MASSIMO INTROVIGNE, Cristianità n. 273-274 (1998)
I. Il contesto
Il 1° ottobre 1990 viene adottata la Legge dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose (1), seguita il 25 ottobre dello stesso anno dalla Legge della RSFSR “Della libertà delle professioni religiose” (2). Le due leggi ponevano sostanzialmente fine a decenni di persecuzione e di discriminazione antireligiosa organizzata dal regime comunista sovietico (3), e instauravano una libertà religiosa di tipo occidentale. La legge russa del 1990, all’articolo 15, attribuiva a tutti i cittadini russi — e anche agli stranieri legalmente residenti sul territorio russo — il diritto di “esprimere e diffondere opinioni e convinzioni religiose in forma orale, a stampa ed in qualsiasi altra forma”. È interessante notare che all’epoca la legge venne accolta favorevolmente anche dal Patriarcato di Mosca della Chiesa Ortodossa russa, che vi vedeva un’occasione per sottrarsi al tradizionale controllo dello Stato e per condurre liberamente un’attività di evangelizzazione che sembrava estremamente promettente. Le celebrazioni per il millennio del battesimo della Rus’, nel 1988, avevano suscitato grande interesse per la religione e i battesimi di massa nella Chiesa Ortodossa russa di adulti precedentemente non battezzati erano diventati un fenomeno socialmente rilevante (4). Questa situazione era peraltro destinata a mutare rapidamente per una serie di ragioni.
Anzitutto, mentre l’interesse per la religione in genere sembra essere rimasto stabile, le speranze del Patriarcato di Mosca si sono rivelate fallaci. Al battesimo, nella maggior parte dei casi, non ha fatto seguito una seria ripresa della pratica religiosa. Sulle statistiche esistono notevoli controversie. Fra i sociologi e gli studiosi accademici della religione in Russia una posizione maggioritaria ritiene che, intorno alla metà degli anni 1990, un terzo dei cittadini russi dichiarasse la sua adesione alle credenze della Chiesa Ortodossa russa. Solo il 6% di questi “credenti” — cioè il 2% della popolazione russa in generale — era però costituita da praticanti, che frequentavano con un minimo di regolarità le funzioni religiose domenicali. Dopo il 1995 il numero dei praticanti sembra in costante declino (5). La situazione della Russia appare quindi profondamente diversa non soltanto da quella degli Stati Uniti d’America — dove la pratica religiosa cristiana è superiore al 40% della popolazione —, ma anche dell’Italia — dove si attesta al 30% — e perfino della Francia, dove oscilla fra il 10 e il 12%. Questi dati dimostrano come i decenni di repressione della religione da parte del regime comunista sovietico non sono trascorsi invano e hanno lasciato una traccia difficile da cancellare. D’altro canto, nessuno può negare il contributo che la fede ortodossa ha dato alla formazione dell’identità nazionale russa. Nonostante i bassissimi livelli della pratica domenicale negli anni 1990, l’Ortodossia mantiene un ruolo particolare nella storia e nell’immaginario nazionale russo, ruolo che — nella Russia postcomunista — emerge spesso nella scelta dei simboli della nazione e nelle cerimonie pubbliche.
Come in altri paesi postcomunisti, le ragioni di difficoltà della Chiesa Ortodossa sono molteplici. La crisi economica, i problemi legati all’ordine pubblico, la diffusione di uno stile di vita materialista importato dall’Occidente non favoriscono la religione in genere. La Chiesa Ortodossa russa ha tuttavia anche problemi specifici. I settori della popolazione più critici nei confronti del regime comunista — che, naturalmente, sono spesso anche quelli più interessati alla religione — le rimproverano i molti compromessi con tale regime. A tutt’oggi — come notava il 2 novembre 1997 The Washington Post — non è stato smentito in modo convincente che l’attuale Patriarca di Mosca, Alexei II, sia stato a suo tempo un informatore del KGB. E uno dei dirigenti del Consiglio Sovietico per gli Affari Religiosi, che si occupava di reprimere la religione e fare propaganda all’ateismo, Viktor Kalinin, è diventato il principale avvocato del Patriarcato (6). La presenza di un diffuso interesse per la religione e la debolezza della Chiesa Ortodossa russa hanno favorito — sotto il vigore della legge del 1990 — la diffusione in Russia di presenze religiose alternative. Queste presenze sono molto diverse. Si va da scismi — vecchi e nuovi — della Chiesa Ortodossa russa fino a nuovi movimenti religiosi in senso stretto, passando per missioni di quasi tutte le comunità protestanti occidentali. Alcuni nuovi movimenti religiosi — che in genere combinano elementi dell’eredità ortodossa con altri provenienti da altre fonti — sono nati autonomamente in Russia. La Chiesa cattolica è passata da due a centosessantuno parrocchie (7). Si può essere d’accordo con l’affermazione che “a partire dai primi anni 1990 la Russia ha sperimentato un flusso di religioni dall’estero mai visto nel corso della sua storia” (8). Certamente una serie di denominazioni protestanti, soprattutto statunitensi, e di nuovi movimenti religiosi pensavano di trovare in Russia un fertile terreno per le loro attività missionarie. Tuttavia anche le loro aspettative sono andate largamente deluse. I primi predicatori protestanti americani hanno riempito gli stadi, ma in gran parte i loro ascoltatori erano semplici curiosi. Anche per i nuovi movimenti religiosi un’iniziale curiosità ha prodotto adesioni di tipo superficiale ed effimero. Per esempio fra il 1994 e il 1997, il 70% di quanti avevano aderito alla Chiesa dell’Unificazione del reverendo Moon in Russia l’ha lasciata (9). Nel 1997 i sociologi ritenevano che gli aderenti a movimenti religiosi “alternativi” in Russia — esclusi i cattolici e gli scismi “storici” dall’Ortodossia, come i Vecchi Credenti, ma comprese le comunità protestanti diverse dal protestantesimo tradizionalmente presente in Russia, riunito nell’Unione dei Cristiani Evangelici e Battisti — si aggirassero fra le 300 mila e le 400 mila persone, dallo 0,2 allo 0,3% della popolazione russa (10). È comprensibile che la proliferazione di nuovi nomi e sigle possa colpire. D’altro canto la percentuale rimane notevolmente inferiore a quell’1% caratteristico di paesi occidentali come l’Italia o la Francia.
