Estanislao Cantero Nuñez, Cristianità n. 258 (1996)
1. Introduzione
Trattare delle cause dell’alzamiento nazionale del luglio del 1936 non equivale a trattare delle cause di una guerra durata quasi tre anni. Con altre concause, quella principale di quest’ultima fu proprio il fallimento dell’alzamiento, che era stato concepito come un golpe militare destinato a trionfare in pochi giorni. Quindi non tratterò delle cause della guerra, più ampie di quelle dell’alzamiento — anche esse furono le cause immediate di quella — e determinanti il prolungarsi del conflitto armato. Così accade, per esempio, con la cosiddetta internazionalizzazione del conflitto dovuta alla partecipazione di truppe e di materiali stranieri; ovvero con la caparbietà della parte rossa nel prolungare il conflitto anche in assenza di ogni ragionevole speranza di vittoria, almeno dopo due avvenimenti cruciali. Il primo si verificò quando, dopo il fallimento dell’offensiva di Teruel, l’avanzata delle truppe nazionali produsse la divisione della sua zona in due, raggiungendo il Mediterraneo il 15 aprile 1938; il secondo, dopo la sconfitta nella battaglia dell’Ebro, il 18 novembre dello stesso anno. In entrambi i casi erano già falliti i tentativi dei rossi di far intervenire in Spagna la Francia e la Gran Bretagna contro i nazionali, perché le manovre del ministro della Difesa Indalecio Prieto y Tuero, a Parigi agli inizi del 1938, risultarono infruttuose e nel settembre dello stesso anno vennero firmati gli accordi di Monaco. E, soprattutto, era fallito il tentativo di nascondere al mondo la rivoluzione che si era prodotta contro la Repubblica nella zona rossa: “il grande inganno” dei repubblicani — come lo qualificò José María García Escudero — consistente nel continuare a presentare la Repubblica come un regime democratico, quando un tale regime era morto a opera di socialisti, di comunisti e di anarchici.
Allo stesso modo, parlare delle cause dell’alzamiento non equivale a parlare delle cause, delle motivazioni e delle origini immediate del regime iniziato durante la guerra e istituito dopo la vittoria. Se l’alzamiento avesse trionfato in breve oppure se la guerra fosse durata pochi mesi, l’esito politico sarebbero stato, con ogni evidenza, diverso.
Mi accingo, dunque, a trattare esclusivamente delle cause all’origine dell’alzamiento militare del luglio del 1936 e della motivazione popolare, che provocò immediatamente un arruolamento volontario nelle file nazionali. Ma, prima di tutto, mi interessa sottolineare, fin dall’inizio, la falsità di alcune versioni dei fatti attualmente più diffuse.
La versione “politica” e “ideologica”, diffusa in Spagna soprattutto dopo la nuova restaurazione che ha rotto con la legalità precedente, secondo cui l’alzamiento fu soltanto la sollevazione — illegale — dei militari contro la legittimità della Repubblica, è semplicemente propaganda, ma non storia, anche se buona parte di quanti si definiscono storici, e tali sono generalmente considerati, ha contribuito a diffonderla. Ancor meno si può sostenere che fu una sollevazione del fascismo contro la democrazia; e neppure una reazione borghese o delle classi dominanti in difesa dei loro privilegi di classe, come con assoluta sfacciataggine afferma Manuel Tuñón de Lara, il tutto dovuto al fatto che la destra non accettò la propria sconfitta elettorale nel febbraio del 1936; oppure che si trattò di una ribellione dei militari, delle classi conservatrici e della Chiesa contro la ragione e la libertà incarnate in una Repubblica, che aveva tentato senza successo di condurle a una soluzione moderna, come con completo misconoscimento dei fatti ha proposto Aldo Garosci.
L’alzamiento fu soltanto un pronunciamiento o golpe militare contro un sistema politico che aveva dimostrato in modo inequivoco non solo la propria inettitudine, ma la propria arbitrarietà e conculcato le basi elementari di ogni Stato di diritto. In sé stesso, fu solamente la reazione di alcuni militari, che non potevano assistere inerti alla distruzione della loro patria nel disordine, nel settarismo, nel partitismo e nell’anarchia, tutto questo tollerato, auspicato e perfino provocato dallo stesso governo della nazione. Quando si verificò l’alzamiento, il governo era privo di ogni legittimità d’esercizio e il sistema instaurato con il golpe dell’aprile del 1931 aveva mostrato in modo definitivo la sua radicale incapacità di garantire la convivenza. Tanto l’uno che l’altro erano falliti facendo scomparire le sia pur minime condizioni di imparzialità, di mantenimento dell’ordine pubblico e di orientamento della res publica al bene comune, esigibili da ogni governo.
