di Marco Invernizzi
Il 25 Aprile è la data scelta in Italia per indicare la fine della lunga guerra civile ‒ secondo l’espressione dello storico tedesco Ernst Nolte (1923-2016) ‒ che ha insanguinato l’Europa con lo scontro fra le ideologie (fascismo, nazionalsocialismo e socialcomunismo). La guerra civile finisce perché le prime due ideologie concludono il loro itinerario storico e non saranno più rappresentate storicamente in modo significativo, ma comincia (o meglio continua) un’altra guerra ideologica fra il socialcomunismo da un lato e dall’altro quel mondo anticomunista complesso e variegato dentro il quale si collocano la Destra non fascista, il mondo cattolico e chi a diverso titolo fa riferimento all’ideologia liberale. Si creano così i presupposti, sul piano internazionale, della cosiddetta «Guerra fredda», che in Italia si manifesta nella lotta politica e culturale di cui sono espressione significativa le elezioni del 18 aprile 1948, quando la Democrazia Cristiana (DC) ottiene una vittoria politica schiacciante in grado di segnare tutta la successiva storia nazionale.
Volendo trovare un giorno emblematico in cui la maggioranza degli italiani manifesta la volontà di esprimere la propria identità collettiva quel giorno sarebbe dunque il 18 aprile 1948, molto più del 25 aprile 1945. Pochi storici e pochi uomini politici hanno ragionato su questo punto e quindi la riflessione resta ancora oggi soltanto un auspicio, nonostante la fine dell’Unione Sovietica, nel 1991, seguita all’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989.
A chi ha la mia età il 25 Aprile ricorda la violenza verbale e a volte anche fisica delle manifestazioni di piazza che si tenevano quel giorno, che si è voluto chiamare «Festa della Liberazione», ma che in realtà era un giorno segnato dall’odio di chi egemonizzava i cortei commemorativi almeno da un punto di vista culturale. Erano i cortei nei quali si gridava l’odio nei confronti dei fascisti, della DC e delle forze dell’ordine che li proteggevano. Infatti, a partire dagli anni 1960, il mito dell’antifascismo è stato ripreso e utilizzato con violenza sempre maggiore dalle diverse Sinistre che spingevano il Paese alla ripresa della lotta armata interrotta nel 1945 oppure a spostarlo complessivamente a sinistra attraverso l’ingresso (meglio il ritorno) del Partito Comunista Italiano (PCI) nell’area di governo. Fu questo il sogno politico del Sessantotto, che poi prenderà due strade diverse, allorché il terrorismo rosso verrà abbandonato e combattuto dal PCI, verso la fine degli anni 1970, sostanzialmente dopo l’omicidio del presidente della DC Aldo Moro (1916-1978) e quello del sindacalista comunista Guido Rossa (1934-1979).
Quel che oggi va rifiutato del 25 Aprile è la sua lettura ideologica, che continua nonostante non ci siano più i partiti della cosiddetta «prima repubblica», e quindi lo scenario politico e culturale sia completamente cambiato dall’epoca successiva alla fine della Seconda guerra mondiale.
Si tratta invece di riprendere la lezione dello storico Renzo De Felice (1929-1996) e riflettere sul lavoro importante da lui compiuto sul fascismo. Il 25 Aprile termina una guerra civile combattuta in Italia settentrionale da due minoranze, mentre la grande maggioranza della popolazione faceva parte di quella “zona grigia” che si sentiva estranea al conflitto perché non si riconosceva né nel fascismo della Repubblica Sociale Italiana (1943-1945) né nella componente egemone della Resistenza (le Brigate Garibaldi di impostazione socialcomunista). Sono infatti stati questi italiani i protagonisti della ricostruzione del Paese e anche della vittoria elettorale della DC, il 18 aprile di tre anni dopo. Il tempo e il definitivo abbandono dell’epoca delle ideologie aiuteranno a comprendere la complessità di quell’epoca, in particolare di quanto accadde dopo l’8 settembre 1943, quando l’Italia “ufficiale” – il regime, la monarchia, l’esercito – si dissolse e ogni italiano dovette fare una scelta di appartenenza secondo coscienza.
Oggi bisogna fare buon uso della memoria, cercando anzitutto di capire e con la prospettiva di riconciliare le diverse Italie per costruire un’armonia sociale che le ideologie hanno sempre rifiutato. Oggi non sono più le ideologie il problema, ma il relativismo e l’assenza di ogni principio di verità come riferimento nella vita pubblica. Questa situazione non impedisce e non impedirà l’emergere dell’odio nelle relazioni sociali, come tanti indicatori segnalano, mostrando il rancore diffuso fra la popolazione, un rancore destinato ad aumentare nella situazione difficile se non drammatica che si prospetta dopo l’emergenza da coronavirus. Occorre pertanto fare in modo che l’assenza di verità e il rancore sempre più diffusi non favoriscano la definitiva autodistruzione della patria che tanto amiamo.
Venerdì, 24 aprile 2020