Giovanni Cantoni, Cristianità n. 332 (2005)
I. La dottrina sociale della Chiesa: natura e storia
1. “Creazione, peccato, redenzione”
La Chiesa Cattolica si vuole società sui generis, in quanto fondata direttamente da Dio nella persona di Gesù Cristo e con caratteri simili a quelli di ogni società fondata indirettamente da Dio stesso attraverso la naturale socialità umana, cioè come ogni società appunto umana, istituita però direttamente dagli uomini.
La visione del mondo cattolica è ritmata da una sequenza, che pretende di rendere ragione, in genere, della vicenda umana e, in specie, di tutto l’operare della Chiesa e dei “mondi” — le diverse “cristianità” — costituiti da cattolici come effetto e come risultato di una conversione e di un’inculturazione, cioè come esito di una implantatio non solo religiosa, ma anche socio-culturale. “È nel messaggio biblico, infatti — afferma Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) —, che si conosce la vicenda umana nei suoi risvolti più nascosti: la creazione, la tragedia del peccato, la redenzione. Si definisce così il vero orizzonte interpretativo entro il quale possono essere compresi eventi, processi e figure della storia nel loro significato più recondito” (1).
La sequenza in questione è dunque “creazione, peccato, redenzione”, esprimibile anche, con particolare attenzione all’uomo, attraverso tre aggettivi atti a descrivere tre diverse condizioni dell’uomo stesso: formatus, deformatus, reformatus, “formato”, “deformato”, “riformato” (2). Tale sequenza suppone Dio creatore di una realtà con una ratio, un’”armonia intelligibile”, che l’uomo, parte di questa realtà, intuisce con il senso comune a partire dalla rilevazione che res sunt — secondo la felice formula dello storico francese della filosofia e filosofo Étienne Gilson (1884-1978) —, che “vi sono le cose” (3), fra le quali — aggiungo io — ne vengono poi apprezzate di particolari: homines sunt, “vi sono gli uomini”. Segue l’approfondimento di questa rilevazione attraverso l’operare umano, principalmente grazie alla contemplazione che si esprime nella filosofia e coglie un diritto naturale, e attraverso la catalogazione e l’interpretazione dell’operare umano stesso, dei suoi ritmi e dei suoi frutti, cioè dell’esperienza storica, che svela l’essere dell’operatore: infatti — come recita un detto scolastico — operari sequitur esse, “l’agire consegue all’essere”; e contemplazione ed esperienza alimentano e orientano l’agire prudente, cioè lo sforzo di trascrivere i princìpi contemplati nei fatti, negli ambienti, nei costumi e nelle istituzioni.
Un atto umano compiuto in illo tempore, in principio, il “peccato originale”, il rifiuto da parte dell’uomo della propria condizione di creatura, ha ferito l’operare umano, sia com’è posto dalla volontà che com’è espresso dall’intelligenza sulla base della memoria, che ne è fondamentale collaboratrice, rendendo in questo modo problematico il magistero della storia, cioè dell’umana esperienza. E “ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male — si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica —, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi” (4).
Perciò s’impone una restaurazione della realtà ferita, un’integrazione dei doni collegati alla creazione, alla natura, cioè l’integrazione soprannaturale della grazia, che si manifesta attraverso la Rivelazione, con la costituzione della Chiesa, che annuncia la Buona Novella, conferma i caratteri della natura anteriori alla deformazione prodotta dal peccato originale e amministra i sacramenti che, insieme alla preghiera, sono veicoli ordinari della grazia, cioè dell’aiuto straordinario da parte di Dio; e la grazia non conferma soltanto o solamente integra, ma eleva anche a un ordine superiore. Dell’annuncio fa pure parte la conferma di una regola di comportamento — la morale e lo sforzo, l’ascesi che l’accompagna, risposta dell’uomo al misterioso, “mistico”, aiuto di Dio —, il cui rispetto garantisce il ritorno all’origine, al punto di partenza, il costante “ringiovanimento”: da Dio, come fonte, tutto viene, e a Dio, come fine, tutto va. I due itinerari vengono indicati nel linguaggio della teologia scolastica in genere, e in quello di san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274) in specie, come exitus e reditus, rispettivamente “uscita” e “ritorno” (5).
2. Morale individuale e sociale, morale naturale e rivelata
La morale individuale è l’indicazione dei princìpi, dei valori di riferimento ai quali l’uomo come singolo deve guardare nel suo agire perché, nato ferito dalla caduta originale, possa essere redento e tornare a Dio.
La dottrina sociale della Chiesa è l’indicazione comportamentale, cioè morale, intesa a contrastare le difficoltà costituite per l’agire dell’uomo dalla cosiddetta “questione sociale”, cioè dall’insieme delle difficoltà, derivanti dal peccato originale, dell’operare degli uomini nelle loro relazioni con Dio come gruppi sociali, nella vita di convivenza fra loro e fra gruppi sociali, e nei rapporti suscitati dalle relazioni con i beni sia dei singoli, che — di nuovo — dei gruppi umani.
Una dottrina morale sociale esiste ed è sempre esistita fra gli uomini, quale ne sia o ne sia stata l’espressione, anzitutto “mitica”, cioè esemplare, poi filosofica, cioè riflessa nell’esperienza e da essa ricavata, astratta; e tale dottrina morale sociale ha trovato nella Sacra Scrittura un’espressione privilegiata, in quanto rivelata, quindi garantita dal Rivelatore. Inoltre la sua esplicitazione da parte del Magistero della Chiesa Cattolica è passata dall’intervento episodico all’insegnamento sociale: dalla terapia sociale, dalla denuncia e dall’indicazione nel caso concreto all’educazione sociale integrale (6).
Così, alle indicazioni sociali veterotestamentarie seguono quelle neotestamentarie; quindi, il Magistero ecclesiastico accompagna la vita delle società alle quali annuncia, alla luce della regalità di Cristo (7), e nelle quali testimonia nel tempo le verità della Creazione, del peccato e della Redenzione con indicazioni sollecitate dalle necessità di tali società, ricordando che, secondo Papa Pio XII (1939-1958), “Prima Causa e ultimo fondamento” (8), dunque “Esemplare” (9) e modello della società in genere, è “Dio Uno e Trino” (10); al dire di Papa beato Giovanni XXIII (1958-1963) il “regno di Dio” (11), di cui dev’essere “uno specchio il più fedele possibile” (12); secondo Papa Leone XIII (1878-1903), la Chiesa (13); comunque, nell’istruzione Libertatis conscientia, emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1986, “un ordine trascendente, che senza togliere […] [all’ordine temporale] il suo specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura” (14).