2. Il significato della religione cattolica per la Spagna
Tuttavia, per comprendere l’alzamiento in tutta la sua portata è necessario trattare — anche se brevemente — della storia di Spagna e specialmente della Seconda Repubblica. Infatti, anche se gli avvenimenti verificatisi dopo le elezioni del febbraio del 1936 furono determinanti per scatenare l’alzamiento, è certo che questo fu possibile grazie a determinate concause, che si produssero fin dall’avvento della Repubblica e che esplosero dopo tali elezioni. Tuttavia, se il comportamento di governo e politico dopo le elezioni fosse stato diverso, l’alzamiento non si sarebbe verificato. Così, questo fatto si inquadra, prolungandole, nelle lotte e nelle guerre che si verificarono in Spagna fra la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione.
Al verificarsi della rottura della Cristianità medievale — culminata con la pace di Westfalia del 1648 ma preceduta dalla rottura religiosa di Lutero, da quella etica di Machiavelli, politica di Bodin e giuridica di Grozio e di Hobbes — l’Europa abbandonò il cammino che aveva percorso fino ad allora. Mentre si costruiva l’Europa moderna a spese della Cristianità antica, la Spagna seguì una strada diversa, la stessa seguita dall’Europa fino ad allora. Così, trasferì dall’altra parte dell’Oceano una nuova Cristianità e lottò contro la nuova Europa, finché, stremata, si chiuse in sé stessa; e si mantenne su questa via non solo durante i secoli XVI e XVII, ma anche durante il secolo XVIII: i “lumi” spagnoli furono diversi da quelli europei, dal momento che la Spagna rimase sostanzialmente cattolica e, alla fine del secolo, la guerra del 1793 contro la Rivoluzione francese fu autenticamente popolare.
Il fatto è che, se l’Europa — l’Europa della Cristianità — fu in gran parte opera della religione cattolica e della Chiesa, nel caso della Spagna e degli spagnoli tale opera fu determinante per il suo essere. Questo fino al punto che, da quando esiste la Spagna come entità politica coesa e differenziata, la si trova vincolata alla tradizione cattolica come parte costitutiva della sua tradizione politica, plasmata in leggi, in istituzioni, in forme di vita e in stili di comportamento. La sua unità poggiò sulla solida base dell’unità cattolica. “L’instaurazione dei comandamenti di Cristo come leggi per il vivere sociale”, secondo l’espressione di Francisco Elías de Tejada y Spínola, o la sottomissione della politica alla dottrina cattolica per la maggior gloria di Dio e per il bene delle anime riassumono in modo adeguato tale qualità costitutiva. Così, la Spagna e gli spagnoli si forgiano, si sviluppano e maturano nell’opposizione plurisecolare all’islam e al protestantesimo, nella difesa, nella diffusione e nel rafforzamento della Cristianità. Lo si percepisce con chiarezza, oltre che nei testi teologici, filosofici, giuridici, politici e apologetici, che dal Medioevo giungono ai nostri giorni senza soluzione di continuità, nelle successive guerre contro la Rivoluzione: guerra del 1793, guerra d’indipendenza del 1808, guerra realista del 1821 e le tre guerre carliste del secolo XIX. Ebbene, l’alzamiento del 1936 fu, in larga misura, continuazione e culmine di tale traiettoria.
Tuttavia, questo stato di cose cambiò radicalmente durante il secolo XIX. Dopo la fioritura patriottica della guerra di Indipendenza contro l’“empio francese”, in cui si combattè per la religione, per la patria e per il re — specialmente per la prima —, il liberalismo nascente si impose a Cadice, in un parlamento per nulla rappresentativo, che volse le spalle al popolo spagnolo e produsse il liberalismo politico, il quale avrebbe fatto di quello il secolo dell’anticlericalismo, il più contrario alla nostra storia e il più avverso alla religione cattolica e alla Chiesa; il secolo della vendita dei beni ecclesiastici per creare una classe politica affezionata al nuovo regime, dell’espulsione del nunzio pontificio e della rottura con Roma, dei massacri di frati, del lento venir meno dell’insegnamento religioso, il secolo delle guerre popolari carliste contro il liberalismo per restaurare una politica e uno Stato cattolici, il secolo del continuo e quasi permanente scontro del potere con la Chiesa e con la religione cattolica. Così, la lotta secolare della Spagna si trasferì all’interno di essa. Nel corso del secolo, conquistata parte delle classi dirigenti alle idee sorte con la Rivoluzione francese, lo scontro passa a svolgersi all’interno della Spagna. Il bersaglio essenziale degli attacchi della Rivoluzione, in un modo o nell’altro, fu costituito dalla Chiesa e dalla religione cattolica e, di conseguenza, dai diritti dei cattolici. Ma, nonostante tutti gli sforzi della Rivoluzione, la nazione rimase nel corso del secolo essenzialmente e naturaliter cattolica.
