Laura Boccenti, Cristianità n. 385 (2017)
«Via pulchritudinis»
1. Che cos’è la Via pulchritudinis
Il magistero degli ultimi pontificati ha indicato nella Via pulchritudinis un itinerario privilegiato della nuova evangelizzazione.
In particolare san Giovanni Paolo II (1978-2005), instancabile indagatore dei segni dei tempi, ha rivolto ai filosofi un appello a ricercare il fondamento del vero, del buono e del bello, richiamando l’unità delle tre dimensioni dell’essere su cui si fonda la via pulchritudinis: «Mentre non mi stanco di richiamare l’urgenza di una nuova evangelizzazione, mi appello ai filosofi perché sappiano approfondire le dimensioni del vero, del buono e del bello, a cui la parola di Dio dà accesso. Ciò diventa tanto più urgente, se si considerano le sfide che il nuovo millennio sembra portare con sé: esse investono in modo particolare le regioni e le culture di antica tradizione cristiana. Anche questa attenzione deve considerarsi come un apporto fondamentale e originale sulla strada della nuova evangelizzazione» (1).
Una richiesta che può sorprendere, ma che si spiega facilmente con il fatto che il bello è collegato naturalmente al vero e al bene e, contemporaneamente, sembra dire più del vero o del bene, presi ciascuno separatamente. Infatti, dire di un essere che è bello non significa solo riconoscergli un’intelligibilità e una bontà che lo rendono conoscibile e desiderabile; è anche entrare nell’orbita della sua attrazione attraverso un influsso capace di suscitare meraviglia e gioia.
Il documento del Pontificio Consiglio della Cultura dedicato alla Via pulchritudinis mette in luce il nesso vero-bene-bello, sottolineando la specificità della bellezza: «[…] il bello esprime la realtà stessa nella perfezione della sua forma. Esso ne è l’epifania. Esso la manifesta esprimendo la sua intima chiarezza. Se il bene esprime il desiderabile, il bello esprime ancor più lo splendore e la luce di una perfezione che si manifesta» (2). La bellezza, in quanto rivelazione della perfezione della forma, riesce a stabilire con immediatezza un contatto con il senso profondo della realtà.
Nessuna delle tre dimensioni, tuttavia, può fare a meno delle altre, perciò va stabilito un adeguato rapporto fra esperienza razionale, esperienza etica ed esperienza estetica. Ciascuna di esse, singolarmente presa, non riesce a mettere in comunione l’uomo con la realtà. Il predominio della verità astratta tende verso il razionalismo e determina un atteggiamento di dominio sull’oggetto conosciuto; la ricerca del bene senza fondamento nella verità diventa convenzionalismo etico o buonismo; la bellezza che non è rivelazione della verità e del bene diventa estetismo vuoto e «moda».
Solo l’unità delle tre dimensioni, e la circolarità fra di loro, rendono possibili l’accesso e l’incontro con il senso della realtà.
Questo problema è stato assunto tematicamente dal teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905-1988). Fin dal 1947, anno della pubblicazione di Verità del mondo, egli inserisce come chiave di volta di tutto il suo impianto teologico e filosofico l’articolazione dei trascendentali vero-buono-bello (3). Successivamente, nella sua opera maggiore, la Trilogia (4) — Gloria, Teodrammatica, Teologica —, il rapporto fra i trascendentali viene invertito in bellezza-bontà-verità. Il capovolgimento è motivato dal legame esistente fra Dio e la creazione. Per von Balthasar, infatti, l’atto di essere, partecipato da Dio alla sua creatura, si svela nel suo manifestarsi, nel suo donarsi senza tregua, e la bellezza non è che la «visione» dell’atto di essere che sta a fondamento di un ente, facendolo esistere, grazie alla sua forma, come «quell’ente». L’esperienza della bellezza si rivela così come esperienza originaria dell’essere, dipendente dall’intima natura dell’essere stesso, la cui verità consiste nello svelamento, nella non chiusura in sé, nel non-nascondimento (a-létheia), in altre parole, nella sua natura di dono di sé.
Nel momento della percezione l’uomo coglie l’ente non solo nella sua materialità, ma anche nella sua totalità unificata che comprende pure l’essenza, cioè la forma che lo costituisce come quella realtà determinata.