Il Patriarcato di Mosca — che avrebbe forse potuto intraprendere un’analisi profonda relativa alle cause della sua crisi — ha preferito addossare tutte le responsabilità ai “missionari stranieri” e alle “sette”. A partire dal 1993 il Patriarcato ha iniziato una campagna per limitare le attività delle “organizzazioni religiose straniere” (11) personalmente guidata dal Patriarca Alexei II. Il Patriarca si è scagliato contro il “proselitismo” di qualunque tipo su quello che chiama il “territorio canonico della Chiesa ortodossa russa” (12). Già nel 1994 il Consiglio degli Arcivescovi della Chiesa Ortodossa russa aveva messo in guardia contro le “sette” e i “missionari stranieri” che “[…] distruggono la tradizionale organizzazione della vita che si è formata in Russia sotto l’influenza della Chiesa ortodossa russa. Distruggono l’ideale morale e spirituale che è comune a noi tutti, e minacciano l’integrità della nostra coscienza nazionale e della nostra identità culturale” (13).
Com’è stato fatto notare, “la definizione del proselitismo da parte della Chiesa [ortodossa russa] è molto simile alla nozione di lavaggio del cervello” proposta dai movimenti anti-sette occidentali (14). Infatti dopo il 1990 in Russia non sono arrivati dall’Occidente soltanto missionari di denominazioni e di movimenti religiosi. Sono arrivati anche veri e propri missionari anti-sette, che hanno diffuso a piene mani l’ideologia del movimento anti-sette occidentale, fondata sulla nozione pseudo-scientifica di lavaggio del cervello (15). In Russia si è così creata una situazione peculiare. Il movimento anti-sette — benché sia sostenuto da settori del mondo protestante, particolarmente nell’Europa Centrale e Settentrionale, e anche da qualche cattolico — ha infatti un’origine e un’ideologia di tipo prettamente laicista. I suoi padri fondatori statunitensi guardano con sospetto a tutte le forme di convinzione “forti”, in religione come in politica, marxismo compreso. In Russia questi personaggi hanno trovato alleati piuttosto strani. Le teorie sul lavaggio del cervello e sulla manipolazione mentale, screditate in Occidente, sono state abbracciate con entusiasmo da psichiatri abituati dal sistema sovietico a considerare tutte le forme di religione — e di dissenso politico — come disturbi mentali (16). Il Patriarcato di Mosca, dal canto suo, ha visto un’ancora di salvezza nei missionari del movimento anti-sette, ma ha subito interpretato la nozione di “setta” in modo estensivo, con riferimento a qualunque organizzazione religiosa diversa dalla Chiesa Ortodossa russa che si permetta di fare “proselitismo” nel suo “territorio canonico” (17). Soprattutto dopo l’arrivo in Russia di Alexander L. Dvorkin — un attivista anti-sette formato all’estero, che ha trovato impiego in un centro contro le “sette” patrocinato dal Patriarcato — si è assistito così alla nascita di uno strano ibrido, che combina i temi tipici dei movimenti anti-sette occidentali con reminiscenze della psichiatria sovietica, d’infausta memoria, e con appelli alla difesa dell’identità nazionale russa minacciata dai missionari stranieri.
Il Patriarcato di Mosca e i movimenti anti-sette hanno condotto la loro campagna in Russia, a partire dal 1993, in due direzioni. In primo luogo hanno condotto una campagna propagandistica e si sono assicurati l’appoggio quasi unanime della stampa russa, che ha diffuso allarme e preoccupazione nei confronti dell’“invasione delle sette”. Com’è avvenuto in altri paesi si sono anzitutto diffuse cifre inverosimili. Si è parlato così, per esempio, di seimila “sette totalitarie” in Russia — cifra ripresa in un discutibile Rapporto sulle sette dei ministeri russi della sanità e dell’interno, un documento del 1996 presentato peraltro come “non ufficiale” — con una semplice operazione di sottrazione, dal totale di circa tredicimila comunità religiose registrate in Russia nel gennaio 1996, delle settemila organizzazioni nazionali e locali che fanno capo al Patriarcato. Tutte le altre organizzazioni religiose — dalle parrocchie cattoliche alle comunità islamiche — sono state rubricate come “sette totalitarie”. Negli stessi documenti i membri di “sette” in Russia sono stimati “da tre a cinque milioni”, cifra assolutamente fantastica comunque si definisca la nozione di “nuovo movimento religioso” o di “setta” (18). Secondo le strategie consuete dei movimenti anti-sette, sono state anche offerte alla stampa quelle che i sociologi chiamano “storie di atrocità”, talora vere — ma citate fuori contesto — e più spesso false, con riferimento a numerosi movimenti religiosi. In secondo luogo — nella prospettiva di una revisione della legislazione federale, chiesta a gran voce dal Patriarca a partire dal 1993 — il Patriarcato e i movimenti anti-sette hanno fatto appello ai differenti Stati, repubbliche autonome e province che fanno parte della Federazione Russa. Nel maggio del 1996, a Perm, il Patriarca faceva appello ai governi regionali come bastione contro “[…] le attività in Russia di missionari che sventolano la bandiera della libertà di coscienza ma non hanno nulla in comune con la tradizione russa ortodossa”, dal momento che “la Duma e il presidente subiscono una grande pressione dall’Occidente quando si tratta di adottare una legge russa che metta queste faccende sotto controllo” (19). Prima dell’entrata in vigore della nuova legge federale del 1997 trenta amministrazioni regionali — un terzo del totale — si erano dotate di leggi sulla religione, tutte estremamente simili alla legge del 1997 e verosimilmente ispirate dagli stessi gruppi di pressione. Alcune andavano al di là della legge del 1997, come nel caso della Repubblica dell’Udmurtia che poneva ostacoli quasi insuperabili a qualunque “[…] propagazione di credenze religiose tra persone di differente credenza o anche fra non credenti, con il proposito di attirarli in un’organizzazione religiosa nel territorio dell’Udmurtia tramite mezzi quali lo svolgere propaganda e promuovere studi; organizzare servizi religiosi collettivi, riti e cerimonie; propaganda da persona a persona e ogni altra forma di attività” (articolo 1) (20). La legge della Repubblica dell’Udmurtia è peraltro l’unica fra le leggi regionali che sia stata dichiarata incostituzionale dalla stessa Corte Costituzionale di questa Repubblica, sembra dopo un intervento personale del presidente federale Boris Nicolaevic’ Eltsin (21). Le leggi regionali hanno così fatto da banco di prova per una futura legge nazionale. Le misure locali sono state salutate con entusiasmo dalla gerarchia ortodossa locale, qualche volta con affermazioni che mostrano una scarsissima conoscenza del mondo dei nuovi movimenti religiosi. Per esempio il responsabile della diocesi ortodossa russa nel Dagestan, nel marzo del 1997, affermava che era necessario combattere le “sette occidentali” aggiungendo: “questi movimenti sono chiamati Scientologi, in altre parole protestanti carismatici” (22).