La restaurazione operata da Antonio Cánovas del Castillo — che portò sul trono di Spagna Alfonso XII, figlio di Isabella II, del ramo liberale dei Borboni — comportò, in modo simile a quello delle posizioni moderate del regno di sua madre, una relativa breve parentesi nell’agonia sofferta dalla Spagna. Ma la falsità dell’alternanza politica, l’esito disastroso della guerra del ’98 con gli Stati Uniti d’America — che comportò la perdita, fra l’altro, di Cuba, delle Filippine e di Puerto Rico —, la guerra d’Africa, la sostituzione del paese reale con il paese legale, e, in definitiva, la sua incapacità, portarono alla dittatura di Miguel Primo de Rivera Orbaneja che, alla fine, privo di veri princìpi politici che permettessero di cambiare la rotta della monarchia verso i princìpi della tradizione politica spagnola, fallì tornando alla “normalità”.
3. La Repubblica
3.1. L’illegalità originaria
In questa “normalità” si svolsero elezioni municipali il 12 aprile 1931 e l’instaurazione della Repubblica avvenne il 14 aprile.
È anzitutto necessario ricordare che l’instaurazione repubblicana fu contraria al diritto, perché in nessun momento, nelle elezioni, fu messa in questione la forma di governo, non si trattò neppure di elezioni legislative e la maggioranza dei consiglieri comunali eletti apparteneva a liste monarchiche, che vennero però sconfitte nelle città dove persero in 41 dei 50 capoluoghi di provincia. La Repubblica si insediò, dunque, in conseguenza de “la vulnerabilità psicologica della Monarchia” e dello scetticismo politico dello stesso re — come ha segnalato Eugenio Vegas Latapie — manifestato con l’abbandono del potere, che consegnò al Comitato rivoluzionario. Nonostante un esordio tanto illegale e illegittimo, è certo che la Repubblica fu accettata, con maggiore o minor gradimento, o anche senza nessun gradimento, dalla maggioranza del popolo spagnolo. E, anche se nel peggiore dei casi era stata accettata come un fatto compiuto, la accettarono anche le destre, salvo un piccolo gruppo di monarchici alfonsini — la cui figura più rappresentativa fu Eugenio Vegas Latapie —, i carlisti e i tradizionalisti.
Tanto la gerarchia ecclesiastica quanto le “destre” cattoliche accettarono la Repubblica. Così, anche se la Chiesa non diede nessuna indicazione, come aveva fatto precedentemente in Francia nel 1892 a favore del ralliement con la Repubblica, fin dal suo inizio, già a partire dal Governo Provvisorio, l’accolse con la migliore disposizione, sperando non fosse settaria e cercasse il bene comune, come disse Isidro Gomá y Tomás, allora vescovo di Tarazona. Se l’episcopato aveva timori, in generale, non li manifestò. Solo dopo la legislazione settaria persecutoria di cui fu oggetto e i fatti permessi contro la Chiesa, protestò duramente, benché senza smettere di predicare la sottomissione ai poteri di fatto. Anche il cardinal Pedro Segura y Sáenz, arcivescovo primate di Toledo, predicò la sottomissione a tali poteri. L’episcopato indicò il dovere di coscienza di rispettare e di ubbidire alle autorità costituite e l’obbligo di collaborare al bene comune e al mantenimento dell’ordine sociale.
Quanto alle altre “destre”, i rappresentanti — autentici o no, il che costituisce già un altro problema che ci allontana dal tema — della parte di gran lunga più numerosa della destra cattolica passarono, in breve tempo, dal sostenere il carattere accidentale delle forme di governo e la sottomissione — posizione assolutamente legittima in un regime che ritenevano fosse di libertà e di diritti — all’adesione alla Repubblica. Le due personalità più rappresentative e importanti a questo riguardo furono Ángel Herrera Oria, direttore del periodico madrileno El Debate, tipico rappresentante del democratismo cristiano, e il dirigente della CEDA, la Confederación Española de Derechas Autónomas, José María Gil Robles, il cui padre, il cattedratico di Diritto Politico Enrique Gil Robles, era stato uno delle maggiori figure del tradizionalismo. Dopo le elezioni del 1933 non rimase nessun dubbio sul fatto che erano legati alla forma repubblicana, eliminando definitivamente ogni collegamento con i monarchici. Tuttavia, continuarono a essere “sospettosi”.
3.2. Il sinistrismo intrinseco
Nonostante ciò, fin dall’inizio, la Repubblica si identificò con la sinistra. José Luis Comellas ha indicato due caratteristiche nefaste che, alla fine, contribuirono considerevolmente a rendere la Repubblica inattuabile e, di conseguenza, anticiparono la guerra civile. La prima di esse fu l’identificazione di Repubblica e di democrazia, in modo tale che i monarchici, quelli che si professavano tali, venivano perseguitati come si perseguitavano quanti erano sospettati di esserli, anche se non facevano manifestazioni o attività contro la Repubblica. La seconda — a mio giudizio dalle conseguenze molto maggiori — fu l’identificazione della Repubblica con la sinistra. Per complesso di inferiorità, per timore, per opportunismo o per altre ragioni, è certo che fino alle elezioni del 1933, come afferma José Luis Comellas, vi era un solo modo di essere repubblicano: essere di sinistra o manifestarsi tale. E la sinistra era una sinistra radicalizzata, anticattolica, massonica e, in parte, bolscevizzante.
