Oskari Juurikkala, Cristianità n. 375 (2015)
Testo, rivisto e annotato, della Calihan Lecture tenuta il 4-12-2014 a Roma presso la Pontificia Università della Santa Croce. Nell’occasione l’Acton Institute ha insignito Oskari Juurikkala del Premio Novak 2014. Formatosi presso la London School of Economics e la Helsinki School of Economics, Juurikkala, finlandese, ha conseguito un dottorato di ricerca congiunto in giurisprudenza e in economia presso l’University of Eastern Finland nel 2012. Attualmente sta ultimando il corso di licenza in teologia dogmatica presso la Pontificia Università della Santa Croce. L’autore ringrazia quanti hanno contribuito con i loro commenti alla versione originale, quali il professore don Arturo Bellocq, don Robert Gahl, il dottor Samuel Gregg, Kishore Jayabalan, il professor Carlo Lottieri, Michael Severance e il professore don John Wauck. La traduzione e le inserzioni fra parentesi quadre, sia nel testo sia nelle note, sono redazionali.
1. Introduzione
La pubblicazione dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, il secondo fra i documenti magisteriali di maggiore rilevanza emanati da Papa Francesco, ha suscitato una svariata gamma di reazioni (1). Si va da chi ha lodato la critica al cosiddetto «capitalismo sfrenato» (2) e all’«economia libertaria» (3), fino a chi ha etichettato il Papa come uomo di sinistra, se non addirittura «marxista» (4). Altri ancora hanno cercato di comprendere Francesco a partire dal suo retroterra pastorale e dalla sua esperienza in Argentina, minimizzando la portata dei riferimenti alle questioni economiche (5).
Papa Francesco, ovviamente, è tutto fuorché un marxista (6). Non si può negare, comunque, che le sue prese di posizione su alcune questioni economiche abbiano tendenzialmente indispettito coloro che la terminologia europea individua come «liberisti» (7). Secondo costoro il Papa non riuscirebbe ad apprezzare i benefici di un’economia di libero mercato; la sua insistenza sui poveri, inoltre, conferirebbe un indebito supporto a programmi politici che indeboliscono l’imprenditoria, la proprietà privata e la crescita economica.
In questo discorso mi piacerebbe andare oltre le impressioni e rispondere a un quesito più sostanziale: qual è precisamente il messaggio di Papa Francesco sull’economia e quali sono le sue implicazioni per i sostenitori dell’economia libera?
Mi si conceda, innanzitutto, una precisazione di natura terminologica. Quando parlo di «libero mercato» o di «libertà economica», mi riferisco essenzialmente ai due princìpi che potremmo chiamare a) il «principio del mercato» — libertà e rispetto dei contratti, libertà di avviare un’impresa — e b) il «principio di proprietà» — apprezzamento e tutela della proprietà privata. Più in generale, la libertà economica include altre idealità ad essa strettamente collegate come la bassa tassazione, la sobrietà della spesa pubblica, l’assenza di corruzione nel settore pubblico e la stabilità monetaria (8). Ovviamente, non collego la libertà economica all’egoismo, all’avidità o ad altre forme di assenza di vincoli morali. Né con il termine «capitalismo» mi riferisco alle forme di crony capitalism, «capitalismo clientelare» — come le definiscono gli economisti —, diffuse in Europa e in America Latina. Fra non molto, mostrerò come queste siano entrambe incompatibili, in ultima analisi, con la libertà economica.
Due fattori mi hanno indotto a scegliere questo tema per la lezione di oggi. Il primo è l’impressione che il pensiero e il messaggio di Papa Francesco siano stati etichettati troppo affrettatamente come «semplicemente di sinistra». Ciò ha facilitato la sua strumentalizzazione da parte della sinistra politica in vista di obiettivi che il Papa potrebbe non condividere e ha provocato, inoltre, un’infelice disaffezione fra i cattolici conservatori e fra i propugnatori del libero mercato. Io non sono molto convinto che il Papa sia veramente così «di sinistra» e penso che gli amici dell’economia libera dovrebbero fare almeno un tentativo per appropriarsene.
La mia seconda motivazione è che molti economisti favorevoli al libero mercato hanno archiviato le opinioni di Papa Francesco sulle questioni economiche come errate o irrilevanti. Va da sé che il Pontefice non pretende di essere un economista; faremmo tuttavia bene a ricordare il famoso detto di [Friedrich August von] Hayek [1899-1992], secondo cui si può essere un buon economista solo a patto di conoscere bene la storia, la psicologia, la scienza politica e la filosofia morale (9). L’economia, in definitiva, riguarda l’uomo, e Papa Francesco ha intuizioni pratiche e profonde su come la condizione umana sia illuminata dal Vangelo di Cristo. Se «quelle» intuizioni sono «vere», è del tutto naturale che abbiano ricadute sul nostro modo di ragionare intorno alle questioni e alle relazioni di natura economica.
Articolerò il mio discorso in tre parti. Per prima cosa delineerò alcune idee-chiave del messaggio di Francesco sull’economia. Poi analizzerò alcune reazioni critiche, dimostrando che, in fin dei conti, non sono ben fondate. Infine, proporrò una prospettiva che punta a stabilire una più profonda unità fra gli economisti sostenitori di un’economia di libero mercato e gl’insegnamenti del Pontefice.
2. Francesco e l’idea di povertà cristiana
Tentare una sintesi del pensiero di Papa Francesco sull’economia è facile per certi versi e difficile per altri. È difficile perché, su tali questioni, egli non ha mai offerto riflessioni estese e sistematiche; i suoi pronunciamenti si trovano disseminati qua e là, inseparabili da un messaggio più ampio di carattere morale e spirituale.
Allo stesso tempo, tuttavia, egli «ha effettivamente detto» alcune cose su temi di natura economica e ha mostrato di essere fortemente interessato ai valori economici e alle loro ricadute. Ovviamente, egli non li interpreta alla stregua di questioni tecniche isolate, ma di fatti che lo interpellano come pastore cristiano di anime. E ciò rende relativamente facile il mio compito.
Il pensiero del Papa può essere compreso solo nel contesto dei suoi princìpi morali e spirituali; e questi, a loro volta, sono inscindibili dalla sua personalità semplice e schietta. Lascerò ad altri lo studio dettagliato di testi specifici; mi limiterò, invece, a riassumere gl’insegnamenti del Pontefice sulla nozione di «povertà cristiana». Potrei addirittura affermare che Francesco sia un «profeta» della povertà cristiana; e il nome che ha scelto da Papa non è, da questo punto di vista, accidentale.
2.1 La povertà come preoccupazione cristiana
Do a quest’espressione un duplice significato, giacché la povertà, nella visione cristiana, possiede due differenti dimensioni. Per prima cosa, vi è l’attenzione «verso il povero», la dimensione, per così dire, «sociale e caritativa» che pone in rilievo l’urgenza di esercitare non solo la giustizia, ma anche un’efficace carità nei confronti di chi si trova nel bisogno. Si tratta di un aspetto della morale cristiana ritenuto da sempre fondamentale e la Evangelii gaudium v’insiste molto (10).