3. Peccato originale e Rivoluzione; grazia e Contro-Rivoluzione
Quanto accaduto in principio, in illo tempore, si trova a grandi linee descritto nella Costituzione pastorale “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), promulgata da Papa Paolo VI (1963-1978) nel 1965 (15). Nel paragrafo intitolato Il peccato, del primo capitolo, dedicato a L’uomo ad immagine di Dio, della prima parte, La Chiesa e la vocazione dell’uomo, si legge: “Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l’uomo però, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire il suo fine al di fuori di Dio.
“Pur avendo conosciuto Dio, gli uomini “non gli hanno reso l’onore dovuto… ma si è ottenebrato il loro cuore insipiente”… e preferirono servire la creatura piuttosto che il Creatore [cfr. Rm. 1, 21-25].
“Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza.
“Infatti l’uomo, se guarda dentro al suo cuore, si scopre inclinato anche al male e immerso in tante miserie, che non possono certo derivare dal suo Creatore, che è buono.
“Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l’uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo fine ultimo, e al tempo stesso tutta l’armonia, sia in rapporto a se stesso, sia in rapporto agli altri uomini e a tutta la creazione.
“Così l’uomo si trova diviso in se stesso.
“Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre.
“Anzi l’uomo si trova incapace di superare efficacemente da sé medesimo gli assalti del male, così che ognuno si sente come incatenato.
“Ma il Signore stesso è venuto a liberare l’uomo e a dargli forza, rinnovandolo nell’intimo e scacciando fuori “il principe di questo mondo” (Gv. 12, 31), che lo teneva schiavo del peccato.
“Il peccato è, del resto, una diminuzione per l’uomo stesso, in quanto gli impedisce di conseguire la propria pienezza. Nella luce di questa Rivelazione trovano insieme la loro ragione ultima sia la sublime vocazione, sia la profonda miseria, di cui gli uomini fanno l’esperienza” (16).
Nello stesso documento conciliare, al paragrafo intitolato L’attività umana corrotta dal peccato, del terzo capitolo, L’attività umana nell’universo, della medesima parte, vengono poi descritte le conseguenze del peccato originale sull’agire umano, quindi sul mondo storico: “La sacra Scrittura, però, con cui si accorda l’esperienza dei secoli, insegna agli uomini che il progresso umano, che pure è un grande bene dell’uomo, porta con sé una seria tentazione.
“Infatti, sconvolto l’ordine dei valori e mescolando il male col bene, gli individui e i gruppi guardano solamente agli interessi propri e non a quelli degli altri; così il mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece l’aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere umano.
“Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall’origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno [cfr. Mt. 24, 13; 13, 24-30 e 36-43].
“Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio. Per questo la Chiesa di Cristo, fiduciosa nel piano provvidenziale del Creatore, mentre riconosce che il progresso umano può servire alla vera felicità degli uomini, non può tuttavia fare a meno di far risuonare il detto dell’Apostolo:
“”Non vogliate adattarvi allo stile di questo mondo” (Rm. 12, 2) e cioè a quello spirito di vanità e di malizia che stravolge in strumento di peccato l’operosità umana, ordinata al servizio di Dio e dell’uomo.
“Se dunque ci si chiede come può essere vinta tale miserevole situazione, i cristiani per risposta affermano che tutte le attività umane, che son messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall’amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo.
“Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l’uomo, infatti, può e deve amare anche le cose che Dio ha creato.
“Da Dio le riceve: le vede come uscire dalle sue mani e le rispetta.
“Di esse ringrazia il divino benefattore e, usando e godendo delle creature in spirito di povertà e di libertà, viene introdotto nel vero possesso del mondo, come qualcuno che non ha niente e che possiede tutto: “Tutto, infatti, è vostro: ma voi siete di Cristo e il Cristo è di Dio” (1Cor. 3, 22-23)” (17).
Relativamente all’opera del Maligno nella vita storica, a partire dalla tesi costituita dal peccato originale, Papa Pio XII parla dell’ipotesi relativa alla Cristianità romano-germanica e della sua progressiva dissoluzione come di un processo di cui il “nemico” (18) è promotore e così descrive le tappe di tale moto: “Esso [il “nemico”] si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. In questi ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità nell’organismo misterioso di Cristo. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la fede; la libertà senza l’autorità; talvolta l’autorità senza la libertà. È un “nemico” divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio. Il “nemico” si è adoperato e si adopera perché Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace o la guerra.
“Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l’amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra” (19).
Se l’opera del Maligno nella storia configura una “tradizione anti-cristiana che si diffonde già da parecchi secoli” (20), la premessa scritturale e l’applicazione magisteriale echeggiano nelle e/o sono consonanti — per così dire — con le conclusioni di esponenti significativi del pensiero sociale cattolico, spesso non membri della gerarchia ecclesiastica, non chierici stricto sensu, ma chierici lato sensu (21), cattolici principalmente studiosi del mondo storico-sociale costituito dalla Cristianità romano-germanica, i quali indicano il processo, implicito nel peccato originale e denunciato dal Magistero pontificio, di frequente con il termine “Rivoluzione”, talora — avendo maggiore attenzione all’esito, per altro assolutamente non definitivo, piuttosto che al modo — con “Modernità”. E hanno ben presente che, mentre “le insurrezioni sono fenomeni sociali — l’aforisma è del pensatore colombiano Nicolás Gómez Dávila (1913-1994) —; la rivoluzione è un fenomeno religioso” (22).
Sempre talora, poi, gli stessi esponenti del pensiero sociale cattolico qualificano come “Contro-Rivoluzione” la lotta incessante dell’uomo “per poter restare unito al bene”, una lotta condotta “a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio”. Si tratta di una lotta che — come si legge nel paragrafo del Catechismo della Chiesa Cattolica significativamente intitolato La conversione e la società (23) — si realizza facendo leva “[…] sulle capacità spirituali e morali della persona e sull’esigenza permanente della sua conversione interiore, per ottenere cambiamenti sociali che siano realmente a suo servizio. La priorità riconosciuta alla conversione del cuore non elimina affatto, anzi impone l’obbligo di apportare alle istituzioni e alle condizioni di vita, quando esse provochino il peccato, i risanamenti opportuni, perché si conformino alle norme della giustizia e favoriscano il bene anziché ostacolarlo” (24).