Questo produsse, da un lato, una politica governativa di sinistra; dall’altro, il fatto che, quando la destra vince le elezioni, le si nega la partecipazione al governo, in quanto sospetta di “infedeltà”; e che, quando entra nel governo con tre soli ministri — pur essendo la più consistente minoranza parlamentare —, si scatenino la rivoluzione dell’ottobre del 1934 e, successivamente, nel febbraio del 1936, ogni genere di arbitrii e di illegalità. Insomma, alla destra e al cattolicesimo venne negato il diritto alla partecipazione e quasi all’esistenza; il suo ruolo consisteva nel sopportare quanto decideva la sinistra. Qualsiasi cambiamento essa intendesse fare — fondato sulla legalità repubblicana — provocava immediatamente la protesta e la minaccia da parte della sinistra. Quindi non si trattava di un regime che ammettesse la divergenza all’interno della legalità, e, di conseguenza, che accettasse le regole del gioco che aveva proclamate. A questo si devono aggiungere il caos, l’anarchia e il disordine endemico.
Alcuni fatti serviranno per illustrare la situazione. Non era passato un mese quando ebbe luogo l’incendio di conventi in tutta la Spagna con la tolleranza, prossima alla connivenza, delle autorità repubblicane, dato che il ministro degli Interni, Miguel Maura, era stato precedentemente avvertito di quanto stava per succedere e, iniziati i disordini, il governo si rifiutò di intervenire. L’11 maggio cominciò a Madrid l’incendio di conventi e di luoghi religiosi, al quale seguirono i saccheggi e gli incendi delle città di Siviglia, Malaga — dove furono saccheggiati e bruciati 48 edifici religiosi —, Cadice, Valenza, Alicante, Murcia, Granada… In due giorni, grazie alla passività delle autorità, oltre un centinaio di chiese e di edifici religiosi fu saccheggiato e distrutto dalle fiamme. Il 17 maggio fu espulso dalla Spagna il vescovo di Vitoria, Mateo Múgica, per essersi rifiutato di rimandare la visita pastorale in Guipúzcoa e in Vizcaya; il 14 giugno fu espulso il cardinal Pedro Segura y Sáenz.
Ma, se di fronte a questi fatti si era sostenuto che il recente cambiamento politico aveva colto di sorpresa il governo, gli articoli 26 e 27 della Costituzione del 9 dicembre 1931, assolutamente contrari alla Chiesa, agli ordini religiosi e ai diritti dei cattolici furono la prova assolutamente indiscutibile del suo settarismo. Il fatto permise a Manuel Azaña y Díaz di proclamare che la “Spagna ha cessato di essere cattolica”. A quanto detto fece seguito l’espulsione della Compagnia di Gesù, altri incendi di conventi, uccisioni di sacerdoti, la legge sulle confessioni e le congregazioni religiose, la proibizione delle processioni in alcuni luoghi, l’usurpazione dei beni della Chiesa, la proibizione dell’insegnamento da parte degli ordini religiosi, la secolarizzazione dei cimiteri, al punto che la legislazione anticattolica provocò la condanna perentoria da parte di Papa Pio XI nell’enciclica Dilectissima nobis, del 3 giugno 1933; perciò, come ha sottolineato Francisco José Fernández de la Cigoña assolutamente a ragione, la Chiesa non ebbe pace durante la Repubblica. Nonostante tutto, non mancano “storici” come Ramón Tamames che, contro la verità più elementare, affermano che “la Chiesa avrebbe potuto adottare una posizione di accordo con il nuovo regime, ma non lo fece”, imputandole la responsabilità del problema religioso per non aver voluto tale accordo, quando in realtà quello che le si offriva e da essa si pretendeva era il suo annientamento. La pace che si offriva alla Chiesa era la pace dei morti.
Il radicalismo della Repubblica, cioè il suo estremismo, fu una delle caratteristiche principali, che la rese inattuabile. Il repubblicano José Ortega y Gasset, già il 9 settembre 1931 esclamava il suo famoso “¡No es esto, non es esto!”, di fronte alla violenza e all’arbitrio partitico, all’intenzione di schiacciare il vinto, quando non vi erano né vincitori né vinti.
3.3. L’impossibile “buona Repubblica”: la rivoluzione delle Asturie
Seguono due anni di politica di sinistra — dal 14 aprile 1931 al 19 novembre 1933 — caratterizzati dalla dubbia rappresentatività delle elezioni per le Cortes costituenti del 28 giugno 1931; dalla “legge di difesa della Repubblica”, del 30 ottobre 1931, che rimase in vigore fino al 1933 e che permetteva di sospendere le garanzie costituzionali; dalla persecuzione dei monarchici, dalla politica assolutamente settaria contro la Chiesa e contro tutto quanto aveva un significato cattolico, dalle frequenti turbative dell’ordine pubblico, dalla politica contraria all’esercito presentata con l’argomentazione surrettizia di una riforma volta a conseguirne l’efficacia, dai problemi regionali, dai frequenti scioperi, dall’impoverimento economico, e così via; finalmente, il 19 novembre 1933 le cosiddette destre vincono le elezioni, con 115 deputati della CEDA e 102 radicali di Alejandro Lerroux García, che rappresentavano il centro.