Negli Stati Uniti d’America il movimento anti-sette riuscì, per una breve stagione, ad accreditarsi in ambienti politici dopo il suicidio in Guyana del Tempio del Popolo nel 1978 (23). Nell’Europa Occidentale i movimenti anti-sette hanno sfruttato le preoccupazioni suscitate dai suicidi-omicidi dell’Ordine del Tempio Solare nel 1994 e nel 1995 per ottenere la costituzione di commissioni parlamentari i cui rapporti sono stati largamente ispirati dalla loro ideologia (24). In Russia l’allarme sociale è stato creato ad arte prima ingigantendo i fatti del 1993 relativi alla Grande Fratellanza Bianca russo-ucraina (25); quindi — e soprattutto — cavalcando l’onda della protesta contro i contatti e le simpatie di cui indubbiamente godeva in alcuni ambienti politici russi il movimento giapponese Aum Shinri-kyo, un gruppo di dirigenti e membri del quale è stato accusato — e viene ora processato — per l’attentato al gas nervino nella metropolitana di Tokyo del marzo 1995 e per altri gravi reati (26). Dopo l’episodio dell’Aum Shinri-kyo il terrore delle “sette totalitarie” è stato diffuso e piene mani in Russia. In questo clima si è svolto nel 1997 il processo intentato da una serie di persone fisiche, che si erano sentite diffamate, contro l’attivista anti-sette Dvorkin, autore di un opuscolo pubblicato nel 1995 e diffuso dal Patriarcato di Mosca che contiene accuse virulente — talora semplicemente false — nei confronti di un gran numero di movimenti religiosi. Lo stesso Dvorkin ha sottolineato come il processo (27) e la successiva campagna per l’approvazione della nuova legge russa sulla religione del 1997 siano strettamente connessi. “Pertanto — ha concluso Dvorkin parlando a una manifestazione organizzata dalla Commissione d’Inchiesta sulle Sette del Parlamento tedesco il 21 settembre 1997 — eravamo destinati a vincere, e abbiamo vinto” (28). L’assoluzione di Dvorkin, pronunciata il 21 maggio 1997 — e contro la quale pende ora appello —, costituisce un episodio che non va certamente sopravvalutato, ma che ha in qualche modo aperto la strada alla successiva campagna che ha portato alla promulgazione della nuova legge del 1997 (29).
II. La legge del 1997
Il 22 luglio 1997 il presidente Eltsin aveva opposto il suo veto a una prima versione della legge Della libertà di coscienza e delle associazioni religiose. Il messaggio che accompagnava il veto, molto severo, ribadiva una visione della libertà religiosa di tipo occidentale e la fedeltà ai princìpi della legge del 1990. Dopo il veto, tuttavia, Eltsin non è stato capace di resistere alle pressioni del Patriarcato di Mosca. Secondo la ricostruzione di The Washington Post, “all’inizio di agosto [1997], Eltsin si è incontrato con il Patriarca Alexei per una fotografia ufficiale che può essere ora interpretata come una cerimonia di sottomissione. Da questo momento in poi, ogni azione del Presidente è stata parte di una manovra per promuovere una misura essenzialmente identica alla legge di luglio, nello stesso tempo ingannando gli oppositori della legge per fare loro credere che esistesse una possibilità di genuino compromesso. Soltanto quando era ormai troppo tardi è apparso chiaro che i negoziati di agosto al Cremlino con i dirigenti delle minoranze religiose erano soltanto una cortina fumogena di stile sovietico” (30). Il 19 settembre 1997 la Duma ha votato la nuova legge con 358 voti favorevoli e 6 contrari. Il 24 settembre il Consiglio della Federazione, la Camera alta russa, l’ha approvata all’unanimità, e il 26 settembre il presidente Eltsin l’ha sottoscritta (31).