Circa i princìpi che sono cari ai liberisti, il documento pontificio riconosce anche il valore della proprietà privata e del «nobile lavoro»(11) dell’imprenditoria, nella misura in cui esse rimangono iscritte in una cornice più ampia, ispirata da valori morali. La Evangelii gaudiumdisapprova a più riprese l’idea di un’«autonomia assoluta» dei mercati, non governati né da leggi né da princìpi morali (12). Il documento è critico non solo nei confronti di chi usa il mercato per fini egoistici, ma anche di chi tende a giudicare come secondario il problema della povertà, ritenendolo destinato a risolversi quasi automaticamente a margine del processo di crescita economica (13). In un passo molto spesso citato l’esortazione apostolica lamenta: «Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa» (14). Ciò che affligge il Papa non è il mercato azionario in sé, ma la tendenza a dirigervi la nostra attenzione in modo da trasformarlo in un nuovo idolo e a mostrare un’«indifferenza pratica» dinanzi alle situazioni critiche vissute da così tante persone in carne e ossa (15).
2.2 La povertà come virtù cristiana
Vi è, comunque, un’altra dimensione nell’insegnamento di Francesco, che dimostrerò essere fondamentale per una comprensione globale del suo pensiero. Ove la s’ignori, la prima dimensione considerata, quella sociale, non potrà essere colta in tutta la sua pienezza. Questa seconda dimensione è quella più «interiore» e più «spirituale». Si tratta, cioè, della «povertà come virtù cristiana» (16).
È un tema che troviamo esposto nelle primissime pagine dellaEvangelii gaudium. In un passaggio importante che deplora il consumismo, il Papa porta la questione a un livello più profondo sostenendo che il grande rischio nel nostro tempo, «[…] è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata» (17). Non è un problema solo attinente alla sfera privata, perché ha conseguenze profonde riguardanti la nostra vita sociale e religiosa: «Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene» (18).
Questo è il messaggio che, a mio parere, costituisce il fulcro della logica e della forma mentis di Francesco quando affronta temi relativi alla sfera economica. Ed è un concetto ripetutamente evocato nelle occasioni di predicazione più personale come le omelie mattutine di Casa Santa Marta che, infatti, solo raramente mettono a fuoco gli aspetti sociali della povertà (19). Nelle sue omelie il Papa insiste, per esempio, sulla necessità del distacco dai beni temporali e sulla battaglia contro la mondanità (20), sulla relazione fra povertà spirituale e lode di Dio (21) e sulla ricerca del «vero tesoro» (22). Troviamo la stessa idea, poi, in affermazioni che riguardano la riforma della Curia Romana: il Papa non è tanto interessato a riforme di carattere istituzionale quanto, piuttosto, alla fedeltà dei servi della Chiesa allo spirito del Vangelo; e questa prevede il distacco dai beni materiali e la povertà di spirito.
2.3 Il contatto umano
Naturalmente le due dimensioni sono collegate. Quella sociale di giustizia e di carità nei confronti del povero potrà essere efficace solo accanto alla consapevolezza che i beni temporali vanno trattati come doni: essi, in definitiva, provengono da Dio e a Lui appartengono. Secondo Francesco, poi, la relazione va anche nell’altro verso: vi è vera carità solo quando è accompagnata da atti che stabiliscono un contatto personale con il bisognoso. «Mi dica, quando lei dà l’elemosina, guarda negli occhi quello o quella a cui dà l’elemosina?[…] E quando lei dà l’elemosina, tocca la mano di quello al quale dà l’elemosina, o gli getta la moneta?» (23).
Il Papa si è personalmente dissociato dal pauperismo, come lui stesso l’ha definito. A prescindere, poi, dalle modalità specifiche per aiutare il povero, la questione centrale non è, per Francesco, la filantropia istituzionale, ma la chiamata divina a uscire da sé stessi. Ancora più importante dell’eventuale offerta di beni materiali al povero, è il donargli sé stessi (24). Ecco ciò che aiuta a ripristinare la dignità del povero: i beni materiali da soli non bastano, servono la vicinanza e il contatto personale che riconoscano nell’altro una persona veramente umana. È interessante notare come proprio i testi più personali del Papa — fra cui le omelie — evidenzino la seconda dimensione della sua visione della povertà, quella personalistica. Proverò ad argomentare che si trova lì il contributo più profondo dato da Francesco al pensiero economico. Non è un contributo di natura tecnica; è una visione antropologica, morale e spirituale che ha anche conseguenze tangibili in economia.
3. Papa Francesco e l’economia libera: una valutazione preliminare
Dal punto di vista degli economisti favorevoli al libero mercato vi sono essenzialmente tre possibili atteggiamenti che si possono assumere nei confronti del Papa: ritenere a) che l’insegnamento di Francesco sia incompatibile con l’economia di libero mercato; b) che il suo insegnamento sia conciliabile con le ricette proposte dai liberisti, ma solo a patto di ritenerlo irrilevante per l’economia; e c) che, a un livello più profondo, una compatibilità esista e questa abbia delle implicazioni sulla nostra comprensione della libertà economica.
3.1 Interpretando Papa Francesco: dalla politica alla persona
La prima opzione, come abbiamo già visto, non può essere subito e interamente accantonata. Alcuni passi della Evangelii gaudiumdisapprovano senza mezzi termini l’affidamento incondizionato al mercato. Per esempio, in un paragrafo, si accolla la responsabilità delle ingiuste diseguaglianze economiche a «[…] ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria [e che] negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune» (25). Come ha fatto notare qualcuno, questa critica non dovrebbe essere frettolosamente estesa a ogni singola posizione favorevole al libero mercato (26). In realtà, l’ideologia cui il documento pontificio fa riferimento è assai poco diffusa persino fra i liberisti e, di fatto, non vi è alcun Paese che agirebbe secondo i suoi dettami (27).
Non vi è dubbio che vi siano passi, nella Evangelii gaudium, che sembrano esprimere una posizione antagonistica rispetto alle ideologie pro-mercato (28). E si potrebbe sostenere che questioni come quelle meriterebbero un’analisi più ricca di sfumature. In ogni caso, Francesco ha chiarito che non era sua intenzione prendere una posizione specifica su controversie di natura strettamente economica: ciò che aveva in mente erano le condotte morali in campo economico, incluse quelle che non prestano alcuna attenzione reale e concreta al povero (29). Tali posizioni possono essere condannate senza, con ciò, mettere in discussione i princìpi della libertà economica. Quando s’interpreta Francesco, è importante tener presente come questi si concentri prevalentemente sulla «dimensione morale personale», e può accadere che il Papa ignori la dimensione politica di questi dibattiti. Rich Lizardo ha notato come i media abbiano stravolto un precedente pronunciamento pontificio che deplorava il «feticismo del denaro» (30), presentandolo «[…] come un discorso di taglio meramente economico nel quale Francesco auspicava maggiori interventi statali e denunciava il capitalismo. Peccato che né la parola “capitalismo” né l’espressione “interventi statali” fossero state proferite dal Papa» (31).
Quelli di noi che sono più avvezzi al dibattito politico sono eccessivamente inclini, talvolta, a interpretare ogni singola asserzione alla luce di categorie attinenti a quell’ambito; giornalisti e intellettuali politicamente motivati, in particolare, sono propensi a trovare un apparente supporto papale alle proprie scelte politiche. In un importante paragrafo della Evangelii gaudium, comunque, il Papa prova espressamente a scongiurare un’eventualità del genere. Egli precisa di non voler favorire o attaccare una specifica «ideologia politica» e asserisce di essere unicamente interessato a «[…] fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra» (32). Quest’affermazione potrebbe apparire in contrasto con altre espressioni presenti nel documento ma, se la si accetta come dichiarazione d’intenti, anche la nostra interpretazione delle altri parti dovrà tenerne conto.