In questa prospettiva l’esperienza della bellezza si manifesta come percezione dello sfondo misterioso dell’essere che traspare (grazie alla forma) attraverso tutti i fenomeni: «essa [la bellezza] forma l’arco che sostiene i due pilastri costituiti dalla verità e dalla bontà» (5).
La svolta proposta da von Balthasar è semplice e geniale: sceglie il pulchrum, il bello, perché risulta fondamentale. In effetti, quando percepiamo la forma concreta di una cosa, nella sua bellezza possiamo vedere la sua verità e la sua bontà: «La forma che si manifesta è bella solo in quanto la compiacenza che essa suscita si fonda sull’automanifestazione e sull’autodonazione della verità e bontà profonde della realtà stessa, la quale rivela così, in questo dono e manifestazione di sé, l’inesauribilità e l’infinità del suo fascino e del suo valore» (6).
Ciò significa che partendo dal bello di una forma, che è la prima cosa che appare e si manifesta, sarà possibile rendersi conto anche della sua verità e della sua bontà: la luce che si sprigiona dall’essere, e che cogliamo come bellezza, trasmette anche la «percezione» di verità e di bontà.
2. Perché la «Via pulchritudinis»
Se lo splendore dell’essere è la prima cosa che vede un bambino o che capisce un uomo semplice, partire dalla bellezza significa presentare alla ragione il volto originario del vero e del bene nella loro reciprocità assoluta.
L’uomo d’oggi non è più portato a contemplare le bellezze del creato come epifania di Dio, ma è piuttosto rivolto ad esse per vedervi una materia da strumentalizzare e da dominare con la tecnologia. Perciò, avvicinare la realtà a partire dalla categoria del bello, significa proporre uno sguardo sul mondo capace di vedere la sua gratuità, destando in questo modo nell’uomo la coscienza di sé e del reale, staccandolo dall’abituale modo di riferirsi alle cose nella loro materialità e trascinandolo verso un senso più profondo e più alto.
La Via pulchritudinis, assumendo l’estetica come metodo, suggerisce di tornare alla fonte originaria dell’esperienza — la percezione della forma —, che è la stessa fonte della filosofia e della teologia, dove i tre trascendentali, verum-bonum-pulchrum, sono fra loro inscindibili.
La separazione dei trascendentali, affermatasi progressivamente in Occidente con l’inizio della modernità, ha lasciato nella cultura un solco profondo e ha prodotto una visione unilaterale e parziale in ogni ambito dell’esistenza e del sapere filosofico e teologico.
Il metodo estetico, muovendo dall’unità originaria dell’esperienza, sembra essere un buon punto di partenza per ricostruire l’unità del sapere e per raggiungere, in particolare, il cuore stesso della teologia. Sorgente prima dell’estetica, infatti, è il fatto fondamentale dell’Incarnazione in cui splende la bellezza della Forma Assoluta.
Ciò che è manifestato, e viene percepito, nella forma di Cristo è lo stesso Amore di Dio che possiede in sé le condizioni per comunicarsi e farsi conoscere, mediante il dono della grazia, ridestando l’amore umano assopito e spento.
La gloria di Dio, resa visibile in Gesù Cristo, affascina e rapisce l’uomo. Essa manifesta il Dio Uno e Trino il cui misterioso splendore, la cui gloria appunto, restando assolutamente sé stessa, attraversa tutto lo sconfinato campo degli esseri esistenti e vi imprime il suo sigillo, così che questi a loro volta possono esprimere la bellezza ricevuta.
Una bellezza che riguarda ogni aspetto del creato: la realtà naturale, con i suoi paesaggi incontaminati e quelli modificati dall’uomo, l’arte dei grandi maestri e anche l’armonia della vita quotidiana e i costumi, e, più in profondità, riguarda l’amore e la forza attrattiva sprigionata dalla visione della bellezza fisica e spirituale della persona.
3. «Via pulchritudinis» e apostolato contro-rivoluzionario
Per secoli il processo rivoluzionario ha eroso la cultura occidentale e cristiana in ogni suo aspetto, contrapponendo fra loro senza posa i frantumi delle diverse dimensioni dell’essere.