Le uniche modifiche rispetto alla legge oggetto di veto in luglio sono di tipo cosmetico e si riferiscono al preambolo, dove — dopo aver riconosciuto “il particolare ruolo dell’Ortodossia nella storia della Russia, nella formazione e nello sviluppo della sua spiritualità e cultura”, afferma ora di rispettare “il cristianesimo, l’islam, il buddhismo, il giudaismo e le altre religioni che costituiscono parte integrante dell’eredità storica dei popoli della Russia”. Si professa pure fedeltà agli obblighi che derivano da convenzioni e trattati internazionali. Tuttavia — come numerosi osservatori hanno fatto notare — anche le leggi sovietiche sulla religione erano piuttosto generose quanto a preamboli e a premesse prive di conseguenze pratiche. La sostanza — in quelle leggi come in questa — è diversa. La legge del 1997, talora presentata come estremamente complicata, è in realtà molto semplice. Le realtà di carattere religioso vengono distinte in “associazioni religiose” (capitolo 2 della legge), in linea di principio lecite, e in “organizzazioni” che possono essere “liquidate” in quanto illecite: la terminologia, ancora una volta, è di stile sovietico, anche se naturalmente la parola “liquidazione” ha anche un senso meno sinistro nel diritto commerciale. Per quanto riguarda le seconde, qualunque tipo d’attività è da considerarsi illecito. La “liquidazione” — e questo costituisce una minima protezione — deve essere pronunciata dall’autorità giudiziaria e può essere decisa per una serie di motivi. Alcuni sono condivisibili, come l’“istigazione al suicidio”; altri sono di pericolosa interpretazione, in quanto — così come sono formulati — fanno riferimento all’ideologia tipica del movimento anti-sette: “la coercizione alla distruzione della famiglia”, “l’attentato alla persona ed ai diritti e libertà dei cittadini”, “il recare danno alla moralità ed alla salute dei cittadini” e “il fare uso […] di ipnosi”. Alcuni, infine, sono così vaghi da poter essere applicati più o meno a chiunque — “la violazione […] dell’ordine sociale” — o almeno a chiunque svolga attività missionaria: “l’incitamento alla discordia […] religiosa” (articolo 14.2).
Le “associazioni religiose” — cioè i gruppi non “liquidati” — vengono divise in “gruppo religioso” (articolo 7) e in “organizzazione religiosa” (articolo 8). La formazione di gruppi religiosi — salvo il rischio eventuale di essere “liquidati” per tutte le ragioni indicate nell’articolo 14.2 — è libera. L’unico obbligo è quello d’informare le autorità della loro costituzione (articolo 7.2). I gruppi religiosi hanno il diritto di “celebrare liturgie ed altri riti e cerimonie, ed anche di insegnare la religione e di impartire una formazione religiosa ai propri seguaci”, dunque non a terzi (articolo 7.3). Solo le “organizzazioni religiose” — non i semplici “gruppi religiosi” — hanno il diritto di “costruire e mantenere edifici ed attrezzature di culto” (articolo 16.1), di offrire assistenza religiosa negli ospedali, orfanotrofi, prigioni e altre istituzioni (articolo 16.3) e nelle forze armate (articolo 16.4); di stampare, di far stampare o d’importare libri, giornali o articoli religiosi (articolo 17.1), di fondare e gestire istituzioni caritative (articolo 18.1), seminari, scuole e altre istituzioni di formazione (articolo 19.1), e di mantenere “contatti e relazioni internazionali” (articolo 20.1), compreso il diritto d’“invitare cittadini stranieri per un’occupazione professionale, ivi compresa la predicazione e l’attività religiosa” (articolo 20.2). Solo le organizzazioni religiose — non i gruppi religiosi — possono possedere immobili (articolo 21), chiederne l’assegnazione per l’uso temporaneo alle autorità statali o a enti privati (articolo 22), creare imprese commerciali (articolo 23) e assumere impiegati per qualunque scopo (articolo 24). Come si vede i semplici “gruppi religiosi” hanno, praticamente, il solo diritto di riunirsi per pregare e per studiare in privato: non possono pubblicare neppure un opuscolo, non possono avere edifici di culto o stipendiare personale, non possono svolgere alcuna attività pubblica, di formazione o di propaganda.
Diventa quindi cruciale sapere come un “gruppo religioso” può acquisire lo status di “organizzazione religiosa”. Per diventare “organizzazione religiosa” è necessaria una registrazione da parte degli organi amministrativi della realtà locale — Stato o repubblica autonoma o provincia — ovvero della Federazione Russa se l’organizzazione nazionale comprende almeno tre organizzazioni religiose locali presenti in realtà regionali diverse. La registrazione richiede una procedura burocratica di notevole complessità — quindi, prevedibilmente, di notevole lunghezza — e può essere rifiutata se l’autorità locale ritiene probabile che l’organizzazione che richiede la registrazione violerà le leggi russe, compresa la stessa legge sulla religione del 1997. Ne consegue che tutti i motivi di “liquidazione” di un’organizzazione o di un gruppo esistente sono anche motivi validi di rifiuto della registrazione; contro cui si può peraltro proporre appello in tribunale (articolo 12.2). Una delle disposizioni-chiave — ma non l’unica, come talora erroneamente si ritiene — della legge è l’articolo 9.1 secondo cui un gruppo religioso deve attestare la “[…] sua esistenza in un dato territorio per la durata di non meno di quindici anni” per ottenere la registrazione. Questa norma non è d’immediata interpretazione. Il Patriarcato di Mosca e alcune forze politiche sembrano dare per scontato che l’esistenza per “non meno di quindici anni” di cui parla l’articolo 9.1 è l’esistenza legale, cioè la registrazione. Ne consegue che nel 1998 potrebbero ottenere la registrazione come organizzazioni religiose soltanto le realtà che erano registrate come enti religiosi nell’anno 1983, cioè in pieno regime sovietico. Sarebbero quindi organizzazioni religiose soltanto la Chiesa Ortodossa russa, l’Unione dei Cristiani Evangelici e Battisti — filo-comunista durante gli anni del regime sovietico e da cui si sono staccate numerose denominazioni dissidenti — e quei centri islamici, buddhisti e sinagoghe che nel 1983 erano in rapporti sufficientemente buoni con il regime