La “tangenza” fra l’area del Magistero sociale e quella del pensiero sociale cattolici è agevolmente coglibile attraverso l’accostamento — per esempio — del testo di Papa Pio XII, nel quale il Pontefice indica e descrive il motore e le tappe dell’opera di secolarizzazione, con un documento d’occasione dell’uomo politico e pensatore spagnolo Juan Donoso Cortés (1809-1853), inteso a decifrare fenomeni storico-sociali, con particolare attenzione alla loro dimensione politica. Donoso Cortés, nel Discorso sulla dittatura, tenuto alle Cortes, il parlamento spagnolo, nel 1849, afferma: “[…] il germe della rivoluzione non è nella schiavitù, non è nella miseria, ma nei desideri della folla, sovraeccitati dai tribuni, che la sfruttano e ne traggono vantaggi personali. “E sarete come i ricchi”, ecco la formula delle rivoluzioni socialiste contro le classi medie. “E sarete come i nobili”, ecco la formula delle rivoluzioni delle classi medie contro le classi nobili. “E sarete come i re”, ecco la formula delle rivoluzioni delle classi nobili contro i re. Infine, signori, “e sarete come Dio”, ecco la formula della prima ribellione del primo uomo contro Dio. Da Adamo, il primo ribelle, fino a Proudhon [Pierre-Joseph (1809-1865)], l’ultimo empio, questa è la formula di tutte le rivoluzioni” (25). E, in proposito, è magistrale la ricostruzione che del fatto processivo fornisce — esattamente un secolo e un decennio dopo — il pensatore e uomo d’azione brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) nell’opera Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, del 1959, poi accresciuta nel 1977 (26).
4. Dalla terapia sociale all’educazione sociale integrale
Tutti i giudizi su temi sociali, necessitati dai fatti, emessi da autorità spirituali e gerarchiche dopo la fondazione della Chiesa costituiscono espressioni della dottrina sociale della Chiesa, che è sollecitata a formulazioni sempre più organizzate dallo svolgimento della vita nella società in cui si trova storicamente a vivere; prima la società romana, che continua nella Pars Orientis dell’impero nella società romano-orientale o bizantina, poi la società romano-germanica.
Se l’intervento morale è suggerito dallo svolgimento sociale, è letteralmente incalzato dal tralignamento — conseguenza sub specie societatis del peccato originale — dell’ultima società cristiana in questione a partire dal Rinascimento; anzitutto dalle premesse della Rivoluzione Industriale, cioè da un’”accumulazione originaria” di diversa natura: il mutamento “umanistico”, antropocentrico, di mentalità e lo sviluppo tecnologico medioevale; poi dalle modifiche delle strutture organizzative della società, con particolare rilievo per quelle politiche, con la Rivoluzione detta Francese; quindi dai mutamenti socio-economici introdotti dalla Rivoluzione Socialcomunista; finalmente dalla Rivoluzione Culturale in corso dal Maggio francese, dal 1968, caratterizzata dal relativismo. Il fatto è così sinteticamente descritto da Papa Giovanni Paolo II: “Purtroppo, alla metà dello scorso millennio ha avuto inizio, e dal Settecento in poi si è particolarmente sviluppato, un processo di secolarizzazione che ha preteso di escludere Dio e il cristianesimo da tutte le espressioni della vita umana.
“Il punto d’arrivo di tale processo è stato spesso il laicismo e il secolarismo agnostico e ateo, cioè l’esclusione assoluta e totale di Dio e della legge morale naturale da tutti gli ambiti della vita umana. Si è relegata così la religione cristiana entro i confini della vita privata di ciascuno” (27).
Perciò, nel tempo che si stende dall’emanazione di una delle prime lettere encicliche, la Vix pervenit del 1745, di Papa Benedetto XIV (1740-1758) (28), fino al 1961, data di pubblicazione dell’enciclica Mater et magistra da parte di Papa beato Giovanni XXIII (29), cresce un corpo dottrinale di cui — nella parte IV dell’ultimo documento citato — viene data una denominazione ormai determinata, “dottrina sociale della Chiesa” (30), e del quale è anche indicata la portata, “parte integrante della concezione cristiana della vita” (31). Punto nodale di questo itinerario è costituito dal 1891, anno di pubblicazione dell’enciclica Rerum novarum a opera di Papa Leone XIII (32), alla quale non solo nella vulgata è ormai consuetamente collegata la nozione di dottrina sociale della Chiesa come magna charta di essa (33). Si tratta di un legame che necessita almeno di una precisazione: l’attenzione alla societas testimoniata dal documento di Papa Leone XIII non dev’essere ridotta alla sola dimensione socio-economica del reale sociale. Infatti — la notazione è di Papa beato Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris — , “la convivenza umana […] deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante” (34).
L’itinerario indicato prosegue — ed è destinato a proseguire fino alla fine dei tempi — fino alla determinazione dello statuto della dottrina stessa al n. 46 dell’enciclica Sollicitudo rei socialis, pubblicata da Papa Giovanni Paolo II nel 1987, dov’è qualificata come “teologia morale” (35), e oltre, fino a un’esposizione compendiosa nel Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1992, nella forma di commento sub specie societatis, cioè per l’uomo in quanto essere sociale, al decalogo (36). Il che conferma che la dottrina sociale naturale e cristiana è appunto riproposizione e commento al decalogo, espressione privilegiata della legge naturale e i cui dieci comandamenti appartengono alla Rivelazione di Dio: infatti, benché accessibili alla sola ragione, i precetti del decalogo sono stati rivelati perché “una completa esposizione dei comandamenti del Decalogo — nota san Bonaventura da Bagnoregio (1217 ca.-1274) — si rese necessaria nella condizione di peccato, perché la luce della ragione si era ottenebrata e la volontà si era sviata” (37).
Com’è nella natura della vita culturale delle società umane, la continua riesposizione della morale sociale nel caso concreto porta con sé anche un’altrettanto continua rielaborazione, quindi produce una maggior comprensione del deposito da parte della Chiesa, Gerarchia e fedeli. Si tratta di una maggior comprensione, quindi di uno sviluppo, di un autentico progresso, che non comporta assolutamente una mutazione né del contenuto né, tanto meno, della natura del deposito. Sollecitazioni che inducono a un costante approfondimento, quindi allo svolgersi del magistero sociale, sono prodotte anche dalle difficoltà del mondo non solo contemporaneo alla Chiesa, ma con cui essa concretamente convive.
