Massimo Introvigne, Cristianità n. 325 (2004)
Nella guerra al terrorismo emerge sempre di più un Fattore F, riferito all’establishment della Repubblica Francese che cerca spesso di ostacolare gli Stati Uniti d’America e ispira altri paesi e forze politiche, fra cui buona parte della sinistra italiana. Capire che cosa vuole davvero la Repubblica Francese è dunque cruciale. Di qui l’interesse dell’ultima opera del sociologo francese Gilles Kepel, docente all’Institut d’Études Politiques di Parigi, dove dirige il programma di dottorato sul mondo arabo-musulmano, e notoriamente consigliere e talora ispiratore della politica islamica del capo del Governo francese Jacques Chirac: “Fitna”. Guerra nel cuore dell’islam (1). Dedicata alla memoria dell’islamologo marxista Maxime Rodinson (1915-2004), l’opera si apre con Ringraziamenti (pp. VII-VIII) e con una Prefazione (pp. IX-XV); quindi si articola in un Prologo, Il fallimento della pace di Oslo (pp. 3-37), in sei capitoli — La rivoluzione neoconservatrice (pp. 38-70), Colpire il nemico lontano (pp. 71-105), Caccia ad al-Qa‘ida e sua tenuta (pp. 106-147), L’Arabia nell’occhio del ciclone (pp. 148-189), Il vaso di Pandora iracheno (pp. 190-230) e La battaglia d’Europa (pp. 231-272) — e in una Conclusione, Al di là del “jihad” e della “fitna” (pp. 273-279), e si chiude con Cronologie (pp. 281-298), Fonti e bibliografia (pp. 299-311) e un Indice dei nomi (pp. 313-317).
Kepel è un raffinato studioso da cui tutti molto abbiamo appreso (2), che esce peraltro da un infortunio: alla vigilia dell’11 settembre aveva ripetutamente dichiarato che al-Qa’ida era un’organizzazione sopravvalutata dalla propaganda americana. Dal momento che al-Qa’ida è invece viva e vitale, e il sociologo parigino sa anche che non è composta da disperati dei campi profughi ma da giovani della buona borghesia araba (3), Kepel se la cava ora imputando i successi di Osama bin Laden — secondo uno schema classico nel laicismo francese — al “lavaggio del cervello” (p. 102) (4) e a un “[…] indottrinamento [che] sbriciola le fondamenta minime della libertà di coscienza” (p. 271), che sarebbe del resto stato praticato in passato dal “Vaticano” (p. 270) e ancora oggi dalle “sette” (p. 271), dal “comunitarismo ebraico hassidico” (ibidem), da “vari movimenti carismatici o evangelici cristiani” (ibidem). Il problema, qui, è anzitutto metodologico: legato allo schema sociologico della secolarizzazione, secondo cui la religione di tipo conservatore e fondamentalista deve essere in declino, Kepel — quando i fatti rifiutano di conformarsi alla teoria — applica il riduzionismo tipico dei teorici classici della secolarizzazione e sostiene che fatti e movimenti che si presentano apparentemente come religiosi si spiegano invece riconducendoli alle loro “vere” cause politiche o psicologiche.
Kepel sa bene che la nuova guerra mondiale è anzitutto una guerra civile all’interno dell’islam: di qui il titolo dell’opera, Fitna, il cui sottotitolo, “guerra nel cuore dell’islam”, non traduce la lettera del termine — “seduzione”, “anarchia”, “disordine” — ma, per certo, ne traduce il significato. Ricorda giustamente che i tradizionalisti — da lui chiamati, con termine ambiguo, “salafisti” (5) — d’ispirazione saudita, che insistono sul puritanesimo sessuale, non coincidono con i fondamentalisti, per cui è centrale invece la politica; che non tutti i fondamentalisti sono terroristi; e che all’interno del terrorismo solo al-Qa’ida teorizza che i regimi arabi non fondamentalisti, il “nemico vicino” (p. 72), vanno rovesciati andando a colpire direttamente gli Stati Uniti d’America, Israele e, in genere, l’Occidente che li sostiene, il “nemico lontano” (ibidem). Ma Kepel ha torto quando sostiene che il presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush, il primo ministro israeliano Ariel Sharon e i neo-conservatori americani — di cui offre, spingendosi in un campo che certamente non è il suo, una ricostruzione storica talora caricaturale, riprendendo “informazioni” persino dal discusso cineasta Michael Moore, una fonte per dire il meno non precisamente accademica — hanno fatto il gioco del terrorismo e hanno ottenuto poco o nulla quanto ai loro tre obiettivi, dove — invece — qualche progresso vi è stato: la lotta agli attentati, l’avvio di un processo riformatore in Arabia Saudita e il passaggio dalla dittatura a un embrione di democrazia in Iraq.