per avere la registrazione. Di conseguenza la Chiesa cattolica — tranne le due parrocchie registrate su scala locale nel 1983 — e gli Avventisti del Settimo Giorno — per citare soltanto due esempi di realtà presenti in Russia fin da epoca zarista — perderebbero i loro diritti. In quanto registrate al momento dell’entrata in vigore della legge potrebbero beneficiare della norma transitoria dell’articolo 27.3, che richiede il “rinnovo della registrazione” su base annuale fino al maturare dei quindici anni. Le organizzazioni “ri-registrate” secondo la norma dell’articolo 27.3 godono di alcuni diritti delle “organizzazioni religiose”, ma non di tutti: in particolare il loro clero non gode di esenzioni dal servizio militare, non possono creare scuole e istituzioni educative, non possono ospitare rappresentanti di un’organizzazione religiosa straniera — una disposizione che sembra fatta apposta per la Chiesa cattolica —, non possono svolgere attività negli ospedali, orfanotrofi e prigioni, e soprattutto non possono stampare né importare letteratura religiosa o fondare case editrici, non possono fondare o gestire giornali e riviste, non possono istituire seminari e non possono invitare e ospitare missionari e predicatori stranieri (articolo 27.3). Altri, tuttavia, interpretano la norma dell’articolo 9.1 in modo diverso, ritenendo che una documentazione adeguata relativa a un’attività clandestina continua negli anni del regime sovietico possa costituire parte della documentazione relativa alla continuità d’azione protratta per quindici anni. Questa posizione è stata espressa il 7 novembre 1997 a Londra da Nikita Matkovsky, portavoce dell’ambasciata russa a Londra, nel corso di una conferenza stampa convocata dal Keston Institute, un prestigioso istituto di studi russi di Oxford (32). Non è tuttavia chiaro quanto autorevole sia quest’interpretazione e come possa essere data prova della continuità di un’attività clandestina. Infine, alcuni dei più autorevoli specialisti occidentali ritengono che la norma verrà applicata in modo selettivo. Secondo Lawrence Uzzell, “un’applicazione letterale della legge chiederebbe alle autorità russe di reprimere qualunque istituzione cattolica stabilita o ri-stabilita dopo l’inizio della Glasnost. Nessuna parrocchia cattolica, tranne le due (in tutta la Russia) a cui era stato permesso di rimanere aperte durante l’era sovietica, potrebbe neppure distribuire un foglietto all’interno della sua stessa sede. Il seminario di San Pietroburgo, le case editrici e la radio a Mosca, i gesuiti e altri ordini religiosi cattolici dovrebbero essere semplicemente chiusi. Ma, anche tenendo conto del clima nazionalistico, probabilmente la Russia non dichiarerà guerra ad una organizzazione internazionale che conta centinaia di milioni di membri, molti dei quali vivono in paesi con i quali Mosca ha bisogno di buone relazioni. Piuttosto, i cattolici scopriranno che il cammino lento e doloroso di ricostruzione delle loro istituzioni diventerà ancora più lento e più doloroso” (33). Secondo lo specialista del Keston Institute per ragioni di politica estera anche le comunità musulmane indipendenti — cioè quelle che non erano riconosciute nell’epoca sovietica — godranno di una certa tolleranza da parte delle autorità, mentre “i protestanti soffriranno probabilmente di più” — anche se la misura della loro “sofferenza” dipenderà probabilmente dal vigore delle reazioni negli Stati Uniti d’America —, e i movimenti religiosi più piccoli rischieranno d’essere spazzati via. Emissari del Patriarcato di Mosca sono corsi a rassicurare, dopo l’approvazione della legge, un certo numero di comunità protestanti che fanno parte del Consiglio Mondiale delle Chiese assicurandole che non saranno disturbate. La legge — è stato detto loro — esiste, ma non sarà necessariamente applicata. Tuttavia la prima comunità di cui è stata chiesta la “liquidazione” in base alla nuova legge è una comunità luterana nella Repubblica della Khakasia (34). L’episodio potrebbe essere commentato con ironia, tenendo conto del sostegno oggettivo di ambienti luterani internazionali alle manovre del Patriarcato di Mosca durante il processo Dvorkin. Peraltro — contrariamente a quanto si è letto — l’episodio non smentisce formalmente l’idea di un’immunità di fatto garantita alle denominazioni che fanno parte del Consiglio Mondiale delle Chiese, dal momento che la comunità che si vuole “liquidare” in Khakasia è in relazione con il Sinodo del Missouri della Chiesa Luterana Americana, che è sì una delle più grandi denominazioni luterane fuori dell’Europa, ma non fa parte del Consiglio Mondiale delle Chiese. Come molte altre denominazioni — che costituiscono la maggioranza del protestantesimo negli Stati Uniti d’America e in America Latina — il Sinodo del Missouri considera il Consiglio Mondiale delle Chiese eccessivamente progressista sul piano sia dottrinale che politico e non vi ha mai aderito in conseguenza della sua impostazione teologica di tipo conservatore (35).
Comunque, le promesse di applicazione selettiva della legge del 1997 costituiscono una protezione piuttosto tenue. Come minimo, anche nei confronti delle realtà tollerate, la legge — pronta a essere applicata in qualsiasi momento — costituirà una spada di Damocle e un intollerabile strumento di costante pressione. Non si deve inoltre dimenticare che la promulgazione della legge federale del 1997 ha dato un segnale alle amministrazioni locali, che potranno ora procedere ad applicare le leggi regionali sulla religione, teoricamente in vigore a partire dal 1994 ma finora applicate con una certa cautela. Proprio di un meccanismo di questo genere sono stati vittima i poveri luterani della Khakasia.
III. Osservazioni conclusive
La semplice presentazione dei fatti mostra, con ogni evidenza, come la legge del 26 settembre 1997 rappresenti la fine della breve stagione della libertà religiosa in Russia. La sua eventuale temporanea non applicazione da parte di autorità sottoposte a pressioni occidentali può dar respiro a qualche comunità perseguitata, ma non rappresenta certamente la soluzione del problema. Giova tuttavia — anche per evitare equivoci — proporre due osservazioni conclusive.
