Massimo Introvigne, Cristianità n. 71 (1981)
La Rivoluzione sessuale ha corrotto il rapporto uomo-donna sia da un punto di vista strutturale, e quindi filosofico, sia da un punto di vista storico, e quindi nella realtà della vita quotidiana. Da un punto di vista strutturale la Rivoluzione sessuale nasce come giustificazione ideologica dell’impurità prodotta da un intelletto obnubilato dalle cattive tendenze; contro l’antropologia rivoluzionaria che nega la verità sull’uomo, la filosofia naturale e cristiana propone un’immagine della persona umana ordinata nelle sue potenze naturali. Da un punto di vista storico l’esame della Rivoluzione sessuale evidenzia l’articolarsi di un processo che comincia con la ipertrofia della volontà, passa attraverso l’esasperazione del momento sentimentale e giunge infine al pansessualismo dei nostri giorni; un processo che in tutte le sue tappe vede il rapporto uomo-donna fondarsi sul soggettivismo, sul rifiuto di adeguarsi alla verità e al fine oggettivo dell’amore. La vera nozione dell’amore, contro ogni forma di volontarismo, sentimentalismo e pansessualismo, nell’insegnamento del regnante Pontefice Giovanni Paolo II, che ricorda come soltanto il rispetto della costituzione organica e gerarchica della persona umana possa stare a fondamento dell’amore inteso come virtù.
I. La Rivoluzione sessuale come categoria
- Rivoluzione nelle tendenze e Rivoluzione sessuale
Seguendo le indicazioni della scuola cattolica controrivoluzionaria – da de Maistre a Donoso Cortés a Plinio Corrêa de Oliveira – quel complesso fenomeno che si denomina Rivoluzione è suscettibile di essere approfondito mediante una triplice analisi: filosofica, storica, strutturale. L’analisi filosofica presenta la Rivoluzione come categoria, albero degli errori che derivano dalla scelta originaria contro il primato dell’essere sul divenire e, per conseguenza, contro l’esistenza di una verità che non muta al mutare della storia. L’analisi storica mostra la Rivoluzione come processo, come dipanarsi di una serie di passaggi lenti e graduali mediante i quali gli errori si incarnano e si diffondono nella storia. Infine, con un linguaggio mutuato dalle scienze sociali, possiamo chiamare “modello” lo schema che risulta dall’analisi strutturale della Rivoluzione proposta da Corrêa de Oliveira: uno schema che non solo rappresenta, ma spiega la Rivoluzione, mostrando le sue modalità operative attraverso l’analisi di tre distinte profondità: fatti, idee, tendenze. Come è stato rilevato, la messa a fuoco del ruolo della Rivoluzione nelle tendenze, nella meccanica del processo rivoluzionario, costituisce forse il principale contributo di Corrêa de Oliveira alla teoria della Contro-Rivoluzione (1). Dietro i fatti, le idee: ma dietro le idee, le tendenze. Le idee non nascono per caso, ma sbocciano su un terreno di pre-giudizi (letteralmente: “ciò che viene prima del giudizio”), di abitudini, di modi di comportarsi: in una parola, di tendenze.
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Il modo di operare della rivoluzione nelle tendenze è illustrato molto precisamente nel De malo di san Tommaso (2). L’intelligenza, afferma l’Angelico, è un meraviglioso strumento creato da Dio per conoscere in modo veridico la realtà; il peccato originale rende questo strumento limitato (così che è in grado di arrivare solo fino a un certo punto), ma non intrinsecamente difettoso. L’intelligenza non si spinge oltre una certa distanza: ma, nell’ambito della distanza in cui opera, offre una immagine rigorosa e fedele della realtà. Se l’intelligenza è costruita in modo da non sbagliare, perché, dunque, gli errori degli uomini e gli orrori della Rivoluzione, che da questi errori derivano? San Tommaso risponde: perché sull’intelligenza opera incessantemente la volontà, che può essere buona o cattiva a seconda delle abitudini (habitus) che ha contratto e della vita che ogni uomo conduce: gli atti virtuosi si traducono in abitudini al bene, in tendenze buone; i peccati ripetuti diventano abitudini al male, tendenze cattive. La volontà, con il suo corredo di habitus, agisce sull’intelligenza: la volontà buona si sottomette al giudizio dell’intelletto, ma insieme lo aiuta a operare, a ricercare incessantemente la verità; la volontà turgida di cattive tendenze spinge l’intelletto a giudicare anche oltre il suo campo d’azione, a rifiutare i suoi limiti e quindi a sbagliare. L’intelligenza – che di suo non sbaglierebbe – sospinta dalle cattive tendenze, secondo san Tommaso, “sciens et volens non se detinet, sed iudicat ultra quam potest“, “sapendo e volendo, non si trattiene, ma giudica oltre la sua sfera” (3). Quando questa azione delle cattive tendenze sull’intelligenza diventa sistematica, l’intelligenza giunge fino a obnubilarsi e a rifiutare la verità conosciuta.
La meccanica descritta da san Tommaso spiega come – attraverso l’azione della volontà e dei suoi habitus cattivi sull’intelligenza – la rivoluzione nelle tendenze sia il motore della rivoluzione nelle idee, e mette in luce l’importanza delle abitudini, dei modi di vivere e di comportarsi nella formazione delle idee e quindi nella successiva genesi anche dei fatti. Alle radici della Rivoluzione – nei singoli come nelle società – stanno dunque i modi di vivere, che nell’uomo “per natura animale sociale” si manifestano all’esterno in un tessuto di legami e di relazioni, anzitutto con Dio, quindi con gli altri uomini, infine anche con le cose. Se anche quest’ultimo elemento merita di non essere sottovalutato (la relazione tra l’uomo e gli ambienti – dall’ambiente naturale alla città e alla casa con il suo arredamento – influenza in misura non trascurabile le abitudini e gli atteggiamenti), è evidente come il nesso tendenze-volontà dipenda anzitutto dal rapporto con Dio, dall’atteggiamento religioso e dalla vita spirituale: da quella temperatura religiosa di cui Donoso Cortés mostrava la relazione inversa con la temperatura politica e con la tirannide (4).
Subordinati all’atteggiamento verso Dio, condizionati – anche se non determinati -, dagli atteggiamenti verso le cose, gli atteggiamenti verso gli altri uomini costituiscono, sedimentando in abitudini, la materia prima di gran parte delle nostre tendenze. E, fra gli atteggiamenti verso gli altri, il primo è certamente l’atteggiamento reciproco uomo-donna, che corrisponde a una vocazione iscritta da Dio nella natura umana fin dalla creazione: “E creò Iddio l’uomo ad immagine sua; ad immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (5). Nella costellazione delle tendenze umane ha così un ruolo privilegiato la tendenza sessuale, distinta – secondo la definizione dell’allora cardinale Karol Wojtyla nel suo Amore e Responsabilità – dal semplice istinto sessuale e intesa come “orientamento” e “inclinazione dell’essere umano legata alla sua stessa natura” (6). L’uomo, infatti, “è contemporaneamente essere sociale e essere sessuale” (7): la tendenza sessuale – che il riduzionismo moderno riduce a pura sensualità – è la connotazione profonda dell’uomo in quanto uomo e della donna in quanto donna, ed è insieme vocazione all’incontro reciproco.
La tendenza sessuale nell’uomo – a differenza dell’impulso sessuale nell’animale – “non è la fonte di atti formati, compiuti: la sua funzione si limita al fatto di fornire, per così dire, materia a questi atti” (8): così che l’uomo non è privato della sua facoltà di autodeterminazione. “La tendenza sessuale trascende il determinismo dell’ordine biologico. Per questa ragione le sue manifestazioni nell’uomo devono venir giudicate” e “gli atti che ne derivano costituiscono l’oggetto di una responsabilità” (9). Le manifestazioni della tendenza sessuale si inseriscono nel dinamismo della libertà umana e sono suscettibili di essere sottoposte a un giudizio morale: quando tali manifestazioni derivano da un cattivo uso della libertà dell’uomo, e possono essere giudicate cattive, la rivoluzione nelle tendenze si manifesta come orientamento sovversivo della tendenza sessuale, come Rivoluzione sessuale.