3.2 Cambiamento morale e politiche prudenziali
Dovrei aggiungere che Francesco, quando considera le soluzioni pratiche volte a ridurre la povertà, non si dimostra del tutto ingenuo sulle difficoltà che quelle comportano. Come nota Samuel Gregg, il cardinal Bergoglio, in una pubblicazione del 2001 dal titolo Hambre y sed de justicia, assunse una posizione di deciso scetticismo nei confronti delle tradizionali politiche assistenziali: «Ci sono argentini che vivono una condizione di povertà e di esclusione che noi dovremmo trattare come soggetti e attori del proprio destino, non come oggetto di azioni paternaliste e assistenziali da parte dello Stato o della società civile» (33).
Nella Evangelii gaudium troviamo enunciato lo stesso principio personalistico: «La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile»(34).
Francesco non esclude interventi statali in quei settori; ciò che realmente conta, tuttavia, è che i mezzi si rivelino veramente efficaci. Egli sa bene, comunque, che la valutazione dei mezzi esula dalle sue competenze. Vi rientra in pieno, invece, il messaggio morale, un messaggio di solidarietà che dovrebbe avere delle ripercussioni sul modo in cui noi pensiamo l’economia (35).
3.3 Inclusione e contatto personale
Secondo Phil Lawler, «[…] si può argomentare la tesi secondo la quale il capitalismo, temperato da un contesto morale cristiano, è la migliore disponibile fra le soluzioni al problema della povertà. Niente di ciò che Francesco ha detto […] scardina quel ragionamento» (36). E si potrebbe andare oltre, provando che molti dei valori su cui Papa Francesco insiste possono essere salvaguardati solo rispettando i princìpi della libertà economica sopra sommariamente descritti.
Mi limiterò a fare solo due esempi. Uno di questi valori è il «principio d’inclusione» che, in particolare, richiede l’accesso a un mercato del lavoro nel quale si possa essere socialmente utili ed economicamente produttivi, in modo da poter sostenere sé stessi, la propria famiglia e la propria comunità. Ora, un economista a favore del libero mercato farebbe giustamente osservare che, «di fatto», questo ideale si può realizzare al meglio tonificando l’imprenditoria, incoraggiando investimenti di capitali volti all’aumento della produttività, nonché rendendo il mercato del lavoro flessibile e capace di adattamento. Queste condizioni, da sole, potrebbero rivelarsi insufficienti. Esse, nondimeno, rimangono necessarie per migliorare l’inclusività del mercato del lavoro. Al contrario, restrizioni sull’imprenditoria ed eccessive misure di protezione possono solo produrre un’apparenza di stabilità che, con il tempo, dà luogo a disoccupazione strutturale, cioè a esclusione sistematica.
Un altro dei valori fondamentali è, per Francesco, il contatto umano personale con il bisognoso. A un livello superficiale si potrebbe pensare che uno Stato assistenziale munifico sia il riflesso di una diffusa cultura della solidarietà che si manifesta anche in altre forme spontanee di attività caritative. In realtà, l’esperienza degli Stati assistenziali in Europa dimostra il contrario. Quando il coinvolgimento dello Stato in attività assistenziali si accresce, le istituzioni della società civile, percepite come non necessarie, iniziano a battere in ritirata. Inoltre, la crescente tassazione causata dal welfare rende l’ordinario cittadino riluttante a fare donazioni volontarie — «Ho fin troppe tasse da pagare!» —, e l’esistenza di reti di protezione statali diventa la scusa perfetta che giustifica un atteggiamento d’indifferenza nei confronti del povero: «Perché dovrei aiutarlo proprio io? È colpa sua se non riesce a trarre vantaggio dalle provvigioni statali». Sicché, uno Stato assistenziale di dimensioni eccessive è non solo impersonale e burocratico, ma va a nutrire proprio la cultura dell’indifferenza pratica che Papa Francesco biasima con tanto vigore.
3.4 Come neutralizzare Papa Francesco: la visione dell’assenza di conflitto
Vi è qui un sottile pericolo da evitare: quello di portare all’estremo questa conciliazione e di concludere che il Papa fa bene, certamente, a patrocinare questi valori che in economia, però, non avrebbero alcuna rilevanza. Essi sono attinenti alla sfera dei valori morali e spirituali, e questa non avrebbe rapporti con la scienza dell’economia che, in quanto tale, prescinde da valutazioni valoriali.
Assunta questa posizione, pur considerando potenzialmente rilevanti per l’economia i princìpi di natura morale e religiosa, li si rende scientificamente neutri classificandoli come «preferenze» soggettive, il che è tipico dell’economia mainstream. Cosicché, la carità, la povertà e l’essere distaccati vengono «per definizione» esclusi dagli elementi che l’economia deve prendere in considerazione. Di conseguenza, ogni potenziale conflitto fra morale ed economia è risolto a priori, assumendo che tra contesti completamente disgiunti non possa esistere alcun dialogo.
Sebbene proposto raramente in maniera sistematica, questo modo di pensare è molto diffuso fra i liberisti, forse perché sembra vantaggioso ai fini della difesa dell’economia di libero mercato: riesce, infatti, a schivare discorsi sdolcinati su carità e giustizia sociale dichiarandoli concetti «soggettivi» che non possono mettere in discussione le verità «oggettive» dell’economia. A un’analisi più approfondita si tratta di un errore capace di compromettere l’intero programma della libertà economica, e lo dimostrerò di seguito, prospettando una visione alternativa, in accordo alla quale il messaggio di Papa Francesco risulta rilevante per l’economia di libero mercato «come tale».
4. Verso l’integrazione: un rafforzamento dall’esterno
Se correttamente interpretato e fatto proprio, il messaggio di Papa Francesco rafforza positivamente la perorazione dei princìpi della libertà economica. E lo fa, come proverò a spiegare, in due modi distinti. Innanzitutto, attirando l’attenzione sul quadro sociale, che è «estrinsecamente»» necessario per una visione cristiana della libertà economica e, in secondo luogo, insistendo sull’importanza del quadro morale che è «intrinsecamente» necessario per la libertà economica.
4.1 Una libertà utopistica
Mi piacerebbe illustrare il primo punto condividendo un’esperienza personale, una sorta di cambiamento del cuore. All’incirca quindici anni fa, in tempi in cui ero un giovane ed entusiasta libertarian, m’imbattevo spesso nella seguente argomentazione che andava contro le mie convinzioni: «Certo, se tutti fossero brave persone come te, allora le tue proposte funzionerebbero. Ma, appunto perché le persone sono così tanto egoiste, non funzionano!».
Mi sentivo adulato? No: pensavo piuttosto di essere totalmente frainteso. Non era mia intenzione convincere il prossimo che le persone sono buone e che, perciò, si può concedere loro libertà d’azione. Il mio ragionamento si basava su premesse quasi del tutto opposte: posto che le persone, in generale, «non» sono buone e tendono ad abusare di qualunque potere coercitivo sia a loro disposizione — «il potere tende a corrompere» (37), secondo la celebre massima di Lord Acton [1834-1902] —, dovremmo organizzare le nostre istituzioni politiche in modo da ridurre al minimo le occasioni di abuso. Ero inoltre convinto che quest’obiettivo potesse essere raggiunto tramite una contrazione della portata dell’intervento statale nella vita dei singoli e delle comunità, nonché tramite un’espansione — la più ampia possibile — della libertà e della responsabilità personali.
Sono tuttora convinto che vi sia un nucleo di verità nelle mie convinzioni giovanili. Nel corso degli anni, tuttavia, mi sono persuaso che i miei educati contestatori non avevano tutti i torti. Ciò può essere efficacemente illustrato contrapponendo una sorta di «virtuosa utopia liberista» ad alcune argomentazioni classiche contro la libertà economica.