A queste complicazioni, che costituiscono altrettanti fattori di complessità, s’affiancano le problematiche presentate dal processo di secolarizzazione, cioè di maliziosa espunzione delle motivazioni e delle finalità religiose dalla vita delle società umane, nonché il recepimento, talora oggettivamente secolarizzante, delle acquisizioni scientifiche e le dimensioni sociologiche delle mutazioni tecnologiche, soprattutto di quelle relative agli strumenti di comunicazione sociale. Così si spiegano — fra l’altro — le prese di posizione del Magistero della Chiesa, autentici presidi, sulle nuove frontiere della bioetica e dell’ecologia.
5. La formazione della coscienza sociale
La natura di morale sociale della dottrina sociale della Chiesa ne fa alimento indispensabile per la formazione della coscienza sociale (38), in quanto tale dottrina contiene i princìpi di riflessione, i criteri di giudizio e le direttive di azione per la coscienza del singolo fedele. Poiché la creazione, la conservazione e la rettificazione della società deformata passano attraverso l’intervento dell’uomo come essere vivente sociale, la morale sociale non è programma né legge positiva, ma costellazione di valori d’orientamento per ogni operare sociale storicamente determinato.
L’esplicitazione della dottrina sociale della Chiesa, derivata dalle necessità storiche evidenziate, il suo passaggio da messaggio implicito a messaggio esplicito, hanno talora prodotto un certo temporaneo disorientamento, una ricezione impropria di essa. Tale ricezione impropria si potrebbe indicare come “ricezione ideologica”, analoga a quella che trasforma l’orientamento proprio di una direzione spirituale in una legge positiva, facendo sì che il direttore surroghi il diretto subentrando in qualche modo nella di lui responsabilità. E la ricezione ideologica ha fatto sì che nella dottrina sociale si cercassero — talora, nella coscienza soggettiva degli stessi uomini di Chiesa, si proponessero — programmi politico-sociali anziché indicazioni di massima, anche se aggiornate alle problematiche proposte sia dal positivo che dal negativo che si presentano con caratteri di novità, di res novae, nel corso della storia.
Accanto alla ricezione ideologica si situa, negli anni 1960 e 1970, cioè negli anni immediatamente seguenti il Concilio Ecumenico Vaticano II, un tentativo intraecclesiale teso a ridurre la rilevanza della dottrina sociale attraverso artifici lessicali quale la sua definizione come “insegnamento”, nella prospettiva della sua negazione, cioè della sua trasformazione in una “morale sociale della situazione”, quindi tanto condizionata dalla situazione storica da perdere quasi ogni significativa portata normativa (39). A partire dal 1979 si è realizzata, da parte delle massime autorità della Chiesa, una rivalutazione della dottrina stessa — non per questo adeguatamente compresa, studiata e, soprattutto, tenuta nella dovuta considerazione — attraverso la pubblicazione di numerosi documenti da parte di Papa Giovanni Paolo II (40), soprattutto dell’enciclica Centesimus annus, del 1991, ricca d’indicazioni sulla natura e sulla storia della dottrina sociale (41).
II La dottrina sociale della Chiesa: princìpi, criteri e direttive
1. La morale sociale nel “Catechismo della Chiesa Cattolica”
Dunque, la dottrina sociale della Chiesa è un corpo dottrinale in progress, una “fabbrica” destinata a chiudersi alla fine dei tempi, di cui sono note le grandi linee e le fondamenta, che si viene costituendo nel corso della storia a opera della Gerarchia e sulla base dell’elaborazione delle scienze umane soprattutto in risposta alle sollecitazioni delle diverse società umane.
Un autorevole cultore della materia, José Antonio Ibarbia Goenaga S.J. (1903-1975), conclude in proposito “[…] definendo la dottrina sociale della Chiesa come il complesso unitario di conoscenze (derivate dall’esperienza, dalla ragione e dalla fede) di cui, nella sfera dell’ordine della salvezza cristiana, la Chiesa è in possesso circa l’ordine sociale umano terreno nel suo insieme e nei diversi settori particolari; questo complesso di cognizioni deve servire come norma per le attività e le funzioni ordinatrici che costantemente s’impongono agli uomini naturalmente sociali nel corso della storia“ (42).
Questa dottrina sociale comporta tre aree: “princìpi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione” (43). Essa ha trovato una ricostruzione e un’esposizione compendiose di particolare rilevanza magisteriale nel Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato da Papa Giovanni Paolo II nel 1992 (44), come strumento valido e legittimo della comunione ecclesiale e come norma sicura per l’insegnamento della fede, per la catechesi, cioè per l’attività attraverso la quale la Chiesa, in tutte le sue articolazioni, fa eco alla Sacra Scrittura, alla Tradizione apostolica, al Magistero ecclesiastico proclamando i “diritti dell’uomo” senza anteporli ai “diritti di Dio”, dei quali si deve riconoscere e rispettare il primato, non solo come fonti di precisi doveri corrispondenti, ma anche come fondamenta e garanzie dei primi.
2. Princìpi di riflessione
I princìpi di riflessione della dottrina sociale naturale e cristiana sono costituiti dal primato della persona umana, dal principio di sussidiarietà e da quello di solidarietà.
a. Primato della persona o pre-principio personale
Quanto all’uomo — posto che “origine e scopo essenziale della vita sociale vuol essere la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della persona umana, aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e della cultura, segnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l’umanità, sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni” (45) —, se ne afferma la naturale socialità e s’indica il fondamento della sua grandezza nell’esser stato creato a immagine e somiglianza di Dio, sì che la dimensione stessa di tale grandezza è la gloria di Dio: “[…] la gloria di Dio — scrive sant’Ireneo di Lione, un Padre della Chiesa, di lingua greca, del secolo II — è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio” (46); l’uomo è posto al centro del mondo delle creature visibili e invisibili, tutte ricolme della gloria del Creatore e proclamanti tale gloria, sì che, “[…] attraverso la storia del Cosmo visibile (e invisibile), s’innalza, come un Tempio immenso, un abbozzo del Regno eterno di Dio” (47).
b. Principio di sussidiarietà
Al principio — forse meglio: al pre-principio — personale segue immediatamente quello di sussidiarietà, definito ed esposto nell’enciclica Quadragesimo anno, pubblicata da Papa Pio XI (1922-1939) nel 1931, come “importantissimo nella filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle” (48).