- La Rivoluzione sessuale come categoria filosofica
Come categoria filosofica, la Rivoluzione è anzitutto l’insieme degli errori che derivano dalla scelta per il divenire e contro l’essere. Il primo di questi errori è la negazione dell’esistenza della verità: se il divenire dissolve continuamente l’essere, quello che oggi è vero domani, o tra un momento, potrebbe essere falso; non è possibile enunciare giudizi veri sulla realtà, perché la realtà è in continua mutazione: mentre si predica qualche cosa della realtà, questa è già cambiata. E se non esiste la verità in generale, non esisteranno nemmeno singole verità particolari. Non esisterà, in particolare, una verità sull’uomo né una essenza umana immutabile: l’uomo non sarà una persona razionale, ma uno schema vuoto, suscettibile di essere, di volta in volta, determinato dai più diversi impulsi provenienti dall’esterno.
In contrapposizione all’antropologia rivoluzionaria, che è la negazione della verità sull’uomo, la filosofia naturale e cristiana mostra invece la persona umana – secondo l’analogia aristotelica – come un regno ordinato, dove la ragione domina con potere politico e regale, la volontà esegue i comandi della ragione come un primo ministro a cui sono demandate le mansioni esecutive, le potenze immaginative e sentimentali rappresentano le gerarchie intermedie e le potenze sensibili i sudditi, che svolgono le loro legittime attività all’interno di un quadro gerarchico (10). La rivoluzione nell’uomo – il cui momento profondo è appunto la rivoluzione nelle tendenze – costituisce la negazione di questa visione organica e ordinata dell’uomo: e il dipanarsi nella storia come processo dell’antropologia rivoluzionaria è la storia della rivolta della volontà contro la ragione e delle successive pretese di primato prima dei sentimenti, poi dei sensi, fino al trionfo moderno del materialismo sensista, a quella Rivoluzione sessuale di cui la Rivoluzione sessuale non è che un caso particolare.
La persona umana razionale si esprime come tale in tutte le sue relazioni, e dunque nella relazione uomo-donna e nel modo di manifestare la propria tendenza sessuale. Così – per riprendere l’analisi del cardinale Wojtyla nel citato Amore e Responsabilità – nell’uomo bene ordinato la tendenza sessuale è naturalmente orientata a trasformarsi in amore, in quell’amore moralmente qualificato che può essere denominato amore-virtù. La virtù si forma nella volontà, ma “un impegno veramente libero della volontà è possibile solo a base di verità. L’esperienza della libertà è inseparabile da quella della verità” (11): l’amore “esige una verità oggettiva” (12) insieme sui suoi fini e sull’altra persona, “un sapere intellettuale, concettuale” (13) un precognitum razionale che diventi il volitum oggetto del libero impegno della volontà. L’amore-virtù è della volontà, ma conferma il primato della ragione, che si esprime tipicamente – verità sorprendente per il mondo moderno, così lontano dal riconoscere la priorità gerarchica della retta ragione – nella scelta della persona amata: una scelta che “è vera quando tiene conto di questo valore“, cioè del “valore essenziale, quello della persona“, della verità dell’altro, e non soltanto dei “valori sessuali che agiscono sui sensi e sui sentimenti” (14). Secondo la definizione del cardinale Wojtyla l’amore, nella piena accezione del termine, è una virtù che si forma nella volontà sulla base di un giudizio della ragione. Le manifestazioni affettive e sensuali non sono né annullate né trascurate, ma regolate e ordinate: l’amore affettivo e l’amore di concupiscenza trovano la loro retta collocazione all’interno di un quadro gerarchico al cui vertice sta l’amore-virtù, cioè la ragione e la volontà (15). Questo quadro gerarchico è protetto dal pudore, la cui essenza “metafisica” consiste in una funzione di difesa della verità e dell’integralità dell’amore contro i rischi di prevaricazione del sentimento e del sesso, che tendono costantemente a rivendicare un primato che non hanno, travolgendo soggettivamente l’oggettività dell’amore-virtù (16).
L’erosione della visione organica e gerarchica della persona umana e l’affermarsi dell’antropologia rivoluzionaria si riverberano anche sulla nozione ordinata dell’amore e determinano una crisi dell’amore-virtù. Attraverso un processo le cui tappe saranno descritte più oltre, e nel corso del quale il pudore viene progressivamente negato fino a diventare oggetto di uno scheleriano “risentimento”, l’impegno della volontà viene anzitutto disarticolato dalle sue premesse razionali, e ordinato a una semplice “verità soggettiva” dell’amore, che non è più la verità oggettiva dell’amore-virtù. Successivamente, la mancanza del controllo della ragione e l’indebolimento della funzione di vigilanza svolta dal pudore fanno sì che il primo posto nella relazione uomo-donna venga preso prima dal sentimento e poi, apertamente, dal sesso, in quel pansessualismo contemporaneo che rappresenta il punto più alto della sovversione della tendenza sessuale.
- La Rivoluzione sessuale come categoria teologica
In una serie successiva di più di quaranta discorsi alle udienze generali, destinati a essere ripartiti in tre cicli, Giovanni Paolo II riesamina in chiave teologica i problemi già affrontati in chiave filosofica nel suo Amore e Responsabilità: la relazione originaria uomo-donna, la sua corruzione dopo il peccato originale, la possibilità – e anzi il dovere – di restaurare con l’aiuto della grazia la struttura originaria della relazione voluta da Dio. Secondo l’insegnamento del Pontefice, il centro del problema della tendenza sessuale e del corpo umano “non è soltanto antropologico, ma anche essenzialmente teologico“: “la teologia del corpo, che sin dall’inizio è legata alla creazione dell’uomo a immagine di Dio, diventa, in certo modo, anche teologia del sesso o piuttosto teologia della mascolinità e della femminilità” (17). Emergono, in questa prospettiva, due categorie teologiche fondamentali, che corrispondono alle nozioni filosofiche rispettivamente di amore-virtù e di rivoluzione sessuale: il principio e l’adulterio.
Il “principio” – illustrato nel primo ciclo dei discorsi di Giovanni Paolo II – è l’originaria relazione fra uomo e donna voluta da Dio creatore alla quale Gesù si è richiamato nella sua condanna del divorzio: “da principio li creò maschio e femmina” (18), “da principio non era così” (19).
Replicando alle obiezioni dei farisei, Gesù fa riferimento, oltre la barriera del peccato originale, all’ontologia dei primi tre capitoli della Genesi, che definiscono l’essenza stessa dell’uomo. L’uomo della Genesi, osserva il Pontefice, è “solo” in quanto caratterizzato da una duplice, fondamentale solitudine: l’una positiva, l’altra negativa. Positivamente, l’uomo “è solo” in mezzo al mondo visibile, in quanto si differenzia per natura da tutti gli altri esseri viventi, da tutti gli animalia ai quali “ha dato il nome“: questo “nominare” gli enti esprime l’autocoscienza e la razionalità che definiscono la natura umana, “il genus proximum a cui corrisponde la differentia specifica che è, secondo la definizione di Aristotele, noû zoòn noetikòn” (20). Negativamente, la solitudine dell’uomo è apertura e attesa verso un essere affine a lui, verso un “aiuto simile a lui” (21), che in un misterioso “inizio” mancava; così che Dio stesso rilevò: “Non è bene che l’uomo sia solo” (22); “mandò dunque il Signore Dio ad Adamo un sonno profondo; ed essendosi egli addormentato, gli tolse una delle coste e ne riempì il luogo con della carne. E con la costa che aveva tolto ad Adamo, formò il Signore Dio una donna” (23). “Forse“, commenta Giovanni Paolo II, “l’analogia del sonno indica qui non tanto un passare dalla coscienza alla subcoscienza, quanto uno specifico ritorno al non-essere (il sonno è in sé una componente di annientamento dell’esistenza cosciente dell’uomo) ossia al momento antecedente alla creazione affinché da esso, per iniziativa creatrice di Dio, l’”uomo” possa riemergere della sua duplice unità di maschio e femmina” (24). La creazione “definitiva” dell’uomo, pertanto, “consiste nella creazione dell’unità di due esseri“, secondo una dimensione ontologica dell’unità e della dualità che ha nello stesso tempo un significato assiologico e positivo; perché “erano grandemente buone” (25) di fronte a Dio stesso (26).
