Il bilancio, poco lusinghiero, di decenni di regime islamico
di Stefano Nitoglia
Sono ormai passati 42 anni da quando, il 16 gennaio 1979, lo Scià Mohammad Reza Pahlavi(1919-1980) lasciò l’Iran per andare in esilio e, con il ritorno di Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī (1902-1989), il 1° febbraio 1979, ebbe inizio il regime fondamentalista islamico degli Ayatollah.
Si tratta di una feroce dittatura che ha nel “Corpo delle guardie della rivoluzione islamica”, meglio noto con il nome farsi di “Pasdaran”, una forza militare autonoma che dispone di circa 120.000 uomini suddivisi in forze di terra, aeree e navali, e rappresenta uno dei suoi più efficaci strumenti repressivi.
Con il tempo i Pasdaran hanno aumentato il potere e la loro sfera di azione e di influenza, giungendo a gestire, con metodi mafiosi, anche imprese economiche e interi settori dell’economia iraniana.
Le varie proteste che si sono succedute in Iran durante questa dittatura, tra le quali la più nota è quella del cosiddetto “Movimento Verde” (2009) sono state represse senza pietà.
Nonostante questo, le rivolte continuano a scoppiare. L’ultima, ancora in corso, ha avuto inizio nello scorso mese di luglio nella regione del Khuzestan, nel sud dell’Iran, abitato prevalentemente da popolazione di origine araba, diversamente dal resto dell’Iran (di popolazione indoeuropea), ed è stata causata da motivazioni economiche (la mancanza di acqua e di energia elettrica), a cui si sono aggiunti anche motivi politici.
I mass media occidentali non hanno dato risalto alla cosa e, per fare luce su un fenomeno che riteniamo particolarmente importante, abbiamo rivolto alcune domande sulle proteste e sulla situazione generale dell’Iran a una persona di nazionalità iraniana, che per motivi facilmente intuibili vuole mantenere l’anonimato, recentemente venuta in Italia dall’Iran.
Le riportiamo di seguito.
D. I social hanno parlato di proteste a luglio in Iran. I grandi mass media hanno taciuto. Lei, che è reduce dall’Iran, cosa ci può dire?
R. Nel mese di luglio sono scoppiate delle rivolte nel Khuzestan, regione ricchissima di petrolio e di acqua, nel sud dell’Iran. Quasi tutti i più importanti fiumi, che nascono nei monti Zagros, catena che delimita a nord la regione, scorrono nel Khuzestan.
I motivi delle proteste sono la carenza di acqua e di energia elettrica. Il regime degli Ayatollah, in particolare la forza militare dei Pasdaran, che è un regime nel regime, una forza anche economica che gestisce il potere in maniera mafiosa, vende l’acqua e l’energia elettrica al Kuwait e all’Iraq, sottraendola, quindi, al Khuzestan. I Pasdaran vogliono impossessarsi del Khuzestan per farne una loro base strategica, un centro di potere.
Questo ha causato violente proteste, con la gente che è scesa in piazza al grido: «Morte alla dittatura. Morte a Khamenei». Il regime ha risposto con il coprifuoco, che però viene ripetutamente violato, e con l’esercito, che ha sparato. Si parla ufficialmente di 8/10 persone uccise e di 300 arrestate, ma in realtà sono molte di più. Sono stati, inoltre, interrotti tutti i contatti via internet.
D. Oltre al Khuzestan, quali altre città o province hanno interessato le proteste?
R. Il centro delle proteste è stato il Khuzestan, in particolare la sua capitale Ahvaz e la città di Haftappeh, anche se ci sono stati alcuni episodi pure a Teheran, la capitale, a Tabriz, nell’Iran nord-occidentale, capoluogo dell’Azerbaigian Orientale, e ad Esfahan, antica capitale prima di Teheran.
D. I motivi delle proteste sono solo di carattere economico, per la carenza di acqua ed energia elettrica o vi sono altre ragioni, anche politiche?
Oltre alle proteste per la mancanza di acqua e di energia elettrica, ad Hafttapeh, sito archeologico del Khuzestan, a nord di Ahvaz, sono da un mese in sciopero per protestare contro la vendita a un gruppo privato del locale zuccherificio. A Esfahān le proteste sono scoppiate per la deviazione, da parte dei Pasdaran, di gran parte del corso del fiume Zayandeh per portare acqua alle locali acciaierie, con la conseguenza che il fiume è in secca mentre passa nella bellissima città persiana (secondo un adagio persiano «Esfahān è metà del mondo», Esfahān nesf-e jahān). Gli allevamenti e l’agricoltura locali sono senza acqua.