4.2 I vizi e la libertà
In un’ipotetica società di santi — una società, cioè, composta da persone perfettamente virtuose —, vi aspettereste una totale assenza di frodi, di furti, di tradimento delle parola data, d’inganni e così via. In breve, non vi sarebbe alcuna necessità di proteggere i singoli dalla violenza e da altre forme di abuso. Di conseguenza, ci si potrebbe disfare di gran parte delle forze dell’ordine e della legislazione. Ciò comporterebbe un enorme risparmio economico e un incremento della libertà personale. Certamente potrebbero esserci persone che soffrono a causa di malattie, d’incidenti o dell’età avanzata, ma i loro bisogni verrebbero subito soddisfatti dalla generosa attività di beneficenza svolta dagli altri. Non vi sarebbe, perciò, alcun motivo per richiedere un intervento coercitivo da parte dello Stato; anzi, se proprio si vuole parlare di Stato in una società del genere, il suo ruolo sarebbe ridotto a un’attività di coordinamento volto ad agevolare le varie forme di volontariato.
Ora, se confrontiamo questa buffa utopia con la nostra normale condizione, ci apparirà evidente la ragione per cui tante persone sono scettiche nei confronti degl’ideali del liberalismo economico: essi temono — a torto o a ragione — che i più forti e i più furbi potrebbero abusare della loro libertà. Per esempio, si ritiene che le aziende possano sfruttare a loro vantaggio la debolezza e l’ignoranza di lavoratori e di consumatori e che, quindi, sia necessario imporre restrizioni e termini contrattuali vincolanti a tutela di lavoratori e consumatori. Similmente, aziende di grandi dimensioni potrebbero assumere una posizione di monopolio, per cui si avverte il bisogno di contenere la crescita delle imprese e di riservare certe attività ad aziende a controllo statale. E, cosa ancor più importante, la retorica pro-libero mercato è da molti considerata un pretesto perché l’avidità e l’avarizia dei benestanti possano avere libero sfogo, e ciò si può contrastare soltanto mediante una tassazione redistributiva.
I sostenitori del libero mercato giudicheranno il quadro appena descritto non equilibrato, troppo diffidente nei confronti d’imprese e datori di lavoro e, allo stesso tempo, eccessivamente ottimistico circa i politici e i burocrati. Di questo quadro diranno che non tiene conto dei limiti di ciò che può essere realizzato tramite imposizioni legislative e intervento statale; che ignora le perdite di efficienza e delle opportunità dovute alla corruzione; che è esageratamente punitivo nei confronti del benestante; che non considera i danni morali, sociali ed economici prodotti nel lungo periodo dall’alta tassazione e da politiche assistenziali troppo generose.
Assolutamente vero. Ma non è tutto. Quando si discute su questi temi, entrambi gli schieramenti considerano i fattori morali sottostanti come qualcosa di congenito, stabile e immutabile, come se i vizi dell’umanità fossero una costante fisica determinata dalle leggi della natura. Ed è tipico nel pensiero economico dei nostri giorni: solo raramente si ravvisa la rilevanza della sfera morale e, quando ciò accade, questa è trattata da fattore esogeno, su cui non si ha alcuna possibilità d’influenza. Così, un economista ha potuto sostenere che il livello ottimale di criminalità per una società sia comunque «maggiore di zero»: siccome l’«offerta» di criminalità è considerata come un fattore esogeno, i mezzi per averne ragione avrebbero un costo sociale troppo alto (38).
Questo modo di vedere le cose è comprensibile. La beata utopia dei virtuosi non è alla nostra portata. Vizi e virtù individuali, tuttavia, sono variabili nel tempo e nello spazio e, come in un’occasione notò Clive Staple Lewis [1898-1963], lo sono anche i vizi e le virtù più ampiamente diffusi in una società (39). Inoltre, il livello di virtù presente in una società può essere influenzato da tutta una serie di mezzi individuali, sociali e istituzionali. Del resto, fino a tempi molto recenti, proprio l’aumento della virtù e il contenimento del vizio costituivano l’orizzonte tradizionale dell’educazione di qualunque civiltà e, in ogni caso, continuano a essere una componente importante del sistema di giustizia penale.
4.3 Carità e giustizia sociale
Colleghiamo quanto detto a Papa Francesco. Questi non parla di fattori endogeni ed esogeni della politica economica, ma il suo intero discorso sottintende la convinzione che un cambiamento personale di natura morale e spirituale, una «conversione», sia alla portata di ogni uomo e di ogni donna. Egli ritiene pure che vi sia bisogno di un incoraggiamento perché questo cambiamento possa aver luogo. Tale cambiamento non potrà, ultimamente, essere imposto con la forza, giacché attiene alla sfera della libertà e della grazia che, per noi, è destinata a rimanere misteriosa; nondimeno, può essere incoraggiato, agevolato e promosso.
Intendo ora mostrare che la direzione caldeggiata da Papa Francesco è necessaria per una società e un’economia libere. Limiterò qui la mia argomentazione alla questione della povertà e delle disuguaglianze, temi cari a Papa Francesco. Evitando il problema dell’individuazione dei limiti per una tassazione distributiva che possa dirsi legittima, si può dare per assodato che l’urgenza concreta delle politiche redistributive sarà inversamente proporzionale alla generosità caritatevole dei membri più benestanti della società. In fondo, in una società profondamente animata dalla solidarietà cristiana, l’argomento politico a favore della necessità di un intervento statale in certi ambiti avrebbe un peso pressoché nullo. Al contrario, più diffuse sono l’inazione e l’indifferenza dei singoli, più forte sarà la pressione contro la libertà economica e la proprietà privata.
Il punto è che l’opzione «libertà senza carità» non è genuinamente cristiana; e, a maggior ragione, non lo è per nulla l’opzione «carità senza libertà». Ne consegue che, in fin dei conti, l’unico approccio alla povertà pienamente cristiano sia riassumibile nel motto «libertà con carità» o, se si vuole, «carità nella libertà e libertà nella carità». Stavolta si tratta di un’utopia che ha margini di applicabilità anche in un mondo imperfetto. È materia di discussione che cosa si possa o si debba concretamente fare in un determinato contesto. Papa Francesco non ha proposto politiche specifiche; ha solo invitato a prendere in seria considerazione il problema. Ecco la mia interpretazione: se un cristiano vuole difendere i princìpi della libertà economica, deve prendere a cuore l’appello alla carità e metterli in pratica, con le parole e con i fatti.
4.4 Libero mercato e solidarietà
Questa scelta non è incompatibile con l’impegno a favorire meccanismi di sviluppo e di crescita basati sulle regole del mercato. Se vi è una cosa che le scienze economiche hanno dimostrato, è che si può ottenere uno sviluppo sostenibile solo se si è capaci di produrre con profitto; e l’aumento della produttività può essere raggiunto solo grazie a un sistema imprenditoriale inserito in un mercato del lavoro flessibile. Anche in queste condizioni, tuttavia, vi saranno persone incapaci di produrre e altre che potranno avvantaggiarsi dei benefici della crescita economica solo dopo un periodo molto lungo. In queste circostanze, un’economia sana non può diventare un alibi per l’egoismo. La libertà economica è compatibile con quel tipo di carità che vuole aiutare il povero «più velocemente» (40). Ecco il messaggio di solidarietà che Papa Francesco propone a ciascuno di noi: «Ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni» (41).