Nel testo della Genesi, secondo l’interpretazione del regnante Pontefice, la solitudine dell’uomo viene superata mediante l’iscrizione nella natura umana di una originaria vocazione alla communio personarum. L’uomo e la donna nella loro unità-dualità sono misteriosamente chiamati fin dall’origine all’incontro reciproco: e non a un incontro qualunque, ma a un incontro che esprime tipicamente la natura umana distinta dagli animalia per la razionalità e la libertà, un incontro che avviene sotto il segno della ragione e della volontà. Secondo Giovanni Paolo II, “il concetto di “aiuto” esprime anche questa reciprocità nell’esistenza che nessun altro essere vivente avrebbe potuto assicurare“: “indispensabile per questa reciprocità era tutto ciò che di costitutivo fondava la solitudine di ciascuno di essi, e pertanto l’auto-conoscenza e l’auto-determinazione” (27). Ma, insieme, l’autocoscienza della duplice solitudine e, successivamente, dell’unità-dualità creaturale dei sessi, passa pure attraverso il corpo: l’uomo-maschio chiama fin dal principio la donna “osso delle mie ossa e carne della mia carne” (28). Il corpo “rivela l’uomo“, è insieme l’ambito e il mezzo della comunicazione e dell’incontro fra i sessi. Nel nostro linguaggio moderno, rileva il Pontefice, il concetto di comunicazione “è stato pressoché alienato dalla sua più profonda, originaria matrice semantica” e viene collegato soprattutto alla sfera dei mezzi e dei prodotti che servono per lo scambio e l’avvicinamento. Invece, nel significato della Genesi la “comunicazione” “è direttamente connessa a soggetti che comunicano in base alla comune unione esistente fra di loro“, attraverso lo spazio soggettivo dei corpi ma con un orientamento oggettivo all’unità-dualità originaria che è la stessa essenza umana creata da Dio (29). Dal punto di vista dell’uomo e della donna che soggettivamente comunicano e si comunicano, l’esperienza reciproca dell’altro mediata dal corpo è “beatificante“, strettamente legata a quella felicità originaria che sarà distrutta dal peccato originale. In quanto radicata nella volontà e nella libertà la comunicazione, fino all’unione sessuale (30), è impegno verso l’altro e dono che esprime un significato “sponsale” del corpo. Dal punto di vista oggettivo, la comunicazione esprime il fondamento teleologico profondo della relazione uomo-donna che è l’espressione stessa della natura umana, benedetta da Dio con il dono del “nuovo uomo”: la procreazione.
Il quadro della “innocenza originaria” che caratterizza la “preistoria teologica” della Genesi, si modifica profondamente con il peccato originale. Nello status naturae lapsae la sottomissione del corpo allo spirito e la gerarchia dell’uomo interiore è messa in discussione: “il corpo porta in sé un costante focolaio di resistenza allo spirito e minaccia in qualche modo l’unità dell’uomo-persona” con una “specifica sfida” alla “struttura dell’autopossesso e dell’autodominio” (31). Con il peccato originale nasce la possibilità della rivoluzione nelle tendenze, della rottura della gerarchia interiore, del prevalere – secondo l’espressione di san Paolo – dell’”altra legge nelle mie membra che fa guerra alla legge della mia mente” (32). Le potenzialità di ribellione delle potenze affettive e sensuali rispetto alla ragione costituiscono le tre concupiscenze della prima lettera di san Giovanni, che “non vengono dal Padre, ma dal mondo” (33) e che determinano nei progenitori, già nel Paradiso Terrestre, subito dopo il peccato, la vergogna verso il corpo, che non è più soltanto elemento di comunicazione e di comunione ma anche potenziale supporto di una pericolosa ribellione contro “la legge della mente“. Vergogna “cosmica” nei confronti di Dio e perfino nei confronti degli animalia, verso i quali l’uomo – che d’ora in poi morirà – vede per un momento vacillare il suo primato ontologico; ma anche vergogna antropologica fra i sessi nei confronti dell’altro uomo, che si esprime in una risposta positiva, il pudore “intrecciarono delle foglie di fico, e se ne fecero delle cinture” (34).
Perduta l’innocenza originaria, l’uomo storico conosce la possibilità della sovversione dell’ordinato rapporto uomo-donna voluto da Dio: la possibilità dell’adulterio, categoria teologica fondamentale contrapposta a quella di “principio“, che Giovanni Paolo II analizza nel secondo ciclo dei suoi discorsi alle udienze generali commentando le parole del Signore nel discorso della montagna: “Voi avete udito che fu detto agli antichi: – Non commettete adulterio. Io invece dico a voi: – Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già, in cuor suo, commesso adulterio con lei” (35).
La categoria di adulterio, secondo l’interpretazione del Pontefice, si specifica in due distinte sottocategorie: l’adulterio in senso stretto o “del corpo“, al quale si riferisce il decalogo, e l’adulterio in senso lato, o “del cuore“, referente specifico del passo citato del Vangelo di Matteo. L’adulterio del corpo, o in senso stretto, è la violazione di quella garanzia di oggettività dell’unione sessuale che post peccatum è costituita dall’elemento istituzionale del matrimonio. L’adulterio del corpo, pertanto, “indica l’atto mediante cui un uomo e una donna, che non sono marito e moglie nel senso della monogamia quale fu stabilita all’origine, formano una sola carne” (36). Il decalogo estende il divieto al desiderio della donna d’altri, restando inteso che, quando l’atto – anche interiore – dell’uomo “si riferisce alla donna che è sua moglie, l’adulterio non può verificarsi” (37).
L’adulterio in senso lato, viceversa, è adulterio “del “cuore”“, intendendo per “cuore” non il complesso delle potenze sentimentali e affettive, ma al contrario – conformemente al linguaggio evangelico – l’”uomo interiore” nella sua integralità (per cui il Pontefice scrive sempre “cuore” tra virgolette), ed è sovversione della gerarchia di tale uomo interiore e rovesciamento della “legge della mente“. In questo senso, l’”adulterio del cuore” di cui parla Giovanni Paolo II con riferimento al Vangelo di Matteo, è una categoria che corrisponde a quella che si è denominata come “Rivoluzione sessuale”, sovversione del primato gerarchico dell’amore-virtù rispetto agli elementi affettivi e sensuali. Nell’adulterio del cuore la potenziale ribellione del “corpo” sullo “spirito”, nata con il peccato originale, diventa attuale: lo sguardo – secondo le parole di Cristo (38), intese in tutta la loro profondità – esprime una “riduzione intenzionale e assiologica“, un riduzionismo soggettivo in cui l’altro viene appreso soltanto come potenziale appagatore della propria affettività e sensualità. In un secondo momento, questa riduzione “trascina la volontà nel suo ristretto orizzonte” e “ne suscita la decisione di un rapporto con un altro essere umano secondo la scala dei valori propria della concupiscenza” (39).
Gesù Cristo, ponendo accanto all’”adulterio del corpo” del decalogo la nozione di “adulterio del cuore“, restaura l’altissimo ideale della relazione uomo-donna proposto nel “principio” della Genesi, che corrisponde – come si è accennato – alla gerarchia dell’uomo interiore nella tradizione aristotelica, a quella che san Paolo chiamerà “legge della mente“. Nelle relazioni fra l’uomo e la donna l’unione sessuale e la comunione affettiva, per non diventare dissipazione soggettivistica (e, quindi, espressione dell’”altra legge” che “non viene dal Padre ma dal mondo“), devono inserirsi armonicamente in quel quadro organico che trova al suo vertice la ragione e la volontà. La realizzazione di questo ideale è certamente aiutata, ma non è necessariamente garantita, dalla stessa grazia sacramentale del matrimonio. Per questo, con grande cautela, e proponendo questa affermazione come una delle possibili interpretazioni del testo di Matteo, il Pontefice afferma che, con “un certo paradosso“, si potrebbe dire che l’adulterio “del cuore” (cioè la sovversione della prospettiva gerarchica dell’uomo interiore nei rapporti fra uomo e donna), a differenza dell’adulterio in senso stretto “del corpo” “può essere commesso dall’uomo anche nei riguardi della propria moglie” (40).