Del Fattore F Kepel ricorda l’origine: la svolta del generale Charles de Gaulle (1890-1970) che, dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, si rende conto che la Repubblica Francese, per contare qualcosa, dev’essere antiamericana, e per essere antiamericana dev’essere antisraeliana. Ma sui mezzi non tutti sono d’accordo. Vi sono in Francia un mondo accademico — i cui esponenti, senza nominare contraddittori come l’islamologo e politologo François Burgat, Kepel paragona ai “cretini utili” (p. 252), cioè agli “utili idioti” che collaborarono con lo stalinismo — e un mondo politico — ben rappresentato dal ministro dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria Nicolas Sarkozy — che vogliono isolare l’ultra-fondamentalismo attraverso un dialogo con i Fratelli Musulmani fondamentalisti e il tradizionalismo d’ispirazione saudita. La linea Kepel-Chirac è un’altra: nessuna concessione a fondamentalisti e a tradizionalisti — con la legge anti-velo come bandiera —, e promozione di un islam “riconciliato con la modernità” (p. 279) e con il laicismo alla francese. Se la variante nazionalista dei Saddam Hussein e degli Yasser Arafat — ma quest’ultimo è ancora in qualche misura sostenuto — è naufragata nella corruzione, in Francia può nascerne oggi una versione “illuminista” da esportare poi nei paesi islamici.
Tuttavia, mentre il consenso all’islam “illuminista” coinvolge percentuali minime di musulmani, le quasi trecento pagine di Kepel riescono a non menzionare neppure una volta l’islam centrista e conservatore del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, dei grandi movimenti indonesiani e di partiti come il Wasat egiziano, che la Repubblica Francese ha deciso d’ignorare perché non sono strutturalmente anti-americani. Delle cinque componenti che si combattono nella guerra civile intra-islamica — il minuscolo “illuminismo” degl’intellettuali, il nazionalismo laico alla Arafat, il conservatorismo, il rigorismo nelle sue versioni fondamentalista e tradizionalista, e l’ultra-fondamentalismo dei terroristi — Kepel ignora proprio la tendenza probabilmente maggioritaria, anche se si tratta in alcuni paesi — non in tutti — di una maggioranza silenziosa: i movimenti centristi e conservatori che, sostenuti da milioni di persone, costituiscono invece l’unico antidoto reale all’ultra-fondamentalismo terrorista.
Massimo Introvigne
Note:
(1) Cfr. Gilles Kepel, “Fitna”. Guerra nel cuore dell’Islam, tr. it., Laterza, Bari-Roma 2004; la paginazione dei rimandi è data fra parentesi nel testo.
(2) Cfr., fra le sue numerose opere, quelle tradotte in italiano, L’Islam ieri e oggi, Giunti, Firenze 1989; La rivincita di Dio, Rizzoli, Milano 1991; A ovest di Allah, Sellerio, Palermo 1996; Jihad. Ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, Carocci, Roma 2001 (cfr. la segnalazione di Giovanni Cantoni, in Cristianità, anno XXIX, n. 308, novembre-dicembre 2001, pp. 15-16); e L’autunno della guerra santa. Viaggio nel mondo islamico dopo l’11 settembre, Carocci, Roma 2002.
(3) Cfr. le implicazioni tutt’altro che secondarie di questo dato socio-economico, che Kepel non contesta, in Laurence R. Iannaccone e Massimo Introvigne, Il Mercato dei Martiri. L’industria del terrorismo suicida, Lindau, Torino 2004.
(4) Cfr. il mio Il lavaggio del cervello: realtà o mito?, Elledici, Leumann (Torino) 2002.
(5) Cfr. le questioni di terminologia e di classificazione, nel mio Fondamentalismi. I diversi volti dell’intransigenza religiosa, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2004 (cfr. la recensione di PierLuigi Zoccatelli, in Cristianità, anno XXXII, n. 323, maggio-giugno 2004, pp. 19-21).