Non è tanto una questione di politiche economiche, insiste Papa Francesco, ma di una trasformazione interiore che renda possibile la determinazione di soluzioni veramente efficaci: «Queste convinzioni e pratiche di solidarietà, quando si fanno carne, aprono la strada ad altre trasformazioni strutturali e le rendono possibili. Un cambiamento nelle strutture che non generi nuove convinzioni e atteggiamenti farà sì che quelle stesse strutture presto o tardi diventino corrotte, pesanti e inefficaci» (42).
Non sto suggerendo, si badi, che gli economisti favorevoli al libero mercato debbano adottare nel loro lessico i valori della povertà e del distacco dai beni materiali per ragioni tattiche. Dovrebbero, piuttosto, farli propri e viverli personalmente. Vi sono molti ragionevoli argomenti da opporre alle idee socialiste e totalitarie, ma rimane vero che una società libera sarà pienamente accettabile solo se animata dalla carità e da uno spirito di povertà cristiana.
5. Verso l’integrazione: un rafforzamento dall’interno
Uno spirito di povertà è davvero compatibile con un’economia di libero mercato? A prima vista, sembra che vi sia un’intrinseca contraddizione. Proverò a dimostrare che le cose stanno esattamente all’opposto. Si può «veramente amare la libertà» solo a patto di «amare la vera libertà». Comprendere ciò potrebbe essere una delle sfide-chiave che determinerà il futuro dell’economia libera.
5.1 I fondamenti morali di una società libera
Gli economisti del secolo XX hanno raramente rivolto la propria attenzione ai fondamenti morali di una società libera. Molti di loro hanno sostenuto la tesi che la libera concorrenza e la proprietà privata non presuppongono «necessariamente» valori egoistici o materialistici, aggiungendo che l’egoismo e il materialismo possono prosperare anche in regimi non di libero mercato. Spesso essi precisano pure che tali valori, in definitiva, non sono rilevanti, perché istituzioni basate sul mercato saranno capaci di ottenere buone ricadute sociali anche da cattive motivazioni individualistiche. Questa visione riceve il supporto di chi ha raccolto il lascito di Adam Smith [1723-1790], del quale riportiamo il celebre aforisma: «Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del panettiere che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del loro interesse» (43).
Si tratta, comunque, di un lascito travisato. Smith non cercava di giustificare l’egoismo. Intendeva evidenziare che non sempre l’interesse personale e la benevolenza si contrappongono l’un l’altro e che vi è bisogno d’istituzioni sociali che ci consentano di cooperare, anche in assenza di altruismo, in un’ottica di reciproco vantaggio (44). Smith, peraltro, era consapevole che il suo argomento era valido solo all’interno di un’adeguata cornice legale e istituzionale. Altrove, Smith aveva rimarcato l’importanza di un sistema affidabile per l’amministrazione della giustizia, esprimendo preoccupazione per l’eventualità che gli uomini d’affari agissero in collusione formando cartelli e monopoli; temeva, in altre parole, che la logica della massimizzazione del profitto portasse a compiere azioni che finiscono per danneggiare il mercato stesso (45).
Come si è già visto, non ci si può aspettare che le persone si comportino in maniera sempre irreprensibile. Sarei, tuttavia, propenso a sostenere che lo sviluppo sociale ed economico è sempre dipeso dalla misura in cui vi siano uomini e donne che riconoscono le verità morali fondamentali, mettendole in pratica negli affari, in politica e in altri ambiti della vita sociale. Questa convinzione era abbondantemente condivisa da Adam Smith e da altri esponenti dell’illuminismo scozzese, per i quali una società mercantile fa affidamento su determinate virtù «di base» senza le quali un ordine sociale imperniato sul mercato non potrebbe mai essere né messo, né tenuto in piedi (46).
5.2 Non è la «legge della giungla»
Permettetemi d’insistere su questo punto, poiché non è raro imbattersi in chi pensa che l’adozione del libero mercato comporti che «[…] tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole» (47). Questa non è, in realtà, la descrizione dei princìpi del libero mercato, ma della loro corruzione.
Ora, un’economia di libero mercato non implica necessariamente una «specifica» visione morale. È variegata la gamma di convinzioni morali e religiose rappresentata dai sostenitori della libertà economica. Rimane vero, tuttavia, che il relativista morale non potrà mai difenderla efficacemente, giacché si fonda su certi diritti fondamentali, fra cui il riconoscimento di valore e la tutela della proprietà privata; il diritto a che corti imparziali ed efficienti impongano il rispetto dei termini di un contratto; il diritto a iniziare un’onesta attività imprenditoriale senza essere costretti a versare tangenti a un pubblico ufficiale; il diritto a cercare un impiego o ad assumere un impiegato senza imbattersi in restrizioni imposte da gruppi d’interesse che violano sia i diritti fondamentali, sia il bene comune; il rispetto del principio di sussidiarietà nella fornitura di pubblici servizi; una tassazione congrua e minimale; una spesa pubblica contenuta; l’assenza di corruzione nel settore pubblico; un sistema monetario e bancario onesto e stabile.
È facile stilare liste di princìpi come questa. Molto difficile, invece, è passare alla pratica. Condizione necessaria per vederli applicati e rispettati è la presenza di cospicue costrizioni morali e istituzionali di fronte al ricorso alla violenza, alla frode e ad altre forme contrarie al mercato. Un’economia di mercato può «tollerare» alcune attività moralmente dubbie; ciò non significa, tuttavia, che viga la legge della giungla. L’espressione «libera concorrenza» è assai fuorviante se interpretata alla lettera; un tale sistema presuppone, infatti, un delicato equilibrio di obbligazioni morali e giuridiche.
Perciò, i princìpi fondamentali della libertà economica sono, in ultima analisi, connessi a una più ampia gamma di princìpi attinenti alla libertà sociale, politica e religiosa. Tutti questi, poi, presuppongono un certo numero sia d’istituzioni sociali — la famiglia, per esempio —, sia di norme culturali e d’impegni morali, senza i quali una società libera non si può né fondare, né preservare.
5.3 Preservare la libertà
Se si vuol difendere, al giorno d’oggi, la libertà economica, bisogna porsi, in esordio, degl’interrogativi sulla relazione esistente fra libertà, virtù ed economia. Il tema merita una riflessione profonda, poiché alcuni autorevoli studiosi hanno sostenuto che il capitalismo lede la virtù (48). Alcuni sostenitori del libero mercato hanno risposto a questa sfida, tendendo, tuttavia, verso un estremo opposto. Da questo punto di vista, la libertà economica sarebbe tutto ciò di cui si avverte il bisogno; in quanto il resto, benessere e moralità, scaturirebbe di conseguenza (49).
È probabilmente vero che un sistema di libero mercato incoraggi molte virtù e valori positivi, quali la parsimonia, l’onestà, la prudenza e la pace (50). Lo stesso sistema potrebbe, tuttavia, avere conseguenze morali dannose, quali il moltiplicarsi di relazioni impersonali e utilitaristiche o l’aumento della disistima nei confronti delle persone economicamente improduttive. I princìpi del libero mercato potrebbero anche ispirare un atteggiamento di eccessiva indulgenza nei confronti di attività che minano la moralità sociale. Si pensi, per esempio, alla pubblicità, che ha un ruolo legittimo nel mondo degli affari e che, tuttavia, potrebbe promuovere una malsana cultura del consumo o avvalersi di metodi che violano la dignità della persona (51). Un mercato competitivo potrebbe anche creare condizioni avverse per istituzioni sociali fondamentali come la famiglia (52). Si tratta di una questione cui gli economisti dovrebbero prestare attenzione non solo perché li interpella come esseri umani, ma proprio in quanto economisti, giacché la praticabilità di un ordine di mercato dipenderà proprio da queste istituzioni sociali.