Ai critici della legge russa del 1997 vengono mossi rimproveri di vario genere. Naturalmente, e come al solito, vengono accusati d’essere “amici delle sette” e di favorire le loro attività criminali in Russia. A prescindere dal fatto che queste ultime vengono ampiamente esagerate (36), il problema è diverso. Se vi sono dirigenti o membri di nuovi movimenti religiosi che si rendono responsabili di reati comuni, è assolutamente giusto perseguirli e condannarli in base al diritto comune, senza trattarli né meglio né peggio di tutti gli altri cittadini. I problemi sorgono — e la libertà religiosa viene messa in pericolo — quando s’ipotizzano nuovi delitti, non previsti dal diritto comune e che sarebbero specifici delle “sette”, come l’inafferrabile “lavaggio del cervello” o “manipolazione mentale”, o quando, come avviene in Russia, si elencano tra le “sette totalitarie” semplicemente tutte le comunità religiose diverse dalla Chiesa Ortodossa russa.
Gli specialisti che criticano la nuova legislazione russa vengono anche accusati d’essere inguaribili americanofili, che vogliono esportare il modello costituzionale americano di libertà religiosa in paesi che hanno una storia e una cultura del tutto diverse. Con maggior vigore simili accuse vengono rivolte al Dipartimento di Stato, al Congresso, al Senato e alla Presidenza degli Stati Uniti d’America, che hanno manifestato analoghe perplessità. Anche queste accuse sono presentate in modo propagandistico e sono false. Personalmente non ho mai ritenuto che il modello americano possa essere esportato così com’è in paesi che hanno, dal punto di vista religioso, una storia molto diversa da quella degli Stati Uniti d’America. L’alternativa, però, non è fra modello americano e repressione delle minoranze religiose. Esistono infatti modi diversi di tutelare le minoranze, alcuni dei quali possono tener conto della presenza in un determinato paese di una realtà che ha dato un contributo unico alla formazione e alla storia della nazione. Il modello italiano, per esempio, è lungi dall’essere perfetto ma viene spesso citato come esempio di una situazione legislativa in cui i diritti fondamentali di libertà religiosa garantiti dalle convenzioni internazionali sono assicurati a tutti, pur riconoscendo il ruolo unico in Italia della Chiesa cattolica e garantendo alcuni vantaggi anche ad altre confessioni — dai valdesi alle comunità ebraiche — che hanno una presenza storicamente e socialmente rilevante nel paese. Le garanzie internazionali della libertà religiosa non implicano che, in ogni paese, tutte le Chiese e comunità debbano essere trattate nello stesso modo. Stabiliscono però una soglia minima di libertà che a tutti deve essere garantita. Lawrence Uzzell, del Keston Institute di Oxford — che ha avuto un ruolo importante nella controversia —, s’è espresso nello stesso modo nel novembre del 1997 su The Washington Post: “Contrariamente alla demagogia di moda oggi a Mosca, nessuno chiede alla Russia di adottare il “modello americano” nelle relazioni fra Chiesa e Stato. Il mondo conosce molti modelli diversi di libertà religiosa, compresi quelli nell’Europa nord-occidentale che combinano la presenza di Chiese ufficiali di Stato con pieni diritti garantiti alle minoranze religiose” (37). Quanto all’amministrazione americana, mi è capitato di visitarne esponenti autorevoli — specialisti del settore specifico della libertà religiosa — dopo una conferenza stampa organizzata dal CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, a Washington il 1° dicembre 1997. Non ho avuto l’impressione di trovarmi di fronte a cowboy decisi a imporre in tutto il mondo un qualunque “modello americano”, ma a persone ragionevoli, informate e consapevoli delle sensibilità culturali e delle specificità nazionali dei diversi paesi (38).
In secondo luogo, mi sembra importante osservare che quanto avviene in Russia non è un semplice capitolo delle campagne condotte dai movimenti anti-sette — con diversi strumenti — anche in alcuni paesi dell’Europa Occidentale, come la Francia, il Belgio o la Germania. L’attività internazionale dei movimenti anti-sette ha infatti incontrato in Russia una politica consapevole e tenace di un settore maggioritario della Chiesa Ortodossa russa, guidato in prima persona dal Patriarca Alexei II. Il Patriarcato di Mosca non rivendica soltanto un ruolo in qualche modo privilegiato e il riconoscimento — che può essere senz’altro giusto concedere — di un ruolo unico dell’Ortodossia nella formazione e nella storia della nazione russa. Chiede positivamente leggi che impediscano a qualunque altra realtà religiosa attività missionarie su quello che il Patriarcato definisce, come s’è visto, il “territorio canonico della Chiesa Ortodossa russa”. Il Patriarcato cita talora il modello della Grecia, dove infatti è in vigore una norma costituzionale contro il “proselitismo”. Dopo tutto, si dice, la Grecia fa parte dell’Unione Europea, eppure le sue leggi sulla religione vietano il proselitismo nei confronti dei cittadini di religione ortodossa (39). Il Patriarcato dimentica — o non sa — che la legislazione greca sulla religione si trova all’origine di un continuo contenzioso con gli organi dell’Unione Europea e che il governo greco è già stato condannato due volte dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in conseguenza di azioni promosse dai Testimoni di Geova, evidentemente colpiti dalla legislazione contro il proselitismo (40). Per altro verso questi riferimenti sono particolarmente inquietanti. Sulla scorta del modello greco — che difficilmente potrà resistere all’integrazione della Grecia nell’Unione Europea — e ora del modello russo nuove leggi sulla religione sono state approvate o promosse in quasi tutti i paesi a maggioranza ortodossa, dalla Macedonia alla Bulgaria. Un certo numero di Chiese Ortodosse sembra erroneamente attribuire il declinante numero dei propri fedeli alla “concorrenza” di realtà religiose più ricche sostenute dall’Occidente. Le statistiche, in realtà, mostrano ovunque come il numero dei convertiti da missionari occidentali, di religioni tradizionali o di nuovi movimenti religiosi, sia statisticamente molto basso. Un certo numero di Chiese Ortodosse non sembra tuttavia storicamente e culturalmente preparato a un’analisi approfondita della sua situazione di crisi. Nei paesi ex comunisti o postcomunisti questi problemi culturali difficilmente potrebbero venire imputati a Chiese che hanno condotto un’esistenza precaria, fra tolleranza e persecuzione, per diversi decenni.