II. La Rivoluzione sessuale come processo
- L’ipertrofia della volontà
L’amore, come si è visto, consiste in un impegno della libertà: in un certo senso, pertanto, il soggetto proprio dell’amore è la volontà. Tuttavia, “solo la conoscenza della verità sulla persona rende possibile l’impegno della libertà a suo riguardo” (41): nella retta gerarchia delle potenze umane nihil volitum nisi precognitum, ogni volo è un volo aliquid, un volere un oggetto determinato identificato come adeguato dalla ragione. Nel processo della rivoluzione nelle tendenze – e in particolare della Rivoluzione sessuale – la prima deviazione è la rivolta della volontà contro la ragione. La volontà diventa Wille zum Willen, schema vuoto che non si riferisce più ad un oggetto, ma vuole sé stessa, cioè vuole l’IO che è però un io costruito e definito dal primato della volontà. Questo autentico rovesciamento del primato della ragione sulla volontà, e quindi dell’oggettività sul soggettivismo, è descritto nei suoi passaggi essenziali da Cornelio Fabro, riportandolo al cogito di Cartesio, che è anzitutto un volo cogitare: “Il volo non è più un volo aliquid perché non deve essere un volo intenzionato da alcunché, in quanto esso stesso si pone dal centro dell’io a intenzionante e intenzionato universale, centro dell’io fatto dal volo. L’Io così diventa l’intenzionante trascendentale in quanto è l’intenzionato universale: è il Grund o fondo originario che accresce se stesso all’infinito mediante il circolo della propria appartenenza essenziale. Tutto ciò che accade nella coscienza deve procedere dall’Io e ritornare all’Io, procedere dall’Io e mediante l’Io ritornare all’Io: non è una tautologia, è l’essenza del pensiero moderno e della coscienza contemporanea” (42).
La “svolta antropologica” e soggettivistica del volontarismo si riverbera, come si è accennato, anche nella nozione dell’amore. L’amore di volontà ha come oggetto una duplice verità: la verità sulla persona amata, la verità teleologica sui fini dell’amore. Con la svolta volontaristica, entrambe queste verità sono sostituite da un contenuto soggettivo: l’oggetto della volontà di amare è la volontà stessa come costitutivo profondo dell’io, è – quindi – un particolare atteggiamento dell’io che è visto come un bene da perseguire.
Il volontarismo dell’amore conosce due principali versioni, che si potrebbero definire un volontarismo dell’io, nel quale attraverso l’amore si persegue un perfezionamento e una ascesa dello stesso io amante, e – rispettivamente – un volontarismo del tu, che pretenderebbe di realizzare con l’amore una totale rinuncia a sé a favore dell’altro e quasi una alienazione volontaria dell’io.
Quelli che possono essere definiti “volontarismi dell’io” trovano il loro archetipo nell’Eros di Platone, o forse – più esattamente – nella sua interpretazione neoplatonica, dove l’Eros esalta – fino a renderlo assoluto ed esclusivo – l’elemento ascetico di autoperfezionamento umano che pure è presente nell’amore. L’amore-Eros è estasi che innalza l’uomo fino al Bello trascendente, fino a renderlo divino: il fine dell’Eros è soggettivo (perfezionare l’amante) e, in talune versioni neoplatoniche, addirittura “magico”, in quanto l’estasi dell’amore permetterebbe di creare un uomo nuovo, superando gli stessi limiti della natura umana. Talora (e tipicamente nel neoplatonismo) l’estasi è perseguita attraverso il disprezzo del corpo e la fuga dalla materia (con una diretta contrapposizione – come ha notato Giovanni Paolo II – rispetto al positivo significato del corpo nella concezione cristiana del “principio” (43); altre volte, il corpo è ridotto a mero strumento di una salita che, a differenza della mistica cristiana, non è apertura verso un oggetto assoluto, Dio, ma faticoso arrampicarsi del soggetto all’interno di sé medesimo, verso presunti stati superiori della propria identità.
Le possibili versioni del “volontarismo dell’io” di impronta neoplatonica sono numerosissime. Anche in anni relativamente recenti, forse per positivo contrasto con le sovversioni ulteriori sentimentalistiche o pansessuali, la visione volontaristica dell’amore è stata riproposta in opere che non hanno mancato di esercitare un certo influsso. Julius Evola, per esempio, nel suo Metafisica del sesso, fondendo insieme motivi neoplatonici e altri ricavati dal tantrismo orientale, erotismo e magia, descrive, al riguardo, un caratteristico itinerario di iniziazione esoterica e di auto-perfezionamento “metafisico”, attraverso l’uso strumentale del corpo e del sesso. In un contesto culturale diversissimo, con un apparato di esempi storici ricavati piuttosto dall’arte e dalla letteratura, un best-seller degli anni sessanta, La couple di Suzanne Lilar, presenta lo stesso ideale di “purificazione materiale” e di imbocco della “grande via della Conoscenza” conseguito per mezzo di un’erotica non tecnica, ma sacrale e rituale. Il successo di La couple dipendeva anche dall’accorto arruolamento a sostegno della visione neoplatonica di due temi che cominciavano a diventare di moda: la scienza come “dispensatrice di meraviglioso” (del quale peraltro “solo alcuni privilegiati prenderanno pienamente coscienza“), e il ruolo “femminista” delle donne, che “avranno un compito determinante nella nuova condizione della coppia” in quanto “più dell’uomo, tuffate nella notte del sesso” e “nell’universo delle Madri” (44).
L’incontro fra eros neoplatonico e scientismo evoluzionista si manifesta pienamente, infine, in un altro esempio di questa letteratura volontaristica: nelle pagine sul sens sexuel del volume di Teilhard de Chardin L’Eneygie Humaine, che segnano probabilmente il punto massimo del distacco di questo autore dall’ortodossia cattolica. Per Teilhard, l’aspetto oggettivo dell’amore collegato alla procreazione corrisponde ad una fase immatura dell’evoluzione. “Religioni come il cristianesimo – egli scrive – hanno finora basato sul figlio il codice quasi intiero della loro moralità“; ma “ben diverse si scoprono le cose dal punto di vista al quale ci ha condotto l’analisi di un Cosmo a struttura convergente. È indubbio che la sessualità abbia avuto dapprima come funzione dominante quella di garantire la conservazione della specie, fino a che non era arrivato a stabilirsi nell’Uomo lo stato di personalità. Ma dall’istante critico dell’Ominizzazione, un’altro compito più essenziale si è trovato attribuito all’amore […]: la sintesi necessaria dei due princìpi maschile e femminile nell’edificazione della personalità umana” (45).
Si ritiene, in genere, che la critica più puntuale all’egocentrismo e al soggettivismo dell’Eros platonico venga svolta nell’ambito della dottrina protestante dell’agape, così come – sulla scia di Lutero – viene presentata nell’Eros e Agape di Nygren. Tuttavia, rispetto ai “volontarismi dell’io” platonizzanti, la dottrina esposta in Eros e Agape costituisce piuttosto una “rivoluzione di segno contrario”, che rimane all’interno dello stesso cerchio soggettivistico; un “volontarismo del tu” che, nonostante la dichiarata contrapposizione, condivide con l’Eros neoplatonico la “sovranità” e l’”indifferenza” nei confronti di qualunque ordine di valori extra-soggettivo preesistente: l’Agape – scrive Nygren – “non ha bisogno in assoluto di nulla che la metta in movimento dall’esterno” (46). Il fine (ancora soggettivo) dell’Agape è ancora una ascesi dell’io: un io, in questo caso, che arriverebbe fino a cancellarsi e ad annullarsi in una totale, assoluta donazione al tu. Est enim diligere seipsum odisse proclama Martin Lutero: amare significa odiare sé stessi; ma l’odio di sé è pur sempre un atteggiamento soggettivo, come il “tu” assolutizzato è un elemento meramente interpersonale, che non permette l’apertura verso la verità e l’oggettività dei valori.