L’argomento non ha a che fare con l’eventuale necessità o giustificazione dell’intervento statale. Il punto è che la libertà economica non va considerata come una realtà sociale isolata e autonoma. Potrebbe essere necessario contemperare gli eccessi di un ordine basato sul mercato tramite altri fattori culturali e istituzioni. Potremmo dire che il mercato abbisogna del sostegno di altre istituzioni culturali e sociali, e che queste, a loro volta, meritano protezione.
Se è vero che questi valori e queste istituzioni garantiscono la praticabilità morale di una società e di un’economia libere, allora la loro promozione e protezione riguarda a pieno titolo l’economia.
5.4 La rilevanza di Papa Francesco
L’approccio qui proposto non è del tutto originale. Alcuni economisti classici e, sulla loro scia, studiosi del secolo XX come Wilhelm Röpke [1899-1966] (53) e Michael Novak (54) hanno già offerto contributi importanti in questa stessa direzione. Personalmente, ritengo che anche Papa Francesco abbia aggiunto nuovi elementi al quadro e proverò a identificarne due. Il Papa non propone un sistema, ma ci invita alla conversione. Questo è il suo primo contributo. I sistemi sono importanti, ma non sufficienti. Pensare in termini di sistemi è un pericolo sempre in agguato per gli economisti e per gli studiosi di scienze sociali, in quanto la loro metodologia richiede un livello di astrazione che non può incorporare nella sua interezza la complessità delle persone reali. Molto, in realtà, dipende da fattori umani che non possono rientrare in modelli scientifici teorici.
Papa Francesco insiste, poi — ed è questo l’altro suo contributo —, sull’ideale cristiano consistente nello «spirito di povertà e di distacco». Questo, se correttamente inteso, va dritto al cuore della sfida. Non il denaro, ma l’amore disordinato per il denaro è l’origine di numerosi mali. Questa propensione è sempre in agguato, specialmente in presenza di grandi opportunità per la creazione della ricchezza. L’inclinazione all’avidità, nondimeno, riguarda tutti, non solo il ricco, e la tentazione a indulgervi non può essere eliminata per via legislativa. Il solo mezzo per sconfiggerla è una conversione morale che permetta di cogliere il vero significato della libertà. In questo senso, la libertà è qualcosa che dev’essere conquistata sempre di nuovo, non solo da ogni singola generazione ma da ogni singola persona, giorno dopo giorno.
6. Conclusione
Quella che ho offerto è un’ermeneutica di Papa Francesco da un’ottica favorevole all’economia libera. Non ho provato a dimostrare che Papa Francesco condivida personalmente le sue idealità, ma che le sue convinzioni morali possano accordarsi con una sana economia di libero mercato. Non solo: se ben compreso, il messaggio di Francesco sui valori economici non solo è accettabile, ma è anche benefico per la libertà economica. Ecco il paradosso. Gli economisti propugnatori di un’economia libera non devono aver timore del Papa: dovrebbero seguirlo, provare a consigliarlo dopo essere scesi sul suo stesso terreno e rendere il proprio messaggio più credibile, più allettante e più coerente.
Sarebbe esagerato sostenere che l’armonizzazione dello spirito di Papa Francesco con un’economia sana è un modo per «battezzare» l’economia. Le scienze economiche non sono avulse dal cristianesimo: vi è chi ha concluso che le prime analisi economiche su basi scientifiche siano state compiute dai teologi di Salamanca (55). Gilbert Keith Chesterton [1874-1936], poi, aveva ragione quando affermava che «il mondo moderno è pieno di antiche virtù cristiane impazzite»(56). E questo, in un certo senso, è vero anche per l’economia liberale.
Vi è ancora molto da fare. Francesco ha fatto un invito. Egli ribadisce l’importanza di virtù e di princìpi — povertà, carità e solidarietà — che riecheggiano nel cuore delle persone, perché contengono importanti «verità» morali e spirituali. Il compito a noi affidato è di discernere e d’interpretare quel messaggio correttamente, in modo che sia allo stesso tempo più profondo e più orientato alle realizzazioni pratiche, facendo buon uso della nostra comprensione dei princìpi economici. È evidente che questo tipo di riflessione spetti ai laici, cui compete emettere giudizi sulle realtà attinenti all’ordine temporale.
Vorrei sottolinearlo ancora una volta: il messaggio e il linguaggio di Papa Francesco potrebbero talvolta sembrare in contrasto con gl’ideali cari ai sostenitori del libero mercato ma, invece di costituirne una smentita, possono innescare una tensione positiva utile a purificare e ad arricchire il nostro pensiero economico; proprio come, nell’altra direzione, una teoria economica sana è necessaria per integrare il messaggio di Papa Francesco. Il risultato di tale sintesi non sarà un’economia di libero mercato «più di sinistra»; sarà un’economia di libero mercato «più vicina a Cristo» e, così, più vicina a una libertà vera, duratura e allettante.
Note:
(1) Cfr. Francesco, Esortazione Apostolica «Evangelii gaudium», del 24-11-2013 (d’ora in poi: EG). Mi riferisco agli aspetti concernenti le questioni sociali ed economiche discusse specialmente nei paragrafi 53-58 e 186-216 del documento. Va ricordato, comunque, che il tema centrale della EG è la missione evangelizzatrice della Chiesa e che, quindi, è all’interno di questo più ampio contesto che vanno interpretati suoi passi specifici.
(2) Pope Francis calls unfettered capitalism «tyranny» and urges rich to share wealth, in The Guardian, del 26-11-2013. In realtà, né la parola «capitalismo», né «sfrenato» compaiono nel testo dell’esortazione apostolica. Al n. 56 di EG, in ogni caso, si lamenta la distanza fra il ricco e il povero e si sostiene che l’«idolatria del denaro» e le«ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria» danno luogo a una «nuova tirannia».
(3) Matthew Yglesias, Pope Francis Strafes Libertarian Economics, pubblicata sul magazine online Slate il 26-11-2013. Cfr. l’articolo alla pagina Internet <http:// www.slate.com/ blogs/ moneybox/ 2013/11/26/ evangelii_gauddium_pope_francis_vs_libertarian_economics.html> (gl’indirizzi Internet del presente articolo sono stati consultati il 22-2-2015).
(4) Sembra che l’opinionista radiofonico Rush Limbaugh abbia detto: «È marxismo puro quello che esce dalla bocca del Papa». Cfr. Neil Ormerod, Is the Pope a Marxist?, in Eureka, vol. 23, n. 24, del 16-12-2013. L’articolo è consultabile alla pagina Internet <http:// www.eurekastreet.com.au/ article.aspx?aeid=38645>.
(5) Cfr. per esempio Michael Novak, Agreeing with Pope Francis, inNational Review Online, del 7-12-2013, consultabile alla pagina Internet <http:// www.nationalreview.com/ article/365720/ agreeing-pope-francis-michael-novak>.
(6) Genevieve Jordan Laskey, Pope Francis: Liberation Theologian? Not So Fast, in Millennial Journal, del 12-6-2013, consultabile alla pagina Internet <http:// millennialjournal.com/ 2013/06/12/ pope-francis-liberation-theologian-not-so-fast>.
(7) [Nel testo originale «economic liberals». Sulla sovrapponibilità delle due designazioni nei rispettivi contesti linguistici cfr. Ralph Raico,Classical Liberalism and the Austrian School, Ludwig von Mises Institute, Auburn (Alabama) 2012, p. 273 e nota.]