Nonostante la “vittoria”, la “destra” propriamente detta, non monarchica, non entrò a far parte del governo fino al 4 ottobre dell’anno seguente. Dal novembre del 1933 al 29 dicembre 1935 si svolge in Spagna un secondo biennio di governo, durante il quale non si può dire che si visse in un clima di collaborazione sociale e politica caratterizzato da sia pur minime condizioni di pace sociale, perché, sebbene alcune importanti questioni migliorassero — per esempio i rapporti fra Chiesa e Stato, il venir meno delle misure anticattoliche, l’atteggiamento verso l’esercito e l’ordine pubblico —, altre accentuarono la conflittualità: gli scioperi organizzati come un autentico movimento di pressione politica rivoluzionaria, la tensione regionalista e separatista… Ma la pace sociale era insidiata soprattutto dalla permanente minaccia costituita da una sinistra sempre più radicalizzata di fronte alla possibilità dell’entrata nel governo della “destra” non monarchica, cioè repubblicana, nella quale spiccarono i due capi socialisti Indalecio Prieto y Tuero e Francisco Largo Caballero, e i loro organi di stampa, come El socialista, che minacciavano la rivoluzione e incitavano a essa.
Il giorno seguente l’entrata nel governo di tre ministri della CEDA — alla Giustizia, al Lavoro e all’Agricoltura — il sindacato socialista, l’UGT, Unión General de Trabajadores, decreta lo sciopero generale rivoluzionario in tutta la Spagna. La rivoluzione scoppia in Catalogna e nelle Asturie e, anche se in Catalogna fallisce, trionfa per quattordici giorni nelle Asturie. La sera dello stesso giorno 4, grazie all’unione di socialisti — PSOE, Partido Socialista Obrero Español, e UGT —, CNT — Confederación Nacional del Trabajo, il sindacato anarchico —, comunisti e trotzkisti, la rivoluzione si scatenò nelle Asturie, dove i comitati rivoluzionari, i soviet, si impadronirono della situazione causando ogni sorta di eccessi, di saccheggi, di distruzioni e di assassinii, finché la ribellione venne definitivamente soffocata il 18 ottobre. Si trattò di un’autentica rivoluzione contro la Repubblica auspicata, provocata e diretta da ex ministri del primo biennio e in modo del tutto speciale dai socialisti, con a capo il loro leader Francisco Largo Caballero, detto il “Lenin spagnolo”, che controllava il partito. Di fronte alla possibilità del trionfo rivoluzionario, altri partiti di sinistra, estranei alla ribellione, le manifestano il loro appoggio: Izquierda Republicana di Manuel Azaña y Díaz, Unión Republicana di Diego Martínez Barrio, Partido Nacionalista Republicano di Felipe Sánchez Román, e perfino quello conservatore di Miguel Maura. Salvador de Madariaga y Rojo scrisse quel che potremmo chiamare un epitaffio morale, giuridico e politico: “Nell’ottobre del 1934 la sinistra perse perfino l’ombra dell’autorità morale per condannare la rivolta del 1936”.
3.4. Il Fronte Popolare
Nel febbraio del 1936 si svolgono nuove elezioni, in cui il numero dei suffragi espressi comporta una virtuale parità fra la sinistra e la destra, anche se non è così quanto al numero dei seggi perché, a causa del sistema elettorale, la sinistra sconfisse ampiamente la destra. La sinistra aveva costituito il Fronte Popolare, una coalizione repubblicano-marxista in cui la scarsa forza dei repubblicani di sinistra non marxisti non avrebbe potuto impedire il conseguimento dell’obiettivo, già manifestato da Francisco Largo Caballero il 19 gennaio, di instaurare la dittatura del proletariato.
La campagna elettorale fu caratterizzata dall’esacerbazione degli animi insieme alla pressione violenta da parte della sinistra più radicale. Così, per esempio, Santiago Casares Quiroga — della Izquierda Republicana, il partito di Manuel Azaña y Díaz, era stato ministro della Marina nel Governo Provvisorio e degli Interni nel primo biennio e lo diverrà delle Opere Pubbliche con il Fronte Popolare — aveva annunciato che “se vinceranno le sinistre il ministro degli Interni dovrà essere sordo e cieco per quarantotto ore”. Si minacciava anche una guerra civile. Manuel Azaña y Díaz dichiarava che non sarebbe stata ammessa una sconfitta delle sinistre, dicendo che queste, “se le elezioni sono sincere raccoglieranno il voto dei cittadini ma, se non le sono, usciranno dalla via della legalità”; e Francisco Largo Caballero: se non vinciamo le elezioni, “dovremo arrivare per forza alla guerra civile dichiarata”.