Il principio di sussidiarietà è principio formale che tollera applicazione in ogni settore della vita sociale, al punto che Papa Pio XII ne ipotizza il rispetto anche nella Chiesa, evidentemente nella misura in cui lo permette la sua natura di società sui generis positivamente istituita da Dio (49). Esso prevede che in ciascuno di tali settori, fra l’individuo e le massime espressioni sociali a essi corrispondenti, i detentori dei poteri sociali, economici e politici permettano e favoriscano la nascita e la crescita di “corpi intermedi” o “corporazioni”, nei quali — fra l’altro — l’individuo stesso possa fruire di autentici àmbiti di libertà, cioè di libertà plurali e concrete.
Ma, se l’esposizione del principio di sussidiarietà nel corpo dottrinale della dottrina sociale data dall’enciclica Quadragesimo anno, del 1931, un esame anche non particolarmente approfondito dell’ascendenza di tale principio costituisce verifica importantissima della tesi secondo cui la dottrina sociale della Chiesa porta spesso a chiarezza concettuale ed espositiva, in funzione prima pedagogica e quindi normativa, princìpi impliciti nelle strutture realizzate nella Cristianità romano-germanica, quasi sottoponendo questa esperienza storica — assunta emblematicamente — al processo astrattivo e interpretativo di cui la ragione filosofica fa oggetto in modo particolare il reale creato e quella teologica tratta della Rivelazione.
Gli àmbiti di capacità espansiva della persona, naturali oppure volontari, vanno a definire corpi intermedi appunto naturali o volontari, di cui possono costituire esempi significativi rispettivamente la famiglia e l’università. E ciascuno di questi àmbiti costituisce spazio per l’espressione di una libertà, che può essere vista come realizzazione personale di un carattere naturale dell’uomo in quanto uomo, quindi configurarsi come pretesa del suo riconoscimento da parte della società, cioè presentarsi e venire vantata come un diritto naturale, oppure come franchigia, a seconda che tale diritto sia appunto vantato nei confronti di un’espressione sociale maggiore invadente oppure fatto valere nell’incessante riannodarsi personale e generazionale del tessuto sociale attraverso l’implicito costante rinnovamento del patto sociale.
Nell’esecuzione di quest’opera, in base al principio di sussidiarietà, l’uomo dev’esser messo in condizioni di realizzare tutte le proprie potenzialità e all’uomo si deve domandare che le realizzi prima di auspicare e di richiedere l’intervento di altri uomini a soddisfare le sue esigenze naturali — cioè derivanti dalla sua natura sociale, che lo rende strutturalmente bisognoso dell’aiuto di altri —, sia a integrare le deficienze dovute alle conseguenze del peccato originale. Questo rapporto fra il singolo e la società come insieme di altri uomini è modello anche per le relazioni fra i diversi corpi sociali intermedi, a partire dalla società matrimoniale, da quella familiare e oltre, fino alla comunità delle nazioni.
c. Principio di solidarietà o “bonum commune”
Lo svolgersi della vita personale secondo il principio di sussidiarietà, cioè quasi come spontanea realizzazione di esso, trova il suo limite nello svolgimento analogo degli altri uomini, il cui interesse globale configura il bonum commune e il relativo principio di solidarietà.
Il carattere di organicità della vita sociale, quando è messo a fuoco in un determinato tempo e in un determinato luogo, permette d’identificare la nozione di “popolo”, concettualmente — e storicamente — illuminata dal contrasto con quella di “massa”: “Popolo e moltitudine amorfa o, come suol dirsi, “massa” sono due concetti diversi — afferma Papa Pio XII —. Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali — al proprio posto e nel proprio modo — è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni. La massa, invece, aspetta l’impulso dal di fuori, facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gl’istinti e le impressioni, pronta a seguire, a volta a volta, oggi questa, domani quell’altra bandiera. Dalla esuberanza di vita d’un vero popolo la vita si effonde, abbondante, ricca, nello Stato e in tutti i suoi organi, infondendo in essi, con vigore incessantemente rinnovato, la consapevolezza della propria responsabilità, il vero senso del bene comune. Della forza elementare della massa, abilmente maneggiata ed usata, può pure servirsi lo Stato: nelle mani ambiziose d’uno solo o di più, che le tendenze egoistiche abbiano artificialmente raggruppati, lo Stato stesso può, con l’appoggio della massa, ridotta a non essere più che una semplice macchina, imporre il suo arbitrio alla parte migliore del vero popolo: l’interesse comune ne resta gravemente e per lungo tempo colpito e la ferita è bene spesso difficilmente guaribile” (50).
Ancora: nell’esecuzione di quest’opera il vantaggio spirituale e materiale del singolo uomo dev’essere perseguito in armonia con il vantaggio dell’umanità come insieme di tutti gli uomini — è il principio di solidarietà —, cioè nella prospettiva del bene comune di ogni società e della società universale inteso come insieme delle condizioni che, ai diversi livelli e nelle diverse situazioni, garantiscono e favoriscono le migliori condizioni di vita di ogni singolo, quindi la realizzazione sociale della gloria di Dio.
I princìpi evocati trovano la loro codificazione nella regolamentazione dei rapporti con Dio dell’uomo e della società che forma e di cui vive, implicito commento alla prima tavola del decalogo che appunto li prevede nei primi tre comandamenti; quindi nell’implicito commento alla seconda tavola della stessa legge, che riguarda le relazioni fra gli uomini e degli uomini con i beni.
3. Criteri di giudizio
Quanto ai rapporti con Dio delle società — con particolare riguardo alle società politiche, cioè agli Stati —, l’orizzonte costituito dal primo comandamento, “Non avrai altro Dio fuori di me”, comporta un’accoglienza della verità della religione cristiana da parte della società in un modo quanto più possibile integrale, perciò anche la confessionalità dello Stato — cioè del profilo organizzativo della società —, con il riconoscimento della missione unica della Chiesa Cattolica, è obiettivo da perseguire, naturalmente sulla base inamovibile della libertà religiosa, che esclude ogni e qualsiasi coercizione sociale e civile in materia religiosa.
Le esigenze sociali insite nel secondo comandamento, “Non nominare il nome di Dio invano”, comportano che i diritti alla libertà di coscienza, d’opinione e d’espressione non esonerino dal dovere di trattare con deferente considerazione l’esperienza spirituale di quanti credono in Dio e che, offendendo pubblicamente Dio, non si commetta soltanto una grave colpa morale, ma si violi pure un preciso diritto della persona al rispetto delle proprie convinzioni religiose.