Il volontarismo – “dell’io” o “del tu” – presenta, certo, rispetto al dichiarato primato degli elementi affettivi o sensuali, una carica eversiva della visione ordinata e gerarchica dell’uomo che non può non apparire minore. D’altro canto, proprio perché meno grossolana e apparente, l’insidia dell’ipertrofia della volontà è più sottile, perché meno evidente – ma ugualmente pericoloso – è l’oblio dell’elemento oggettivo dell’amore e lo scivolamento nel soggettivismo. Inoltre, per il principio della “marcia di eccesso in eccesso“, che secondo Plinio Corrêa de Oliveira caratterizza tutta la meccanica della Rivoluzione, l’inizio di una fase rivoluzionaria è la premessa per inevitabili fasi ulteriori. Così, l’ipertrofia della volontà rappresenta già una prima rottura della gerarchia fondata sul primato della ragione; ma la volontà, non più regolata dal sapere concettuale, finirà per venire travolta dalla ribellione montante del sentimento e dei sensi.
- L’ipertrofia del sentimento
“I sentimenti – scriveva il cardinale Wojtyla in Amore e Responsabilità – hanno una parte molto importante nella formazione dell’aspetto soggettivo dell’amore, che non può esistere senza l’affetto; e sarebbe assurdo desiderare, sulla scia degli stoici e di Kant, che l’amore fosse a-sentimentale (47). D’altra parte, il “soggettivismo del sentimento” costituisce una delle deviazioni più comuni e più pericolose dall’amore-virtù. Il sentimento, infatti, “svia, per così dire, il nostro sguardo dalla verità, lo distoglie dagli elementi oggettivi dell’attività, dall’oggetto d’azione e dall’atto stesso, e lo dirige verso gli elementi soggettivi, verso ciò che è vissuto da noi“. Al termine del processo, “il valore del sentimento sostituisce i principi oggettivi e diventa criterio del valore degli atti“: l’autenticità del sentimento diventa criterio di legittimazione di qualunque atto, non importa se buono o cattivo, se conforme o meno a ragione. “Dal soggettivismo del sentimento a quello dei valori non c’è che un passo“: quello che viene chiamato “amore” si riduce a un puro punto di riferimento delle emozioni, completamente disarticolato da ogni contenuto: “sotto questa forma, la soggettività, viene dunque a distruggere l’essenza stessa dell’amore” (48).
L’ipertrofia del sentimento caratterizza una fase determinata dell’antropologia rivoluzionaria, generalmente riferita al Romanticismo, nel quale – in questo senso – non a torto Friedrich Heer ha visto il progenitore delle rivoluzioni europee del nostro secolo (49). Le fondamenta filosofiche del pansentimentalismo ottocentesco vengono poste all’inizio del secolo dai “metafisici del sogno” studiati da Bèguin; più tardi, le loro tesi si diffonderanno nella versione filosofica di Schelling e nella smagliante veste poetica di Goethe.
Il più caratteristico di questi autori – e forse uno dei “maestri segreti” del secolo – è il filosofo lucernese Ignaz Paul Vitalis Troxler, teorico del trionfo panico del sentimento (Gemüt), definito come “l’essenza stessa dell’uomo, la sua vera individualità, il vivo centro della sua esistenza, il mondo di tutti i mondi in lui, l’uomo in sé” (50). L’iniziazione ai misteri del sentimento avviene – secondo il consueto clichè romantico, ma con un radicalismo inconsueto – attraverso il sogno, che sarebbe più reale della vita reale, “rivelazione dell’essenza stessa dell’uomo, il processo più peculiare e intimo della vita“. Il sogno “è il lato serio di tutti i giochi a cui la vita si abbandona“, è l’equivalente della “morte filosofica” dei pitagorici e dei neoplatonici in cui “lo spirito, spezzando le barriere dell’Anima, del Corpo, dell’Organismo, vede aprirglisi il regno degli oracoli e dei miracoli“. E tutto questo nel quadro di una metafisica francamente atea, perché la possibilità di attingere nel sogno profondità sentimentali inaudite dimostra che “vi è certo un’altro mondo, ma in questo” e che “l’uomo deve cercare il suo stato futuro nel presente, e il cielo non al di sopra della terra, ma in lui” (51).
La parabola finale del Romanticismo e il suo concludersi in una serie di correnti sotterranee, che esaltano i lati morbosi e patologici del sentimento, è ormai quasi una citazione d’obbligo nelle storie della letteratura, dopo la nota analisi di Mario Praz (52).
L’apologia del sentimento diventa a poco a poco ricerca del sentimento eccezionale, straordinario, mostruoso: l’uomo ricco di sentimenti, l’”anima bella” del primo romanticismo, diventa l’uomo delle passioni singolari e strane, dall’uomo diabolico – o sadico – di Byron fino all’uomo dai vizi inconfessabili di Swinburne. Il luogo romantico per eccellenza si sposta dal tempo degli eroi a quello dei decadenti e dei corrotti, dal Medioevo di Scott alla Bisanzio di Paul Adam, in un tempo in cui i letterati – come scrisse Marcel Schwob – “erano posseduti dalla passione dello strano, dalla ricerca della quinta essenza delle sensazioni nuove” e il pubblico “era stancato da molti sentimenti prima ancora dì averli provati” (53).
L’itinerario descritto da Mario Praz mostra il passaggio, dall’Ottocento al primo Novecento, dalla ipertrofia del sentimento all’ipertrofia della sensualità, attraverso il momento intermedio del primato dei sentimenti, singolari e morbosi. Il punto di arrivo storico di questa marcia verso Bisanzio è forse il clima che troviamo instaurato, alla vigilia della fine, di un altro impero cristiano, nella “grande Vienna” degli anni che precedono la finis Austriae, descritto in modo sostanzialmente unitario – seppure con opposte e polemiche interpretazioni filosofiche – dagli studiosi di Wittgenstein, Janik e Toulmin e dal teorico del nietzsche-marxismo Massimo Cacciari (54). In questo mondo irripetibile – ma la cui somiglianza con gli anni che stiamo rivendo è stata acutamente notata – la cultura dominante non è più romantica, ma ormai apertamente sensista e materialista nelle varie sfumature del positivismo e del neo-positivismo; ma, d’altra parte, il costume, l’arte, la letteratura, la musica mostrano la sorprendente coabitazione dei toni più sentimentali e melensi con motivi sensuali e passionali, mentre la libertà sessuale si è ormai generalizzata, nonostante le ultime resistenze di un moralismo ufficiale che tutta la cultura si affretta a denunciare come ipocrita. I costumi dello strato sociale più acculturato della Vienna del primo Novecento permettono forse di cogliere nelle cose (nel clima e nell’ambiente, giacché si tratta di rivoluzione nelle tendenze, sempre difficile da identificare) il momento del passaggio dalla fase sentimentale a quella sensuale della rivoluzione antropologica: al suono dei frivoli motivi dell’Operetta, il sentimento è la maschera convenzionale delle passioni dei sensi, mentre le passioni dei sensi sono celebrate come la verità del sentimento.
Nel quadro che abbiamo descritto, rapporti uomo-donna e mondo delle tendenze in generale si intrecciano continuamente, e anzi i rapporti microsociali e familiari sembrano diventare, nel “riflusso” del Biedermeier, quasi il parametro di tutta la vita di relazioni dell’uomo. Tuttavia, il quadro che è stato delineato conserva, per così dire, un che di artificioso e di letterario. L’ipertrofia del sentimento, come termine medio fra l’ipertrofia della volontà e l’ipertrofia della sensualità, è un passaggio logico dell’itinerario rivoluzionario, che è agevole seguire nella filosofia come nella letteratura e nell’arte. Ma il discorso si fa più difficile quando dalla sfera delle idee si passa a quella propria e tipica delle tendenze: sul piano del costume, il momento del sentimentalismo quasi mai è reperibile allo stato puro, ma al contrario si trova commisto a elementi razionalistici o – più spesso – a manifestazioni di sensualismo e di Rivoluzione sessuale. Infatti, il sentimento pretende bensì di imporre la sua verità soggettiva e di farsi criterio di valore, ma si tratta di un criterio labilissimo, che, o viene affermato in modo puramente verbale all’interno di un quadro che in realtà è razionalistico, ovvero – come normalmente avviene – cede rapidamente alle più forti spinte dei sensi e della sessualità.