Nella nostra epoca, soffocata dalla «dittatura del relativismo» (7), carattere dominante dell’attuale crisi antropologica e culturale, risulta particolarmente difficile cogliere l’unità dell’essere partendo dalla riflessione sulla verità e sul bene; la via del bello, invece — proprio per il fatto di fondarsi sulla percezione della forma —, può risultare più agevole rispetto alla via del vero o a quella del buono (vie che comunque non vanno mai abbandonate) per riscoprire il fondamento unitario dell’essere.
Anche la scuola cattolica contro-rivoluzionaria, che si occupa tematicamente della lettura teologica e filosofica della storia e della sua interpretazione, ha proposto la Via pulchritudinis come una via particolarmente adeguata al nostro tempo.
Non a caso il pensatore e uomo d’azione cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), importante esponente della scuola cattolica contro-rivoluzionaria del secolo XX, nel centesimo anniversario della nascita è stato ricordato con la pubblicazione di una selezione di sue riflessioni (8), che presentano una concordanza significativa con il documento del Pontificio Consiglio della Cultura dedicato alla Via pulchritudinis. In particolare le considerazioni sullo stupore di fronte al mistero dell’essere che traspare dal creato, il tema delle arti maggiori e minori — come l’abbigliamento, gli ambienti, la cucina —, l’analisi della vita dei santi, delle cerimonie e della liturgia della Chiesa, si presentano come sviluppi e applicazioni dei tre itinerari proposti nel documento del Pontificio Consiglio della Cultura sulla Via pulchritudinis:
1. La bellezza della creazione.
2. La bellezza delle arti.
3. La bellezza di Cristo, modello e prototipo della santità cristiana.
Anche la via del bello, tuttavia, non è esente da rischi: «L’uomo spesso rischia di lasciarsi intrappolare dalla bellezza presa in se stessa, icona divenuta idolo, mezzo che inghiottisce il fine, verità che imprigiona, trappola in cui cade un gran numero di persone, per mancanza di un’adeguata formazione della sensibilità e di una corretta educazione alla bellezza» (9). Ne I fratelli Karamazov, dello scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881), «Dmitrij Karamazov confida a suo fratello Alëša: “La Bellezza è una cosa terribile. È la lotta tra Dio e Satana e il campo di battaglia è il mio cuore”» (10). Inoltre «una certa abitudine alla bruttezza, al cattivo gusto, alla volgarità, si vede promossa sia dalla pubblicità sia da alcuni “artisti folli” che fanno dell’immondo e del brutto un valore, al fine di suscitare scandalo» (11).
Si tratterà allora di educarci a discernere, con sant’Agostino d’Ippona (354-430), fra mezzo e fine, verità e illusione: «Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ecco Tu eri dentro di me, io stavo al di fuori: e qui ti cercavo, e deforme quale ero mi buttavo su queste cose belle che Tu hai creato. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, e hai vinto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace» (12).
Note:
(1) Giovanni Paolo II, Lettera enciclica «Fides et ratio» circa i rapporti tra fede e ragione, del 14-9-1998, n. 103.
(2) Cfr. Pontificio Consiglio della Cultura, La «Via pulchritudinis». Cammino privilegiato di evangelizzazione e di dialogo, del 27/28-3-2006, II, 2.
(3) Cfr. Hans Urs von Balthasar, Verità del mondo, trad. it., Jaca Book, Milano 2010.
(4) Cfr. Idem, Gloria. Una estetica teologica, trad. it., 7 voll., Jaca Book, Milano 1985; Teodrammatica, ibid., 5 voll, 1980-1986; Teologica, ibid., 3 voll., 1992-1997.
(5) Idem, Uno sguardo d’insieme sul mio pensiero, trad. it., in Communio, anno 17, n. 105, Milano maggio-giugno 1989, pp. 39-44 (p. 42) (ora in Idem, La mia opera ed epilogo, trad. it., Jaca Book, Milano 1994, pp. 87-91).
(6) Idem, Gloria. Una estetica teologica, cit., vol. I, La percezione della forma, p. 104.
(7) Cfr. card. Joseph Ratzinger, Omelia della Messa pro eligendo romano Pontifice, del 18-4-2005, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 19-4-2005.
(8) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Innocenza primordiale e contemplazione sacrale dell’universo, trad. it., Cantagalli, Siena 2013.
(9) Cfr. Pontificio Consiglio della Cultura, doc. cit., II, 2.
(10) Ibidem.
(11) Ibidem.
(12) Sant’Agostino d’Ippona, Confessioni, libro X, cap. XXVII.