Circa il terzo comandamento, “Ricordati di santificare le feste”, l’osservanza di un giorno settimanale di preghiera e di riposo, con effetto rigeneratore e tonificante sull’esistenza umana, dev’essere garantito contro l’asservimento al lavoro e il culto del denaro.
Il quarto comandamento, “Onora il padre e la madre”, espresso nella forma di un dovere da compiere, è uno dei fondamenti della dottrina sociale naturale e cristiana. Infatti riguarda la famiglia, fondata sul matrimonio eterosessuale, monogamico e indissolubile, offeso in radice dalla permissione del divorzio, che — con l’adulterio, l’incesto, la pratica e l’ostentazione dell’omosessualità e ogni abuso sessuale — contrasta con il sesto comandamento, “Non commettere atti impuri”. Cellula originaria della vita sociale, la famiglia — alla quale spetta il diritto primario all’educazione dei figli e alla libera scelta della scuola — esercita a tale vita, educando implicitamente all’organicità sociale, quindi sia all’uguaglianza che alla diversità fra gli uomini, sia alla gerarchia che alla fraternità sulla base della comune paternità nonché all’identificazione dei propri diritti e dei corrispondenti doveri. Inoltre della vita sociale, in ogni suo grado, è nello stesso tempo modello e modulo, sulla cui base realizzare la partecipazione alla vita politica — contrapponendo democrazia a totalitarismo, ma guardandosi dal totalitarismo democratico, cioè da una democrazia che voglia imporre i valori a maggioranza (51) — ed esercitare l’autorità come servizio.
Il quinto comandamento, “Non uccidere”, rifiuta l’omicidio diretto e volontario, l’aborto e l’eutanasia, nonché il suicidio e quei generi di suicidi promossi fisicamente dall’assunzione di droghe, con tutta l’attività criminale che la circonda, e moralmente dagli scandali provocati, di volta in volta, da leggi o da istituzioni, dalla moda o dall’opinione pubblica. A tali scandali si affiancano la permissività dei costumi e l’intossicazione pornografica, dai quali mette in guardia anche il nono comandamento, “Non desiderare la donna d’altri”. Sempre al quinto comandamento rimandano il rispetto dell’integrità corporea e psichica e il divieto di ogni sperimentazione scientifica sugli esseri umani che li esponga a rischi sproporzionati o evitabili — neppure con il consenso esplicito del soggetto o dei suoi aventi diritto — nonché la condanna di rapimenti, di presa di ostaggi e di terrorismo. Nel quadro del rispetto della vita si situano lecitamente sia la legittima difesa, la cui versione macroscopica è la guerra, che la pena di morte, pratiche da scongiurare con ogni sforzo ragionevole e possibile — soprattutto a fronte delle moderne tecniche di guerra e del moderno disprezzo per la vita — ricorrendo a modalità quali la trattativa diplomatica, l’arbitrato internazionale e la carcerazione.
Il settimo e il decimo comandamento, “Non rubare” e “Non desiderare la roba d’altri”, fondano la liceità del diritto di proprietà privata, acquisita con il lavoro o ricevuta in eredità oppure in dono; non eliminano però l’universale destinazione dei beni, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto a essa e del suo esercizio, e condannano ogni forma di esproprio surrettizio, quale quello fiscale. Al diritto di proprietà s’affianca quello d’iniziativa economica, nonché il rispetto dell’integrità della creazione. Comunque la vita economica dev’essere garantita dallo Stato, che deve sorvegliare e guidare l’esercizio dell’attività e dei diritti nel settore, quindi dare un solido inquadramento giuridico pure al mondo finanziario.
Infine l’ottavo comandamento, “Non dire falsa testimonianza”, non riguarda solo la veridicità nella testimonianza in sede giuridica e contrattuale, ma l’informazione attraverso i mezzi di comunicazione sociale, nel suo contenuto sempre vera e — salve la giustizia e la carità — integra, e nel modo onesta e rispettosa delle leggi morali, dei legittimi diritti e della dignità dell’uomo.
4. Direttive di azione
I princìpi enunciati e le determinazioni della legge naturale e cristiana costituiscono la premessa di ogni ascesi sociale, cioè di ogni opera sociale e di ogni sforzo politico teso alla realizzazione delle condizioni massimali e ottimali della convivenza a ogni livello, da quello fra famiglie a quello internazionale, a partire dalla messa in atto di ogni gesto utile allo svolgimento di tale attività, quindi alla preventiva conquista — ove necessario — e alla conservazione di una condizione di libertà, che per il cristiano coincide con la libertas Ecclesiae, ma che si rivela anche libertas hominis, grazie appunto alla relazione fra il decalogo e la “legge naturale”, per cui “fin dalle origini — come afferma sempre sant’Ireneo —, Dio aveva radicato nel cuore degli uomini i precetti della legge naturale. Poi si limitò a richiamarli alla loro mente. Fu il Decalogo” (52); quindi — con altra formulazione — grazie all’interdipendenza fra i “diritti di Dio e i diritti dell’uomo” (53), che non solo non si escludono, ma vanno di pari passo. Perciò s’impone quella che Papa Giovanni Paolo II chiama — nell’esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, del 1984 (54) — la “quadruplice riconciliazione” (55) dell’uomo “con Dio, con se stesso, con i fratelli, con tutto il creato” (56), nella cui prospettiva di ritorno ai princìpi si situano lo studio, la diffusione e l’applicazione della dottrina sociale della Chiesa, “[…] un ampio e solido corpo di dottrina riguardante le molteplici esigenze inerenti alla vita della comunità umana, ai rapporti tra individui, famiglie, gruppi nei suoi diversi àmbiti, e alla stessa costituzione di una società che voglia esser coerente con la legge morale, che è fondamento della civiltà.
“Alla base di questo insegnamento sociale della Chiesa si trova, ovviamente, la visione che essa trae dalla parola di Dio circa i diritti e i doveri degli individui, della famiglia e della comunità; circa il valore della libertà e le dimensioni della giustizia; circa il primato della carità; circa la dignità della persona umana e le esigenze del bene comune, al quale devono mirare la politica e la stessa economia. Su questi fondamentali princìpi del Magistero sociale, che confermano e ripropongono i dettami universali della ragione e della coscienza dei popoli, poggia in gran parte la speranza di una pacifica soluzione di tanti conflitti sociali e, in definitiva, della riconciliazione universale” (57); cioè — secondo lo stesso Pontefice nella preghiera conclusiva dell’esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, del 1988 — “[…] contribuire a stabilire sulla terra / la civiltà della verità e dell’amore, / secondo il desiderio di Dio / e per la sua gloria” (58).