Comunque, in tutto il Paese, la situazione economica è molto grave, la gente è alla fame, va a rovistare nei secchi delle immondizie, la classe media è stata distrutta, esiste solo un ristrettissimo numero di super-ricchi, legati al regime, con una grandissima parte di poverissimi. Ogni giorno si stampa moneta per pagare i debiti e questo provoca un’inflazione mostruosa. Tutto è iniziato 8 anni fa, con l’inizio della presidenza di Hassan Rouhani (2013-2021), in Occidente ritenuto un “moderato”. All’inizio della presidenza Rouhani, per acquistare un dollaro ci volevano tremila tuman (pari a 10 ryal, la moneta ufficiale iraniana), ora ce ne vogliono ventiseimila. Solo il 5% della popolazione è vaccinata contro il Covid-19. Poiché la teocrazia dei mullah aveva puntato sui vaccini russi, senza poi ottenerli, ora i vaccini sono pressoché introvabili. Molti vanno a vaccinarsi in Armenia, oppure si procurano il vaccino alla borsa nera, gestita dai Pasdaran, pagando AstraZeneca cinque milioni di tuman e Pfizer venti milioni di tuman.
La classe dirigente è corrotta. Il nuovo presidente della Repubblica islamica, Ebrahim Raisi, eletto il 3 agosto scorso, oltre ad avere un “curriculum” di studi molto incerto, è accusato di numerose stragi di oppositori politici, tanto da essere chiamato dalla popolazione «il macellaio». Hossein-Ali Montazeri, uno dei leader della Rivoluzione khomeynista, erede designato di Khomeyni e poi caduto in disgrazia, lo ha indicato come uno dei responsabili delle esecuzioni dei prigionieri politici iniziate nel luglio del 1988 e durate oltre cinque mesi. Insieme ad altre tre persone fece parte del cosiddetto «comitato della morte» voluto da Khomeini per processare gli oppositori politici alla fine della guerra con l’Iraq, soprattutto i cosiddetti «Mujaheddin del popolo iraniano» e i membri del Tudeh, il Partito Comunista Iraniano. Si parla di un numero di esecuzioni che va da un minimo di 8.000 ad un massimo di 30.000.
D. Le proteste continuano ancora?
R. Sì, le proteste durano ancora, soprattutto nel Khuzestan.
D.Sono proteste spontanee oppure anche organizzate e, nel caso, da chi?
R. In Iran, a causa della forte repressione, non esiste un’opposizione organizzata, almeno a quanto se ne sappia. All’estero, soprattutto negli Stati Uniti, esiste, invece, un’opposizione organizzata, soprattutto monarchica, certamente non di sinistra. Essa si rifà un po’ alla cosiddetta “Rivoluzione costituzionale persiana” (in persiano Mashrutyatt o Enghelāb-e Mashrūteh), che operò contro gli ultimi Scià Qajar all’inizio del secolo scorso. I vari movimenti stanno cercando di avere un centro di coordinamento. Purtroppo, l’amministrazione degli Stati Uniti, per ora, non li appoggia, almeno ufficialmente.
D. C’è qualche speranza concreta che si riesca a rovesciare il regime degli Ayatollah in tempi ragionevoli, o che ci siano comunque cambiamenti sostanziali?
R. La situazione per il regime è molto pericolosa, anche se per il momento con la repressione riesce a controllarla. In tutti i cambiamenti di regime hanno avuto un ruolo notevole, se non fondamentale, i cosiddetti “bazari”, i commercianti dei bazar delle maggiori città, soprattutto quelli di Teheran, una struttura corporativa con delle sue leggi ed anche un servizio d’ordine proprio, quasi una milizia. Ebbero un ruolo fondamentale nel ritorno dello Scià nel 1953, al tempo di Mossadeq, come lo hanno avuto nel 1979, con la Rivoluzione khomeynista. I bazari, però, non appoggiano le proteste, perché in questa situazione di crisi economica e inflattiva ci guadagnano, gestendo il mercato “nero” insieme ai Pasdaran, vera e propria forza economica di stampo mafioso che controlla tutto, perfino il mercato dei bitcoin.
Ci sono, poi, i russi e i cinesi, che stanno aumentando la loro presenza e la loro influenza in Iran, fornendo tecnologia per il programma nucleare iraniano in cambio di materie prime e di influenza strategica. Russi e cinesi si espandono in tutto il Medio Oriente, mentre gli Stati Uniti si stanno ritirando da quest’area strategica.
I giovani, però, sono tutti contro il regime e molti anche per lo Scià; colpiti particolarmente dalla crisi economica, non riescono a trovare lavoro, il cui mercato è gestito dai Pasdaran, e non credono più nell’Islam, disgustati dal cattivo esempio delle loro gerarchie religiose. La popolazione iraniana è mediamente molto giovane: l’età media è di soli 27 anni e il 22% della popolazione è compreso nella fascia che va dai 15 ai 24 anni. Questa è una grande speranza per il futuro ed è anche la mia speranza.
Mercoledì, 11 agosto 2021