Anche da un punto di vista teorico, i tentativi di costruire il sentimento come criterio morale sembrano non soltanto destinati al fallimento ma sostanzialmente fittizi, in quanto, quello che viene verbalmente definito come “sentimento puro”, in realtà si presenta come sostenuto e accompagnato da elementi ulteriori. Da questo punto di vista, estremamente significativo è lo studio delle diverse edizioni della Inquiry into the Original of our Ideas of Beautv and Virtue di Francis Hutcheson. che viene comunemente ritenuto il più convinto sostenitore del Sentimentalismo morale. In realtà, come ha notato De Crescenzo, “l’esatta comprensione dell’etica di Hutcheson esige la rivendicazione del suo razionalismo” (55), e il supporto razionalistico si fa sempre più pronunciato dalla prima alla quarta edizione dell’Inquiry. Se poi – si può aggiungere – i criteri etici di Hutcheson risultano poco convincenti, ciò deriva dal fatto che la ragione a cui egli si rivolge è di ascendenza lockiana e illuminista; è questa raison – e non il sentimento puro, ciò che sarebbe impossibile – l’istanza ultima della morale dell’Inquiry.
Molto più frequenti, tuttavia, sono i casi in cui dietro un presunto primato del sentimento si scorge nitidamente la prevaricazione totalizzante della sensualità e delle passioni.
Nei rapporti uomo-donna il sentimento è chiamato a giustificare e quasi a riscattare il disprezzo di ogni morale sessuale oggettiva e l’assoluta libertà dei sensi secondo una versione “troppo umana” e volutamente equivoca – oggi caratteristica, fra l’altro, del cattolicesimo detto progressista – dell’”ama et fac quod vis” che Sant’Agostino viceversa riferiva all’amore di Dio. È questo, in ogni caso, lo spazio che al sentimentalismo viene lasciato nel costume contemporaneo. Il momento sentimentale è una fragilissima barriera destinata a cedere immediatamente all’erotismo: anzi, il sentimento viene rivendicato come significato – nel migliore dei casi come “supplemento d’anima” – dell’esperienza erotica intesa nella sua più materiale fisicità.
La versione “di sinistra” e rivoluzionaria di questa presunta riscoperta del sentimento è costituita, per esempio, dalle tesi esposte da Francesco Alberoni in Innamoramento e amore, che un’accorta operazione di propaganda editoriale ha trasformato in un autentico best-seller. In questo saggio Alberoni riprende la tesi del suo precedente Statu nascenti, secondo cui in ogni fenomeno umano collettivo (e l’innamoramento è la nascita di “un movimento collettivo a due“) si distinguono un momento iniziale “nativo” entusiasmante e rivoluzionario e una successiva fase di istituzionalizzazione e routine, sostanzialmente conservatrici. Di qui il primato dell’innamoramento – che è, appunto, in statu nascenti – rispetto all’amore (e al matrimonio) che sono già noiosa e ripetitiva istituzione. Tuttavia, l’essenza dell’”innamoramento” di Alberoni è solo apparentemente sentimentale: il sentimento, certo, ne è l’aspetto di facciata, che sembra a prima vista dominante, ma in realtà la forza dirompente e rivoluzionaria dell’amore “in stato nascente” deriva dalla intensità delle passioni e dalla libertà sessuale, che è data per scontata (56). L’opera di Alberoni rappresenta in un certo senso una fase di transizione fra il sentimento e il pansessualismo: ma è la Rivoluzione sessuale a prevalere.
Anche in autori che muovono da intenti completamente diversi da quello di Alberoni, e che anzi intendono polemizzare contro il consumismo del libero sesso e contro –la volgarità della rivoluzione sessuale contemporanea, il “pericolo del sentimento” sottolineato in Amore e Responsabilità consiste sempre nel soggettivismo e nella mancanza di criteri morali oggettivi. Così nelle pagine dell’Arte di amare di Erich Fromm o nelle opere di Ernst F. Schumacher – certamente apprezzabili quando attaccano l’intemperanza sessuale contemporanea e ne mostrano le inevitabili conseguenze di infelicità – mancano indicazioni sufficienti per la riconquista di norme morali oggettive: e rimane il dubbio che, benché entrambi questi autori lodino la virtù cristiana della temperanza, non si tratti del “vivere secondo ragione” di san Tommaso, ma semplicemente del temperare con una dolcezza sentimentale, o magari – in Schumacher – con un appello alla bellezza trascendente, l’inevitabile, libertà dei sensi (57).
Il passaggio, pressoché inevitabile, dal sentimentalismo al primato della sensualità trova una precisa spiegazione fenomenologica nel naturale orientamento del sentimento verso il piacere. Qui – scriveva il cardinale Wojtyla – “il pericolo del sentimento ci appare con maggiore evidenza, perché i sentimenti gravitano naturalmente verso il piacere, dal momento che questo rappresenta per essi un bene, come la sofferenza rappresenta un male da fuggire“. I sentimenti “tendono quindi ad affermarsi come unica ed essenziale sostanza dell’amore (soggettivismo dei sentimenti), ma, se non vengono diretti, orientano indirettamente il soggetto verso la ricerca del piacere e della voluttà“. Allora “si giudica e si apprezza l’amore in funzione del piacere che procura“: “il piacere diventa il valore supremo al quale tutto deve essere subordinato, perchè è esso a costituire il criterio interno degli atti umani” (58). Il sentimento sottratto al controllo della ragione e della volontà è in questo senso naturalmente utilitarista, e fa suo lo slogan di Bentham “massimizzare i piaceri, minimizzare i dolori“, approdando finalmente all’apologia del piacere sessuale.
Ancora una volta qualche esempio tratto dalla letteratura giova a mostrare l’immediatezza del passaggio. In un romanzo popolare di successo come Love Story di Erich Segal un amore tutto sentimentale, a tratti lacrimoso, nasce fra i protagonisti; ma mentre sta nascendo, davvero in statu nascenti direbbe Alberoni, i due si affrettano a consumare prima di tutto il rapporto sessuale, tanto naturale che il romanziere viene a menzionarlo quasi per incidens.
Troviamo alcune delle più efficaci descrizioni del rapido itinerario che si è descritto, in un’opera ben altrimenti significativa della storia della letteratura, l’Orlando Furioso, dove – come è stato notato – Ludovico Ariosto mette in scena in abito di cavalieri non gli uomini del Medioevo ma i nascenti uomini moderni dell’epoca dell’Umanesimo (sui quali peraltro volentieri ironizza, non senza una certa nostalgia per gli autentici “cavalieri antiqui” (59).
Quel processo, che al romantico dell’Ottocento richiede lo spazio di un romanzo, si compie nel Furioso – forse con maggiore aderenza alla vita reale – nello spazio di un’ottava, e talora di un solo endecasillabo: la passione dei cavalieri per la donna (soprattutto per Angelica, simbolo della bellezza e dell’eterna femminilità che peraltro sempre sfugge) si accende, si fa sentimento turbinoso e subito si precisa – con una franchezza sorprendente e talora brutale – come desiderio di “corre il frutto” (canto I, XLI, 1-2), cioè “il fior virginal“, cogliere – come dice Sacripante di Angelica (Canto I, LVII, 1-2) “la fresca e matutina rosa / che, tardando, stagion perder potria“. Così, nel poema ariostesco, il sentimento mostra la sua natura di preambolo e la sua sostanziale ambiguità. Dipinto con franchezza ancora medievale, l’uomo moderno inizia il suo lungo cammino, nel corso del quale, alzando e abbassando di volta in volta il sipario sentimentale, la Rivoluzione sessuale acquisterà toni sempre più espliciti.
- L’Ipertrofia della sensualità
La denominazione Rivoluzione sessuale, che si è qui riferita a ogni forma di sovversione del rapporto uomo-donna conforme alla gerarchia dell’uomo interiore, designa oggi nel linguaggio comune la sola fase di questa sovversione in cui le pulsioni dei sensi rivendicano un assoluto primato. Si può parlare, da questo punto di vista, del momento dell’ipertrofia della sensualità come di una rivoluzione sessuale in senso stretto, che è la conclusione logica e storica della rivoluzione sessuale in senso largo, che inizia con l’ipertrofia della volontà e con l’ipertrofia del sentimento.