Giovanni Cantoni
Note:
* Testo ampliato dell’intervento tenuto il 3 dicembre 2004 a Messina, nell’Aula Falcone della Facoltà di Scienze Politiche (cfr. Cristianità, anno XXXIII, n. 327, marzo-aprile 2005, p. 24), poi raccolto — rielaborato e annotato — in Dario Caroniti (a cura di), Persona, società e Stato, con Prefazione di Rosario Battaglia, Aracne, Roma 2005, pp. 9-35.
(1) Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche Monsignor Walter Brandmüller, del 16-4-2004, n. 2, in L’Osservatore Romano, anno CXLIV, n. 90 (43.626), Città del Vaticano 18-4-2004, p. 5.
(2) Cfr. card. Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, Teologia, antropologia ed economia, trad. it., in Cristianità, anno XVIII, n. 178, febbraio 1990, pp. 9-10.
(3) Cfr. monsignor Antonio Livi, Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede, Ares, Milano 1990, pp. 42-44.
(4) Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 407.
(5) Cfr. san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, Ia, q. 2, prologo; e Idem, In I Sent., d. 1, q. 4, a. 2, divisione del testo.
(6) Cfr. Jean-Yves Calvez S.J. e Jacques Perrin S.J., Chiesa e società economica. L’insegnamento sociale dei Papi da Leone XIII a Giovanni XXIII (1878-1963), trad. it., Centro Studi Sociali, Milano 1965, pp. 24-30; cfr. possibili itinerari, sia d’accostamento che storici, in Congregazione per l’Educazione Cattolica, Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, del 30-12-1988, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1988; Hervé Carrier S.J., Dottrina sociale. Nuovo approccio all’insegnamento sociale della Chiesa, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1996; e don José Miguel Ibáñez Langlois, La dottrina sociale della Chiesa. Itinerario testuale dalla “Rerum novarum” alla “Sollicitudo rei socialis”, trad. it., Ares, Milano 1989.
(7) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2105.
(8) Pio XII, Radiomessaggio natalizio al mondo “Con sempre nuova freschezza”, del 24-12-1942, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. IV, pp. 326-346 (p. 330).
(9) Ibidem.
(10) Ibid.; cfr. pure Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, del 7-12-1965, n. 24; e Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1878.
(11) Beato Giovanni XXIII, Enciclica “Pacem in terris” sulla pace fra tutte le genti fondata sulla verità, la giustizia, l’amore, la libertà, dell’11-4-1963, V, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 7, Giovanni XXIII, Paolo VI (1958-1978), ed. bilingue, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1994, pp. 380-469 (p. 467).
(12) Ibidem.
(13) Cfr. Leone XIII, Enciclica “Quod apostolici muneris” su socialismo, comunismo, nichilismo, del 28-12-1878, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 3, Leone XIII (1878-1903), ed. bilingue, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1997, pp. 32-51 (p. 41).
(14) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su libertà cristiana e liberazione “Libertatis conscientia”, del 22-3-1986, n. 62, in La Civiltà Cattolica, anno 137, quaderno 3260, Roma 19-4-1986, pp. 146-185 (p. 169); in proposito, cfr. il mio Cattolici, politica e dottrina sociale della Chiesa, in Quaderni di “Cristianità”, anno II, n. 4, Piacenza primavera 1986, pp. 68-76.
(15) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale “Gaudium et spes” sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, cit.
(16) Ibid., n. 13.
(17) Ibid., n. 37.
(18) Pio XII, Discorso “Nel contemplare” nel XXX° della Unione Uomini di Azione Cattolica, del 12-10-1952, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XIV, pp. 355-362 (p. 359).
(19) Ibidem.
(20) Giovanni Paolo II, Discorso al termine della “Via Crucis” al Colosseo, del 1°-4-1994, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVII, 1, pp. 856-858 (p. 857).
(21) Cfr. Gustave Thibon (1903-2001), Diagnosi. Saggio di fisiologia sociale, trad. it., in Idem, Ritorno al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, con Prefazione di Gabriel Marcel (1889-1973), a cura e con considerazioni introduttive di Marco Respinti, Effedieffe, Milano 1998, pp. 7-145 (pp. 98-99).
(22) Nicolás Gómez Dávila, Nuevos Escolios a un texto implícito, vol. II, Procultura, Bogotá 1986, p. 50.
(23) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1886-1889.
(24) Ibid., n. 1888, che rimanda a Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica “Lumen gentium” sulla Chiesa, del 21-11-1964, n. 36.
(25) Juan Donoso Cortés, Discorso sulla dittatura, del 4-1-1849, trad. it., in Idem, Il potere cristiano, a cura di Lucrezia Cipriani Panunzio, con Introduzione di Gabriele De Rosa, Morcelliana, Brescia 1964, pp. 33-58 (pp. 42-43).
(26) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it., con lettere di encomio di S. E. mons. Romolo Carboni (1911-1999), arcivescovo titolare di Sidone e nunzio apostolico, e con saggio introduttivo su L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, di Giovanni Cantoni, Cristianità, Piacenza 1977; sull’autore e sull’opera, cfr. i miei Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), in IDIS, Voci per un “Dizionario del Pensiero Forte”, a cura di G. Cantoni, con Prefazione di Gennaro Malgieri, Cristianità, Piacenza 1997, pp. 113-118; e Il contributo di Plinio Corrêa de Oliveira e di “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione” allo sviluppo del pensiero e dell’azione contro-rivoluzionari, in Cristianità, anno XXXIII, n. 330-331, luglio-ottobre 2005, pp. 33-45.
(27) Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al III Forum Internazionale della Fondazione Alcide De Gasperi, del 23-2-2002, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXV, 1, pp. 256-258 (pp. 257-258).
(28) Cfr. Benedetto XIV, Enciclica “Vix pervenit” sull’usura e altri guadagni disonesti, dell’1-11-1745, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 1, Benedetto XIV, Clemente XIII, Clemente XIV, Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII (1740-1830), ed. bilingue, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1994, pp. 188-199.
(29) Cfr. beato Giovanni XXIII, Enciclica “Mater et magistra” sugli sviluppi della questione sociale nella luce della dottrina cristiana, del 15-5-1961, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 7, Giovanni XXIII, Paolo VI (1958-1978), cit., pp. 192-321.