Dopo le elezioni, il governo abbandonò il potere nelle mani del Fronte Popolare prima ancora che venisse effettuato il conteggio di verifica, così che molti incarichi ed edifici pubblici furono occupati, e questo portò a una falsificazione delle elezioni già svolte con la contraffazione di atti, con l’annullamento di risultati nelle province — come Granada e Cuenca — in cui il risultato era stato molto favorevole alla destra, con dichiarazioni di incompatibilità, che escludevano i deputati di destra, e con lo svolgimento della seconda tornata in un clima di minacce e di violenze da parte della sinistra.
Le masse di sinistra celebrarono il loro “trionfo” all’alba del 17 con un uragano di violenze, occupazioni, attacchi, incendi di chiese e di conventi, di morti e di feriti. Da quella data cessò di esistere non solo l’ordine pubblico, ma la vita quotidiana nella tranquillità minimale che ci si può aspettare da uno Stato di diritto. Nel suo intervento alle Cortes il 15 aprile, José Calvo Sotelo denuncia 178 incendi e 199 assalti e danneggiamenti a chiese, centri politici e abitazioni private; 74 morti e 345 feriti. Da parte sua, il 16 giugno, José María Gil Robles denuncia, fra gli altri, i seguenti fatti: 160 chiese distrutte, 251 attaccate, 269 morti e 1.287 feriti, oltre ad assalti, scioperi, giornali distrutti e centri politici presi d’assalto.
Teoricamente esisteva un governo, ma di fatto il potere non stava nelle sue mani perché era incapace di porre fine al disordine e all’anarchia, e non aveva incertezze a mostrarlo con azioni legali contrarie alla Costituzione. Secondo José María García Escudero, “quella era una giungla senza legge”, e per Stanley Payne il governo “non fu vittima della sinistra rivoluzionaria, ma suo volontario collaboratore quasi senza eccezione”.
Così, anche quando in numero di voti vi fu parità, tuttavia la prepotenza della sinistra con la connivenza governativa radicalizzò il suo atteggiamento — ben oltre gli stessi desideri di molti suoi votanti —, il che produsse direttamente e causò indirettamente una serie di condizioni e di situazioni, che spingevano velocemente verso un’imminente guerra civile.
4. L’”alzamiento”
Per certo fin dall’inizio vi furono gruppi molto minoritari che tentarono di cospirare contro la Repubblica per far tornare la monarchia rinunciando però, benché fossero dottrinalmente continuisti, a tale continuismo e collegandosi alla monarchia tradizionale; anche perché i carlisti, molto meglio organizzati e numerosi, si preparavano da tempo; e pure perché vi fu un tentativo andato a vuoto, la sollevazione del generale José Sanjurjo y Sacanell nell’agosto del 1932, immediatamente fallita. Ma tutto questo si rivelava inattuabile per mancanza dell’imprescindibile appoggio dell’esercito, che non era disposto a darlo, perché non si era ancora giunti all’abisso, che sarebbe stato successivamente aperto dalla Repubblica e nel quale essa finì per precipitarsi.
4.1. La motivazione dei militari
È pure certo che vi furono un’esposizione dottrinale, occulta o palese, circa la necessità del golpe militare per porre fine agli indirizzi della Repubblica fin dall’inizio; una fondazione e una giustificazione della ribellione contro il tiranno, collegata alla più pura tradizione politica spagnola, così come la descrizione di quali avrebbero dovuto essere la politica successiva e lo Stato che avrebbe dovuto venir instaurato; questo emergeva, per esempio, dalle pagine della rivista minoritaria tradizionale Acción Española o del quotidiano tradizionalista El Siglo Futuro.
Tuttavia, e senza negare l’importanza degli elementi esposti, è certo che i militari, in genere, mancavano di una formazione dottrinale capace di fondare princìpi teorici e pratici per instaurare un nuovo Stato: oggi diremmo che mancavano di una “ideologia”. Nella grande maggioranza non erano monarchici, almeno in modo sufficiente per promuovere una restaurazione. Indubbiamente i cospiratori avevano un profondo sentimento di amor di patria — ragion d’essere di ogni esercito autentico —, il quale faceva loro vedere che il cammino della sua distruzione sarebbe stato senza ritorno se non cercavano di fermarlo. Dunque, la motivazione fu evitare la rovina della loro patria e dei propri compatrioti; rendere possibile una convivenza minimalmente umana; ritornare ai diritti e alle libertà più elementari che, a poco a poco, stavano soccombendo; e restaurare l’imparzialità dello Stato. Cioè ristabilire uno Stato in cui non vi fosse più solamente un mucchio di rovine di dimensioni sempre maggiori. D’altra parte, se la loro rivolta fosse riuscita, avrebbe impedito una guerra civile nel cui clima già si viveva.