(8) Nell’Index of economic freedom pubblicato annualmente dallaHeritage Foundation e dal Frazer Institute si trovano articolazioni ancor più dettagliate.
(9) [Cfr. Friedrich A. von Hayek, Studi di filosofia, politica ed economia, trad. it., Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1998, p. 465.]
(10) Cfr. EG, nn. 202-216.
(11) «Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune» (EG, n. 189). «La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo»(EG, n. 203).
(12) Cfr. EG, n. 56, come pure il passo «Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato» (EG, n. 204).
(13) Cfr. EG, n. 54.
(14) EG, n. 53.
(15) «Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli» (EG, n. 55).
(16) Per una sintesi della nozione cristiana di povertà come espressa da Papa Francesco, cfr. Samuel Gregg, Pope Francis on the True Meaning of Poverty, in Crisis Magazine, del 5-6-2013. Cfr. una traduzione italiana dell’articolo alla pagina Internet <http:// it.acton.org/ article/ 07/03/2013/ papa-francesco-sul-vero-significato-della-povertà>. Cfr. anche card. Robert Sarah, Reflexiones sobre el sentido de la pobreza en el Papa Francisco, in Palabra, marzo 2014, pp. 8-13.
(17) EG, n. 2.
(18) Ibidem.
(19) Cfr., per esempio, Francesco, Omelie del mattino nella Cappella Domus Sanctae Marthae, 3 voll., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, vol. I, 22 marzo-6 luglio.
(20) Cfr. Idem, Lontani dalla mondanità, del 30-4-2013 (ibid., pp. 111-113), e Per smascherare gli idoli nascosti, del 6-7-2013 (ibid., pp. 231-234).
(21) Cfr. Idem, I segni della gratuità, dell’11-6-2013 (ibid., pp. 247-249).
(22) Cfr. Idem, Alla ricerca del vero tesoro, del 21-6-2013 (ibid., pp. 283-285).
(23) Idem, Parole in occasione della Veglia di Pentecoste con i movimenti, le nuove comunità, le associazioni e le aggregazioni laicali, del 18-5-2013, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 19/20-5-2013.
(24) Cfr. il Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2014, del 26-12-2013.
(25) EG, n. 56.
(26) Cfr. Philip Booth, Has Pope Francis misunderstood the market economy?, in The Tablet, Londra 4-12-2013, consultabile alla pagina Internet <http:// www.thetablet.co.uk/ blogs/ 1/164/ has-pope-francis-misunderstood-the-market-economy>.
(27) Cfr. Nicolás Cachanosky, Pope Francis, Income Inequality, Poverty, and Capitalism, pubblicato l’11-12-2013 sul Mises blog, alla pagina Internet <http:// bastiat.mises.org/ 2013/12/ pope-francis-income-equality-poverty-and-capitalism>. L’articolo offre una buona sintesi dei rilevanti dati economici. Cfr. anche Gary Galles, In Trusting Politics and Politicians, It Is the Pope Who is Naïve, in Mises Daily, del 28-12-2013, alla pagina Internet <http:// mises.org/ daily/ 6618/ In-Trusting-Politics-and-Politicians-It-Is-the-Pope-Who-is-Na239ve>. Galles conclude: «Di fatto, ciò che il Papa disapprova non sono effetti del capitalismo, quanto piuttosto del capitalismo clientelare, che ne è la caricatura. Infatti, quest’ultimo si traduce in una forma di controllo statale, non in quell’auto-determinazione dei singoli che il capitalismo genuino rende possibile. L’equivoco nella Evangelii Gaudium è particolarmente problematico. Incoraggiati da questo documento, i politici, al fine di “correggere” il capitalismo — che è per l’economia una benedizione di dimensioni gigantesche e non il problema —, potrebbero orientarsi verso soluzioni che sottomettono un numero ancora maggiore di scelte individuali ai diktat statali; queste, a loro volta, genererebbero un capitalismo ancor più clientelare. E, annullando i diffusi benefici del capitalismo, finirebbero per nuocere proprio alle persone che Francesco desidera proteggere».
(28) Al n. 54 della EG si dice che «[…] alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo». In un articolo scritto a ridosso della pubblicazione dell’esortazione apostolica, probabilmente sull’onda lunga della reazione emotiva, Gregory Mankiw faceva notare — in ogni caso, giustamente — che l’espressione trickle-down, che nel testo ufficiale inglese del documento traduce «ricaduta favorevole»,«[…] non denota una teoria, ma è usata in senso peggiorativo da uomini culturalmente di sinistra per stigmatizzare un punto di vista da loro osteggiato. È equivalente all’espressione soak-the-rich [«mungere il ricco»] che a destra si usa per riferirsi a teorie di sinistra. È triste constatare che il Papa usi un peggiorativo, invece di incoraggiare una discussione senza preconcetti fra prospettive antagoniste» (Greg Mankiw, The Pope’s Rhetoric, del 30-11-2013, consultabile alla pagina Internet <http:// gregmankiw.blogspot.it/ 2013/11/ the-popes-rhetoric.html>).
(29) Papa Francesco lo ha dichiarato in un’intervista rilasciata dopo la promulgazione dell’esortazione apostolica: «Non ho parlato da un punto di vista tecnico, ho cercato di presentare una fotografia di quanto accade. L’unica citazione specifica è stata per le teorie della “ricaduta favorevole”, secondo le quali ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. C’era la promessa che quando il bicchiere fosse stato pieno, sarebbe trasbordato e i poveri ne avrebbero beneficiato. Accade invece che quando è colmo, il bicchiere magicamente s’ingrandisce, e così non esce mai niente per i poveri. Questo è stato l’unico riferimento a una teoria specifica. Ripeto, non ho parlato da tecnico, ma secondo la dottrina sociale della Chiesa. E questo non significa essere marxista» (cit. in Andrea Tornielli, Mai avere paura della tenerezza, in La Stampa, Torino 15-12-2013). Si noti come le teorie della «ricaduta favorevole» che Francesco descrive non rimandino a omonime teorie accademiche elaborate all’interno della branca nota come «economia dello sviluppo», ma ad argomenti elaborati da sostenitori di un’economia di libero mercato, ovviamente riportati nel modo in cui Papa Francesco li ha compresi.
(30) Francesco, Discorso in occasione della presentazione delle lettere credenziali degli ambasciatori di Kyrgyzstan, Antigua e Barbuda, Lussemburgo, Botswana presso la Santa Sede, del 16-5-2013, inL’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 17-5-2013.
(31) Rich Lizardo, Why Progressives Are Wrong about Pope Francis and Poverty, in The Spectacle Blog, del 6-6-2013, consultabile alla pagina Internet <http:// spectator.org/ blog/ 53986/ why-progressives-are-wrong-about-pope-francis-and-poverty>.
(32) EG, n. 208.
(33) Cit. in S. Gregg, art. cit.
(34) EG, n. 204.
(35) «Una riforma finanziaria che non ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni contesto. Il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano» (EG, n. 58).
(36) Phil Lawler, What capitalists should learn from the Pope’s critique, in Catholic Culture, 16-5-2013, alla pagina Internet <http:// www.catholicculture.org/ commentary/ otn.cfm?id=981>. Questo articolo è stato scritto in occasione di un pronunciamento papale minore (cfr. n. 29), ma molte sue conclusioni sono largamente applicabili anche alla EG.
(37) [John Emerich Edward Dalberg Acton, Lettera del 5-4-1887 al vescovo anglicano Mandell Creighton, in Louise Creighton (a cura di),The life and letters of Mandell Creighton, 2 voll., Longmans, Green & Co., Londra 1904, vol. 1, pp. 371-372 (p. 372).]
