Comitato per la Libertà e l’Indipendenza del Libano, Cristianità n. 191-192 (1991)
Dopo la cessazione delle ostilità nell’area del Golfo Persico, insanguinata da tragici scontri dal 17 gennaio al 28 febbraio 1991, mentre il mondo tutto attende la trasformazione del “cessate il fuoco” in pace, si delinea all’orizzonte la possibilità di un esame globale dei problemi della regione mediorientale.
In quest’ottica, evidentemente, si situa anche la riunione a Roma dei presuli interessati al dopoguerra, convocata dal Santo Padre Giovanni Paolo II. Perciò, il
Comitato per la Libertà e l’Indipendenza del Libano
— un organismo nato per sostenere le ragioni del popolo libanese e che opera in collaborazione con movimenti cattolici del Paese dei Cedri, dove ha svolto diverse missioni di solidarietà — ritiene di doversi e di potersi rivolgere ai detentori del potere spirituale per attirare la loro attenzione su una parte del contenzioso regionale di straordinaria importanza.
Allo scopo ricorda che in Libano si è svolta una guerra durata sedici anni, con ingenti danni materiali, ma con un esito che,
— data l’occupazione del territorio da parte di quattro eserciti stranieri,
— la palese dipendenza delle autorità uscite dagli accordi di Taif nei confronti del governo siriano,
— l’attacco portato all’identità culturale del popolo, per esempio attraverso modifiche dei programmi scolastici,
costituisce un pericolo forse maggiore della guerra guerreggiata, in quanto comporta l’eventualità che la fine delle ostilità coincida con la fine del Libano come paese politicamente libero e indipendente, che trasmette un messaggio di pluralismo e di tolleranza, quindi un messaggio indispensabile per il presente e per il futuro dell’Oriente.
Perciò pare assolutamente necessario che chi detiene un grande potere, come tale riconosciuto certamente dai popoli anche se non sempre o non sempre adeguatamente da chi li governa, ricordi come si possa chiamare pace vera soltanto quella che si accompagna alla giustizia.
Quindi, per il popolo libanese — nessuna delle sue diciassette comunità religiose esclusa — giustizia significa:
1. ritiro di tutte le forze straniere dal suo territorio,
2. garanzia di frontiere riconosciute internazionalmente,
3. solidarietà internazionale per proteggere la sua formula politico-sociale pluralistica dalle ingerenze esterne,
4. elezioni libere, che permettano l’insediamento di un governo veramente rappresentativo del corpo sociale, anche nei rapporti internazionali.
4 marzo 1991