, sistematicamente, il Papa ha ricordato il ruolo delle antichissime comunità cristiane di Terrasanta. Al presidente palestinese a Betlemme il 25 maggio ha chiesto «[…] speciale attenzione alla libertà religiosa. Il rispetto di questo fondamentale diritto umano è, infatti, una delle condizioni irrinunciabili della pace, della fratellanza e dell’armonia» (85), e viene meno quando la violenza causa «l’esodo di intere comunità» (86).
La pace, l’unità fra i cristiani, la libertà religiosa, il rispetto dei bambini fin dal grembo materno ultimamente sono un dono di Dio. Di qui il sorprendente invito del Papa ai presidenti palestinese e israeliano nelRegina Coeli a Betlemme «[…] ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera» (87). Più di tanti vertici politici, l’incontro di preghiera dell’8 giugno 2014 in Vaticano rappresenta un segno che, per chi sa portare uno sguardo soprannaturale sui drammi del nostro mondo, la pace diventa possibile proprio quando sembra impossibile.
Massimo Introvigne
Note:
(1) Francesco, Udienza generale, del 28-5-2014, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 29-5-2014.
(2) Ibidem.
(3) Ibidem.
(4) Ibidem.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.
(10) Ibidem.
(11) Ibidem.
(12) Ibidem.
(13) Ibidem.
(14) Ibidem.
(15) Idem, Celebrazione ecumenica in occasione del 50° anniversario dell’incontro a Gerusalemme tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, del 25-5-2014, ibid. 26/27-5-2014.
(16) Ibidem.
(17) Idem, Dichiarazione comune tra Papa Francesco e il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, del 25-5-2014, ibidem.
(18) Ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Idem, Celebrazione ecumenica in occasione del 50° anniversario dell’incontro a Gerusalemme tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora,ibidem.
(21) Ibidem.
(22) Ibidem.
(23) Idem, Incontro con le autorità del regno di Giordania, del 24-5-2014, ibid. 25-5-2014.
(24) Ibidem.
(25) Ibidem.
(26) Ibidem.
(27) Ibidem.
(28) Idem, Incontro con i rifugiati e con giovani disabili nella chiesa latina a Betania, del 24-5-2014, ibid. 26/27-5-2014.
(29) Ibidem.
(30) Idem, Incontro con le autorità palestinesi, del 25-5-2014, ibidem.
(31) Ibidem.
(32) Ibidem.
(33) Ibidem.
(34) Idem, Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale Ben Gurion, del 25-5-2014, ibidem.
(35) Ibidem.
(36) Ibidem.
(37) Idem, Incontro con i bambini dei campi profughi di Dheiseh, Aida e Beit Jibrin, del 25-5-2014, ibidem.
(38) Idem, Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale Ben Gurion, cit.
(39) Ibidem.
(40) Idem, Santa Messa nella Piazza della Mangiatoia a Bethlehem, del 25-5-2014, ibidem.
(41) Ibidem.
(42) Ibidem.
(43) Ibidem.
(44) Ibidem.
(45) Ibidem.
(46) Idem, Visita al Gran Mufti di Jerusalem nell’edificio del Gran Consiglio sulla Spianata delle Moschee, del 26-5-2014, ibidem.
(47) Ibidem.
(48) Ibidem.
(49) Ibidem.
(50) Idem, Visita di cortesia al Presidente dello Stato di Israele nel Palazzo Presidenziale, del 26-5-2014, ibidem.
(51) Ibidem.
(52) Ibidem.
(53) Ibidem.
(54) La preghiera del Papa al Muro Occidentale, consultabile all’indirizzo Internet <http:// it.radiovaticana.va/ news/ 2014/05/26/ la_preghiera_del_papa_al_muro_occidentale/ 1100983> (consultato l’8-9-2014).
(55) Francesco, Visita di cortesia ai due Gran Rabbini di Israele nel Centro Heichal Shlomo, nei pressi della Jerusalem Great Synagogue, del 26-5-2014, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 26/27-5-2014.
(56) Ibidem.
(57) Ibidem.
(58) Idem, Visita al Memoriale di Yad Vashem a Jerusalem, del 26-5-2014, ibidem.
(59) Ibidem.
(60) Ibidem.
(61) Ibidem.
(62) Ibidem.
(63) Idem, Santa Messa con gli Ordinari di Terra Santa e con il Seguito Papale (Sala del Cenacolo a Jerusalem), del 26-5-2014, ibid. 28-5-2014.
(64) Ibidem.
(65) Ibidem.
(66) Ibidem.
(67) Idem, Incontro con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi nella chiesa del Getsemani accanto all’Orto degli Ulivi, del 26-5-2014,ibidem.
(68) Ibidem.
(69) Idem, Santa Messa all’International Stadium ad Amman, del 24-5-2014, ibid. 26/27-5-2014.
(70) Ibidem.
(71) Ibidem.
(72) Ibidem.
(73) Ibidem.
(74) Ibidem.
(75) Ibidem.
(76) Ibidem.
(77) Ibidem.
(78) Ibidem.
(79) Idem, Incontro con le autorità del regno di Giordania, cit.
(80) Ibidem.
(81) Ibidem.
(82) Ibidem.
(83) Ibidem.
(84) Ibidem.
(85) Idem, Incontro con le autorità palestinesi, cit.
(86) Ibidem.
(87) Idem, Preghiera del Regina Coeli a Bethlehem, del 25-5-2014,ibidem.