Sarebbe tuttavia sbagliato — anche se forse “politicamente corretto” in tempi di ecumenismo — non porsi anche un altro quesito. La teologia ortodossa maggioritaria ha veramente affrontato in modo adeguato — come, sia pure non senza incertezze, è avvenuto in ambito cattolico (41) — la questione della libertà religiosa? Nei paesi e nei casi dove questo esame è avvenuto, le conclusioni sono veramente conformi ai principi consacrati dalle convenzioni internazionali nonché alla dottrina sulla libertà religiosa che la Chiesa cattolica insegna e proclama? Se la risposta a queste domande non è completamente positiva, esiste un problema di notevoli dimensioni — che si può temporaneamente mettere fra parentesi, non certo eludere — per gli specialisti d’ecumenismo e per chi ha a cuore i problemi internazionali della libertà religiosa. Non esistono soltanto nel mondo un’area “rossa”, costituita dai superstiti paesi a regime comunista, e un’area “verde”, comprendente i paesi islamici, dove la libertà religiosa non è garantita: si allarga anche un’area “bianca”, dal colore degli stendardi di alcune Chiese Ortodosse, dove — a causa dell’alleanza di alcuni ambienti ortodossi con movimenti anti-sette e con burocrazie postcomuniste — vengono prodotte leggi che — per riprendere l’espressione di una grande studiosa della Russia, Irina Alberti, a proposito della legge oggetto del veto di Eltsin nel luglio del 1997 — suscitano “lo sdegno di ogni coscienza civile” (42). Con tutto il doveroso rispetto per il grande contributo delle Chiese Ortodosse alla sopravvivenza del cristianesimo nell’Europa Orientale, si tratta di problemi che è difficile continuare a nascondere in nome di una più o meno ben intesa carità ecumenica. I cattolici faranno bene ad affrontarli — come hanno fatto, in modo corretto, durante le convulse vicende che hanno portato all’infausta promulgazione della legge russa del 1997 — rivendicando, conformemente alla loro dottrina, la libertà religiosa per tutti e non effimeri privilegi. Questi ultimi sembrano oggi venir offerti nella forma d’una promessa “disapplicazione” della legge ormai purtroppo in vigore, che dovrebbe essere pagata con una presenza evangelizzatrice di profilo basso e tale da non disturbare i “manovratori” di una campagna che ormai non si limita alla sola Russia e che deve essere denunciata con fermezza e con preoccupazione.
Massimo Introvigne
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(1) Cfr. Legge dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche sulla libertà di coscienza e sulle organizzazioni religiose, del 1°-10-1990, trad. it., in L’Altra Europa, anno XVI, n. 1, gennaio-febbraio 1991, pp. 115-132.
(2) Cfr. Legge della RSFSR “Della libertà delle professioni religiose”, del 25-10-1990, in Giovanni Codevilla, Stato e Chiesa nella Federazione Russa. La nuova normativa nella Russia postcomunista, con un saggio di Anatolij Krasikov, La Casa di Matriona, Milano 1998, pp. 143-159.
(3) Cfr. la situazione a partire dal 1917, in G. Codevilla, La libertà religiosa nell’Unione Sovietica, La Casa di Matriona, Milano 1985.
(4) Cfr. Marat S. Shterin, New Religions, Cults and Sects in Russia. A Critique and Brief Account of the Problems, testo sottoposto alla Commissione d’Inchiesta sulle Sette del Parlamento tedesco, settembre 1997 (disponibile sul sito Internet del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni: http://web.tin.it/cesnur_org/Shterin.htm).
(5) Cfr. ibid., e M. S. Shterin e James T. Richardson, Local Loopholes. The Regional Religious Legislation in Russia (1994-1997), relazione presentata al convegno della Società Internazionale di Sociologia delle Religioni, Tolosa, 7/11-7-1997. Nel valutare queste statistiche si noti che nelle comunità ortodosse non vi è in genere una nozione del “precetto domenicale” come quella cattolica.
(6) Cfr. Lawrence A. Uzzell, A Show on Bad Faith. Behind Yeltsin’s Betrial of Religious Freedom, in The Washington Post, 2-11-1997.
(7) Cfr. ibid. Lo stesso articolo, scritto da un noto specialista di questioni religiose russe del Keston Institute di Oxford, ricorda che nel 1917, quando la Chiesa cattolica venne messa fuori legge da Vladimir Ilic’ Lenin, le sue parrocchie, nel territorio di quella che è oggi la Federazione Russa, erano 331.
(8) M. S. Shterin e J. T. Richardson, op. cit., p. 8.
(9) M. S. Shterin, op. cit., p. 7.
(10) M. S. Shterin e J. T. Richardson, op. cit., p. 18.
(11) Cit. ibidem.
(12) Cit. ibidem.
(13) Cit. ibid., pp. 18-19.
(14) Ibid., p. 19.
(15) Sui movimenti anti-sette e sul lavaggio del cervello, cfr. il mio Il sacro postmoderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, Gribaudi, Milano 1996, pp. 142-156.
(16) Cfr. M. S. Shterin, op. cit., p. 16.