(38) Cfr. l’ormai classico Gary Stanley Becker [1930-2014], Delitto e castigo: un’analisi economica, 1968, trad. it., in Idem, L’approccio economico al comportamento umano, il Mulino, Bologna 1998, pp. 141-180.
(39) [Cfr. il capitolo Sull’etica in Clive Staples Lewis, Riflessioni cristiane, trad. it., Gribaudi, Milano 1997, pp. 71-86.]
(40) Ovviamente un tale aiuto sarà veramente efficace solo ove contribuisca allo sviluppo dei talenti e delle capacità, quelli che mettono in grado le persone di aiutarsi da sole. Nella maggior parte dei casi vi è bisogno d’investimenti nella formazione professionale, e la persona in questione potrebbe trovarsi nella condizione di non poter finanziare tale investimento o di non riuscire a vederne i vantaggi nel lungo periodo. Un sostenitore del libero mercato avrà degli argomenti per opporsi alla copertura di questo fronte mediante risorse provenienti dalla raccolta fiscale; in questo caso, però, bisognerà trovare risorse equivalenti tramite altri mezzi. Vi è un atteggiamento abbastanza diffuso fra i liberisti: all’incirca quello di pensare che, sì, sarebbe bello se le persone fossero generose e caritatevoli, ma questa non è materia di loro competenza. In ogni caso, siccome le persone non sono generose con i loro talenti, tempo e ricchezza perché a loro piace così, è allora necessario incoraggiarle a esserlo. Questo incoraggiamento può assumere varie forme, personali o istituzionali. Si può tradurre in una predica, in una chiacchierata amichevole… o in politiche fiscali.
(41) EG, n. 188.
(42) EG, n. 189.
(43) Adam Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, 1776, trad. it., 2 voll., Mondadori, Milano 1973, vol. I, p. 18.
(44) «L’uomo ha invece quasi sempre bisogno dell’aiuto dei suoi simili e lo aspetterebbe invano dalla sola benevolenza altrui» (ibidem).
(45) Ecco ciò che gli economisti pro-libero mercato chiamano «capitalismo clientelare»: lo sfruttamento di amicizie politiche per ottenere sovvenzioni, barriere d’ingresso e altri privilegi anti-mercato. Per questa ragione, alcuni sono arrivati alla conclusione che sia necessario «proteggere il capitalismo dai capitalisti», che sia, cioè, necessario tutelare il sistema di libera concorrenza, di uguali diritti imprenditoriali, di mercato flessibile del lavoro da quei produttori e da altri gruppi d’interesse pronti a fare ricorso a mezzi sociali e politici disonesti, «bustarelle» e corruzione inclusi. Si tratta di una sfida colossale non solo per le cosiddette economie sottosviluppate, ma anche per l’Europa e per gli Stati Uniti d’America.
(46) Adam Smith si sofferma su questi temi in La teoria dei sentimenti morali, scritta nel 1759 (cfr. A. Smith, La teoria dei sentimenti morali, trad. it., Rizzoli, Milano 1995). Cfr. anche gli eccellenti Ryan Patrick Hanley, Adam Smith and the Character of Virtue, Cambridge University Press, New York e Cambridge (Regno Unito) 2009, e Idem, Social Science and Human Flourishing: The Scottish Enlightenment and Today, in Journal of Scottish Philosophy, n. 7, n. 1, Edinburgh University Press, Edimburgo marzo-giugno 2009, pp. 29-46. Sugli altri pensatori dell’illuminismo scozzese che influenzarono Smith sul tema della moralità, cfr. S. Gregg, Metaphysics and Modernity: Natural Law and Natural Rights in Gershom Carmichael and Francis Hutcheson, ibid., anno VII, 2009, pp. 87-102. Più in generale, sulla storia della riflessione sui fondamenti morali dell’ordine mercantile, cfr. i primi quattro capitoli di Idem, The Commercial Society: Foundations and Challenges in a Global Age, Lexington Books, Lanham (Maryland) 2007.
(47) EG, n. 53.
(48) Questa tesi s’inserisce in un lungo filone di elaborazione teorica, all’interno del quale troviamo Adam Ferguson [1723-1815], un contemporaneo di Adam Smith, e altri pensatori e ideologi quali Karl Marx [1818-1883], Karl Polanyi [1886-1964], Charles K. Wilber e Amintore Fanfani [1908-1999]. Le loro posizioni sono esaminate in Andrew M[ichael]. Yuengert, Free Markets and Character, in The Catholic Social Science Review, anno 1, Charlottesville (Virginia) 1996, pp. 99-110. Cfr. un’argomentazione formulata di recente, che ha avuto grande considerazione, in Richard Sennett, The Corrosion of Character: The Personal Consequences of Work in the New Capitalism, W. W. Norton, Londra e New York 1998.
(49) Cfr. una valutazione critica in A. M. Yuengert, art. cit.
(50) Che il commercio abbia un impatto civilizzatore che porta alla diminuzione di guerre e di rivoluzioni è un argomento classico. Lo si trova formulato, per esempio, in Alexis de Tocqueville [1805-1859], La democrazia in America, 1835-1840, trad. it., Rizzoli, Milano 2004, pp. 695-699.
(51) Cfr. un’eccellente riflessione sul consumismo da parte di un autore che condivide i princìpi del libero mercato, in A. M. Yuengert,Free Markets and the Culture of Consumption, in Philip Booth (a cura di), Catholic Social Teaching and the Market Economy, Institute of Economic Affairs, Londra 2007, pp. 145-163. Ovviamente, un consumismo malsano può essere promosso anche da politiche anti-mercato, come quelle che prevedono l’espansione artificiale del credito.
(52) Sulle interazioni fra la famiglia e il mercato del lavoro, cfr. Nuria Chinchilla e Consuelo León, Female Ambition: How to Reconcile Work and Family, Palgrave Macmillan, New York 2005; N. Chinchilla e Maruja Moragas, Masters of Our Destiny, EUNSA, Pamplona (Spagna) 2008; N. Chinchilla, The business of looking after the family, pubblicato suMercatorNet il 7-8-2009 e consultabile alla pagina Internet <http:// www.mercatornet.com/ articles/ view/ the_business_of_looking_after_the_family>.
(53) Cfr. specialmente Wilhelm Röpke, Al di là dell’offerta e della domanda: verso un’economia umana, trad. it., Edizioni di Via Aperta, Milano 1965. Cfr. un’analisi sistematica del pensiero di Röpke, in S. Gregg, Wilhelm Röpke’s Political Economy, Edward Elgar, Chichester (Regno Unito) 2010.
(54) Cfr. specialmente M. Novak, Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo, trad. it., Studium, Roma 1987. Sul pensiero di Novak, cfr. George Weigel, American and Catholic: Michael Novak’s achievement, in City Journal, Manhattan Institute for Policy Research, New York inverno 2014, consultabile alla pagina Internet <http:// www.city-journal.org/ 2014/ 24_1_michael-novak.html>, e Flavio Felice, Ma il capitalismo è cristiano?, in Avvenire. Quotidiano d’ispirazione cattolica, Milano 30-8-2012, consultabile alla pagina Internet <http:// www.avvenire.it/ Cultura/Pagine/ CapitalismoeCristianesimo.aspx>.
(55) A quanto pare, questa tesi è stata esplicitamente formulata per la prima volta in Joseph Alois Schumpeter [1883-1950], Storia dell’analisi economica, 1954, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino 1990.
(56) Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia, 1908, trad. it., Lindau, Torino 2010, p. 42.