(30) Ibid., IV, 2, p. 301.
(31) Ibidem.
(32) Cfr. Leone XIII, Enciclica “Rerum novarum” sulla condizione degli operai, del 15-5-1891, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 3, Leone XIII (1878-1903), cit., pp. 600-665.
(33) Cfr. Pio XI, Enciclica “Quadragesimo anno” sull’instaurazione dell’ordine sociale cristiano, del 15-5-1931, I, Conclusione: La “Rerum novarum” “magna charta” dell’ordine sociale, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 5, Pio XI (1922-1939), ed. bilingue, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1995, pp. 686-799 (p. 713).
(34) Beato Giovanni XXIII, Enciclica “Pacem in terris” sulla pace fra tutte le genti fondata sulla verità, la giustizia, l’amore, la libertà, cit., I, pp. 396-399.
(35) Giovanni Paolo II, Enciclica “Sollicitudo rei socialis” nel ventesimo anniversario della “Populorum progressio”, del 30-12-1987, n. 41, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. X, 3, pp. 1613-1664 (p. 1654).
(36) Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, parte III, La vita in Cristo.
(37) San Bonaventura da Bagnoregio, In libros sententiarum 4, 37, 1, 3, cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2071.
(38) Cfr. il mio Dottrina sociale, teologia morale e coscienza, in Cristianità, anno XVII, n. 165, gennaio 1989, pp. 5-7.
(39) Cfr. il mio Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della “Laborem exercens”, ibid., anno IX, n. 78-79, ottobre-novembre 1981, pp. 1-20, soprattutto pp. 3-5.
(40) Cfr. i miei La “rivalutazione” della dottrina sociale della Chiesa, ibid., anno XIV, n. 133, maggio 1986, pp. 3-5; e L’”Anno della Dottrina sociale della Chiesa”, ibid., anno XIX, n. 189, gennaio 1991, pp. 3-6.
(41) Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica “Centesimus annus” nel 100° anniversario dell’enciclica “Rerum novarum”, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XIV, 1, pp. 1024-1083.
(42) “[…] definendo doctrinam socialem Ecclesiae ut complexum unitarium cognitionum (ex experientia, ratione, fide) quas, in sphera ordinis salutis christiani, Ecclesia habet circa ordinem socialem humanum terrenum in sua totalitate ac in diversis sectoribus particularibus; iste complexus cognitionum servire debet ut norma pro activitatibus ac functionibus ordinativis quae constanter hominibus naturaliter socialibus, decursu historiae imponuntur“ (Josephus Goenaga S.J., Philosophia socialis, C.I.S.I.C. Institutum Sociologiae Pastoralis, Roma 1964, p. 9).
(43) Paolo VI, Lettera Apostolica “Octogesima adveniens” al Signor Cardinale Maurice Roy [1905-1985], presidente del “Consilium de Laicis” e della Pontificia Commissione “Iustitia et Pax” nell’80° anniversario dell’enciclica “Rerum Novarum”, del 14-5-1971, n. 4, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. IX, pp. 1169-1202 (p. 1171).
(44) Cfr. l’indicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica come “riassunto […] nelle sue linee essenziali” della dottrina sociale della Chiesa, in Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, del 24-11-2002, n. 1, in L’Osservatore Romano, anno CXLIII, n. 13 (43.249), Città del Vaticano 17-1-2003, pp. 6-7 (p. 6); su questa nota dottrinale, cfr. gli articoli di presentazione del card. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, Cultura cattolica per un vero umanesimo (ibid., p. 7), e del card. J. Meisner, arcivescovo di Colonia, in Germania, Significato e attualità del documento (ibidem), nonché il mio Le radici dell’ordine morale e il loro riconoscimento nella vita politica grazie all’impegno e al comportamento dei cattolici, in Cristianità, anno XXXI, n. 315, gennaio-febbraio 2003, pp. 3-7. Intentio pure compendiosa, ma di diversa — minore — portata dottrinale, ha il documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, con Lettera del Card. Angelo Sodano e Presentazione del Card. Renato Raffaele Martino, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004; su cui cfr. la mia segnalazione Dottrina Sociale: ecco il Compendio, in il Timone. Rivista mensile di informazione e formazione apologetica, anno VII, n. 40, Milano febbraio 2005, pp. 48-49.
(45) Pio XII, Radiomessaggio natalizio al mondo, del 24-12-1942, cit., p. 331.
(46) Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 20, 7, cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 294.
(47) Giovanni Paolo II, Omelia durante la celebrazione eucaristica al Santuario mariano di Fatima, del 13-5-1991, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XIV, 1, pp. 1228-1234 (p. 1230).
(48) Pio XI, Enciclica “Quadragesimo anno” sull’instaurazione dell’ordine sociale cristiano, cit., p. 745; trad. it. modificata.
(49) Cfr. Pio XII, Discorso “La elevatezza” dopo l’imposizione della Berretta ai nuovi Cardinali, del 20-2-1946, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VII, pp. 383-398 (p. 389).
(50) Idem, Radiomessaggio natalizio “Benignitas et humanitas” ai popoli del mondo intero, del 24-12-1944, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VI, pp. 233-251 (p. 239).
(51) Cfr. il mio La democrazia nell’enciclica sociale “Evangelium vitae”, in Cristianità, anno XXIII, n. 241-242, maggio-giugno 1995, pp. 3-8.
(52) Sant’Ireneo, op. cit., 4, 15, 1, cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2070.
(53) Giovanni Paolo II, Discorso “Nuova Evangelizzazione. Promozione umana. Cultura cristiana. Gesù Cristo ieri, oggi e sempre” all’apertura della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, del 12-10-1992, n. 13, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XV, 2, pp. 312-340 (p. 324).
(54) Cfr. Idem, Esortazione Apostolica post-sinodale “Reconciliatio et paenitentia” circa la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi, del 2-12-1984, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VII, 2, pp. 1431-1499.
(55) Ibid., n. 8, p. 1443.
(56) Ibidem.
(57) Ibid., n. 26, p. 1478; in proposito, cfr. il mio La Contro-Rivoluzione e le libertà, in Cristianità, anno XIX, n. 199, novembre 1991, pp. 6-12.
(58) Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale “Christifideles laici” sulla vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, del 30-12-1988, n. 64, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XI, 4, pp. 2083-2175 (p. 2175).