(17) Alcuni specialisti di missiologia cattolici e protestanti distinguono fra “proselitismo”, condotto mediante la diffamazione della comunità religiosa di origine della persona a cui si propone di convertirsi a un’altra fede, e “missione”, condotta invece con mezzi rispettosi. Il Patriarcato di Mosca sembra ricomprendere sotto la nozione di “proselitismo” ogni tentativo di convertire cittadini russi — non importa se ortodossi praticanti — a qualunque tipo di fede religiosa diversa dall’Ortodossia del Patriarcato stesso.
(18) M. S. Shterin, op. cit., p. 7.
(19) Cit. in M. S. Shterin e J. T. Richardson, op. cit., p. 10.
(20) Ibid., p. 5.
(21) Ibid., p. 6.
(22) Intervista del 7-3-1997, cit. in M. S. Shterin e J. T. Richardson, op. cit., p. 20.
(23) Il Tempio del Popolo era in realtà, dietro la patina religiosa, un’organizzazione marxista: cfr. il mio Idee che uccidono. Jonestown, Waco, il Tempio Solare, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995.
(24) Cfr. Giovanni Cantoni e Massimo Introvigne, Libertà religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione“. Con appendici, Cristianità, Piacenza 1996.
(25) Cfr., per un primo accostamento, il mio Mille e non più mille. Millenarismo e nuove religioni alle soglie del Duemila, Gribaudi, Milano 1995, pp. 143-149.
(26) Cfr., sempre per un primo accostamento, ibid., pp. 184-200.
(27) Nella letteratura anti-sette chi scrive viene spesso indicato fra i testimoni del processo Dvorkin. In realtà, sebbene il mio nome fosse stato indicato dalla parte civile, non ho partecipato al processo di Mosca a causa di concomitanti e pregressi impegni inderogabili di natura professionale in Italia. Non ho neppure inviato una vera e propria testimonianza scritta, limitandomi a rispondere per telefax, nei giorni del processo, ad alcuni quesiti specifici e ad affermazioni gravemente diffamatorie di natura personale asseritamente pronunciate nel corso del processo dallo stesso Dvorkin e da alcuni testimoni convocati dalla sua difesa, secondo uno stile del resto caratteristico dei movimenti anti-sette.
(28) Alexander L. Dvorkin, International Problems in the Field of So-Called Sects and Psychogroups. A Presentation on the Situation in Russia, 21 settembre 1997, testo dattiloscritto, p. 14.
(29) Per la verità nella stessa Chiesa Ortodossa russa si sono levate — fortunatamente — anche voci discordi. Nel numero 31, di dicembre del 1997, di Current Dialogue, pubblicazione dell’Ufficio per le Relazioni Inter-Religiose del Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra, compare un articolo dell’arciprete Vladimir Fedorov, New Religious Movements. An Orthodox Perspective (pp. 2-20) che, pur ribadendo una posizione critica nei confronti dei nuovi movimenti religiosi in genere — e del cristianesimo “eterodosso”, cioè diverso dall’Ortodossia “canonica” —, rileva pure “tendenze pericolose nell’attività anti-sette” (ibid., p. 11) e critica senza mezzi termini sia Dvorkin sia le autorità ecclesiastiche che “[…] incoraggiano missionari di questo genere” (ibid., p. 13) le cui attività rischiano di “[…] danneggiare la reputazione dell’intera Chiesa [Ortodossa russa]“ (ibid., p. 12). L’arciprete Fedorov è vice rettore dell’Istituto Cristiano Russo di Scienze Umane di San Pietroburgo.
(30) L. A. Uzzell, art. cit.
(31) Cfr. Federazione Russa, Legge federale “Della libertà di coscienza e delle associazioni religiose”. Approvata dalla Duma di Stato il 19 Settembre, confermata dal Consiglio della Federazione il 24 Settembre e sottoscritta dal Presidente Boris El’cin il 26 Settembre 1997, trad. it., in G. Codevilla, Stato e Chiesa nella Federazione Russa. La nuova normativa nella Russia postcomunista, cit., pp. 57-129.
(32) Russian Diplomat Interprets 15-Year Rule, comunicato stampa del Keston Institute, 17-11-1997.
(33) L. A. Uzzell, art. cit.
(34) Keston News, bollettino diffuso via Internet dal Keston Institute, 10-10-1997.
(35) Ironicamente, negli Stati Uniti d’America, il Sinodo del Missouri ha occasionalmente appoggiato attività di tipo anti-sette.
(36) Secondo una lettera del 28 marzo 1997 dell’Ufficio del Procuratore Generale della Federazione Russa dal 1991 a oggi in Russia vi è stato un solo caso di condanna penale di un membro di un nuovo movimento religioso per attività in qualche modo collegate alla sua religione: cit. in M. S. Shterin, op. cit., p. 11, dove si fa notare che l’unica sentenza di condanna è stata in seguito riformata in appello.
(37) L. A. Uzzell, art. cit.
(38) Questa sensibilità, che ho personalmente riscontrato fra i funzionari e i diplomatici, non sempre si riscontra nelle dichiarazioni di esponenti politici statunitensi.
(39) Cfr. M. S. Shterin e J. T. Richardson, op. cit., p. 2.
(40) Cfr. le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Kokkinakis c. Grecia del 25 maggio 1993 (3/1992/348/421) e Manoussakis e altri c. Grecia del 26 settembre 1996 (59/1995/565/651). Il 16 dicembre 1997 una terza condanna della Grecia in materia di libertà religiosa è intervenuta in un’azione promossa da una diocesi cattolica: cfr. Chiesa cattolica di Canea c. Grecia (143/1996/762/963) (testo inglese disponibile sul sito Internet del CESNUR http://web.tin.it/cesnur_org/GREECE.htm).
(41) Cfr. G. Cantoni, Nota a proposito della libertà religiosa, in G. Cantoni e M. Introvigne, Libertà religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione”. Con appendici, cit., pp. 7-58.
(42) Irina Alberti, “Gli ortodossi? Nostalgici della dittatura”, intervista a cura di Vittorio Strada, Corriere della Sera, 19-7-1997.