Il 1° dicembre 1970 viene approvata la legge sul divorzio. Inizia un processo di disgregazione antropologica non ancora concluso. Ma inizia anche una resistenza per la vita e la famiglia che oggi deve combattere su due fronti: opporsi alle leggi inique e rieducare una società devastata
di Marco Invernizzi
Cinquant’anni fa il divorzio diventava legge anche in Italia, dopo molti tentativi cominciati già nel XIX secolo. Ancora oggi i commentatori giustificano la necessità e la bontà della legge promossa dai deputati Loris Fortuna (1924-1985) e Antonio Baslini (1926-1995) con una serie interminabile di casi pietosi e drammatici, che commuovono i lettori. La stessa tecnica venne usata pochi anni dopo per giustificare la legge che legalizzò l’aborto nel 1978: di fronte a un problema si elimina una persona o, come dice Papa Francesco, si affitta un sicario.
Di fronte a un numero imprecisato di drammi familiari, che venne ingrandito per favorire l’approvazione della legge, si negò da un punto di vista giuridico il principio di diritto naturale del “matrimonio per sempre”, quel principio di indissolubilità che non deriva dalla fede cattolica, ma dalla natura della persona umana e delle sue relazioni. Il risultato non saranno soltanto altri casi drammatici, in particolare la sofferenza dei figli, che verranno ad aggiungersi a quelli usati per giustificare la legge divorzista, ma verrà negato il valore, anche giuridico e pubblico, dell’unità della famiglia come fondamento della società e come modello di riferimento.
Da quella data, 1° dicembre 1970, si rende manifesto un processo di erosione dei principi cardine della vita sociale legati certamente all’inculturazione della fede nella tradizione italiana, come la sacralità della vita, la centralità della famiglia fondata sul matrimonio per sempre di un uomo e di una donna, la libertà per quanto riguarda l’educazione dei figli e la religione. Tuttavia, questi principi non sono esclusivi della fede cristiana, ma appartengono a una legge naturale scritta nel cuore di ogni uomo.
Il punto è decisivo, perché la battaglia che seguì nei successivi quattro anni, fino al referendum abrogativo del 1974, venne impostata dal fronte divorzista proprio su questo punto: secondo loro, i cattolici volevano imporre la loro concezione del matrimonio a chi cattolico non è, quasi una specie di imposizione della fede.
Molti cattolici caddero nel tranello e si schierarono a favore della non abrogazione della legge nel referendum, che nel frattempo era stato ottenuto da una raccolta di firme guidata da un comitato presieduto dal professor Gabrio Lombardi (1913-1994). In gioco, come sostenne per quattro anni il promotore del referendum, non era un sacramento della Chiesa, che comunque sarebbe rimasto valido per i fedeli, ma un istituto civile, perché la famiglia non è una istituzione che riguarda soltanto i cattolici.
Il risultato del referendum, nel 1974, vide la conferma della legge con oltre il 59% del quasi 90% di votanti. E rivelò, a chi ancora non se ne fosse accorto, che la cristianità italiana aveva cessato definitivamente di esistere, anche se rimanevano “pezzi” o “brandelli” di società che ancora si ispiravano alla tradizione cristiana.
Per difendere questi “brandelli”, proprio in quella circostanza Alleanza Cattolica cominciò la propria attività pubblica di associazione, da poco costituita, raccogliendo una parte delle firme per l’indizione del referendum e poi partecipando attivamente alla campagna referendaria. Quest’ultima fu contrassegnata da una crisi interna al mondo cattolico particolarmente significativa, dovuta sia alla mancanza di impegno della Democrazia Cristiana, con l’eccezione, fra i “big”, di Amintore Fanfani (1908-1999), ma soprattutto all’impegno pubblico a sostegno della legge divorzista di un gruppo nutrito di intellettuali ed esponenti dell’associazionismo cattolico, che lacerò l’unità della Chiesa su un punto non opinabile della sua dottrina.
Il risultato del referendum non solo aprì gli occhi a tutti sul fatto che i cattolici erano diventati una minoranza culturale, ma mostrò anche drammaticamente la divisione presente all’interno della Chiesa stessa su temi fondamentali, come peraltro si era già potuto notare due anni prima, nel 1968, in seguito alla pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae di san Paolo VI.
Cinquant’anni dopo, il processo di secolarizzazione è arrivato a mettere in discussione l’identità sessuale della persona con la diffusione dell’ideologia gender, passando attraverso la legalizzazione dell’aborto (1978) e le recenti leggi sul fine vita (n. 219/2017) e sulle unioni civili (n. 76/2016). In questo periodo è nato un movimento pro-life e pro-family importante, coraggioso e mai domo, composto da diverse realtà che operano in numerosi settori della vita pubblica, che ha contemporaneamente combattuto per difendere le ragioni della vita e della famiglia e operato per salvare vite umane e famiglie attraverso un’opera di assistenza concreta. Entrambe le fasi – l’opposizione alle leggi ingiuste e la spiegazione delle ragioni della vita e della famiglia (oltre all’assistenza concreta) -, appaiono sempre più necessarie per difendere il poco che resta da salvare e per ricostruire il molto da ripristinare, nel lungo periodo e con molta pazienza.
Martedì, primo dicembre 2020