Il pieno sviluppo della rivoluzione sessuale, intesa in questo più restrittivo significato, avviene in un momento particolare del processo rivoluzionario, in cui la rivoluzione delle tendenze acquista – non solo in occulto, ma anche nelle manifestazioni sociali – un ruolo primario e privilegiato nell’economia generale della Rivoluzione: è quella che Corrêa de Oliveira chiama IV Rivoluzione, fondata sull'”ipertrofia delle tendenze“. La rivoluzione sensuale nell’uomo e la Rivoluzione sessuale (stricto sensu) nei rapporti uomo-donna esistono come possibilità dal peccato originale e dalla nascita della concupiscenza della carne, e vengono a dominare in ogni uomo, in ogni tempo, nei momenti di cedimento e di peccato, ogni volta – per riferirsi ancora a san Paolo – che l'”altra legge” conclude vittoriosa la sua “guerra alla legge della mente“. Con la fine del Medioevo e l’inizio dell’epoca della Rivoluzione, l’ipertrofia della sensualità comincia a passare dai fatti alle idee all’interno di piccole cerchie che non si limitano a vivere sregolatamente, ma “pensano come vivono” (60) e proclamano il primato dei sensi. I Circoli libertini della Francia del Seicento, eredi dell’immoralismo neopagano del Rinascimento ma insieme sorprendentemente vicini a certi fenomeni di IV Rivoluzione contemporanea, offrono al riguardo un esempio che merita di non essere sottovalutato (61).
Il libertinismo – come è stato sottolineato (62) – è il precursore diretto dell’illuminismo settecentesco: e l’illuminismo aggressivo di de Sade costituisce, nell’epoca della rivoluzione francese, già un programma completo di Rivoluzione sessuale. Il pansessualismo di de Sade ha natura di utopia, e sta alla IV Rivoluzione moderna come Babeuf sta alla III Rivoluzione e al comunismo: le sue tesi, per qualche verso “in anticipo” rispetto alla sua epoca (benchè, come per Babeuf, radicate in un humus antichissimo che risale allo gnosticismo e alle eresie medioevali), svolgono la funzione vessillare che è propria di chi alza una bandiera e indica una strada per il futuro.
Nell’Ottocento e agli inizi del Novecento – dopo il consolidarsi pressochè ovunque dello Stato ufficialmente laico, non piu cristiano, e dopo la diffusione sociale della critica alla morale naturale e cattolica dei “maestri del sospetto” Marx, Nietzsche e Freud – la Rivoluzione sessuale si sforza di passare “dall’utopia alla scienza”, e il manifesto programmatico di de Sade si sviluppa nel pansessualismo metodico di Groddeck e di Reich, fino alla sintesi articolata di Bataille (63). Con questi autori si può dire che la Rivoluzione sessuale si affermi come elemento obbligato del panorama culturale, che il pansessualismo diventi uno scenario dominante della città delle idee rivoluzionarie. Tuttavia nonostante una innegabile, ancorchè lenta, decadenza quasi universale dei costumi – i sistemi dottrinali dei maestri del pansessualismo non segnano ancora, per qualche verso, la completa socializzazione della Rivoluzione sessuale. All’epoca di Groddeck, di Reich, e ancora di Bataille, l’idea che la sensualità debba essere l’istanza dominante nell’uomo non era ancora socialmente affermata: tanto che i loro progetti “politici” incontrarono notevoli resistenze. Groddeck non venne neppure preso in considerazione da Hitler, a cui aveva proposto un progetto di applicazione ufficiale delle sue idee; le dottrine reichiane furono messe al bando da Stalin e respinte ai margini del marxismo ufficiale, mentre gli asili “orgonomici” di Vera Schmidt venivano chiusi dalla polizia sovietica; lo stesso Bataille – ciò che gli viene rimproverato dai suoi più recenti seguaci – considerava la Rivoluzione sessuale e l’erotismo come un fatto di élite, riteneva impossibile la loro diffusione su vasta scala e disprezzava la pornografia (64).
Viceversa, a meno di dieci anni dalla morte di Bataille, il 1968 – di cui gli “autonomi” del 1978 ci hanno offerto una riedizione pro memoria – ha rappresentato l’esplosione “ufficiale” (in larga parte indotta e pilotata) di un mondo nuovo che qualcuno ha definito “civiltà sensista” (65) e che è caratterizzato dalla socializzazione della rivoluzione sensuale. La Rivoluzione sessuale e la rivendicazione del primato dei sensi non nascono nel 1968: ma il 1968 e il vernissage ufficiale (nelle Università) di un’esposizione di orrori già da lungo tempo preparata e organizzata, che da ambiti ristretti dilaga nella società fino a farsi generale. Ciò che nel Seicento veniva affermato e praticato nei “ristretti di fervore” della Rivoluzione, nei circoli libertini, nel 1968 è diventato mentalità corrente e costume riconosciuto. Non è la nascita della IV Rivoluzione, ma piuttosto il rito di iniziazione che segna il suo passaggio alla maggiore età: il sensismo pansessuale diventa una rivoluzione diffusa come l’aria che respiriamo, e la Rivoluzione sessuale non è più soltanto un processo, ma anche una epoca.
Massimo Introvigne
Note:
(1) Cfr. ROBERTO DE MATTEI, La TFP brasiliana: mezzo secolo di epopea anticomunista, in Cristianità, anno IX, n. 69, gennaio 1981, p. 12.
(2) SAN TOMMASO D’AQUINO, Quaestio disputata De malo in IDEM, Quaestiones disputatae et quaestiones duodecim quodlibetales, 5ª ed., Marietti, Torino-Roma 1927, vol. II.
(3) L’espressione che riassume il pensiero dell’Angelico, è di GIOVANNI DI SAN TOMMASO, Cursus theologiae, q. 9, Ed. Vives, IV, p. 860.
(4) Cfr. JUAN DONOSO CORTÉS, Il potere cristiano, a cura di Lucrezia Cipriani Panunzio, Morcelliana, Brescia 1964, p. 49.
(5) Gn. 1, 27.
(6) CARLO WOJTYLA, Amore e Responsabilità, 2ª ed. it., Marietti, Torino 1978, p. 36.
(7) Ibid., p. 40.
(8) Ibid., p. 39.
(9) Ibid., p. 40.
(10) Sulla giusta visione del rapporto gerarchico tra le potenze dell’anima cfr. LUCAS GARCIA BORREGUERO, La radice dell’errore, in Cristianità, anno IV, n. 16, marzo-aprile 1976.
(11) C. WOJTYLA, Amore e Responsabilità, cit., p. 105.
(12) Ibid., p. 106.
(13) Ibid., p. 110.
(14) Ibid., p. 120.
(15) Cfr. ibid., p. 111, “… il vero amore è essenzialmente oggettivo, mentre il “soggettivismo” costituisce la radice profonda della sovversione del rapporto uomo-donna e quindi del peccato“.
(16) Cfr. ibid., parte III, cap. 2, pp. 161-178.
(17) GIOVANNI PAOLO II, Matrimonio e Famiglia, Genesi cc. 1-3, Edizioni Paoline, Alba 1980, p. 35. L’opera raccoglie in versione integrale il primo ciclo dei discorsi del Pontefice sulla morale sessuale. Meno felici, in genere, sono le varie antologie e opere di sintesi pubblicate, dove – forse allo scopo di rendere il discorso più accessibile al grosso pubblico – i riferimenti più strettamente metafisici vengono solitamente accantonati; in questo modo, tuttavia, va perduto il proprium del pensiero pontificio, ridotto a una dimensione esortatoria e moralistica certamente non inutile ma sostanzialmente riduttiva. È questo il limite fra l’altro, della raccolta Il matrimonio comunità di amore. Giovanni Paolo II alle famiglie, curata da Dionigi Tettamanzi, Massimo, Milano 1980.
(18) Mt. 19, 4.
(19) Ibid., 19, 8.
(20) GIOVANNI PAOLO II, Matrimonio e Famiglia, Genesi cc. 1-3, cit., pp. 19-20.
(21) Gn. 2, 18.