Inoltre il movimento aveva come unica finalità “salvare la Spagna”, restaurare la legge e l’ordine, farla finita con il malgoverno e con l’anarchia e, fatta eccezione per alcune prese di posizione estreme all’origine della situazione, era apolitico. Così, in certe direttive di José Sanjurjo y Sacanell e in alcuni bandi militari dei primi momenti, si annuncia la restaurazione della religione cattolica e, nello stesso tempo, si indicano l’antiliberalismo, l’antiparlamentarismo e il rifiuto del marxismo come cause del disordine e dell’anarchia, che giustificavano la decisione di porre fine a tale situazione. In altri bandi e proclami si indicava il suo carattere “patriottico e repubblicano”. La successiva deriva politica dell’alzamiento fu frutto degli appoggi su cui contò e della durata della guerra. Ma questa è un’altra storia.
Comunque, si può dire che l’alzamiento si fece loro malgrado. Infatti, anche quando inizia la vera e propria gestazione della cospirazione, nel marzo del 1936, è certo che, se la Repubblica si fosse corretta, come nota José María García Escudero, si sarebbe fatto marcia indietro: costituiscono prove in questo senso gli avvertimenti del generale Antonio Aranda Mata al capo del governo in marzo, quelli di Emilio Mola Vidal in aprile, quelli del generale Manuel Goded Llopis in giugno o quelli di Francisco Franco Bahamonde in marzo e in giugno. Tuttavia non si cambiò rotta. Non servirono a nulla neppure le richieste di José María Gil Robles — estraneo alla cospirazione — negli interventi parlamentari del 15 aprile, del 19 maggio e del 16 giugno, nei quali segnalava che si stava sbarrando la strada a ogni evoluzione politica, si richiedeva un potere pubblico imparziale, perché diversamente sarebbe rimasta soltanto la via della violenza, in quanto almeno la metà della nazione non si sarebbe rassegnata a morire.
4.2. L’entusiasmo popolare e la nascita di una crociata
L’affluenza di volontari fin dai primi giorni, specialmente dei carlisti già organizzati in Navarra, ebbe grande importanza. Tale entusiasmo popolare aveva una fortissima motivazione religiosa, che contrastava con la violentissima persecuzione religiosa immediatamente scatenatasi nella zona rossa in contrasto con la protezione della religione nella zona nazionale. Vi fu, dunque, una componente religiosa spontanea di straordinaria portata. Così, gran parte dei combattenti nazionali combatteva per molti motivi, ma il principale era “per la religione”. Ci si ricollegava, in tal modo, alla tradizione spagnola, che il liberalismo aveva cercato di distruggere nel secolo XIX, un tentativo che ora si tornava a fare per mano del marxismo. Non vi è dunque nulla di strano che, per molti, si trattasse di una crociata, anche prima che la Chiesa ufficialmente l’appoggiasse e la qualificasse come tale. Man mano che il tempo passava e si venivano a conoscere le atrocità della zona rossa, per le persone comuni l’alzamiento si trasformò in crociata e in guerra di liberazione.
Inoltre, la sollevazione fu opera di una parte dell’esercito, costituita approssimativamente dalla metà degli effettivi, con una maggiore percentuale di ufficiali superiori fra i “lealisti” e di ufficiali intermedi fra i nazionali. Tuttavia, nonostante il suo fallimento, il sostegno popolare nella zona in cui trionfò — praticamente coincidente con la mappa elettorale della vittoria della destra nel 1936 — e soprattutto la massiccia affluenza di volontari, non soltanto dei carlisti, permise che potesse prolungarsi in una guerra.
5. Conclusione
Oltre a quelli indicati, vi furono altri problemi non risolti durante la Repubblica, alcuni strutturali, altri congiunturali, che contribuirono allo scontro finale: le riforme militari, la politica scolastica, la riforma agraria, la frammentazione dei partiti, le autonomie regionali, il livello di disoccupazione, l’eccesso di politicizzazione, le inimicizie personali di alcuni politici, e così via. Vi furono pure diverse cause o motivi che spinsero gli spagnoli al clima da guerra civile che, in crescendo, si produsse durante la Repubblica. Vi furono combattenti volontari da ambo le parti e, prima di giungere a tale esito, la mentalità e la coscienza degli spagnoli era divisa e anche una certa scristianizzazione aveva messo radici in una parte della popolazione. La Repubblica fu incapace di risolvere i problemi ereditati e ne provocò di nuovi, mentre esacerbò la divisione fra gli spagnoli. Pur essendo certa l’esistenza di queste altre questioni, tuttavia il maggior errore commesso dalla Repubblica, e che alla fine la rese inattuabile, fu il settarismo anticristiano con tutto quanto gli è connesso, reso manifesto, senza palliativi, nell’ottobre del 1931 nel corso del dibattito sul progetto di Costituzione, che era stato elaborato da una Commissione parlamentare a maggioranza socialista.
All’alzamiento si giunse a causa della volontà rivoluzionaria di accettare le regole difettose del gioco democratico solo per giocarle a proprio favore. Il sistema politico dimostrò in modo completo la propria incapacità a garantire la convivenza, giocando un importantissimo ruolo scatenante dei conflitti e del progressivo rifiuto nei confronti del potere costituito nella Repubblica, la sua feroce opposizione e persecuzione della Chiesa, della religione cattolica e dei cattolici. Non è necessario insistere sul fatto che il suo maggior errore fu proprio il suo anticristianesimo morboso. La Spagna era stata forgiata in modo tale che la religione cattolica e la Chiesa le erano intrinseche. Al di sopra di qualsiasi altro interesse il suo essere era cattolico. Così, salvo eccezioni, i cattolici si schierarono a favore dei nazionali e contro i rossi. Non avvenne così nel caso del cattolico Partido Nacionalista Vasco che, benché non nella sua totalità, si schierò per i rossi. Ciò fu dovuto al prevalere degli interessi del separatismo sulla verità e sul bene della religione cattolica, dal momento che si preferì una Spagna frantumata e non cattolica a una Spagna unita e cattolica, un eventuale, problematico e non provato bene particolare al bene comune. Come segnalarono i vescovi di Vitoria e di Pamplona, rispettivamente Mateo Múgica e Marcelino Olaechea, nella loro lettera pastorale del 6 agosto 1936, anteposero la politica alla religione.
Dal punto di vista giuridico l’alzamiento fu l’espressione pratica del diritto di ribellione di fronte a un potere che era degenerato fino a divenire illegittimo. Si tratta di dottrina tradizionale sostenuta in Spagna da teologi, da moralisti e da giuristi classici. In questo modo ci si collegava, almeno parzialmente, alla sua tradizione plurisecolare, rendendo possibile alla libertà e al diritto di imporsi nuovamente.
È stata pienamente dimostrata l’ipocrisia di quanti tacevano i crimini del socialismo reale, giustificando il regime con ogni tipo di argomenti. La Repubblica spagnola non era una semplice forma di governo, ma aspirò a essere uno stile di vita e una visione del mondo. Il socialismo di allora era completamente marxista e intendeva instaurare il socialismo reale, anche quando i suoi promotori non si chiamavano comunisti o divergevano da loro, che nel luglio del 1936 erano un’esigua minoranza considerata un satellite di un altro paese. Probabilmente il fallimento dell’alzamiento, una volta iniziata la guerra e dopo l’aiuto sovietico, avrebbe comportato l’instaurazione di un regime di socialismo reale, cioè del marxismo. Fosse anche solo per averlo evitato, il giudizio della storia o — per meglio dire — dei nostri contemporanei, dovrebbe essere a suo proposito ampiamente favorevole. Ma…, di nuovo l’ipocrisia delle democrazie e dei democratici, per non parlare di tutti quelli che continuano a essere legati intellettualmente alla massima secondo cui “non vi sono nemici a sinistra” o a quella della “superiorità morale della sinistra” — perfino dopo esser stata documentata ad abundantiam dagli stessi boia la loro falsità —, sostiene che deve prevalere la forma sulla sostanza, l’ideologia sulla verità, l’utopia sulla realtà, il pamphlet sulla storia… Se non si fosse verificato l’alzamiento si può ragionevolmente supporre che da quel crescente arbitrio e malgoverno si sarebbe usciti solamente per finire nel socialismo marxista: “cascare dalla padella nella brace”.
Un’altra lezione dell’alzamiento, dopo sessant’anni, è che i princìpi della dottrina cattolica sono gli unici capaci di porre su basi solide la politica vera che cerca il bene comune, al di sopra delle visioni parziali del marxismo, del liberalismo e del democratismo. Papa Giovanni Paolo II continua a ripeterlo, esortando l’Europa a ritornare alle proprie radici cristiane. Questo fu, con tutte le imperfezioni che si vogliono, il significato dell’alzamiento nazionale.
Concludo, perché non sarebbe giusto tacerlo, dicendo che l’alzamiento fu appoggiato dalla maggioranza dei cattolici del mondo, compresi alcuni democristiani, anche se l’ombra di Jacques Maritain è stata troppo grande e ancor oggi continua a esserlo. E fra loro si deve mettere in risalto la posizione del mondo cattolico italiano che, quasi come un sol uomo — come ha ricordato Marco Invernizzi in occasione del cinquantesimo anniversario dell’alzamiento —, tenne una posizione sostanzialmente unitaria, in sintonia con quella dei pontefici Pio XI e Pio XII e dei vescovi italiani. Molti di quei cattolici vennero a combattere nel Corpo Truppe Volontarie, caddero sui campi di Spagna e ormai godono la pace dei giusti.
Estanislao Cantero Nuñez
* Relazione predisposta per il convegno internazionale Dalla Rivoluzione d’Ottobre al crollo del Muro: ascesa, caduta e metamorfosi del socialcomunismo, promosso da Cristianità e da Alleanza Cattolica in collaborazione con la Regione Lombardia Settore Trasparenza e Cultura, Milano 27-10-1996. Traduzione a cura degli organizzatori.