(22) Ibidem.
(23) Ibid., 2, 21-22.
(24) GIOVANNI PAOLO II, Matrimonio e Famiglia, Genesi cc. 1-3, cit., p. 29. Naturalmente, come il Pontefice stesso rileva, la dinamica della creazione conserva un elemento di mistero e nessun tentativo di comprensione può essere ritenuto esaustivo.
(25) Gn. 1, 31.
(26) GIOVANNI PAOLO II, Matrimonio e Famiglia, Genesi cc. 1-3, cit., pp. 31-32.
(27) Ibid., pp. 32-33.
(28) Gn. 2, 23.
(29) GIOVANNI PAOLO II, Matrimonio e Famiglia, Genesi cc. 1-3, cit., p. 46.
(30) Cfr. Gn. 2, 24.
(31) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi sul matrimonio e la morale familiare, Matteo 5, 27-28, Edizioni Paoline, Roma 1980, pp. 21-22. L’opera raccoglie in versione integrale il secondo ciclo dei discorsi del Pontefice sulla morale sessuale.
(32) Rm. 7, 23.
(33) I Gv. 2, 16.
(34) Gn. 3, 7.
(35) Mt. 5; 27-28.
(36) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi sul matrimonio e la morale familiare, Matteo 5, 27-28, cit., p. 57. Anche quanto all’adulterio in senso stretto, nota Giovanni Paolo II, la parola di Gesù viene a svolgere una funzione restauratrice rispetto al principio, perché dalla “monogamia quale fu stabilita all’origine” il popolo di Israele si era spesso allontanato nella pratica e nel costume, nonostante gli ammonimenti dei Profeti.
(37) Ibid., p. 10.
(38) Cfr. Mt. 5, 27-28.
(39) GIOVANNI PAOLO II, Catechesi sul matrimonio e la morale familiare, Matteo 5, 27-28, cit., pp. 68-70. L’analisi teologica del brano del Vangelo di san Matteo corrisponde strettamente qui all’analisi fenomenologica svolta in Amore e Responsabilità.
(40) Ibid., p. 78. Non merita particolari commenti il variopinto sciocchezzaio a cui si è abbandonata la stampa quotidiana e periodica commentando questo discorso dell’8 ottobre 1980, ignorando – per dire il meno – l’ampio contesto in cui il discorso si pone e la distinzione fra adulterio “del corpo” e “del cuore”.
(41) C. WOJTYLA, Amore e Responsabilità, cit., p. 122.
(42) CORNELIO FABRO, Il valore permanente della morale, in Il problema morale oggi, Il Mulino, Bologna 1969, pp. 337-338 (ripubblicato in C. FABRO, L’avventura della teologia progressista, Rusconi, Milano 1974, pp. 179-180).
(43) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Matrimonio e Famiglia, Genesi cc. 1-3, cit., p. 87.
(44) SUZANNE LILAR, La couple, Bernard Grasset, Parigi 1963; trad. it., L’amore, storia e problematica, Paideia, Brescia 1967, pp. 278-279.
(45) PIERRE THEILARD DE CHARDIN, S. J., L’energie humaine, Seuil, Parigi 1962, pp. 91-92.
(46) La citazione è dalla prima edizione tedesca dell’ampia opera di ANDERS NYGREN, Eros e Agape, Gütersloh 1930, vol. II, p. 551, che ha conosciuto varie vicissitudini editoriali. Per un’acuta critica della tesi di Nygren cfr. JOSEF PIEPER, Sull’amore, Morcelliana, Brescia 1974, pp. 104-114. Pieper mostra l’assoluta invivibilità dell’altruismo radicale di Nygren e insieme indica le radici della posizione del teologo svedese (che fu il primo presidente dell’Unione Mondiale Luterana) in tutta la tradizione protestante sul tema.
(47) C. WOJTYLA, Amore e Responsabilità, cit., p. 141.
(48) Ibid., pp. 141-142.
(49) Cfr. FRIEDRICH HEER, Europa madre delle rivoluzioni, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1968. In quest’opera la tesi è esposta dal punto di vista della Rivoluzione, in diretta polemica con la scuola cattolica contro-rivoluzionaria.
(50) Cfr. ALBERT BÈGUIN, L’anima romantica e il sogno, trad. it., Il Saggiatore, Milano 1967, p. 141.
(51) Ibid., p. 139. Sembra, peraltro, che Troxler sia morto cattolico e riconciliato con la Chiesa.
(52) Cfr. MARIO PRAZ, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, 5ª ed. accresciuta, Sansoni, Firenze 1976.
(53) MARCEL SCHWOB, Les Portes de l’Opium, cit., ibid., p. 305.
(54) Cfr. ALLAN JANIK-STEPEN TOULMIN, La grande Vienna, 2ª ed. it., Garzanti, Milano 1980 (che costituisce la punta emergente di una vasta letteratura anglo-americana sul tema); MASSIMO CACCIARI, Dallo Steinhof, Adelphi, Milano 1980. Cacciari ironizza sull’”american Kraus” e sull’oblio di Nietzsche da parte di Janik e Toulmin; d’altra parte egli sembra forzare un poco il quadro insistendo nel presentare la “grande Vienna” come il luogo di incubazione della sua stesso filosofia. In ogni caso, se opposta è l’interpretazione al livello delle idee, il “sapore” di quel mondo viennese che rileva per l’analisi dal punto di vista delle tendenze è reso in modo sostanzialmente non dissimile dalle due opere.
(55) GIOVANNI DE CRESCENZO, Francis Hutcheson e il suo tempo, Taylor, Torino 1968, p. 17.
(56) Cfr. FRANCESCO ALBERONI, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano 1979 e Statu nascenti, Il Mulino, Bologna 1968. Per una critica della Seconda opera cfr. EMANUELE SAMEK LODOVICI, Metamorfosi della gnosi, Ares, Milano 1979, pp. 32-42.
(57) Cfr. ERICH FROMM, L’arte di amare, trad. it., Mondadori, Milano 1963; ERNST F. SCHUMACHER, Piccolo è bello, 2ª ed. it., Mondadori, Milano 1978 e Guida per i perplessi, trad. it., Mondadori, Milano 1979. Caratteristiche, nelle pagine finali di Piccolo è bello (pp. 245-149), le espressioni di apprezzamento per le opere di Josef Pieper sulle virtù cristiane, che tuttavia vengono assunte da Schumacher soltanto nel loro aspetto più esteriore di “ricette” per la felicità, misconoscendone la radice metafisica e il fine teologico.
(58) C. WOJTYLA, Amore e Responsabilità, cit., p. 143.
(59) Come è stato rilevato è questo l’atteggiamento ariostesco di fronte alla Cavalleria, che si distingue dall’apologia “tradizionalista” di Boiardo, come dalla critica corrosiva di Pulci. Cfr. LANFRANCO CARETTI, Ariosto e Tasso, Einaudi, Torino 1961.
(60) “Bisogna vivere come si pensa, se no, prima o poi, si finisce col pensare come si è vissuto” (così Paul Bourget, Il demone meridiano, trad. it, Salani, Firenze 1956, p. 395). Per un commento a questa frase come sintesi della meccanica del passaggio dalla rivoluzione nelle tendenze a quella nelle idee, cfr. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977, p. 81.
(61) Cfr. l’antologia di ANTOINE ADAM, Les libertins au XVIIeme siècle, Buchet-Chastel, Parigi 1964.
(62) Cfr. il Preface di A. ADAM, ibid., pp. 7-31.
(63) È qui riassunto brevemente il contenuto dei miei precedenti articoli Le Origini della Rivoluzione sessuale, in Cristianità, anno VII, n. 54, ottobre 1979; L’inconscio come trama del mondo: Groddeck, ibid., anno VII, n. 55, novembre 1979; La gnosi sessuale di Wilhelm Reich, ibid., anno VIII, n. 57, gennaio 1980; L’erotismo come culto della morte: Bataille, ibid., anno VIII, n. 67, novembre 1980.
(64) Per una critica a Bataille in questa prospettiva cfr. MARIO PERNIOLA, Introduzione a GEORGES BATAILLE, Le lacrime di Eros, trad. it., Arcana, Roma 1979.